Sfinge
La gaia scienza

SORELLA ACQUA

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SORELLA ACQUA

 

 

L'avevo battezzata così, tanto era fresca, limpida e casta. Una fanciulla tradizionale, casalinga, buona serena e pia. E bella come un sogno. Figlia di nobili di provincia, poco ricchi, sorellina maggiore di una numerosa nidiata, aveva poca dote e dava, a malgrado dei suoi molti meriti, qualche preoccupazione ai suoi genitori pel suo collocamento.

Invece, appena diciottenne, oltre ai parecchi ammiratori decorativi, che non turbavano la limpida giocondità di «sorella Acqua», si presentò sul suo breve orizzonte un candidato alla sua mano che possedeva tutti i requisiti di un futuro marito ideale. Una perla di giovane, sospiro di tutte le mamme con figlie disponibili. Di nobile famiglia, agiato, già laureato in legge, già entrato nello studio di un grande avvocato, cultore di buoni studi, di bella apparenza, sano, retto, di onesti costumi. Non si poteva desiderare di meglio per una figlia diletta: e i genitori di Lucetta incoraggiavano con dignitosa condiscendenza il rispettoso corteggiamento che il giovane conte Pierluigi dedicava alla loro vaga figliuola.

E lei, sorella Acqua cosa ne pensava? A me interessava vedere se quella placida superficie di laghetto alpino si sarebbe commossa o almeno un poco agitata, all'omaggio assiduo e promettitore.

Osservavo.

No. Niente. Sorrideva, scherzava con Pierluigi come con gli altri giovani amici, ballava, giocava al «tennis», suonava il pianoforte... come una bambolina meccanica, con buona tecnica e poca espressione, continuava a dimostrarsi semplice ed affettuosa come una gattina, con una sensibilità poco sviluppata, contenta di vivere, creatura di grazia più che di passione, destinata forse a rimanere, nell'anima e nel senso, una deliziosa, una pura, un'eterna bambina: sorella Acqua!

Qualche volta era perfino irritante a forza di placidità, perchè tutti, meno lei, si accorgevano che Pierluigi si andava celeremente riscaldando e che i parenti di lui non domandavano di meglio oramai che di affrettare il giorno del fidanzamento ufficiale.

Qualche volta, quando ella veniva a sedersi ai miei piedi e mi baciava le mani teneramente, con tutto il moderato calore di cui era capace il suo piccolo cuore equilibrato di «jeune fille modèle», a me piaceva chiederle all'improvviso, sgombrandole la fronte dai morbidi riccioli d'oro: «A che cosa pensi, sorella Acqua

E lei, schietta, senza turbarsi: «Al vestito nuovo che mi porterà domani la sarta». Oppure: «Alla torta che farò per ubbidire alla mamma... che tiene molto alla mia abilità culinaria... che desta le mute ire della cuoca!». O ancora: «Al romanzo inglese che sto leggendo, pieno di personaggi antipatici!».

Risposte press'a poco così... Una volta le chiesi – E a Pierluigi, non pensi mai?

Ed ella semplice e pronta, senza arrossire: – Qualche volta, sì. Ma lo vedo così spesso, che non ho tempo di pensare a lui, quando non c'è!

– Ma gli vuoi un po' di bene, o no, a quel bravo figliuolo?

E lei, dopo un attimo di esitazione: – Credo di . Lo stimo molto... e sono anche lusingata che... si occupi di me! – Fece una bella risata, come un trillo di allodola, che scoprì tutto il fresco tesoro della sua bocca.

Senti, piccola, dimmi una cosa: se Pierluigi chiede la tua mano, lo accetti per marito?

Ella si fece seria. La serietà su quel volto di perle e di rose che la stessa impressione fresca di un paesaggio, è quasi una stonatura, quasi un controsenso... Dopo un momento di riflessione, Lucetta dice piano, lentamente: – Ma! Forse ... La mamma dice che devo maritarmi, che Pierluigi è un ottimo partito... e così sia!

Un'ombra di tristezza vela la celestiale fronte della ragazza... e un senso di pena mi si distende sul cuore. Dico: – Ma, non sei innamorata di lui, come lui è di te? Pensaci bene e dimmi la verità.

– Cosa vuol dire, veramente, essere innamorata? Non lo so bene. Penso, qualche volta, che l'amore deve essere una cosa grande... molto bella, ma che fa anche un po' paura, e non so se mi piacerebbe provarlo... Pierluigi non lo amo così, no, no! – e ride gaiamente – ma gli voglio bene. E non mi ripugna il pensiero di passare la vita accanto a lui... Però...

