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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • I. L'ambiente sociale
    • 5. Le classi superiori e la questione operaia
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5.

Le classi superiori e la questione operaia

 

 

 

 

 

I ceti contadini, operai, artigiani erano assai poco preparati ad accettare le esortazioni mazziniane. Poteva almeno Mazzini sperare che la borghesia raccogliesse l'invito che egli le rivolgeva di collaborare fraternamente col popolo per promuovere il miglioramento morale e materiale?

 

Quasi tutti i seguaci di Mazzini, docili alla sua parola d'ordine, si danno con fervore a svolgere il suo programma in pro' delle classi operaie, tanto piú che ciò non solo non esige che essi si distraggano dall'azione politica cui soprattutto tengono, ma anzi permette loro di svolgere una propaganda squisitamente politica sulla massa operaia, ossia su tutta una classe sociale rimasta fino allora quasi completamente estranea al giuoco dei partiti.

Per lo stesso motivo il programma mazziniano trova larghi consensi in quel partito d'azione, cui aderiscono, oltre ai mazziniani, quasi tutti i democratici, che desiderano esercitare un'azione politica: e cioè repubblicani intransigenti e repubblicani che, pur di veder compiuto il programma unitario, son disposti a secondare la monarchia, se fa, e se no a far da sé e magari anche contro la monarchia; ex repubblicani, ormai definitivamente devoti alla monarchia, piú qualche federalista disposto a rinviare i dibattiti sull'ordinamento amministrativo del Regno a quando, con l'acquisto di Roma e della Venezia, il programma nazionale possa dirsi compiuto; e a collaborare intanto a questo scopo.

A quel motivo di consenso un altro se ne aggiunge, fondamentale: ché, in sostanza, di programmi concreti riguardanti la questione operaia non vi sono, allora, che quello mazziniano, e quello, se programma lo si vuol chiamare, dei moderati-conservatori. Quello mazziniano, preso in blocco, non potrebbe essere accettato da qualunque democratico. Un libero pensatore, ad esempio, o un monarchico, non lo sottoscriverebbe punto per punto. Ma la necessità di prendere posizione contro le concezioni sociali dei moderati e dei conservatori e il desiderio di operare attivamente in pro' delle classi operaie, spinge molti democratici ad aderire e a propugnare il programma mazziniano, non insistendo su quei punti che li trovano dissenzienti. I mazziniani, fortemente organizzati, agiscono su gran numero di associazioni operaie, alle quali inoculano, goccia a goccia, il loro programma sociale, teorico e pratico; quei democratici che non si sentono di accordare la loro attività filoperaia nel quadro dell'azione mazziniana debbono contentarsi di diffondere le loro idee in un circolo ristretto o limitare la loro opera allo studio di particolari aspetti tecnici della questione operaia e alla propaganda di determinate istituzioni pratiche.

Mazzini si sdegnò quando, alcuni anni dopo il 1860, vide molti democratici abbandonare il suo programma per aderire a una nuova corrente, d'importazione straniera, che veniva allora acclimatandosi in Italia: quella dell'Internazionale. Quei democratici, dunque, lo tradivano o non avevano mai compreso la portata del suo programma? Né tradivanodavan prova di non aver compreso; ma si eran tenuti stretti a Mazzini fin quando il suo programma era rimasto il solo che un democratico militante, desideroso di non isolarsi, potesse abbracciare; lo abbandonavano non appena un altro se ne presentava, piú conforme alle loro personali vedute e inclinazioni.

Ma di questo appunto e dell'apporto dei democratici al movimento operaio tratta il presente lavoro.

