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IL GIOGO
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«Comment vis-tu, toi qui n'as pas d'amour?»
La sua onesta mediocrità era stata la cagione del suo bene. Mediocrità di fortuna, d'intelligenza, di bellezza, di desideri, d'imaginazione. Si era sempre contentata di quello che aveva, e si era sempre sentita press'a poco felice. Nata in provincia, da gente agiata e rispettabile, aveva sposato a vent'anni un bravo professionista che l'aveva resa madre di due figliuoli. E la sua vita era volata via con la sua prima giovinezza, serena e piana, come un paesaggio di pianura: un po' monotona eppure uniformemente piacevole.
Ester Vallauri era una donna tradizionalmente onesta, senza morbose curiosità, ma senza piccinerie di spirito, e conosceva la vita anche dal raccoglimento della sua esistenza casalinga. Leggeva molto, nelle ore di tregua alla sua attività di massaia e di perfetta madre di famiglia, e, benchè pura, non era ingenua nè eccessivamente provinciale. Era molto pia, ma non bigotta, e le piacevano gli svaghi e l'allegria. Teneva alla sua modesta bellezza e le era caro non solo d'essere molto amata da suo marito, ma d'essere ammirata per semplice omaggio alla sua femminilità. Non sarebbe stata una figlia d'Eva se l'opinione degli uomini sul conto suo le fosse stata perfettamente indifferente.
Così visse Ester Vallauri, durante una dozzina d'anni, il suo discreto sogno realizzato di pallida, opaca, sicura felicità.
Poi, un triste giorno, il suo bravo marito morì. Il suo dolore fu grande e sincero, ma contenuto, anche quello, entro i limiti di quell'equilibrio che governava i suoi sentimenti e le sue sensazioni. Pianse, ma si confortò col pensiero della religione e de' suoi figli, e la sua saviezza le permise di benedire ancora il Cielo che le aveva mandata sì una grande sventura ma che le aveva, prima, concesso un lungo periodo di tranquillità.
Quella sventura era la prima della sua vita! E poichè aveva trentadue anni, Dio non era poi stato eccessivamente crudele con lei!
Calmato il dolore, e passato l'anno di lutto stretto, ella dovette pensare all'educazione dei suoi figli, già grandicelli, e, anche per consiglio dei suoi genitori ed amici, prese la decisione di lasciare la sua piccola città per trasferirsi in una città grande. La città prescelta fu Milano, dove aveva alcuni parenti e alcuni buoni conoscenti, e che non era lontanissima dal luogo nativo e dagli interessi famigliari.
Il cambiamento di residenza fu un grande avvenimento per lei. Il molto da fare le servì di distrazione, e la gioia dei suoi ragazzi le teneva buona compagnia. In breve tempo, la sua nuova vita fu bene avviata, in un'atmosfera di cose facili e soddisfacenti.
I giovanetti studiavano volentieri e amavano sfrenatamente la grande città che offriva loro tante sorprese e tanti stupefacenti divertimenti!
Alcune case di parenti e conoscenti si erano loro aperte cortesemente ospitali, così che Ester doveva difendersi dai soverchi inviti. Aveva trovato un grazioso appartamento in una via tranquilla eppure centrale, e la sua famigliuola aveva ripreso, nel ricordo del Diletto perduto e dei cari nonni lontani, il suo ritmo di normalità e di serena pace. Ma a poco a poco il ritmo pacifico si andava accelerando in note più vibrate, si chè certe fanfarette gaie, quasi febbrili, balzavano nello spirito di lei, senza che esattamente se ne rendesse conto. Cos'era? Il contagio della grande città tentacolare operava su di lei, a sua insaputa. In che modo? In nessun modo preciso... e in mille modi diversi e svariatamente suggestivi. Suggestioni visive, auricolari, sensorie, sentimentali: l'elettricità della folla, gli esempi, la collettività formidabile, i rumori assordanti, i colori, i suoni, la nebbia avvolgente complice di misteri, l'eleganza, lo sfarzo, il movimento vertiginoso, gli spettacoli sbalorditivi... il peccato nascosto e sempre presente, l'attività prodigiosa, la voglia inesauribile di divertimento: tutto contribuiva a formare intorno alla provinciale che s'era per le prima volta inurbata, un clima carico di elementi saturi di sottili e deliziosi veleni...