– Però?

– Non so... Non so spiegarmi. Qualche volta temo che... no, non voglio dirlo, nemmeno a Lei! Povero Pierluigi!

Non riuscii a cavarle altro di bocca. Ma l'osservavo, nell'ultimo autunno, nelle frequenti riunioni tra i villeggianti della nostra magnifica plaga romagnola, che il gran nastro bianco della via Emilia allaccia. Già. Lucetta non amava d'amore il suo quasi fidanzato. Gli dava quello che poteva dargli. Ed egli, del resto, non pareva chiedere di più. Perchè sembrava felice, addirittura al settimo cielo, quando era vicino a lei, quel bel giovane, alto e vigoroso, con una buona onesta faccia di galantuomo, con una intelligenza equilibrata, con una salda tempra di lavoratore, senza sogni pericolosi pel capo, con l'idea chiara e netta di quello che desiderava diventare e che certo sarebbe presto diventato: un bravo professionista, foderato di gentiluomo, un marito fedele e felice, un padre tenerissimo, un integerrimo cittadino, sindaco certo un giorno della sua città, deputato forse: così come era stato un buon tenente di artiglieria alla guerra, senza paura, ma senza soverchio slancio, che aveva l'animo naturalmente mite, romagnolo nella schiettezza del carattere, ma non nell'irrequieto ardore dell'animo.

La composta calma di Lucetta a suo riguardo, non lo offendeva punto e gli pareva naturalissima in una così giovane ragazza di buona famiglia e di esemplare educazione.

Le signorine moderne, con la loro libertà, coi loro «flirts» svariati, con la loro maturità spirituale, gli facevano orrore. Non erano donne per lui... e soleva dire che piuttosto che sposare una di quelle... si sarebbe volentieri fatto frate! Un giorno io gli chiesi: – Ma non sarebbe lusingato, Pierluigi, di destare una grande passione, di vedere una bella ragazza perdere la testa per lei e fare delle follie pei suoi begli occhi?

Egli arrossì, un po' buffo, ancora timido e ingenuo coi suoi ventisei anni, e rispose: – Credo di no... La donna, secondo la mia opinione, è una creatura passiva e per questo più deliziosa. L'eccessiva attività amorosa della donna, mi pare una morbosità... e a me, assolutamente, non piace. In ogni caso, non vorrei mai una donna passionale come moglie.

Credette di avere detta una cosa molto spiritosa e molto «lancée»... e si guardò intorno per assicurarsi che Lucetta non aveva udito. Io gli dissi che oramai egli aveva tracciata davanti a la sua via... e che Dio gli prometteva una rara fortuna. Al che egli entusiasticamente assentí.

Ma io provavo nel mio segreto un piccolo rancore verso di lui... perchè intuivo che la felicità che aspettava lui... era assai più fonda di quella che aspettava Lucetta...

Povera piccina! Non meritava anch'essa di conoscere la vita? E la vita senza amore è forse la vita?... O ero io che sognavo?

No. Non sognavo. Ero profeta, come al solito, usando, mio malgrado, dell'incomodo dono di vedere, anzi di prevedere ciò che parrebbe inverosimile e assurdo...

Tutti parlavano oramai del prossimo fidanzamento che si sarebbe solennizzato con un gran ricevimento, prima della fine della villeggiatura. Le ragazze invidiavano Lucetta e facevano buon viso a cattiva fortuna. Le madri delle ragazze erano dignitosamente furibonde e bevevano acque alcaline per curare i danni dei loro travasi di bile...

Io, con le più faticose piccole bugie, secondavo la gioia della madre di Lucetta... e non potevo fare a meno di compiangere un poco sorella Acqua, che aveva una inconfessata e forse inconscia nostalgia di felicità... Perchè, per una giovane donna, cos'è la felicità se non l'amore? E l'amore era ancora per la mia piccola amica, un enigma, un mistero... un mondo favoloso e lontano... Ma all'improvviso, si avvicinò.

Arrivò un giorno in automobile, nel rombo della macchina, nel cattivo odore della benzina. A un delle cinque, in una delle ville ospitali dei dintorni. Una villa che ha un chiostro dugentesco pieno di poesia e una gentile padrona di casa dall'anima francescana. C'era molta gente. Tutti noi, villeggianti. E si prendeva il nel chiostro tappezzato di edere brune, accanto al vecchio pezzo tutto immerso in una grande fiamma di geranii rossi, come se Francesco di Bernardone e Chiara degli Scifi vi stessero prendendo insieme un pasto umano e divino...