 

I gruppi moderati e conservatori durante tutto il decennio seguente alla unificazione del Regno sono assorbiti dal problema di consolidare la compagine politica, finanziaria, amministrativa del nuovo organismo unitario. Il loro compito è arduo: ottenuto il riconoscimento del nuovo Stato dalle potenze estere, occorre dar prova della sua stabilità, facendo dimenticare l'agitato periodo della sua formazione e attuare, con le annessioni di Roma e della Venezia, quel programma della completa unità politica, che nel paese è bandito clamorosamente dal partito di azione. Con questo partito bisogna perciò mantenere buone relazioni, per potersi giovare delle sue iniziative e delle sue audacie, esser pronti magari a spingerlo nascostamente ad agire, perché le potenze estere abbiano l'impressione che il governo italiano, pur deciso a contentarsi dei risultati acquisiti fino al 1860, è costretto in certi casi a seguire la travolgente volontà popolare; ma anche sorvegliarlo cosí attentamente da essere in grado di arrestare la sua azione, sciogliere le sue organizzazioni, smentire ogni voce di accordo fra esso e il governo, al minimo segno di complicazioni internazionali.

Alle difficoltà politiche si aggiungono quelle finanziarie. Il disavanzo cresce di anno in anno. I bisogni da soddisfare d'urgenza sono immensi: creare l'esercito, la marina, l'amministrazione civile, sviluppare le vie di comunicazione, promuovere importanti lavori pubblici dove l'unità è male accetta e dove urge mostrarne i primi vantaggi, stroncare il brigantaggio; organizzare un sistema tributario capace di assicurare allo Stato, anche a spese della piú elementare equità distributiva, le massime entrate; donde ingiustizie, assurdità, tasse impopolarissime.

Ma la necessità piú grave che li preme è quella che si concreta nell'espressione: trasformare l'Italia in nazione. Si tratta di resistere alle forze tutt'altro che trascurabili di disgregazione, di giungere, sia pure a costo di un accentramento spietato, ad annullare gli attriti fra regione e regione, a contemperare e a comporre le loro diverse aspirazioni, tradizioni, esigenze nel quadro della nuova vita unitaria.

Moderati e conservatori hanno dunque altro da fare che pensare al problema sociale. Della cui esistenza, del resto, essi non s'avvedono neppure, negli anni immediatamente successivi al 1860; si eccettui qualche isolato pensatore. La preoccupazione per la questione sociale comincia a diffondersi nella nostra borghesia verso il 1868-69, di fronte ai pericolosi moti del macinato, che rivelano la profondità del malcontento che agita gli strati piú bassi della popolazione; si fa gravissima in seguito allo scoppio della Comune di Parigi, che in Italia ha ripercussioni assai vaste.

Riguardo al movimento operaio, sarebbe opportuno fare una distinzione fra conservatori e moderati: in quanto i primi negano, in sostanza, l'esistenza di una questione operaia e affermano invece l'esistenza di un problema di carità e di beneficenza; i secondi sostengono invece che una questione operaia c'è, riconoscono che qualcosa per gli operai si deve pur fare e si mostran disposti a considerar legittime alcune richieste operaie. Ma le due posizioni non son troppo distanti, anzi vi si passa per gradi intermedi e insensibili. Questo in teoria. In pratica, poi, riesce impossibile isolare ed esaminare partitamente un'azione filoperaia dei conservatori e un'azione dei moderati. Partendo da premesse diverse, questi due gruppi (del resto anche politicamente non nettamente distinguibili) giungono, in ultima analisi, a conclusioni pressoché identiche.

Incoraggiano, d'accordo, la formazione di società operaie: le quali hanno il diritto di sussidiare i soci vecchi o ammalati, di aprire spacci cooperativi e soprattutto di istituire corsi d'insegnamento e biblioteche: non davvero quello di interessarsi seriamente delle condizioni economiche dei soci, tentando di far migliorare i loro contratti di lavoro. Malvista è la tendenza delle società verso una federazione nazionale, che potrebbe dar loro una potenza assai pericolosa, né si ammette che possano occuparsi di questioni politiche.

Conservatori e moderati s'immobilizzano in questo programma minimo, che si è formato in Piemonte prima del 1860; non comprendono mai la necessità di rinnovarlo di fronte all'evoluzione rapidissima della classe operaia: non s'avvedono che quel che poteva bastare agli artigiani dispersi nei piccoli laboratori è insufficiente per gli operai agglomerati nelle officine. Si direbbe quasi che di quell'evoluzione non si rendano conto. La loro attività principale, anzi, consiste nell'ostacolare in ogni modo l'azione di quei gruppi che alla classe operaia presentano un programma piú largo, piú vivo, un programma nel vero senso della parola, contenente cioè una serie di proposte che s'innesti sul vecchio tronco delle posizioni acquisite per rinnovarlo.

