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L'AMANTE MORTO
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Sylvia Mirelli aveva un amante che non amava più. Era una donna di sentimento e d'ingegno: ma soffriva di non avere abbastanza ingegno e di avere troppo sentimento. Almeno essa credeva cosí. Dipingeva, cantava, leggeva, viaggiava, viveva tutta la vita, ardendo di una perenne febbre d'entusiasmo per le cose belle e per le creature superiori: struggendosi nell'impotenza di un sottile squisito dilettantismo che la teneva alle soglie della grande arte, come una fervente devota, senza permetterle di penetrare come diaconessa nei sacri penetrali del Tempio.
Forse avrebbe dovuto arrestarsi anche alle soglie dell'amore... perchè si era accorta, troppo tardi, di non possedere le qualità geniali nemmeno per il culto della passione: cioè, l'ardore inestinguibile e la cieca accettazione del sacrificio. No. Il suo insonne spirito critico, il suo anelito inappagato di perfezione e di godimento estetico, avevano in un tempo relativamente breve ucciso l'amore nel suo cuore febbrile. Era la prima volta che amava o che credeva di amare: e aveva portate in quella sua nuova forma di espansione tutte le forze giovani e fresche della sua sensibilità delicata. Libera, sola, senza legami e senza doveri, aveva preso l'amante che le piaceva e che pazientemente l'amava, credendo in fede di andare incontro ad una vera e durevole felicità. In due anni, o poco più, la parabola del suo amore aveva compiuto il suo giro. L'uomo che l'amava non aveva nessuna colpa: l'amore di lui era costantemente ardente e sincero. Era un bel giovane, e la sua maschia e appassionata bellezza non era diminuita: aveva dell'ingegno e le affermazioni di esso erano in trionfale cammino verso le vie del successo e della gloria. Aveva un buon carattere, equilibrato e sereno, levigato da una fine educazione, di quelli che non temono l'intimità della vita quotidiana. Perchè dunque l'amore di Sylvia per Franco era cosí presto caduto? Caduto sí, veramente, quasi all'improvviso, come cade il vento qualche volta, a mezzo di una giornata calda di estate, quando l'aria si ferma in una calma pesante ed immobile che assomiglia alla morte.
Sylvia rivide Franco con gli occhi di prima, di quando non lo amava ancora e si stupì di averlo potuto amare. Gli voleva bene ancora, sí, certo, come ad un buon amico, come ad un caro compagno... ma le diveniva ogni giorno più intollerabile il mentito sentimento che si sentiva il dovere di continuare a dimostrargli. Il dovere? Sí. Perchè provava una grande tristezza di non amarlo più ed una grande vergogna. Gli aveva detto e ripetuto, scritto e giurato mille volte, che sarebbe quello il suo unico amore... e poichè non era in lui la causa della morte della passione, ma in lei medesima, essa aveva il pudore di mostrarglisi come donna di instabili sentimenti, d'animo volubile e leggero. Quasi più che del dolore che avrebbe arrecato a lui la triste rivelazione, essa aveva paura del disonore che, in faccia a lui, avrebbe fatto a se stessa. Eppure non aveva colpa di quanto le accadeva. Fisicamente il suo amante non l'attirava più: sentimentalmente la vena di poesia ch'egli faceva scaturire in lei, si era disseccata: intellettualmente non lo ammirava più e lo vedeva, qual era: un uomo mediocre, inferiore alla esaltazione ch'essa ne aveva fatta durante la vigilia ed il primo tempo della passione... Era giunta a sentirsi quale veramente essa era, superiore a lui, a guardarlo con occhi acuti e spietati, a giudicarlo senza indulgenza, quasi con crudeltà. Da lui non aspettava più nulla. Le si era rivelato tutto, le aveva dato tutto, le si era mostrato con le sue molte buone qualità, con le sue inevitabili debolezze umane. Era stato per lei una grande delusione; e in certi momenti essa giungeva perfino a detestarlo per le cose dolci che aveva (involontariamente, poveretto!) ammazzate in lei.