L'automobile rumorosa aveva portato un nuovo ospite, inatteso, che fu accolto da tutti noi con accoglienze oneste e liete. Anzi, quasi disoneste... verso le buone usanze delle case di vecchio stile patrizio, per la soverchia effusione della sorpresa e del piacere!

Sandro Serra è un giovane romagnolo che tutti noi conoscevamo di persona o di nome, di cui eravamo un po' orgogliosi e molto curiosi. Un bel tipo. Uno di quegli uomini che gettano nell'ombra tutti gli altri e che si possono discutere, ma che bisogna ammirare.

Se fosse nato molti secoli prima, si sarebbe chiamato un capitano di ventura. Nato solo ventisei anni fa, aveva già date numerose prove del suo temperamento maschio, del suo carattere veramente di roccia e di macigno.

Durante la guerra, come aviatore, aveva compiute imprese sbalorditive, con un fegato da eroe di leggenda, e si era meritate quattro medaglie al valore. Finita la guerra, aveva presa la laurea di ingegnere e si era dato alle imprese industriali di grande stile. Amava le cose difficili, voleva diventar ricco, provava la voluttà di tutti i rischi, si sentiva attratto verso l'ignoto, verso i paesi lontani, verso tutto quello che agli altri incute timore.

Suo padre, con ammirabile comprensione della sua psiche, aveva fede in lui e lo aveva secondato benevolmente, armandosi di pazienza e fornendogli larghi mezzi. E non si era ingannato; perchè Sandro aveva già acciuffata la fortuna ed era stato assunto come ingegnere da una grande società internazionale per la ricerca di pozzi petroliferi nei Balcani. Il petrolio era stato trovato. Sandro Serra era salito alto nella stima dei dirigenti la società, chiamato a far parte di questa, già sulla via di guadagnare somme cospicue. Era tornato in patria ed in famiglia per una breve vacanza, con la testa già brulicante di altre imprese, con l'argento vivo addosso, col suo irrequieto spirito di avventuriero sempre teso verso più vertiginose scalate alla fortuna.

Buon figliuolo, gentiluomo per vocazione e per educazione, ma gaudente nato, mirante dritto al suo scopo, convinto del suo buon diritto d'impadronirsi di tutte le conquiste che si offrivano al suo desiderio insaziabile. Amava molto anche le donne, naturalmente, ma non avrebbe mai fatto pazzie per alcuna. Non gli pareva che ne valesse la pena. La donna, no: le donne, sì.

Ma non era un discolo. Era troppo occupato e troppo ambizioso per darsi al vizio, che suole essere l'occupazione dei disoccupati.

Era un bel figliuolo e, più che bello, piacente. Non molto alto, snello, con muscoli d'acciaio, vibrante come una pila elettrica, con un profilo aquilino, da animale predatore, una bocca magnifica e degli occhi grigi dritti come due spade. Le donne ne andavano pazze. Ne avevano un po' paura, e si sentivano attratte verso di lui come dal misterioso fondo di un abisso. Lui faceva per istinto, per abitudine, per attrazione invincibile, la corte a tutte. Una corte alla sua maniera, soldatesca, spiccia, un po' brutale.., e nessuna pensava ad offendersene. Tutt'altro. Alla sua presenza, le donne parevano elettrizzate, o trasportate per incanto in un'atmosfera troppo satura di ossigeno. Era forse un semplice fatto fisico, prodotto dalla sua mascolinità possente e originale; o era la simpatia psichica e nostalgica di tutte le donne per gli uomini di forza veramente superiore che sono, in fondo, l'atavico ideale della femmina di tutti i tempi, la quale ha bisogno, per amare, di essere dominata e d'inchinarsi ad un padrone? Non lo so. Lo studio m'interessava. Mi piaceva vedere quel gallo circondato da tutte quelle starnazzanti galline...

Mi piacque fino ad un certo punto. Poi, non mi piacque più, perchè vidi con la mia solita incomoda seconda vista, che la meno starnazzante di quelle pollastrelle... era proprio quella che si era commossa di più. Lucetta. Proprio lei, ahimè!