E, per la prima volta a trentacinque anni, quella mite creatura che non aveva avuto desideri oltrepassanti la sua modesta realtà, aspirava timidamente sì ma tormentosamente a qualche cosa di più di quello che possedeva. Cosa? In verità ella stessa non lo sapeva. Qualche cosa di nuovo, di piccante, di fuori dal comune! Una felicità diversa da quella da lei conosciuta. Un avvenimento suo, somigliante a quelli letti nei romanzi, o a quelli di cui udiva parlare come di cose vere che accadono tutti i giorni nelle grandi città. Sentiva che invidiava un poco le donne che avevano segreti da nascondere, anche se i segreti non erano nè belli nè puri... Perfino l'adolescenza dei sui figliuoli, casta ancora ma piena di fremiti e di palpiti di curiosità, le dava una specie di contagio, una sorta di ubbriacatura di giovinezza, di serotina primavera carica di pòllini vaganti che la stordivano...
Nei salotti borghesi che frequentava, alle festicciole in cui accompagnava i ragazzi, aveva dei piccoli successi insperati che le facevano un impreveduto piacere. La sua pacata bellezza bruna non aveva mai figurato molto in provincia, dove la freschezza della carnagione, la fiorente salute, la formosità, rappresentano le qualità preferibili nelle donne.
Nella grande città, evoluta e un po' decadente anche nelle sfere medie della società, il suo fisico parve interessante e del tutto «moderno». Era alta, sottile, pallida, col viso lungo, la bocca accesa e gli occhi notevolmente grandi ed espressivi. Anzi l'espressione de' suoi occhi oltrepassava la potenzialità sua interiore. Erano un vero bluff, gli occhi della signora Ester Vallauri! Si sentiva lodare i suoi poveri occhi, innocenti di qualsiasi attacco belligerante, come in provincia non le era mai accaduto. Glieli dicevano: «occhi di sirena, di sfinge, di maliarda» e lei qualche volta ne godeva, nella sua vanità, qualche volta ne rideva, nella sua ostinata semplicità.
Suonava benino il pianoforte e anche quello era un dono che le attirava complimenti ed omaggi. Si vestiva con un certo gusto, quasi sempre di nero, e in poco tempo quasi nulla restava in lei, esteriormente, della piccola, timida provinciale di una volta.
C'era anche qualcuno che la corteggiava con certa insistenza, che le faceva profferte di amore, con le parole stesse, o press'a poco, dei «personaggi» dei romanzi. Adesso leggeva romanzi più divertenti e più audaci di quelli che leggeva un tempo. Romanzi «di moda», in cui non si parla mai di dovere, di virtù, di sacrificio, ma sempre di piaceri, di diritti, di raffinate voluttà.
Ci fu anche un uomo, vedovo e ricco, ma poco seducente, che le offrì la sua mano. Ma ella lo ricusò risolutamente, perchè non aveva nessuna voglia di rimaritarsi. Era attaccatissima ai suoi figli, alla sua casa, alla memoria del suo primo marito, ed apprezzava grandemente la sua libertà. Di che cosa aveva voglia, dunque? Era diventata, in ritardo, ciò che sono spesso le giovinette: un nodo di desideri inespressi, tra sensuali e sentimentali, un groviglio di capricci melanconici e di allegre curiosità: cose che fanno ridere e piangere al tempo stesso...
***
In quel periodo, ricevette un mattino con la sua scarsa corrispondenza (i vecchi genitori, l'uomo di affari, qualche amica provinciale...) una lettera misteriosa. Bollo di città, scrittura ignota, carta elegante. L'aperse. Una sola pagina, senza firma. Diceva:
«Una pallida faccia e un velo nero». Mi siete apparsa così la prima volta, sei mesi fa, e non vi ho più dimenticata. Magari potessi dimenticarvi! Perchè, siete diventata per me piuttosto che una gioia, un tormento. Non ve ne siete accorta? Questo dovrebbe umiliarmi, e invece mi delizia... come prova della vostra fresca ingenuità, che è una delle vostre grandi attrattive.
«Mi conoscete, mi parlate qualche volta, mi aprite in faccia i vostri strani occhi così grandi e così profondi... che vi servono così male a vedere ciò che vi dicono i miei! Qualche volta il vostro modo di guardarmi... m'illude. C'è nel vostro sguardo una fissità così intesa che sembra nascondere poemi di sentimento... Qualche altra volta, purtroppo, mi gelate con un'assenza di comprensione che fa di voi una grande bambina, adorabile e desolante insieme! Siete diversa da tutte le donne che ho conosciute. Mi piacete terribilmente. Vi amo follemente. Chi sono? Cercatemi! E se volete, mi troverete.
