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XXIV. La morte.
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I Santi, i Morti. La festa gloriosa della luce e la pia festa dell'ombra la festa del trionfo nel cielo e la solennità intima mesta e fedele dei cuori che ricordano, che piangono, sulla terra.
Oh dolce giorno che la religione cristiana, la religione del conforto e della speranza, vuol consacrato ai Morti, chi possiede il tesoro della fede non trova in te nulla di lugubre, ma una pallida serenità inghirlandata di crisantemi e di semprevivi, splendente di vigili lampade e di ceri votivi. Il ribrezzo della morte, non esiste se non per chi non sa e non può vedere oltre le zolle di marmo che nascondono per sempre i volti di coloro che ci furono tanto cari. Ma quando la spirituale luce della fede piove sull'anima e la fa divinatrice dei suoi eccelsi destini, la spoglia mortale affidata alla terra appare come il seme che si depone nel solco, con la certezza che non è perduto, ma risorgerà in gagliarda pianta nel sole.
«Non vi affiggete come coloro che sono senza speranza» ammonisce Sant'Agostino. Infatti, nei primi tempi del cristianesimo, quando la speranza era sicura come una fede incrollabile, quando le giovinette a cui la vita e l'amore sorridevano, e deboli fanciulli ignari del dolore, si votavano alla morte più orrenda, esultanti di consacrare col sangue la loro fedeltà a Cristo; quando chi andava a morire non diceva «addio» ai suoi cari, ma «arrivederci», la morte veniva riguardata come un sonno tranquillo, e non era tanto separata dalla vita. Nelle catacombe dove si riunivano i cristiani a pregare, erano pure i sepolcri; ma dappertutto e solamente si vedevano i simboli di pace. Lo stesso nome di cemeterio, significa luogo di riposo, dormitorio: gli emblemi parlano di purezza, di fortezza, di vita eterna. Una colomba, un'àncora, un agnello, una vite coi grappoli, una palma: il dolore vittorioso. Ancòra si leggono, corrose dai secoli, le parole che compenetrano il nostro cuore di riverenza e di commozione: «Dormi in pace, anima dolce e fedele» – «Abbi fiducia» – «Nel sonno della pace e della luce» – «La luce eterna risplende per te» – Sembrano augùri tranquilli da cui il dolore sia escluso.
Eppure erano le voci di quelli a cui più quei morti furono cari, che più sentirono nella loro fragile umanità lo strazio della separazione. Tanto potere di conforto, tanta virtù di eroismo avevano allora la fede e la religione sulle anime!
Procuriamo anche noi di imitare i nostri remoti fratelli! Per quanto acerbo possa essere il dolore proveniente dalla morte, per quanto sconsolato, facciamo che non vi penetri mai la bieca disperazione; che la luce delle speranze immortali inondi la nostra anima ferita e asciughi i nostri occhi piangenti.
Gli articoli dalla nostra fede che ci impongono di credere alla vita eterna degli spiriti e di comunicare attraverso la morte coi diletti che ci precedettero nel Mistero, esprimono tutto il conforto che la religione può dare a chi la pratica altamente. Un grande spirito ardente, in uno studio sul cristianesimo, a proposito della comunione delle anime, scrisse queste belle e benefiche parole, che ci giova ricordare, errando tra i sepolcri: «Questa radunanza spirituale, di cui amore e verità sono i vincoli, non deve far nessun conto del tempo e dello spazio, della vita e della morte: come l'intendiamo noi nell'ordine naturale e sensibile. Secondo questa idea, la vera morte, la morte che separa, è meno la morte corporale che la morte spirituale, meno la separazione dell'anima dal corpo che la divisione dalla verità e dalla virtù. Si può essere più vicini attraverso ad ostacoli immensurabili, che abitando sotto lo stesso tetto: meno separati dalla morte che dal male vivere, è partecipare alla vita eterna, che è Dio, e come è una vita invisibile ed immortale, tutto ciò che vi partecipa è perfettamente unito.
«Così, Dio ci permette, ci comanda, anzi, di essere in comunione eletta con tutti coloro che ci hanno preceduti nell'eternità: di aggiungere la nostra volontà alla volontà loro: le nostre preghiere alle loro preghiere: in certa guisa, le nostre mani alle loro mani, per accoglierci tutti, vivi e morti, nel suo paterno seno. Noi sappiamo che Egli accoglierà le nostre preghiere, le nostre opere buone quaggiù, in compenso delle mancanze di quelli tra i nostri fratelli che errarono e stanno espiando lontani dalla gioia celeste; noi sappiamo anche che Egli accoglie, per noi e per loro, le preghiere e i meriti degli eletti che sono beati e affrancati per sempre».
