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LA PIŁ AMATA...
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In quel borgo romagnolo, lontano dalla città, sperduto nella gran pianura fertile, l'atmosfera morale era sempre carica di elettricità, accesa dalla passione politica, ch'era come il possente motore di tutte quelle macchine umane. O meglio, di tutta la parte maschile della popolazione, chè le donne, veementi anch'esse, erano più specialmente dedite all'amore.
Nel popolo i connubî erano frequenti, sia legittimi che illegittimi. Fioriva l'amore lungo tutti i sentieri e in primavera cantavano sugli alberi gli uccelli i loro epitalami, e sotto gli alberi tenevano bordone gli epitalami umani. Nelle famiglie dei possidenti le nozze erano meno frequenti, perchè i borghesi locali non erano molti, e, a farlo apposta, a tutti nascevano femmine.
In casa del sindaco erano cinque ragazze da maritare... e di mariti convenienti ce n'erano pochi. La maggiore, finalmente, si era fidanzata ad un ricco tanghero. La seconda, la più evoluta moralmente e la più ardente d'anima, avrebbe voluto un marito degno d'essere amato con passione, un eroe da romanzo (perchè essa leggeva i romanzi dalle copertine colorate) e disperava oramai di trovarlo.
Le cinque sorelle avevano tutte nomi strani e melodrammatici, perchè il padre, benchè sindaco, ricco agricoltore e capo del partito conservatore, era romantico e imponeva alle sue figlie i nomi delle eroine delle opere che d'anno in anno si rappresentavano nel teatrino comunale, nella stagione della fiera. Si erano date, negli anni di nascita delle ragazze, la Favorita, la Traviata, il Trovatore, la Norma, la Sonnambula; e le ragazze si chiamavano Leonora, Violetta, Azucena, Norma, Amina.
Violetta, quella di cui i casi saranno qui raccontati, era una fanciulla ventenne, di una bellezza bizzarra e originale. Non si comprendeva d'onde ella avesse presa quella personcina sottile e felina, quei grandi occhi scuri dalle sopracciglia nere quasi congiunte, che davano al suo visino pallido un'espressione dura e volontaria.
I genitori, le sorelle, erano tutti alti e fiorenti, come di un'altra razza più possente e più semplice.
***
In quel tempo era arrivato nel turbolento borgo funestato dalle guerriglie rosse e gialle, il nuovo medico primario: un uomo sui trentacinque anni, di media statura, nervoso, con una bella testa caratteristica e intelligente. Nel concorso era riuscito primo e il Consiglio comunale non aveva avuto paura del suo passato. Anzi, poichè un uomo di fegato è sempre sicuro di trovare ammiratori in una regione dove la violenza esercita sugli animi un fascino invincibile, egli ebbe subito un partito, benchè fosse alieno dalla politica.
Il dottor Oreste Daelli aveva, cinque anni innanzi, ammazzata sua moglie per gelosia ed era stato assolto. Se non fosse avvenuto quell'intoppo la sua carriera sarebbe stata assai più rapida e brillante, perchè aveva molto ingegno e molta cultura scientifica.
Adesso era diventato misantropo. Forse la sua propria coscienza non lo aveva assolto come il consesso dei giurati... certo pareva che la gente gli dispiacesse e che la solitudine fosse la sua migliore amica. Lavorava, studiava, curava i malati dell'ospedale e quelli della condotta, girava per ore la campagna a piedi, in barroccino o in bicicletta.
Una vecchia donna e un garzone accudivano alle faccende domestiche e vigilavano sulla sua solitudine nella graziosa villetta ch'egli aveva presa in affitto mezzo chilometro fuori del borgo.
Ma la sua pace non potè durare a lungo. In un paese il medico è una delle risorse delle conversazioni, Alla farmacia, al caffè, nelle case dei maggiorenti locali, si tramavano di continuo attentati alla libertà individuale del dottor Daelli; il quale ritroso e guardingo e fatto ombroso dal suo passato, una volta che si vide guardato di buon occhio e cercato, si venne a poco a poco spogliando della sua selvatichezza.
Anche in casa del sindaco fu invitato a desinare, a giuocare a «scopone», tanto più che, essendo scapolo, egli poteva essere considerato come un possibile marito... È ben vero che il modo col quale quell'uomo era... ridiventato libero non era dei più comuni... Ma, da onesti genitori che abbiano cinque ragazze da collocare non è umano pretendere ch'essi guardino tanto pel sottile a quella merce rara e desiderata che si chiama un genero
Violetta, intanto, si accese pel dottore di una passione esaltata che non fu più, in breve, un mistero per nessuno. Bella, giovane, con una rispettabile dote, ella si sentiva in una posizione vantaggiosa per poter fare all'uomo che amava i primi approcci, senza venir meno alla sua dignità di donna... Eppoi la sua dignità non esistette più dal momento in cui divampò il suo amore.