«Vi bacio le piccole mani bianche che suonavano così appassionatamente...».
Ester fu sbalordita e tocca nella parte più segreta del suo essere. Non rise. Non mostrò quella lettera a nessuno. Non la distrusse. E fu presa da una spasmodica volontà di sapere. La curiosità. Quella che perdè Eva. Quella che perdette, perde e perderà tutte le donne. Cercava... e non trovava. Quando le pareva di avere indovinato... ecco che si accorgeva d'essersi ingannata. Passava in rivista, ad uno ad uno, tutti gli uomini che conosceva. Quelli che conosceva di più, di meno o appena appena... Quale? Li analizzava, come prima non aveva ancor fatto. E si fermava, prima, su quelli che le sarebbe piaciuto di più che fossero... quell'uno. Poi, li scartava. «No, questo non può essere perchè è troppo giovane. Quello no, perchè è troppo bello, o troppo elegante e non può pensare a me». Oppure: «Colui è troppo serio. Che diavolo mi salta in mente?». O ancora: «Quel tale non può essere... perchè mi dispiacerebbe che fosse proprio lui!»
Ma ormai, da qualche giorno non si occupava d'altro. Era diventata socievole, mondana, irrequieta sì che se ne stupivano lietamente i suoi due figliuoli, i quali l'accusavano, prima, di accompagnarli con l'aria di vittima dell'amor materno. Essi erano molto bambini d'animo ancora, molto attaccati a lei, non ancor emancipati dalla sua tenera sorveglianza. Quindici e quattordici anni. Essa non li lasciava uscire soli di sera. Dicevano: «Brava, mammina! Sei un amore! Adesso sei proprio come una sorellina, per noi! Che piacere! Hai voglia di divertirti anche tu!».
***
Una sera, in una casa amica, aveva suonato per turno con altre signore per far ballare i giovani, essendo mancato il tapeur. Aveva suonato con molto brio, mettendoci una grazia e un'intenzione d'arte insolita nei suonatori per ballo. La padrona di casa le si avvicinò per ringraziarla e complimentarla. Poi il padrone di casa andó a fare altrettanto. Era un uomo sui quarantacinque anni, piccolo e nervoso, molto serio, con la pelle arsiccia, i capelli biondi un po' grigi alle tempie, e certi occhi chiari, limpidi e freddi, che mettevano soggezione.
Era un uomo di affari. Quali affari facesse, Ester non sapeva. Passava per ricco, attivissimo, integerrimo. Ben quotato presso le comuni conoscenze, ritenuto da tutti ottimo marito e padre modello, Ester non lo aveva nemmeno passato in rassegna fra i possibili autori del clandestino messaggio... Ma in quel momento, mentre egli la ringraziava, immergendo nei suoi quegli occhi duri e freddi... ella ebbe un improvviso sospetto... che subito scacciò come un pensiero molesto. Un uomo ammogliato! Di quell'età! Suo ospite, marito di una signora che così bene l'aveva accolta, padre di due amici dei suoi figli! Che orrore! Arrossì, ebbe uno sbatter di palpebre, rise nervosamente, e si rimise a suonare, attaccando un fox-trot indiavolato. Allora, egli passò dietro lo sgabello sul quale ella sedeva, finse di chinarsi a guardare la pagina aperta sul leggio, e mormorò con una voce strana, nuova, diversa: «Chi cerca... trova!».
***
Ella aveva dunque, sventuratamente, trovato.
Perchè un'impressione questa volta angosciosa si era accompagnata al suo sbalordimento e all'inevitabile senso di trionfo della sua femminile vanità. Era soddisfatta di avere scoperto il suo innamorato... ed era, al tempo stesso, terribilmente spaventata! Sentiva un pericolo imminente, vedeva una voragine aperta davanti a sè... e il suo istinto le suggerì subito di difendersi. Tacere, chiudere gli occhi per fingere di non aver visto, di non aver capito.
Cosa aspettava ella dunque con tanta trepidazione? Quel messaggio anonimo le aveva procurato un malsano piacere, ella se ne rendeva ben conto... E adesso che un nome aveva firmato quel foglio, un'improvvisa angoscia l'aveva assalita. Perchè? Era stata una delusione la sua scoperta? Quell'uomo non le piaceva? Non sapeva dirlo esattamente. Forse le era indifferente, come tutti gli altri fra i quali aveva dirette le sue ricerche. Ma costui era un uomo non libero. E l'idea peccaminosa dell'adulterio ripugnava alla sua coscienza di donna onesta e pia.