La padrona di casa le presentò il nuovo arrivato... e si rinnovò l'antica conoscenza. Sandro aveva lasciata Lucetta quando era ancora una bimba. E la ritrovava raggiante de' suoi splendidi dieciott'anni.

Le disse subito la sua sorpresa e la sua ammirazione, e la guardò fissa, un momento, dando l'impressione di volersela bere tutta in un sorso.

Ella sorrise, ricordò il passato, mostrò di sapere tutte le gesta di lui, durante e dopo la guerra. Niente di più. Poi tornò nel crocchio delle sue amiche, poi si lasciò avvicinare da Pierluigi, bello e composto, che non ismetteva un momento di farle la sua solita assidua, pacata, fedelissima corte.

Ma la faccia di Lucetta era trasfigurata! Solo per me, forse... Ma senza possibile inganno.

Sorella Acqua aveva indubbiamente ricevuto in pieno petto il così detto «colpo di fulmine». Come feci ad accorgermene? Non so. Non era il colore, era la sfumatura. Non era la parola, era il silenzio. Non era lo sguardo che rivelava... ma il sogno improvviso che dentro il suo sguardo fluttuava... Si era smossa d'un tratto dentro la limpida acqua di quell'anima una corrente torbida... e una fiammella, invisibile agli altri, metteva intorno al biondo capo dell'adolescente come un cerchio di fuoco...

E la fiammella divenne di giorno in giorno più accesa, divenne fiamma, divenne incendio.

Come mai nessuno se ne accorgeva?

Tutto continuava apparentemente normale e ritmico intorno a noi. L'autunno era un incanto. Le conifere scure e le querce di bronzo erano le sole piante vestite nella campagna già spoglia. Ma il sole era ancora magnifico e ogni tanto una rosa fioriva nelle aiuole già nude con un appassionato languore di ultima primavera.

Si seguivano ancora gli amichevoli ricevimenti nelle ville, e dovunque apparivano Lucetta coi suoi, Pierluigi, e Sandro Serra, che aveva prolungato di qualche giorno la sua vacanza. Ma il riposo non pareva fatto per lui. Era disegnato nelle sue membra il volo. Era un fascio di muscoli e di energie sempre pronte a scattare in qualche gesto brusco e significativo. In quel rosso declinare dell'autunno, egli si riposava facendo all'amore. Rapinava, come un torrente che passa e si prende quello che trova. Serenamente amorale ed egoista, se non vizioso, usando come di un suo onesto diritto. Si diceva che una bella signora fino ad allora impeccabile, avesse misteriosi convegni con lui. Si sapeva che alcune signorine erano pazze per lui. Si vociferava che alcune foresette accorressero ai suoi richiami dentro i boschi profondi della collina, sui tepidi e scricchiolanti talami fulvi di foglie secche... Ma nessuno diceva, chi sa perchè, che la più ferita di tutte quelle donne era la sola insospettata Lucetta, la quasi fidanzata di Pierluigi!

Forse la stessa enormità della cosa difendeva sorella Acqua dai sospetti e dalla maldicenza. Meglio così. Ma a me tutta quella gente pareva cieca e sorda. L'amore di Lucetta per Sandro Serra colpiva la vista e l'udito...

Ella era improvvisamente sbocciata da se stessa come un fiore dal suo bocciuolo. Era stupenda. Una donna. Perfino la sua voce, quando raramente parlava, era un'altra voce. Più calda, più lenta, piena di carezze, quasi non più verginale. Una voce che offriva l'anima... che offriva il corpo... che anelava d'essere soffocata sotto il bacio dell'amante...

Eppure era quasi sempre vicina a Pierluigi, il suo contegno era corretto come sempre, compiva i soliti gesti, conduceva la solita vita. Una cosa sola, mutata palesamente. Aveva paura di me. Non veniva più a buttarsi ai miei piedi, a baciare le mie mani, a chiedere che le mie risate punteggiassero i suoi puerili racconti e gl'inni della sua fresca adorazione per me. Quasi mi sfuggiva... dacchè il «Viandante» era arrivato, perchè intuiva che io vedevo nella sua anima... così come si vede la pietruzza nel fondo della pura acqua del fonte...