Aveva, come s'è detto, un temperamento portato agli eccessi. Se fosse nata uomo, in quella terra vulcanica, sarebbe stata un politicante arrabbiato e pericoloso. Essendo femmina, era una innamorata per vocazione irresistibile, era una di quelle creature che vogliono nell'amore o vincere o morire.
A curare quella ragazza che si ammalava di passione... fu chiamato il medico... cagione del suo male. E quell'uomo selvatico, ombroso che tanto aveva sofferto per una donna, che aveva giurato a sè stesso di non amare mai più, che faceva da cinque anni una vita da anacoreta... fu debole ancora (perchè era un debole larvato da forte), si lasciò amare, si lasciò riprendere dall'amore, dalla fede, dall'illusione della felicità... e sposò Violetta, innamorato perdutamente come era stato a vent'anni, col suo nuovo amore nobilitato, spiritualizzato da una tenerezza quasi paterna.
Violetta, appena maritata, volle, pure nella sua immensa felicità, leggere il processo di cinque anni innanzi, rimescolare le ceneri del passato di suo marito, di quel truce passato che aveva contribuito ad accendere la sua passione, sapere tutta l'antica storia di dolore e di violenza, conoscere tutti i particolari della tragedia.
Nelle ore in cui rimaneva sola, un pensiero assiduo le teneva trista compagnia, come un tarlo che lavorasse assiduo nel suo cervello. Il suo amore soddisfatto, l'esultanza della sua carne, non acquetavano del tutto la sua psiche oscura e complicata.
Ella era gelosa del passato di suo marito, era gelosa della donna ch'era stata il primo amore di lui, di quella ch'egli aveva amata così profondamente, così appassionatamente... da ucciderla!
Sentiva, per intuito, che un uomo non uccide mai per il suo onore ma per il suo amore... e quella rivale morta, che aveva avuta quella suprema e terribile prova d'amore, la torturava più che una rivale viva.
E quella gelosia assurda, contro la quale non v'era difesa, ch'ella si vergognava di confessare e che pure non riusciva ad abolire, la rendeva talvolta triste, cupa, muta alle ansiose domande di lui.
Rincasando, spesso egli la trovava così, col volto contratto, tutto ombreggiato da quelle sue grandi ciglia fosche che lo facevano sembrare più pallido e più fino.
– Che hai, piccola mia? Non sei felice? Di'! – egli interrogava, con la sua robusta voce che trovava per lei note di dolcezza quali di una madre che parli al suo bambino.
– Nulla. Mi vuoi bene? – ella rispondeva.
– Oh! Tutto, tutto il bene! – egli diceva questa volta con la calda voce di un amante.
– Più bene che a... tutti al mondo? Come non ne volesti mai... a nessuno? – ella continuava, con la fronte testarda, con la voce carica di lagrime e di dubbi.
– Più bene che a tutti al mondo, come non ne volli mai a nessuno. Alla mia età si ama meglio, con minor egoismo... si ama di un amore perfetto. Io ti preferisco a me stesso. Darei la mia vita per te. Non sono parole, sai? Cerca di comprendere, cara...
Egli l'amava veramente così... Quella giovinetta pura, ardente, che aveva dato a lui il suo primo fiore, l'aveva, ai suoi propri occhi, lavato, riabilitato dal fango antico, gli aveva ridata la fede nelle donne, nell'amore, nella possibilità della bellezza morale... Un tempo aveva negato tutto ciò e siccome era un sentimentale, un uomo a fondo ingenuo, ne aveva sofferto selvaggiamente... e si era fatto giustiziere con immenso, con straziante dolore! La sua prima donna, veramente, non possedeva i requisiti che dànno garanzie di sicurezza ad un marito. Era una ragazza da caffè-concerto. Una viennese, bionda, formosa, rapace, amorale e viziosa. Non più giovanissima (erano coetanei), lo aveva stregato ed era riuscita a farsi sposare.
Dopo pochi anni di matrimonio, in cui egli, cieco, aveva creduto nella riabilitazione di lei per mezzo dell'amore legittimo, ad un tratto, avvisato da una lettera anonima, l'aveva sorpresa con un amante e aveva tirato su la coppia traditrice. Il vigliacco amante, ferito, era riuscito a fuggire. La donna era morta.