Era presa qualche volta da una malinconia fonda ed amara. Perchè ella aveva sempre intuito e preveduto che l'amore (fuorchè nei predestinati, nei grandi iniziati, nei martiri del sentimento, che sono rari come i martiri delle religioni e delle idee) l'amore è fatalmente ed inevitabilmente caduco. Ma le piaceva illudere se stessa ancora, con quella fede ch'è figlia della speranza: e l'aver fatto il triste esperimento in se stessa, aveva invecchiata l'anima sua che aveva tanto bisogno di credere nelle cose belle, nelle dolci illusioni, nelle amichevoli menzogne, per la sua felicità!
***
Cosí stavano le cose nel suo cuore quando Franco dovette allontanarsi da lei per andare a fare il soldato.
Sylvia Mirelli che non era cattiva, che aveva la coscienza sveglia, tirò un lunghissimo sospiro di soddisfazione. Non ne poteva più! Il dover mentire la soffocava. Aveva bisogno di libertà e di solitudine. Era satura di carezze che non desiderava, di amicizia che non le occorreva, di concessioni, di transazioni, di tolleranze quotidiane asfissianti. In fondo, non era fatta per amare. Era fatta, forse, per essere amata, ciò che è una cosa totalmente diversa. Quante cose l'attiravano! La pittura, la musica, la sua eleganza, la sua persona, la sua «linea». Quella l'aveva trovata e se ne compiaceva, in delizia. Tutta una serie di piccole trovate, di sapienti artifici che facevano della sua esile figurina, non bella nel vero significato della parola, uno squisito esemplare di femminilità moderna e suggestiva. Aveva una di quelle anime sensibilissime eppure superficiali, che fanno vibrare i muscoli ed i vasi motori e che, in fondo, lasciano tranquillo il centro della vita. Si commoveva facilmente, aveva le lagrime in pelle in pelle... eppure, all'infuori di se stessa, non amava forse coralmente nessuna persona e nessuna cosa sulla faccia della terra. Così, era per amore di se stessa, della sua linea morale (che le premeva quasi quanto quella esteriore) che non si era mai decisa a dire a Franco che non l'amava più. Per la stessa ragione dovette mostrarsi addolorata per la sua partenza... ma in fondo si sentì liberata da un peso, si sentí leggera, felice come da due anni non si sentiva più! Sperava ch'egli compirebbe il suo dovere senza correre grave pericolo. Era scrittore e forse anche alla guerra avrebbe continuato a combattere con la penna invece che con le armi: cosí ella pensava...
***
Nel suo grande artistico studio, in cui gli uomini celebri ambivano radunarsi, Sylvia aveva riacquistata la sua integrità. Che riposo non vedere sempre Franco, nel solito angolo, con le sue solite abitudini un po' pedanti, coi soliti gesti, con l'eterna sigaretta, col solito giornale in mano, che apriva sempre allo stesso modo, con le sue piccole manìe innocue ma tediose...
In fondo Franco aveva l'anima di un buon borghese. Come gli piacevano i suoi comodi! Che paura aveva delle sofferenze fisiche e morali! Non era certo un eroe, povero Franco! Era un onesto galantuomo, un uomo intelligente, operoso, certo, e molto fortunato; un mediocre uomo normale che la desiderava ancora dopo due anni di amore e che anche le voleva bene. Avrebbe fatto qualche sacrificio per lei? Essa ne dubitava. L'avrebbe sposata con gioia, sí. Ma quello non era un sacrificio per lui, era un piacere grande. Era fedele per temperamento. Aveva il carattere di un buon marito, onesto e affettuoso, pieno di equilibrio e di senno.
Ora, povero Franco, che dura vita la sua! Ella avrebbe dovuto compiangerlo... amarlo di più, ammirarlo pel dovere nobilissimo che compiva, lamentare la sua lontananza, tremare pel pericolo... Invece spietatamente, egoisticamente, barbaramente, era felice, felice di non averlo più accanto a sè!
***
Fu per lui, di lontano, una buona amica, affettuosa e tenera, com'era per gli altri suoi amici e conoscenti che combattevano. Un'amica amorosa, come le piaceva d'essere, come sapeva essere. In verità, essa aveva la lontananza deliziosa. Da vicino, gli uomini esigenti e gelosi, le davano sempre un po' noia, le toglievano il respiro, e qualche volta giungeva a detestare anche coloro cui sentiva di voler bene, perchè attentavano alla sua libertà ed al suo egoismo. Solo di lontano si dava tutta, con un senso di amichevole dovere, di fraternità spirituale che verso Franco diventava una blanda dolcezza avvolgente e confortante.