Voleva ella, dunque, un marito? Ah no. Non ci pensava nemmeno. Lo avrebbe rifiutato, come già le era accaduto di fare, poco tempo innanzi. Allora? Allora – le pareva finalmente di comprendere – ella avrebbe desiderato d'essere amata, forse di riamare, un uomo libero, delicato, buono, che avesse messa un po' di dolcezza nella sua solitudine, e che si fosse contentato di un'amicizia amorosa... conciliabile con tutte le leggi della tradizionale virtù...
Ma chi le diceva che colui non si contentasse di quanto lei poteva e voleva concedere? Non lo sapeva. Ma intuiva una minaccia che le faceva paura. Gli occhi di quell'uomo erano pieni di terribili cose non espresse...
***
E la sua profetica anima non la ingannò. Il giorno seguente, presso a casa sua, mentre rientrava sola, fu avvicinata da lui, uscito all'improvviso non seppe d'onde. Le disse torvo e concitato:
– Dove posso vedervi? Ho bisogno di parlarvi! Scoppierei se dovessi continuare a far violenza al mio cuore, al mio sguardo, alla mia voce!
Ella, sbigottita, si trincerò nella difesa, benchè una impreveduta commozione le gonfiasse il petto:
– Ma cosa desidera da me, signore? Mi conosce appena! Io sono una modesta donna d'altri tempi, di abitudini semplici e casalinghe...
– Non fingete! Sapete benissimo che sono io che vi ho scritto, io che vi amo come un pazzo! Ditemi una cosa sola, che ho bisogno urgente di sapere: Amate qualcuno? Avete il cuore impegnato? – e la sua voce era piena di angosciosa interrogazione.
Ella disse candidamente:
– Oh no!
Egli trasse un gran respiro, come se un peso materiale gli fosse tolto dal petto. Poi riprese:
– Allora... ditemi un'altra cosa: Vi ripugno? Provate avversione per me? – e i chiari occhi metallici erano diventati miti, dolcissimi, immergendosi in quelli di lei.
Ella ripetè ancora una volta, impulsivamente:
– Oh no!
– Ebbene – fece lui, con una faccia mutata, ringiovanita, radiosa – adesso, lasciate fare a me! È impossibile che la mia passione non sappia conquistarvi. Mi è caduta una tegola sul capo. Bisogna che mi aiutiate a curare la ferita, voi, l'innocente e colpevole al tempo stesso, se no, impazzisco! Domani vengo da voi. Troverò un pretesto. È necessario.
Ella sentì le sue mani quasi stritolate da quelle di lui... e fuggì senza dire di sì.
Ma il giorno appresso, dopo ragionamenti, risoluzioni eroiche, preghiere innalzate a Dio, come vinta da un sortilegio, pur non volendo, vilmente cedette all'ingiunzione avuta e lo ricevè.
E cominciò il suo martirio. Il suo cattivo destino aveva messo sui suoi passi l'uomo che a lei sarebbe meno convenuto: dispotico, appassionato, sentimentale e sensuale al tempo stesso, romantico, effervescente come se avesse avuto vent'anni. Le raccontò la sua vita sbagliata, come diceva lui. Aveva fatto cento mestieri. Nato per essere artista (ancora diceva lui) era stato ufficiale, giornalista, impiegato nelle colonie. Poi, ammogliatosi giovane, aveva sentito il dovere di provvedere seriamente alla famiglia, e si era dato, senza esservi inclinato, agli affari. Ed era la sola cosa in cui era riuscito. Aveva una intelligenza non comune, una discreta coltura, e il fondo della sua anima era rimasto quello di un artista mancato, pieno di nostalgie e di rimpianti verso la vita di belle avventure e di poesia realizzata che aveva sognata e cui era passato accanto senza poterla ghermire. Era un impulsivo senza vero dominio su di sè, squilibrato in tutto quello che non fosse l'ingranaggio preciso dei suoi affari, nei quali invece, era abile e fortunato. L'amore era sempre stato il suo debole, la molla segreta della sua vita intima. Aveva amata, giovanissimo, sua moglie, che aveva avuta una gentile effimera bellezza. Poi se ne era stancato e allontanato, per comune consenso, contenta ella del suo benessere materiale, della sua felice maternità. Aveva avuto molte fuggevoli avventure, alcune simpatie più resistenti... ed era sempre stato alla caccia della grande passione, che gli pareva dover coronare, come un dono, la sua carriera di amante-nato. E si era innamorato di Ester Vallauri, fatalmente, senza volerlo, senza ch'ella lo avesse menomamente invitato con civetterie, anzi forse per questo! Quella donnina pallida e modesta, dai grandi occhi frangiati ed ombrati, che ignorava la sua bellezza, lo aveva colpito in pieno petto, e gli si era cacciata nell'anima e nel corpo come un paradiso ed un inferno insieme! Aveva lottato poco contro il suo sentimento, perchè non era un uomo da rinunce e da sacrifici. E fra il bene di lui e quello di lei, egli non aveva esitato e sceglieva il bene suo proprio.
