I. L'ambiente sociale
1.
Mazzini e la questione operaia
Il contributo di pensiero e d'azione
che Mazzini ha sempre dato al problema operaio si accresce
notevolmente nel periodo che va dal 1860 al 1872, anno della sua
morte.
Giovandosi della libertà di
stampa e di associazione, assicurata dal nuovo regime, egli si dedica
a una propaganda intensa delle sue dottrine sociali, le quali,
intorno al 1860, costituiscono l'unico completo programma di azione
che venga offerto alle masse lavoratrici; e perciò, se pur non
riescono a dominare il movimento operaio italiano, si impongono alla
generale attenzione, suscitando intorno ad esse entusiasmi,
avversioni, discussioni appassionate.
Il campo appare nettamente diviso tra
mazziniani e antimazziniani. Sul nome di Mazzini si combattono aspre
battaglie nei congressi operai, sulle colonne di quei giornali, che,
a qualunque partito appartengano, s'interessano delle questioni del
lavoro. E quando, alcuni anni dopo il 1860, altri gruppi sorgeranno a
proporre nuovi programmi sociali, questi gruppi dovranno
preventivamente misurarsi, sul terreno teorico e sul terreno della
organizzazione, col programma mazziniano.
Questo periodo è forse per
Mazzini il piú duro di tutta la sua vita. Non gli mancavano
infatti profonde ragioni di malcontento e di amarezza. Quel programma
di unità politica che egli andava predicando da piú di
vent'anni era stato, sí, in parte attuato; ma mentre egli
aveva sempre sperato che all'unità si giungesse per iniziativa
popolare, la realtà dei fatti ne aveva assegnato a una
monarchia il merito e i vantaggi. Pochi comprendevano con lui di
quanto questa circostanza attenuasse il valore del grande
avvenimento, pochi sembravan disposti a seguirlo apertamente nella
nuova campagna da lui iniziata perché almeno si compiesse fino
in fondo il programma unitario, conquistando all'Italia Roma e la
Venezia.
Egli era pur sempre, nel 1861 come nel
1836, lo stesso Mazzini inviso ai governi, accanitamente denigrato,
straniero in patria. Chi riconosceva i suoi meriti nella formazione
del programma nazionale? Lo abbandonavano anche molti, fino allora
suoi seguaci, che si lasciavano definitivamente attrarre nella sfera
della monarchia, paghi dell'unità materiale, dimentichi che
questa non ha alcun valore se non coincide o non è
immediatamente seguita da un rinnovamento morale, religioso, sociale
di tutto il paese; altri, attaccati alla lettera, ma incapaci di
penetrare lo spirito della sua dottrina, deploravano la tregua da lui
accordata, fino al 1866, alla monarchia perché compiesse,
valendosi di tutte le forze, il programma unitario, e si chiudevano
in una meschina intransigenza. La gioventú intellettuale si
lasciava penetrare da un insieme di teorie e di tendenze, che egli
chiamava materialismo e che, legate a tutto un movimento
scientifico, la rendevano sempre piú indifferente all'essenza
stessa del suo insegnamento, a quelle idee morali-religiose cioè,
che dovevan compiere il miracolo di rinnovare l'umanità. Nel
campo operaio, infine, mentre non era per anco cessata la lotta da
lui impegnata per strappare il monopolio della organizzazione ai
gruppi moderati e conservatori, un'altra se ne iniziava, ben piú
pericolosa e incerta, contro i banditori di un programma
diametralmente opposto al suo: quello dell'Associazione
internazionale dei lavoratori.
Ma la fede nel prossimo immancabile
rinnovamento morale e sociale dell'umanità, di cui l'Italia è
destinata a dare il primo segno, rende lieve a Mazzini ogni amarezza
e lo rianima costantemente di speranze.
Al secolo XVIII Mazzini riconosce il
merito di avere integrato l'insegnamento cristiano, risolvendo il
problema di conciliare la uguaglianza di tutti con la libertà
del singolo. La generazione di Mazzini ha ereditato questa grande
conquista morale; ma soffre perché la mancanza di un alto
principio di solidarietà fra gli uomini ha ormai ridotto la
vita a un miserabile contrasto di interessi puramente egoistici fra
individui, classi e nazioni. È una generazione in cui non vive
piú la vecchia fede e in cui la nuova non s'è ancora
rivelata: epoca di transizione. Ma la rivelazione è imminente.
Il nuovo periodo storico, che Mazzini
preconizza, non rinuncerà ai principî di giustizia e di
verità che sono stati banditi nel periodo precedente, anzi
edificherà su di essi: saprà però nobilitare la
vita, suscitando in ogni individuo un profondo senso del dovere, e
mirando non al bene del singolo, ma a quello della collettività.
Sua caratteristica sarà la tendenza associativa; suo fine la
costituzione dell'Umanità collettiva.
Tramonterà ovunque l'odierna organizzazione
politico-sociale, dando origine alle repubbliche unitarie nazionali.
Alle patrie associate nella Umanità corrisponderà
l'associazione degli individui di ogni nazione, diretta a promuovere
e a tutelare lo sfruttamento progressivo e ordinato di tutte le
energie del paese, nel campo morale, intellettuale, economico.