Ed erano quei colpi di rivoltella che risuonavano sempre all'orecchio di Violetta... come l'eco inestinguibile di quell'insuperabile amore.
– Come doveva amarla... se l'ha uccisa! – ella ripeteva nei suoi angosciosi duetti tra il suo geloso cuore e la sua ragione in cui quest'ultima aveva sempre la peggio.
Dai giornali di quel tempo aveva conosciuto il volto della rivale e la sua anima era piena d'odio e d'invidia per quell'ignobile, se pur bella, femmina grassa e bionda, dai piccoli occhi ridarelli, dall'acconciatura capricciosa che ricordava l'antica professione. Ella si guardava allo specchio e le pareva d'essere brutta, troppo magra, poco seducente, non atta a svegliare l'amore di un uomo come il suo...
In quei momenti di sconforto, pensava: – Sono io che ho fatto la corte a lui. Egli mi ha presa per compassione... forse per interesse. Non sono disprezzabile, nell'insieme, come moglie, ma in paragone dell'amore che aveva per l'altra... quello che ha per me è un tepido affetto quasi paterno...
E il dèmone della gelosia, di una gelosia ingiusta e morbosa, ma che la faceva soffrire come un'offesa verace ai suoi diritti di moglie e d'innamorata, generò nel suo spirito donnesco, bizzarro, poco equilibrato e passionale, un cattivo disegno: quello di accrescere l'amore del marito per lei, o, meglio, di renderlo più ardente e più tempestoso, come l'amore che aveva per l'altra, ispirandogli la gelosia.
Così ella si finse civetta con gli uomini, ne stuzzicò il desiderio, chiamando a raccolta tutte quelle piccole arti di adescamento che le femmine conoscono per istinto e che solo la più alta coscienza della propria dignità proibisce loro di esercitare. Ella era dissennata perchè in passione, irriflessiva, quindi obliosa delle conseguenze che la finzione del vizio poteva portare. Non pensava alla sua riputazione di onestà, all'onore di suo marito, a nulla. Voleva eccitare la gelosia di lui, metterlo alla prova, misurare la profondità dell'amore di lui, fare il confronto... rasentare il pericolo, provare il brivido della tragedia... anch'essa, anch'essa!
In due anni di matrimonio non aveva avuto figliuoli. Per la professione del marito restava molto sola e tutto il piccolo viluppo di nervi che componeva il suo essere, vibrava, teso conte spasimante corda di violino, verso un'armonia interiore che non le riusciva di raggiungere...
Ricorse dunque ad una commedia. Pura, tutta sua, innamorata fino all'esaltazione, ardente conte un rogo pel suo legittimo compagno, ella volle essere creduta da lui traditrice della fede coniugale. Prese a curare la sua personcina, ch'era naturalmente elegante, in modo ostentatamente raffinato. Andava spesso in città, aveva la sarta in casa ad ogni momento, usava profumi sottili e tenaci; il suo assegno non le bastava più, chiedeva di continuo supplementi al marito, che volentieri accontentava tutti i capricci di lei.
Eppoi ella volle ricevere, invitare gente a pranzo, volle rimettersi a suonare il pianoforte, e alla stagione della fiera, per mezzo di suo padre, ch'era sindaco del paese, volle conoscere personalmente i cantanti, invitarli a casa, a malgrado della disapprovazione del marito. Il quale non era geloso, perchè aveva cieca fiducia in lei, ma la credeva una bimba ingenua, un po' guasta dal suo affetto, che bisognava mettere in guardia, ignara com'era del mondo e dei suoi mali.
– Guarda, mia piccola Viola fresca e odorosa, questa volta non approvo... Non ti basta di sentirli sul teatro? Perchè vuoi invitare della gente che non sappiamo chi sia? Andiamo adagio...
– Che c'è di male? Sarei così contenta! Il direttore d'orchestra è una persona distinta, il tenore pure... io adoro la musica! Si farebbero dei piccoli concerti! Non farmi opposizione, non te lo perdonerei...