Le diceva:
– Perchè mi rifiutereste? Siete libera e sola! I vostri figli non hanno il diritto di impedirvi una felicità che non è in contrasto con la loro. Siete una madre perfetta e continuerete ad esserlo. Ed essi ben presto non avranno più bisogno di voi. Io non sono libero? Sì, che lo sono! Da più di dieci anni non ho nessun rapporto con mia moglie, una donnina fredda e poco intelligente, che non mi ha mai compreso e che vede in me soltanto il fornitore del suo lusso e il padre dei suoi figli. Non credo mancare a nessun mio dovere, amandovi. Rispetto mia moglie e la lascio regina in casa mia. Ma la mia felicità non credo doverla sacrificare a nessuno. La passione è venuta tardi nella mia vita, ma con le forza di un turbine. Amatemi! È necessario. È fatale. Sarei capace di ogni follia se voi deludeste il mio amore!
Soffriva veramente. E non aveva il pudore delle sue sofferenze. Spesso le sue parole erano accompagnate da lagrime che impietosivano la donna. Altre volte, da atti violenti, da escandescenze che l'atterrivano.
Tanto più che gl'incontri forzosi avvenivano sempre per la strada, essendosi ella risolutamente rifiutata di riceverlo in casa, dopo quella prima volta malaugurata.
– La casa dei miei figli è sacra. Qui no! Assolutamente no!
Nelle case dei conoscenti, allora. E nella casa di lui a malgrado delle ripugnanze spasmodiche di lei ad essere ospite bene accolta della moglie ignara e sorridente. Ma l'implacabile amatore la costringeva a tale sacrificio con insistenze, con pianti, con minacce. E poi, tutto ciò non gli bastava. Ed erano allora i colloqui, lunghi o brevi, per le vie della città popolosa che nascondeva nella folla e nella nebbia i loro incontri procellosi. Ella sempre timorosa ed inquieta, lui appassionato, imprudente, egoista, ossessionato dal suo amore e dal suo desiderio incalzante.
Qualche volta, senza dubbio, anche il consenso di lei si destava... e al suo timore, ai suoi scrupoli, al suo rimorso, si fondeva l'aspra gioia del sentirsi così freneticamente amata e desiderata, lo sbalordimento d'essere diventata una specie d'eroina da romanzo. Ma le due impressioni che componevano specialmente il suo stato d'animo verso di lui, erano, alternativamente, la pietà e la paura. E le due debolezze accoppiate, gettarono finalmente, un giorno, la poveretta nelle braccia del suo tiranno.
Per lui fu un delirio di gioia e di orgoglio. Per lei fu uno stordimento seguito da delusione. Non era sensuale. E non era nemmeno, sentimentalmente, all'unissono con quella passione da melodramma. La sua semplice anima borghese, a fondo immutabilmente onesto, ripugnava da quelle esplosioni di erotismo che la lasciavano scombussolata, quasi avvilita, come una donna cui fosse stato imposto di rappresentare una parte tragica, in un dramma a forti tinte, sentendosi l'anima semplicemente idilliaca!
Era troppo per lei. Non avrebbe mai aspirato a tanto! Non era quello che avrebbe voluto, che forse cercava, che inconsciamente desiderava! Non era nata per la colpa, lei! La sua coscienza non aveva pace a malgrado delle ragioni, delle persuasioni di lui, che per lei non erano valide. E poi, a parte la colpa, a parte la necessità delle continue cautele, dei nascondigli, dei misteri, dei pericoli che la terrorizzavano e cui non poteva avvezzarsi; a parte tutto il lato morale che pesava sulla sua coscienza come un incubo, le qualità stesse del suo amante e della passione di lui, non si confacevano al temperamento nè allo spirito di lei. La sua onesta mediocrità era disadatta a quel turbine di passione! Le esigenze di lui erano illimitate, e la sua gelosia era folle. Tutto gli dava ombra. Ester non era più padrona di sè. Dov'era ita la sua deliziosa libertà? Come far tacere il ricordo del suo buon marito dalla tenerezza mite e fiduciosa? Era proprio lei, la stessa donna, che aveva scatenato in un uomo tale uragano? Le pareva impossibile e talvolta se ne vergognava, nel suo pudore di donna casta e dabbene.