Dall'amica lontana Franco ebbe consolazioni veraci nell'anno che fece la guerra. Potè per lei essere felice anche là, credendosene caldamente amato, rimpianto, pensato costantemente...
Finchè di lui, un giorno, non giunsero più notizie, nè alla sua famiglia, nè alla donna del suo cuore, nè agli amici. I giornali si occuparono di lui, che portava oramai un nome noto e caro al pubblico e ne parlarono con parole di alta lode e di profondo cordoglio.
Un suo compagno d'armi portò la notizia ch'egli era caduto alla testa del suo battaglione, combattendo da valoroso. E siccome tutte le ricerche fatte dal comando per rintracciarlo, furono vane, la sua morte fu creduta un fatto, e coloro che lo amavano piansero e soffrirono per la sua scomparsa dal mondo.
Sylvia Mirelli fu turbata da un sincero dolore di cui non avrebbe più creduto suscettibile l'animo suo. L'uomo che, vivo, da molto tempo non amava più, le sopravvisse nel cuore, morto, con improvviso amore risorto! La sua mente tornò indietro di tre anni, annullò il tempo e lo spazio, rifiorì di tutta l'antica primavera, si riaccese e divampò dell'antica fiamma d'amore...
«Franco, Franco, povero Franco mio! Che farò senza di te?» gemeva l'anima sua.
Per uno strano fenomeno visivo interiore, ella dimenticò la parabola discendente dell'affetto, la freddezza, lo sforzo pietoso pel quale era rimasta unita all'amante, nell'ultimo periodo, e vide soltanto in sè l'antica vita d'amore, risorta come per incanto, presente, viva, calda di ricordi e di dolcezza, acuta di nostalgia e di rimpianti, dolorosa come un grande, come un immenso bene perduto!
Tutti i difetti, tutte le debolezze di Franco, tutte le delusioni che le aveva date, tutte le stanchezze che aveva di lui provate, furono cancellate subitamente dalla sua memoria: la lucidità del giudizio di nuovo si annebbiò e la pietosa benda si distese ancora sui belli occhi intelligenti e volubili.
«Morto, morto, il mio povero, il mio unico amore! Come lo amavo! Come mi amava! Nessuno più mi amerà con sentimento cosí profondo! Oh triste libertà, oh vuoto gelido nella vita!». Diceva, sospirava cosí, ed era compiutamente sincera. Ora si figurava, e l'auto-suggestione era totale, che l'avrebbe presto sposato se fosse vissuto. E lo vedeva senza difetti. Il suo ingegno le pareva geniale. La sua vita le pareva quella di un eroe. La persona di lui, idealizzata dalla morte, le pareva di una bellezza romantica. Non rammentava, nemmeno per ombra, di averlo trovato negli ultimi tempi, un tipo un po' comune, tendente ad ingrossare, con una eleganza di gusto non irreprensibile, un po' rumorosa. Non ricordava più le sue pedanterie d'uomo metodico, di abitudini precocemente senili, e lodava del morto amante lo spirito d'ordine, il carattere serio e ritmico, indice di bene equilibrata coscienza.
La morte, pietosa come una mistica luce oltremondana riflessa sulla terra, aveva gettato nell'ombra tutto il male, tutto il brutto, tutta la zavorra di quella figura umana, dando magnifico rilievo a tutte le qualità migliori, le quali per un effetto d'ottica spirituale, rifulgevano ingrandite, perfezionate, idealizzate... come da un misterioso artista geniale! Non inventava nulla Sylvia sul conto del morto amante, no: vedeva con benevolenza, migliorava, correggeva la realtà... cosi come fa l'amore, così come fa la morte.
E Sylvia Mirelli, l'affascinante donnina, l'artista dalle molte arti, si struggeva nella sua desolazione. Non voleva essere consolata, respingeva gli omaggi che si offrivano a lei da cento parti, decisa a chiudersi in una vedovanza ostinata senza possibili sorrisi... Si era vestita di gramaglie e la sua fragile bellezza fatta di espressioni mutevoli e di leggiadre linee guizzanti, aveva squisito risalto dai sapienti veli neri che l'avvolgevano. Non portava un lutto pesante, no, perchè tutta quell'ombra troppo malinconica avrebbe pesato sul suo cuore. Qualche rosa bianca alla cintura, qualche mazzetto di viole, una fibbietta di brillantini alle scarpette, un filo di perle al collo...