La nuova umanità non vedrà
piú lotte tra classe e classe poiché capitale e lavoro
saranno riuniti nelle stesse mani: non piú proprietari che
godono il frutto delle fatiche altrui e lavoratori dannati alla
miseria, poiché la proprietà sarà prodotta e
santificata dal lavoro di tutti.
Come avviarsi a questa unione del
capitale e del lavoro? Non certo abolendo il principio di proprietà,
bensí facilitando a tutti l'acquisto della proprietà
stessa; si spronino intanto i proprietari, i capitalisti a una piú
equa rimunerazione del lavoro, ma soprattutto si incoraggino i
lavoratori ad unirsi in associazioni di lavoro libere e volontarie
(cooperative di produzione) che garantiscano a ciascuno di essi una
parte del prodotto del lavoro comune e il diritto a una proporzionata
partecipazione agli utili.
Difficoltà grave è
quella di trovare i capitali necessari per istituire e assicurare la
vita di queste associazioni.
Al primo fondo, scrive Mazzini,
dovranno contribuire con i loro risparmi gli artigiani e gli operai.
Ma sono questi in grado di accumulare risparmi non irrisori? Mazzini
non si fa illusioni; comprende perfettamente che è arduo, se
non addirittura ironico, predicare al popolo sacrificio e risparmio
quando le sue condizioni economiche, lungi dall'accennare a un
miglioramento, inclinano piuttosto a peggiorare; quando gli operai,
lavorando 10 o 12 o 14 ore al giorno, guadagnano appena quel tanto
che basta a un sobrio sostentamento, non hanno garanzie sulla
continuità del lavoro, son costretti a impiegare donne e
ragazzi nelle manifatture, né trovano nelle leggi dello Stato
alcuna protezione contro gli arbitrî del capitale.
Non si può neanche sperare che
essi possano, per integrare eventuali piccoli risparmi, ottenere
largo credito sul lavoro futuro delle loro associazioni.
Risparmio e credito si devono tuttavia
additare ai lavoratori affinché sappiano che solo attraverso
al loro personale sacrificio potranno raggiungere una vera
emancipazione. È l'elemento morale della soluzione: il primo,
per Mazzini.
Praticamente, e volendo non tanto
acquietare i lavoratori, quanto risolvere per davvero la questione
del lavoro, egli suggerisce al governo, o meglio afferma che un
governo veramente democratico prenderà spontaneamente, questi
tre provvedimenti fondamentali: 1) imposizione di un unico tributo
sul reddito, in sostituzione di ogni altro, con esenzione per il
reddito necessario al sostentamento e solo ad esso sufficiente; 2)
creazione di banche di credito operaio; 3) costituzione di uno
speciale fondo nazionale consacrato al progresso economico ed
intellettuale di tutto il paese, che raccolga il gettito delle
imposte collaterali (da versarsi allo Stato), il reddito dei beni
ecclesiastici e comunali, delle terre incolte, di altri beni di
pertinenza dello Stato.
All'opera del governo, agli sforzi dei
lavoratori dovrà unirsi lo spontaneo incoraggiamento delle
classi abbienti: le quali appoggeranno in ogni modo le nascenti
associazioni operaie e anticiperanno la instaurazione di una nuova
organizzazione del lavoro, studiando intanto nuovi sistemi di
retribuzione, venendo incontro ai giusti desideri degli operai,
iniziando insomma rapporti di collaborazione fra capitale e lavoro.
Sappiano dal canto loro le classi operaie svegliare l'interessamento
delle classi abbienti, dimostrando con i fatti che la tendenza
associazionista non è capriccio di piccole minoranze, ma
decisa volontà di maggioranza.
Questo, nelle sue grandi linee, il
programma operaio di Mazzini, che presuppone una progressiva
elevazione morale e culturale della classe operaia. Condizione
indispensabile al suo compiuto svolgimento è poi la
risoluzione in senso repubblicano del problema instituzionale.
Ma pur supponendo realizzate quelle
condizioni, non è chi non scorga i punti incerti, le
difficoltà tecniche che il programma in se stesso contiene.
Mazzini non si attarda a chiarire quei punti o a risolvere una per
una quelle difficoltà. La nuova fede che scenderà
inevitabilmente a illuminare tutti i cuori renderà attuabile e
semplice quel che appare impossibile o arduo. Non si tratta tanto di
precisare le forme della futura società quanto di trasformare
gli uomini in modo da renderli capaci di volerla e di fondarla.
In realtà, mentre la
organizzazione operaia, grazie anche agli sforzi di Mazzini, progredí
dal '60 in poi con molta rapidità, l'attesa nuova fede
religiosa non accennò a rivelarsi.
Si formò e si consolidò
negli operai la coscienza dei loro diritti e della loro forza, ma
venne ad urtare contro l'ostinato attaccamento degli abbienti a tutti
i loro privilegi.
Cosicché, mentre Mazzini
seguitava ad enunciare e a raccomandare i suoi ideali
collaborazionistici, sul terreno della pratica sindacale si andavano
invece precisando e si inasprivano le premesse e i metodi della lotta
di classe.
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