Le buone opere e la preghiera sono, dunque, il filo invisibile e pio che ci congiunge ai nostri Assenti diletti: sono il luogo di convegno delle anime che l'ombra della Morte non può separare se non come una caligine densa che impedisce la vista, ma non l'intesa spirituale, intima e dolce. Scriveva Sant'Agostino: «La pompa dei funerali, la folla che li accompagna, la cura del seppellimento, il lusso delle tombe, possono ben consolare in certo modo i superstiti, ma non giovano ai morti. Ciò che giova ad essi è la preghiera, il sacrifizio dell'altare, e le elemosine versate per loro ai poveri».
Questa è la tradizione dei tempi apostolici da cui è derivato l'uso delle beneficenze fatte in nome dei defunti. La Chiesa prega ogni giorno per i Morti, e non uno dei suoi uffici pubblici o privati è privo d'un ricordo speciale, nelle preci del Sacerdote per Essi. Le dolci parole, il dolce augurio del riposo e della luce si ripetono sempre: Requiem: riposa: Requiem aeternam: riposa in eterno: Requiescat in pace: riposa nella pace. Ed ogni mattino, in tutte le Messe che si celebrano nel mondo, il sacerdote applica ai defunti fedeli la preghiera toccante che aprì al malfattore pentito, a fianco di Cristo sulla croce, le auree porte del Cielo: Memento, Domine! «Signore, ricordati di me».
Pensando come Sant'Agostino, che le opere buone servono pure al suffragio dei morti, gli antichi cristiani costumavano, nel giorno dei funerali, di fare delle elargizioni in omaggio ai loro cari perduti. Si dava loro un banchetto chiamato àgape. La pia tradizione è rimasta attraverso i secoli, e in onore degli estinti si fanno, anche ora, elemosine in danaro e in alimenti.
Nel quarto secolo, San Paolino scrisse a un senatore romano, desolato per la morte della sua sposa, procurando consolarlo con queste sentite parole:
«Tutto ciò che davi ai poveri, Cristo lo rendeva immediatamente a te e a lei: giacchè la voce del misero trova una via facile per giungere a Dio. E sta scritto: la preghiera del povero trapassa le nuvole. La tua sposa è beata, giacchè molte azioni implorano per lei presso Dio».
Non bisogna dimenticare, infatti, che Cristo attribuiva all'elemosina una grande virtù redentrice, poichè dichiarava che riteneva come compiuto verso di lui tutto ciò che si fa per l'ultimo dei nostri fratelli; anche la minima delle carità: un bicchier d'acqua.
Onoriamo i nostri estinti con un atto generoso a vantaggio dell'infelice e sarà, insieme con la preghiera, il modo più pietoso e cristiano per commemorarli.
Ma, oltre questo culto visibile, ve n'è un altro invisibile che possiamo tributar loro nel nostro intimo mondo spirituale: ed è quello di collocare idealmente la loro immagine, inghirlandata dei fiori del ricordo, nel centro della nostra coscienza come la loro effigie sta fra le pareti della nostra casa. Essa vigilerà, così, tutta la nostra vita morale, presiederà alla formazione di tutti i nostri desideri, di tutte le nostre determinazioni, e ci avvertirà subito se non saranno leciti, se non saranno buoni e degni. Sia la memoria cara e sacra di coloro che amammo e che più non vediamo, come la stella polare della nostra vita interiore consultiamola prima di abbandonarci ad un pensiero, ad un sogno; prima di scegliere o di decidere: ricorriamo a lei se ci sentiamo soli, smarriti e deboli troppo per qualche sacrifizio impostoci dal dovere: se la nostra coscienza è turbata da un contrasto, da un rimorso.
Rifugiamoci in lei nelle ore del dolore e dell'amarezza: ci verrà la pace; sorridiamo a lei nei giorni del faticoso e nobile trionfo ottenuto nel dualismo oscuro, e recando a lei la gloriosa palma del nostro martirio occulto, diciamole questa vittoria è tua!
Se ogni vita, ogni coscienza, potesse sempre essere così, sotto il dominio di una memoria sacra, ogni vita sarebbe retta, ogni coscienza sarebbe monda.
Poichè grande è la potenza dei Morti amati sulla coscienza dei vivi, tanto grande e profonda che vedemmo molte volte individui senza ideali e senza fede, scettici, o rozzi e brutali, farsi una fede e un ideale d'una memoria. Ed altre volte quello che un amore trepido e tenero non riuscì a conseguire un ravvedimento, una rinunzia, una guarigione – ottenne con l'olocausto della vita la dolce anima liberata dal suo involucro terrestre. E ad Essi che sono sfuggiti alle tempeste, ad Essi che sono intorno a noi invisibili e protettori, ad essi che sanno, ricorriamo noi, erranti ancora nell'ombra malsicura di qua dalla riva.
FINE.