Lui si conduceva verso di lei il meno male possibile. La piccola gli piaceva maledettamente... ma era tenuto un po' in soggezione dal suo candore, dal genere direbbesi quasi mistico della sua bellezza, dall'antico ricordo dell'infanzia, dalle relazioni d'intima amicizia delle due famiglie. E nel farle la sua corte, usava riguardi, prendeva precauzioni, difendeva Lucetta, per così dire, dalle possibilità di vittoria che erano in lui. Sposarla, egli non voleva. Ben si accorgeva che, solo con una parola, avrebbe potuto portarla via al mite, buono, bravo, cieco Pierluigi, che di nulla sospettava. Ma non voleva farlo. E qui appariva la parte onesta che era nel fondo di lui. Una volta che non voleva sposarla, perchè rompere quel matrimonio che si annunziava bene auspicato e felice? Così, giocava di audacia e di prudenza insieme, rispettando da istintivo diplomatico, le apparenze. E gli pareva, d'essere galantuomo abbastanza, agendo così... senza rendersi conto del male che faceva a quel piccolo cuore di fanciulla. O forse, se ne rendeva conto. Ma non poteva fare altrimenti. Vedeva una bella creatura che gli piaceva. E glielo diceva. Si accorgeva d'essere appassionatamente corrisposto, e ne godeva. Non avrebbe osato toccarla... quella, no! Non era un eroismo? Forse superiore a quello di roteare nell'aria, o d'immergersi nelle gole nere della terra per rapirle i suoi minerali, o di lottare giornalmente con la vita, col rischio, difendendosi dalle insidie degli uomini malvagi e cercando superarli di forza e di astuzia!

Egli è il viandante. Colui che va, senza riposo, che naviga le oceaniche onde della vita... Non deve fermarsi. Non può. Il suo destino lo chiama altrove più oltre. Forse un giorno, quando avrà le tempie grigie e le reni un po' stanche, e tant'oro nei suoi forzieri.., e tanti ricordi nella sua memoria un po' lassa, allora, forse, si fermerà. Ma per salire su qualche altura. Sceglierà una cima.., dalla quale forse si affaccerà la sua gloria... E sarà solo. La donna non sarà che un episodio, nella sua vita di lottatore. Una via lattea di episodi luminosi... piccini piccini ed evanescenti. Un astro accanto a lui, mai. Le nature così non vanno a coppia. Il Cervino è solo. La sua piramide si avvilirebbe se gli sorgesse accanto una cima gemella...

Povera sorella Acqua! Io osservavo e intuivo tutto il tragico idillio. Di lui comprendevo tutto e quello ch'egli mi diceva di confermava esattamente le mie divinazioni. Di lei qualche cosa mi sfuggiva. Non sapevo precisamente fino a qual punto fosse stata acciuffata pe' suoi splendenti capelli biondi. Ma lo seppi in breve.

Fu in casa mia, l'ultimo giovedí della stagione, prima, che si sciogliesse il nucleo dei buoni vicini partenti per le diverse destinazioni invernali. Le macchine, i cavalli, i sentieri della collina e quelli fluviali della Gajana, mi avevano portata una quantità di cara gente amica.

Il gran salone terreno che s'apre sul parco per due finestre e per l'ampia invetriata, era tutto acceso dal sole meridiano e caldo dei buoni ciocchi crepitanti. L'oro delle vecchie cornici, il rosso del broccato, le nobili sagome dei mobili, il sorriso delle piante autunnali sorgenti qua e dalle ceramiche e dai cristalli, tutto contribuiva a comporre un'atmosfera calda di colori, di linee e di profumi pittoricamente e musicalmente sinfonica. E in faccia il parco pareva immenso e lontano, e le querce parevano rame incandescente, per la nostra gioia, e gli abeti scuri parevano toccare il cielo con le cime e le colline parevano giocare con la luce, ora coprendosi di sciarpe cilestrine, ora violacee, ora grigioperla, per sedurre i nostri occhi e lasciarci la nostalgia della loro pace divina...

La bellezza e la dolcezza dell'ora e della stagione influivano sugli spiriti. Il , le ghiottonerie influivano sui corpi... La creatura a me più cara al mondo si mise a suonare, destando dal gran pianoforte di palissandro, che ha una voce un po' fioca, intima e profonda, flutti di suggestive melodie... Era Chopin, l'unico, l'inarrivabile cantore del nostro pianto umano che nessun balsamo può lenire... Alcuni occhi erano bagnati di lagrime...

Ma la gente ivi raccolta non voleva piangere. Gioia! Gioia!

Si chiesero ad alta voce motivi di danza...

E le care mani sferrarono sulla tastiera eleganti balli moderni, ritmati con birichina grazia.