Ed ecco la guerra accanita contro i mazziniani, che apparentemente ha solo motivi politici. È bene ricordare che, fino al 1871, moderati e conservatori confondono tranquillamente Mazzini con i socialisti e i comunisti44. Il fatto è che essi non misurano la gravità della questione operaia; quando ne sentono parlare, rispondono che con l'istruzione diffusa si rimedierà a tutto; ed è giusto riconoscere che alla scuola, in quegli anni cosí gravidi di avvenimenti e saturi di preoccupazioni, dedicarono ogni loro sforzo45.

Solo il progressivo consolidarsi della organizzazione operaia e il manifestarsi e il prevalere in essa di tendenze estreme aprirà finalmente gli occhi ai moderati e ai conservatori; la minaccia di gravi turbamenti sociali li costringerà a considerare la questione operaia tra le piú urgenti che premono il paese e a uscire definitivamente nel suo confronto dalle loro superatissime posizioni46.

Leggere gazzette, opuscoli, libri dedicati al popolo e scritti da uomini di destra, tra il '60 e il '70 (dal 1871 in le cose mutano), è quanto mai istruttivo; meraviglia il vedere con quale paternalistico semplicismo si affrontasse una questione cosí complessa. Alla ignoranza dei proletari fa perfetto riscontro la incoscienza della borghesia. Quel che non si riesce a capire è che quelle pubblicazioni trovassero tra gli operai pazientissimi lettori47. Si invitano i lavoratori a star tranquilli, a non dar retta agli interessati inventori di una questione sociale. Col lavoro, col risparmio, con la temperanza miglioreranno le loro condizioni economiche; pazzesco è richiedere aumenti di salario. O non sanno gli operai che questi si ripercuotono ipso facto sul costo della vita, che son dunque miraggi fallaci? Si inscrivano pure nelle società di mutuo soccorso, frequentino le scuole serali, tutt'al piú fondino una cooperativa di consumo, ma non pensino ai gravi problemi, alla soluzione dei quali provvedono, con loro sacrificio, e con desiderio di giovare a tutti, le classi dirigenti48. Qualche eccezione non vale a modificare sostanzialmente questa impressione complessiva.

Il clero, che delle novità politiche ha pagato tutte le spese e che sogna la restaurazione dei regimi caduti, rigidamente fondati sulla religione cattolica e consacrati dalla legittimità, non risparmia occasione per creare seri imbarazzi al nuovo governo monarchico, nella speranza di determinare una crisi definitiva. Raccoglie perciò intorno alla propria formidabile organizzazione quanti rimpiangono l'Italia preunitaria, quanti, visti rovinati i loro interessi dal nuovo regime, lo subiscono in silenzioso rancore: e non sono questi una esigua frazione delle nostre classi possidenti e intellettuali. L'alleanza clerico-reazionaria rappresenta perciò un grave pericolo per la sicurezza e la stabilità del nuovo ordine di cose.

Questi gruppi di estrema destra fanno una vivacissima propaganda tra i contadini ignoranti, sfruttando, inasprendo, incanalando in determinata direzione il malcontento profondo, che le novità politiche hanno accentuato.

Ma sanno anche misurare con accortezza l'importanza che l'elemento operaio va assumendo nel paese e intravedono la possibilità di farsene un potente alleato nella loro lotta contro il nuovo regime. Ottimo mezzo di propaganda sono le numerose piccole pubblicazioni periodiche, delle quali essi dispongono e che son diffuse in ispecie tra le classi piú povere. Ed ecco che giornaletti, almanacchi, opuscoli, volantini s'interessano improvvisamente delle disgraziatissime condizioni dei lavoratori e ne dipingono quadri addirittura strazianti.