Se curava la sua persona e il suo abbigliamento, egli sospettava ch'ella volesse piacere a qualcuno. Se si trascurava, era segno che non teneva a piacere a lui. Se mangiava con appetito, era un insulto a lui, che perdeva, quando era con lei, la voglia di mangiare. Se rideva, ciò denotava leggerezza. Se era triste, voleva dire scontentezza di lui. Era geloso dell'affetto di lei pei suoi figli, pei suoi vecchi genitori, delle amiche vicine e lontane, della memoria del suo povero marito. Voleva, o avrebbe voluto, regnare, imperare, dominare padrone assoluto nel suo cuore! E diceva: «Tutti i veri amanti, i grandi amanti sono così, devono essere così, se no, l'amore è uno scherzo o è libertinaggio!».
Ah potersi liberare! Ah sottrarsi al giogo! Ma come fare? Si rendeva conto che non avrebbe mai e poi mai trovato in sè la forza per ribellarsi a quel potere: un po' per pietà... un po' per paura...
Ogni tanto egli, il terribile amante, per quanto acciecato dalla passione, per quanto soddisfatto, aveva la mente attraversata da rapidi, fugaci sprazzi di verità sullo stato d'animo di lei... e allora tormentava la sventurata con interrogatorii snervanti, che non cessavano altro che dietro assicurazioni menzognere, e proteste spergiure:
– Tu sei mia, per sempre. Lo sai, non è vero? Solo con la morte avrà fine il nostro amore. Io non sono più giovane. Tu non sei più una bambina. Cosa ci aspetterebbe, oramai, fuori dal cerchio scambievole delle nostre braccia? Qui, qui, sul mio cuore, per sempre! Di': «per sempre!» anche tu! Ripeti con me: «per sempre!».
Ella ripeteva docilmente, come una vittima sull'ara del sacrificio:
– Per sempre!
E quando era sola, finalmente, si sentiva morire.
Impeti irrefrenabili di ribellione scoppiavano in lei, aneliti disperati alla libertà, alla onestà, alla pura, innocente bellezza della sua vita di un tempo! Già da due anni durava il legame, ed ella sentiva sulle sue gracili spalle pesare il giogo della schiavitù. Giogo bestiale e umiliante, perchè assunto per debolezza, per vigliaccheria, per ontosa accettazione del volere altrui. Quale gioia ne aveva? Nessuna.. o quasi nessuna. Nemmeno le piccole soddisfazioni della vanità. Nell'amore, per le donne, c'entra sempre un poco la vanità. Far sapere alla gente che esse destano amore... è uno dei piaceri dell'amore.
Ma nel suo caso, Ester doveva desiderare, volere fermamente, paurosamente, il più tenebroso mistero! Il tripudio dell'altro non bastava a renderla felice. No. Non lo amava abbastanza, di nessuna specie di amore, per godere soltanto di una gioia riflessa. E allora? Ribellarsi. Ma come?
– Se tu mi abbandonassi, io ti ucciderei... o mi ucciderei. Ricordati!
Ed era un uomo capace di farlo. Almeno ella lo credeva.
«È questo, dunque, l'amore, il grande amore, il decantato amore, quello che tutte le donne sognano, che rimpiangono se perduto, che sospirano se non raggiunto? Ahi! Ahi! Che soma! Che peso mortale!».
Le pareva di non essere più nulla, altro che una cosa, la cosa altrui! Un povero fuscello rapinato da un'onda... da una di quelle grandi ondate alte e gonfie, verdi come idre favolose, con la cresta spumosa, che arrivano oblique e torve e portano via la povera festuca che si riposava al sole, sulla rena! Che terrore! Giungeva a desiderare la morte. O la sua propria, o quella di lui. Lo odiava. Ma gli sorrideva, piangeva con lui, se lo vedeva piangere e soffriva di lui, qualche volta, perchè ne aveva pietà... e gli mentiva sempre, perchè ne aveva paura!...
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