Il suo dolore si addolciva guardandosi allo specchio perchè si trovava tanto carina nei mesti e pure squisiti abbigliamenti: e all'angolo della bocca fine, un po' avvivata dal carminio, s'iniziava qualche accenno di languido sorriso... mentre dai bellissimi occhi bruni scivolava giù qualche lagrima...
***
Ma ecco che un giorno una fulminea notizia percosse come una scarica elettrica il pubblico... prima ancora che gl'intimi: Franco X, il bravo soldato, il noto scrittore, non era niente affatto morto. Ma, gravemente ferito, da alcuni mesi prigioniero, non aveva potuto dare notizia di sè. Aveva tentato fuggire ma inutilmente. Adesso, a guerra finita, aveva potuto finalmente dar notizia della sua... risurrezione e del suo prossimo ritorno.
Nella festosa gioia dei parenti, degli amici e conoscenti... ci sarebbe stata una misteriosa macchia d'ombra... se i segreti delle anime fossero trasparenti. Sylvia Mirelli fu felice, naturalmente, della risurrezione di Franco... Manco a pensarci! «Povero figliuolo! Ah che sorpresa, che sbalordimento, che gioia! Pare un sogno... come si fa a credere? È una gioia che soffoca!». Pianse di consolazione. E siccome, nel periodo della... morte di lui, si era un po' compromessa con la di lui madre, coi più intimi amici, rivelandosi sua fidanzata, ora dovette necessariamente sostenere la sua parte.
Andò dalla madre raggiante di gioia a piangere con lei di allegrezza... Accettò le congratulazioni degli amici... e dovette mostrarsi la più felice delle donne e delle fidanzate.
Mostrarsi? No. Era contenta, che diavolo! Già. Ma, daccapo! Sentiva che verso il risuscitato amante non provava più nessun sentimento d'amore. Oh bella! Ma cos'era dunque lo strano, inspiegabile, sbalorditivo fenomeno? Mistero. Perchè amarlo tanto morto, povero amico, e provare per lui vivo tanta indifferenza?
«Egli tornerà dunque sano e salvo. E per il mio contegno di questi ultimi tempi, avrà finalmente il diritto di esigere ch'io diventi sua moglie...».
Una grande tristezza la prendeva a questo pensiero, in faccia al pericolo imminente ed inevitabile. E non vedeva via di salvezza.
Sacrificarsi. Era ormai il suo destino. Non era più possibile negarsi al vivo, dopo essersi, con dedizione totale, data al morto.
Teneva alla sua riputazione di donna galantuomo, e un voltafaccia oramai l'avrebbe demolita moralmente.
Pensava, rifletteva, per consolarsi.
Che strana, fantastica cosa, la lontananza, l'assenza, la morte! Che onda di retorica ha allagato il mondo, da secoli, a proposito della morte! Come l'hanno diffamata i poeti, abitatori delle nuvole! «Cruda morte, morte spietata, morte ladra!» e mille e mille consimili contumelie!
Ma se è la sola amica pietosa degli uomini mediocri! Colei che trasfigura in sante menzogne la pedestre inesorabile verità della vita!
Allora... l'arte la soccorse e le suggerí l'ispirazione per un quadro: il grande quadro ch'essa sognava da anni di fare, pel quale fino ad allora l'estro le era mancato.
Il quadro rappresentava una nuova personificazione della morte. Non già la solita scheletrita figura che fa rabbrividire i mortali... ma una vaghissima, dolcissima, ideale parvenza, di ambiguo sesso, d'indefinibile età, nell'atto di avvolgere la terra di veli bianchi, rosei, azzurri e di bendarla di fascie d'oro, di giuncarla di delicati fiori, di irradiarla di luminosi sorrisi... di polverizzarla di chiaro di luna e di stelle...
Allegoria, simbolo, satira colorata (a seconda del gusto dei critici che avrebbero giudicato il quadro!) per significare le pietose illusioni, le caritatevoli menzogne, la santa trasfigurazione dall'umano al divino, di cui non è già dispensiera la Vita... ma soltanto la pietosa, caritatevole, misericordiosa sorella Morte!
E quell'opera d'arte fu la sua vendetta.