Si compiange il povero popolo che, nella speranza di migliorare il suo stato, ha dato credito ai banditori del nuovo regime. E invece: «dopo aver fatto sgabello col suo corpo a chi agognava ricchezze e poteri, egli ha visto il miserabile sfuggito come un lebbroso, la povertà perseguitata e punita come un delitto». Lo avevan proclamato sovrano, prima della rivoluzione, per conquistare il suo favore; ora «il popolo sovrano, dal suo trono dove te lo avevano insediato, te lo piantano a sedere a bischetto»49.

Gli si è parlato di patria. Quale patria? Santa cosa essa è «quando, madre amorosa, provvede egualmente benefica a tutti i suoi figli e vuole in eguali proporzioni distribuiti i premi, i compensi, i sacrifici. Dove però sotto il nome di patria si consumano i piú neri eccessi, dove la libertà si vende e si traffica..., dove ogni giorno si assiste al miserando spettacolo di vedere il galantuomo nudo e lacero e il ladro e il farabutto in carrozza, qual senso può aver mai questa parola sulle ingannate moltitudini50.

L'uguaglianza dei cittadini non è stata riconosciuta che nel sistema tributario. Son passati i tempi nei quali solo gli abbienti erano sottoposti a tasse; ora «si è piantata la massima che tutti i singoli cittadini, avessero o no ricchezze, dovessero essere tributari dello Stato»51.

I rivoluzionari di ieri, conservatori dell'oggi, hanno invocato la formazione del nuovo Stato unitario in base al principio liberale e inalzato il dio della libertà all'onor degli altari. Ora che hanno ottenuto il loro intento vorrebbero metterlo da parte. Ma questo dioosserva La Giovane Italia, almanacco per il 1862 – è logico e intende riconoscere a tutti il diritto di adorarlo e di oprare in suo nome. Egli parla cosí : «Predicaste la libertà, la fratellanza ed il vostro dire mi piacque; siate dunque tutti fratelli. Voi proletari faccio ministri del mio supremo volere. Andate, dividete, spartite; se essi... non cedono alla forza delle teorie da essi predicate, sgominate tutto, confondete, sperperate, ed in mio ed in loro nome superando gli ostacoli, versate sangue, trucidate»52.

Il principio liberale ha vinto: bisogna ormai che trionfi.

Poiché i cessati regimi eran solidamente basati sulla religione, la guerra che contro di essi si è condotta è stata, in sostanza, una guerra alla religione. Per distruggere nelle masse l'attaccamento a quei regimi, si è cercato di sradicare la loro fede religiosa. Orbene, questa costituisce l'unico conforto per chi soffre; si tolga alle plebi il freno della religione ed esse cadranno in preda al piú assoluto materialismo, domanderanno conto dei loro diritti conculcati e seguiranno chi nella violenza additerà loro l'unico mezzo per abbattere i privilegi sociali.

«Chi ha allevato questo popolo senza Dio, senza religione, educato alla sfrenatezza? Chi ha imbevuto questo popolo di una falsa idea di libertà? Chi gli ha ripetuto all'orecchio le mille volte che egli è indipendente, e sciolto dai legami dei pregiudizi antichi?... Non sono stati i moderni padroni? Il popolo gli ha intesi, e docile si mostra alle loro istruzioni; ed avendo imparato che la libertà consiste per l'uomo nell'operare a suo talento, fa ogni sforzo per porre alla pratica anche questa dottrina»53.

Dal liberalismo antireligioso al socialismo il passo è breve e inevitabile. Combattere il nuovo regime equivale dunque a «salvare l'Italia dal socialismo»54. Questa, com'è noto, è la sintesi di tutta la propaganda clerico-reazionaria; ma che essa fosse precisamente ispirata e diretta a questo salvataggio non si direbbe davvero. Certo sortí tutt'altro effetto. Quando si scrive che se la classe operaia «cosí mal conosciuta, cosí iniquamente spregiata, cosí barbaramente, nel tempo della libertà e della filantropia, tiranneggiata ed oppressa»55, se, insomma, il popolo che si logora «la vita per provvedere agli agi ed al lusso del milionario»56 imparasse una buona volta a conoscer la sua forza e ad usarne «non sarebbe tanto spesso calpestato, deriso e ingannato»57, si giunge non a salvare un paese dal socialismo, ma anzi, o cosí sembra, a precipitarlo nel medesimo.