Egli non seppe resistere. Diceva tra sè:
– Povera piccina! Che diritto ho io di toglierle un piacere? Cosa temo? Perchè ho conosciuto una donna indegna, dovrei diffidare di questa giovane creatura, pura e profondamente onesta, che non ha nemmeno un'idea di ciò che sia colpa, che vive solo di me e per me? I germi cattivi si hanno nel sangue, come le malattie. Si nasce sgualdrine o oneste, come si nasce con la tendenza alla tubercolosi o con polmoni sani. Non voglio che il ricordo sinistro dell'altra contamini l'atmosfera di fede, di bellezza morale che aleggia intorno alla fronte di quest'angelo! – Cosi egli si rimbrottava. E lasciò a sua moglie la più completa libertà.
Ella perseverò nel suo disegno, disillusa, umiliata che la fronte di lui, rannuvolata un istante, si fosse subito distesa nella linea di beata serenità che aveva ritrovata dacchè si sentiva amato da lei.
Gli uomini del paese sui quali, come su dura cote, aveva provata la punta delle sue donnesche armi, erano zotici e timidi; non avevano creduto possibile che la giovane e bella moglie del dottore tentasse la loro virtù altro che per uno scherzo innocente... e un poco anche erano tenuti in rispetto da quel gagliardo marito che aveva dimostrato di ben sapersi fare giustizia da sè. Non già per paura di lui, chè i romagnoli, si sa, sono più che coraggiosi, temerari, ma per deferenza verso la sua forza. Un violento, in Romagna, attira su di sè le simpatie della folla, indiscutibilmente.
I giovani musicisti che furono ammessi in casa del dottore ebbero meno scrupoli. Violetta non ebbe bisogno d'essere lusinghiera (ciò che in fondo ripugnava alla sua anima presa tutta dall'unicità di un immenso amore) perchè quei giovani scapestrati cominciarono spontaneamente a corteggiarla. Il tenore era volgare e sapeva di vino, quando cantava, accompagnato da lei, le romanze della Cavalleria e dei Pagliacci, che, di sera, facevano delirare il pubblico nel piccolo teatro. Compare Alfio, visto da vicino, era certo sessagenario... e non serviva allo scopo, benchè le facesse il cascamorto. Il direttore d'orchestra era un giovane alle sue prime armi, simpatico, di buona famiglia, che certo avrebbe percorso un brillante cammino. Aveva una vibrante anima d'artista e d'uomo, ammirava Violetta sinceramente e prese in breve per lei una vera e autentica passione.
Avere trovata in quel selvaggio borgo, tra rudi politicanti e goffe se pur bellocce femmine, quella donnina moderna, elegante, buona musicista, non insensibile agli omaggi... era cosa che superava ogni sua aspettazione!
Del marito, benchè subito fosse stato informato del suo passato, non aveva alcun timore... Nella vita zingaresca ch'egli aveva da poco incominciata, tra le eccitazioni della musica, nel contatto di gente amorale, egli aveva promesso a se medesimo di prendere sempre il bene dove lo trovava. E cominciò a stringere d'assedio la moglie dell'uomo che sapeva uccidere, inebbriandosi del pericolo che conferiva un'attrattiva di più a quell'insperato episodio d'amore...
Poichè non gli riusciva mai di restare solo con l'amata, chè ai concerti assistevano le sorelle e le amiche di lei, egli prese a scriverle lunghe epistole appassionate e incalzanti, un po' istrioniche nella forma, ma, sincere, come quelle di un uomo che bruciava veramente d'amore.
Ella cominciava ad avere qualche sospetto di avere male agito... ma i suoi scrupoli tacevano dietro le risposte del suo egoismo, che si credeva in diritto di servirsi di ogni mezzo, buono o cattivo, per difendersi e per soddisfarsi.
Volendo dunque raggiungere il suo scopo, ella lasciò un giorno una di quelle missive, non firmate, ma che alludevano a musicali riunioni, sul suo tavolinetto da lavoro. La collocò in modo che paresse nascosta e lasciò entrare il marito. Il suo folle cuore batteva un ritmo eroico, come quello di un buon soldato, che sappia di andare incontro ad un pericolo e che non tremi...
Ella portava una graziosa veste di seta rossa, dalla quale emergeva il collo sottile come uno stelo recante il calice elegante di un fosco e vellutato tulipano.
Il marito la serrò contro il cuore pieno del suo grande amore sereno, poi si mise a celiare con lei, ritrovando il buon umore dei suoi vent'anni; si diede a toccare gli oggetti che erano intorno alla sua donnina adorata, dolci e sacri per lui come reliquie.
– Chi ti scrive, piccola? – e prese la lettera, che ella finse voler prendere a sua volta, impallidendo veramente un poco... – Un segreto? Allora... col suo permesso, signora, è anche mio!