Alcune coppie si lanciarono nelle volute lente e suggestive del fox-trot «Salomè» che acquistava dignità d'arte dal modo squisito onde le agili dita e la perfetta sensibilità del pianista lo sospiravano...

Nel via via della gaia folla, nel tumultuoso incrociarsi delle figure e delle voci, sull'accompagnamento della popolare melodia triste e voluttuosa, un duetto fermò la mia attenzione, e parole rapide colpirono il mio orecchio. In un angolo, nella luce morente del crepuscolo e delle candele rosse che ardevano sugli specchi murali, presso un grande cofano dorato e stemmato, Lucetta e Sandro stavano in piedi come isolati dalla gente.

Pierluigi ballava con una brutta signorina che nessuno faceva ballare.

La voce di Sandro, maschia e contenuta, diceva «Nessuna donna mi è mai piaciuta così. Se non fossi avviato verso il mio destino, le domanderei di sposarmi, Lucetta!».

Ella non rispose con le labbra ma con gli occhi. Erano veramente quelli i suoi occhi? Quell'azzurro si era inverdito, oscurato, vellutato, e nella penombra ambigua fatta di luci artificiali e di ultimi balenii rossi di tramonto, parevano fosforescenti.

Egli riprese: «Se fossi ancora in possesso di un aeroplano, la porterei via con me. Che delizioso viaggio! Verrebbe?».

Ella rispose, risoluta, guardandolo in faccia, spudorata: «». Ed era una sillaba di verità nuda che nessun velo avrebbe potuto coprire.

Egli lo sentí, ed ebbe forse il rimpianto di non poter mutare la propria sorte, di non poter cogliere quel fiore di grazia che la vita metteva a portata della sua mano...

Disse: «Balliamo». L'afferrò alle reni, la trascinò in un giro che finí nell'ombra, dietro la colonna del grande arco della sala, ove fecero una sosta breve... tornando nella luce appena in tempo per arrestarsi alla brusca sospensione della musica.

Si sciolsero. Egli andò a parlare con Pierluigi che si avanzava sereno, beato, in cerca della sua fidanzata... e gli offerse una sigaretta. Lui, non fumò. Certo gli piaceva conservare sulle labbra il sapore or ora colto, più dolce del miele dell'Imetto...

Lucetta mi vide sola, sulla mia poltrona prediletta, dove ero rimasta un momento interdetta... Fece alcuni passi, malsicura e mi parve una di quelle farfalle che esitano sbalordite, disorientate, dopo essersi un poco bruciate le ali ad una fiamma...

Poi venne ad abbattersi ai miei piedi, col capo sui miei ginocchi, la faccia sepolta, scoppiando in un dirotto pianto...

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Il viandante partì...

I genitori di Pierluigi desiderarono il fidanzamento ufficiale.

I genitori di Lucetta lo accettarono con entusiasmo.

Lucetta aveva per tutta ricchezza ideale un sogno lontano. Ma la realtà vicina la prese nel suo ingranaggio solido e ritmico e non ci fu verso di liberarsene... E poi liberarsene, perchè?

L'amore è un sogno. La vita è un realtà umile e triste... Forse, meglio così!... Non già l'onda che fa rapina e irriga, feconda e devasta, ma la buona modesta acqua della fonte casalinga... per la poca sete quotidiana... Ma, se la sete è molta?

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Povera sorella Acqua! Ella sa che io so. Ed è cosí malinconico vedere la sua rassegnata rinuncia a quella felicità che ha per un momento balenato davanti ai suoi occhi di colomba!

Vedi, sorella Acqua –– le dissi un giorno – ci sono due specie d'uomini al mondo: quelli come Pierluigi, e quelli come... il lontano. Coloro sono i buoni, i sicuri, i fedeli: i mariti ideali. Non lagnarti della tua sorte e cerca, d'essere felice come puoi...

– E gli altri? – ella mi chiese, con lo sguardo un po' torbido che ha ora; lo sguardo che sa...

– Gli altri sono gli amanti... E, per un po' di gioia, dànno a noi tanto, tanto dolore! Sappilo. E non avere rimpianti!

Ella riflettè un poco, scosse i riccioli biondi e tentò un languido sorriso di donna matura che faceva male a vedersi su quel piccolo volto soffuso di primavera...

Mormorò: «La vita è lunga...».

E la sua voce parve uscire da un gorgo profondo, fucina di misteriosi eventi fatali...

Povera sorella Acqua!


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