I clerico-reazionari speravano, con questa propaganda, di attirare al loro programma di restaurazione dei regimi caduti larghi strati della borghesia pavida e credente e le classi povere immiserite e ignoranti.

L'unico risultato concreto che raggiunsero fu invece quello di esasperare nelle classi povere il naturale rancore contro gli abbienti, avviando i lavoratori verso l'idea e la pratica della lotta di classe58 e di accentuare il loro indifferentismo di fronte alle vicende politiche del paese e la diffidenza istintiva verso i poteri dello Stato, ritenuti espressione degli interessi antitetici ai loro delle classi privilegiate.

 

Nelle classi superiori, dunque, non v'erano che i democratici che s'interessassero vivamente e spontaneamente del problema operaio. Ma in Parlamento le rappresentanze dei democratici, dai repubblicani intransigenti ai monarchici convinti, non fecero nulla, o quasi nulla, in pro' delle classi operaie, limitandosi ad agitarsi in favore del suffragio universale59 o a protestare periodicamente contro la gravezza e la sperequazione delle imposte.

Ruggero Bonghi, scrivendo alcuni anni piú tardi, rivendicò «alla parte moderata, liberale, monarchica» quanto era stato fatto dal '60 in poi in favore del proletariato, e accusò la Sinistra di aver sfruttato il movimento operaio a fini rivoluzionari60. Ma, dal '60 al '72, c'era poco da rivendicare in fatto di provvidenze filoperaie; e lo dimostra la quasi inesistente legislazione del lavoro61.

Sul diritto d'associazione non esistevano allora speciali disposizioni e un disegno di legge presentato con fini restrittivi nel 1862 dal Rattazzi non venne discusso.

Alle coalizioni e agli scioperi si riferivano gli articoli 385 e 386 del codice penale che punivano accordi tra i datori di lavoro tendenti a costringere ingiustamente gli operai a una diminuzione di salario o ad accettare il pagamento in derrate; e accordi tra gli operai tendenti a sospendere, impedire o rincarare i lavori senza ragionevoli cause. È inutile notare l'elasticità di queste disposizioni, basate sulla dubbia interpretazione da darsi all'avverbio ingiustamente o al qualificativo ragionevole, che costituivano a volta a volta la determinante del reato o la sua giustificazione. Le pene comminate erano piú gravi per gli accordi tra operai che non per quelli tra datori di lavoro62.

Nel 1861 venne istituita una Cassa invalidi per la gente di mare, ma cosí mal congegnata che tutto il carico dei premi era addossato agli equipaggi.

Anche la conciliazione e l'arbitrato industriale erano affatto ignoti alla legislazione italiana del tempo; la legge sui probiviri, dopo una ridda di progetti e di discussioni, passò soltanto nel 1893.

Nessun provvedimento sull'emigrazione; nessuna limitazione all'arbitrio dei privati, che sfruttavano come una qualunque industria redditizia l'ignoranza dei contadini, imbarcati per lontani paesi, col miraggio di guadagni fantastici. Le disposizioni della legge di PS emanata il 20 marzo 1865 intorno alle agenzie pubbliche riguardavano anche le agenzie di emigrazione, sottoponendole alla sorveglianza della polizia; ma con prescrizioni affatto insufficienti. Solo nel '73 furono emanate disposizioni molto piú precise ed efficaci63.

Questi e non altri (s'aggiungano la legge sul Tavoliere di Puglia e sulla Sila, il progetto d'inchiesta agraria e pochi provvedimenti atti a migliorare, in qualche località determinata, le condizioni delle classi povere) furono i provvedimenti presi dalla Camera italiana, in dodici anni di attività, a favore del proletariato. In fatto di legislazione sociale l'Italia era allora tra i paesi piú arretrati del mondo; la gravità dei problemi politici e finanziari che le classi di governo dovettero affrontare e risolvere giustifica solo in parte questa completa indifferenza di fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell'elemento piú numeroso della società64.