Mentre egli leggeva, ella, col capo chino sul suo merletto leggero, agucchiava rapidamente e avrebbe voluto essere lontana, avrebbe voluto quasi poter annullare quello che aveva fatto... Non voleva confessarselo... ma aveva un poco paura.
– Chi è costui? – disse una voce ch'ella non conosceva. Alzò gli occhi per istinto e li abbassò subito. Il volto di suo marito faceva veramente paura. Ella esultò e sulla sua fronte dovette passare una di quelle verità luminose che non si prendono in cambio, perchè la fosca faccia dell'uomo violento si appaciò.
Disse: – Uno di quei saltinbanchi, è vero? Avevo ragione, bambina. Però – ed ebbe nella voce un rimpianto che parve un singhiozzo –– bisognava dirmelo. Non dovevo trovare questa lettera; si doveva darmela... E adesso, basta. Nessuno di quei buffoni metterà più il piede in casa mia nei pochi giorni che resteranno ancora qui. La faccenda mi riguarda.
Prese la lettera, se la mise in tasca ed usci... Ma poi rientrò subito; andò a baciare in fronte sua moglie ch'era rimasta al suo posto muta, interdetta, in una tempesta di dubbiosi pensieri. – Povera piccina! La colpa è mia! Non dovevo lasciarti esposta a queste mancanze di rispetto... Sei in collera? Amore mio...
Ella era molto nervosa e pianse dirottamente sul cuore del solo uomo che esistesse per lei sulla terra.
***
Ma la sua saviezza non durò. Pensava: – Come mi ama poco! Per l'altra certo non avrebbe fatto così! Sì, ha messo alla porta i musicisti... eppoi? Non si è nemmeno domandato se io avessi o no simpatia per colui che mi scriveva! Se ne avessi? Che ne sa lui? Perchè si sente così sicuro? Dovrebbe pur sapere che una donna può avere un amante quando il marito meno se l'aspetta! Ma la sua sicurezza nasce dal poco suo amore... Mi vuole bene, sì, mi stima, mi crede una donna onesta, ma non ha per me il vero amore, quello che aveva per l'altra. Quando si ama veramente, non si ragiona... e lui adesso ragiona troppo!
Fu presa dal desiderio ch'egli sragionasse anche per lei... Come fare? Ancora una finzione, la più grave, la più pazza. Scrisse una lettera di risposta a colui che l'assediava (una lettera che non avrebbe mai mandata, s'intende) in cui ella dichiarava di corrispondere all'amore di lui, d'essere vinta dalla stessa passione e d'essere disposta a concedere quanto egli chiedeva. Proponeva un ritrovo, in un luogo solitario, per prendere accordi, per la comune gioia. Mise la lettera nell'anticamera, sul vassoio dove stavano le lettere che dovevano essere portate alla posta e quelle che giungevano; e coprì con un giornale aperto il vassoio, come se quella precauzione inadeguata fosse bastata a nascondere il documento terribile!
L'atroce commedia compiuta, ella attese palpitando il ritorno di suo marito.
Ciò che doveva avvenire avvenne. Egli ritornò, passò per l'anticamera, sollevò il giornale che copriva il vassoio, prese la sua corrispondenza, gettò uno sguardo su ciò che restava... e non indovinò l'ingenua nequizia di quel donnesco giuoco...
Lesse e credè. Svisceratamente e pure pudicamente innamorato della sua giovane moglie, verso la quale egli sentiva la tenerezza di un padre oltre quella di un amante, ciecamente fiducioso in essa, che aveva ai suoi occhi riabilitata la femminilità ch'egli aveva, prima, in orrore: colpito come dal fulmine, deluso, umiliato nella miglior parte di sè, avvilito, annientato... egli esecrò l'esistenza.
Il violento si ridestò all'improvviso nell'uomo fatto mite e pacifico dalla felicità. La belva dormente, sempre in agguato in certi uomini, diè un balzo, sorse dal suo torpore!
«Uccidere, uccidere!». Questa necessità si drizzò nelle tenebre di quello spirito oscurato dal dolore. La nuca gli faceva male, gli occhi vedevano ombre ora nere, ora rosse... Rivide l'altra, nella pozza del suo sangue, ma l'animo non gli bastò di immaginare questa... esanime, uccisa dal suo gesto vendicatore... Un'onda di tenerezza annegò il suo impeto cieco di distruzione...
Allora, senza rivederla, andò a rinchiudersi nella sua stanza da studio... e un colpo di rivoltella percosse l'orecchio della più amata...