 

Era questo l'ambiente in cui Mazzini organizzava, subito dopo il 1860, la propaganda del suo programma sociale.

 

 

 

 

 






p. -

44 Sul significato di socialismo e di comunismo essi, e non soltanto essi, avevano idee tutt'altro che chiare. Cfr. ad esempio: «La Giovane Italia», almanacco per il 1862, Bologna 1861, p. 25; «Il Conservatore», mensile, anno I, Bologna, febbraio 1863, maggio 1863; «Il giornale degli Operai», Genova, 13 agosto 1865; CAGIATI, De' rivolgimenti contemporanei in Italia, Roma 1867, pp. 45, 92, 104; S. COGNETTI DE MARTIIS, Gli studi economici in Italia, Bari 1869, p. 40; FONTANELLI, Manuale popolare di economia sociale, Firenze 1870; MAINERI, Le stragi di Parigi del 1871 ecc., Milano 1871, vol. III, pp. 45, 428; «L'Alleanza», Bologna, 3-9 dicembre 1871; REVEL, Il libro dell'operaio, Torino 1872, p. 93; ALAGNA, Il vero diritto sociale, Roma 1872, pp. 21, 36; CANTú, Gli ultimi trent'anni, p.123.



45 Per citare un solo dato, le scuole elementari, che erano, nel 1861, 28524 con 1008672 alunni, salirono, nel 1866, a 31117 con 1217870 alunni; nel 1870 (comprese quelle della Venezia) a 38300 con 1577654 alunni; nel 1872 a 39398 con 1745467 alunni, piú 14152 scuole serali e festive con 524532 alunni (Documenti sulla istruzione elementare nel Regno, Firenze 1868-72, passim).



46 Documenti del primo placidissimo interessamento della borghesia italiana per le classi lavoratrici, sono i concorsi, abbastanza frequenti, che vennero banditi su argomenti inerenti alla questione operaia. Rammenterò i premi istituiti nel 1863 dalla Commissione centrale di beneficenza amministratrice della lombarda Cassa di risparmio per le società operaie meglio costituite (premi indetti poi regolarmente ogni anno fino al 1875); il concorso Secco Comneno, bandito dal R. Istituto lombardo di scienze e lettere nel 1865, per una pubblicazione che, tra l'altro, suggerisca il modo «di sovvenire anche alla classe dei semplici coloni ed agricoltori» («Annuario scientifico ed industriale», di F. Grispigni e L. Trevellini, anno I, Milano, p. 528); altri concorsi vengono promossi allo stesso scopo dalla Società agraria di Lombardia nel 1865 (ibid., p. 510); l'Associazione italiana per l'educazione del popolo, Firenze, bandisce nel 1867 un concorso – con premio di L. 5000 – per il miglior libro popolare il quale mostri al popolo che l'uomo può quel che vuole («L'eco dell'Associazione 1848», agosto 1867). Il premio del concorso Ravizza per il 1868, aggiudicato nel 1869, verrà concesso al miglior libro che studi l'ordinamento delle società operaie.



47 Chi conosce un poco l'argomento e ha sfogliato alcune di quelle pubblicazioni, mi darà atto del senso infinito di noia che prende chi legga le lunghe tiritere sulla igiene dell'operaio, o i doveri dell'operaio o i nobili esempi di disinteresse e di sacrificio proposti all'operaio o certe asfissianti divulgazioni di economia politica, di cui tali pubblicazioni sono infarcite!



48 Cito due o tre opere piú caratteristiche: MARESCOTTI, Catechismo sulla economia pubblica, Bologna 1861; MANGONI, La civiltà a pro' di tutti ecc., Napoli 1861; PIGORINI, Il libro dell'operaia, Milano 1870; C. CANTú, Portafoglio d'un operaio cit. Ma c'è un'intera biblioteca di trattatelli popolari, redatti in simil guisa, che varrebbe la pena di elencare dal primo all'ultimo e di far conoscere. Vi si troverebbe, non paia azzardata l'illazione, la giustificazione del socialismo!



49 «La Vespa», Firenze, 2 giugno 1864, 10 gennaio 1865. Le citazioni di questo bisettimanale hanno una particolare importanza perché i suoi articoli venivano allora compiacentemente riprodotti dalla stampa reazionaria di tutt'Italia.



50 «Il Conservatore», mensile, anno I, n. 5, Bologna, maggio 1863.



51 Ibid., luglio 1863.



52 La Giovane Italia cit., p. 88.



53 La Giovane Italia cit., p. 86. Cfr. anche «Il Conservatore», maggio 1863.



54 La Italia disfatta dalla rivoluzione piemontese, Malta 1862, p. 33; La Giovane Italia cit., p. 81. Anche «Il Conservatore», maggio 1863, scrive: «il disordine e l'anarchia saranno la conseguenza inevitabile di una società atea». Cfr. anche «L'Ancora», Firenze, 30 gennaio 1869; «La Civiltà cattolica», 6 maggio 1871.



55 «La Vespa», 2 giugno 1864.



56 Ibid., 17 giugno 1864.



57 Ibid., 23 agosto 1864.



58 Piú d'una volta, come vedremo, negli scioperi degli operai meridionali si ebbe serio motivo di sospettare l'istigazione dei clerico-reazionari.



59 La legge 20 novembre 1859, tra le altre condizioni che davano diritto al voto politico, stabiliva quella di pagare un annuo censo di L. 40.



60 I partiti monarchici in Italia, Milano 1878, pp. 40 sg.



61 Una prova della sordità della Camera italiana in quel periodo di fronte alle questioni del lavoro si ebbe nel 1863, quando l'onorevole Siccoli (garibaldino) interpellò il ministero sulle misure di polizia prese contro alcuni operai falegnami di Torino, che si erano macchiati del delitto di sciopero. Il deputato, commentando il fatto, affermò che la questione grave dell'epoca non era né quella della monarchia né quella della repubblica, ma la questione sociale (rumori, interruzioni). E presentò un ordine del giorno col quale invitava il ministero a presentare un progetto di legge riguardante la formazione di collegi arbitrali per risolvere le divergenze tra operai e datori di lavoro: l'ordine del giorno, respinto dal ministro Peruzzi, non raccolse nemmeno un voto favorevole! (Seduta dell'11giugno 1863).



62 Era piú democratica la legislazione austriaca che non faceva tra di essi alcuna differenza e, sia che gli uni tentassero imporre ribassi sul salario, licenziando gli operai, gli altri estorcere aumenti, sospendendo il lavoro, comminava le identiche pene. Cfr. Il regolamento sull'industria, in Raccolta di leggi ed ordinanze della Monarchia austriaca, Innsbruck 1884, cap. VI, p. 677.

Dei codici vigenti in Italia prima del 1859, quello parmense puniva l'accordo pacifico fra operai se tendeva a sospendere, impedire o rincarare i lavori senza ragionevole causa; e fra padroni se ingiustamente ed abusivamente costringevano gli operai ad una diminuzione di salario, sempreché l'accordo fosse stato seguito da un principio di esecuzione. Quello toscano colpiva di sanzione penale il solo sciopero violento e non contemplava gli accordi fra datori di lavoro per ribassare il salario.

In Francia, con la legge 27 novembre 1849 si pareggiavano nella pena le coalizioni operaie e quelle padronali. Con la legge 25 maggio 1864 si proclamò la legittimità dello sciopero punendo il solo mezzo violento o fraudolento usato per provocare ribasso o rialzo nei salari o portare attentato al libero esercizio dell'industria o del lavoro.

In Inghilterra, fin dal 1824 si riconosceva la legittimità delle coalizioni. Cfr, Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1905, vol. XV, parte I, cap. Sciopero (A. ANDREOTTI).



63 RABBENO, Manuale dell'emigrazione, Firenze 1901.



64 Sulla legislazione sociale del tempo, Cfr. CONTENTO, La legislazione operaia, Torino 1901; CABRINI, La legislazione sociale, Roma 1913.





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