II.
Movimento operaio e propaganda mazziniana dal 1860 al 1864
1.
Prima presa di posizione dei
mazziniani
Tra la fine del 1859 e il 1860, con
l'annessione al Piemonte di tutto il resto d'Italia, eccettuate Roma
e la Venezia, coll'estendersi delle libertà costituzionali, la
diffusione del mutuo soccorso fra gli operai si accentuò in
tutto il paese: la Statistica del 1862 ci parla di 14
società fondate nel 1860 in Lombardia, 6 in Emilia, 3 in
Toscana, 1 nell'Umbria. Il Piemonte segue immediatamente la Lombardia
con 10 società nuove65.
In Lombardia il movimento operaio
assume fin da principio un carattere di grande praticità
rifiutando o non ricercando influenze e protezioni governative e
accogliendo con un certo favore il programma mazziniano; in alcuni
gruppi operai organizzati per categoria si fa subito strada la
tendenza di liberarsi da ogni controllo borghese, iniziando la
pratica della resistenza.
Dopo qualche anno il programma
mazziniano, in quanto concepisce le riforme sociali come
indissolubilmente legate a una precisa ideologia politica e
religiosa, cadrà in disgrazia; ma il suo contenuto piú
concreto e immediato (principalmente l'idea cooperativa) troverà
negli operai e in un gruppo di intellettuali apolitici degli
assertori e dei realizzatori entusiasti.
Nel dicembre 1859 vien fondata a
Milano l'Associazione tra i nastrai, che ufficialmente si limita a
sussidiare i soci invalidi, ma che, in pratica, si rivela una
Associazione di resistenza e promuove lo sciopero66. Nel
marzo 1860, sempre a Milano, in seguito a uno sciopero di seicento
tipografi67, sorge la Società tra gli artisti
tipografi, che si propone di tutelare e di far migliorare i contratti
di lavoro.
Accanto a questi due tentativi
riusciti, uno mancato: due lavoranti fornai, per ovviare alla
disoccupazione e alla esiguità dei salari si propongono di
unire in una lega tutti i compagni di lavoro (luglio 1860); in un
primo tempo riescono a passare ai disoccupati un sussidio
giornaliero, imponendo un contributo ai compagni impiegati. Piú
tardi, nominata una commissione che si reca dal governatore della
città a esporre le disagiate condizioni della classe, trattano
con i proprietari un aumento di salario. Ma non riescono a
conseguirlo, né, come pare, a mantenere in vita oltre il '60
la benefica lega68.
All'infuori di queste società,
gruppi isolati di operai, a partire dal 1860, tentano lo sciopero,
che per lo piú volge ad ottenere miglioramenti di salario.
Sono iniziative raramente fortunate: il salario è troppo
esiguo perché gli operai possano accantonarne una sia pur
minima parte in vista dello sciopero.
Piú importante di ogni altra
un'agitazione promossa dagli operai torinesi per ottenere le 10 ore
di lavoro: alcune categorie dichiarano lo sciopero e il 30 luglio si
raduna un comizio di circa quattromila operai. Questa audacia e la
vastità stessa dell'agitazione sconcertano tutti: i giornali
non sanno che atteggiamento assumere, un foglio moderato giunge
perfino a prender le parti dei dimostranti69; diverse società
operaie, invece, corrono ai ripari, declinando ogni loro
corresponsabilità70.
Altre iniziative importanti attuatesi
durante il 1860 nel campo operaio sono: la fondazione a Milano, sotto
la presidenza onoraria di Garibaldi, della Associazione generale di
mutuo soccorso degli operai di Milano (gennaio)71; e, ancora
a Milano, la apertura, da parte della Società degli
scalpellini, di una officina sociale, vera cooperativa di produzione
che dà lavoro ai soci disoccupati72. La prima acquista
prestissimo una grande prosperità sia per l'alto numero di
soci raggiunto (già duemila sul cadere del 1861) sia per la
vasta attività che esplica: oltre a organizzare il mutuo
soccorso, essa funziona infatti da agenzia di collocamento per i
disoccupati, impianta cooperative di consumo, scuole, biblioteche.
Nell'ottobre 1860 (dal 26 al 28) si
raduna a Milano l'VIII Congresso delle società operaie. Vi
partecipano i delegati di sessantaquattro società,
appartenenti oltre che alle antiche province del Regno di Sardegna,
alla Lombardia, alla Toscana e all'Emilia73.
Un democratico costituzionale (il
deputato Sineo), un deputato repubblicano-federalista (il Macchi) e
l'iniziatore dei congressi (Stefano Boldrini) vengono eletti alle
cariche presidenziali. Sineo pronuncia un discorso inaugurale nel
quale, tessendo l'apologia del movimento operaio svoltosi negli
ultimi anni e biasimando quanti lo hanno comunque ostacolato, deride
quegli uomini di Stato che si lasciaron prendere dal «panico
timore di terribili sovvertimenti sociali», come se questi
fossero il portato necessario d'ogni movimento operaio.
Dopo una relazione della Commissione
permanente, eletta nel precedente congresso (a questa commissione si
affidava di anno in anno la esecuzione delle deliberazioni prese nei
congressi e la cura di preparare il successivo) si passa all'esame di
alcuni quesiti, presentati dalle varie società operaie.
Si discute della iscrizione
obbligatoria degli operai alle società di mutuo
soccorso74; della partecipazione agli utili75; della
convenienza di raccogliere in ciascuna società operai di varie
categorie o non piuttosto di organizzarli per professioni76;
degli scioperi77; della necessità di istituire negli
opifici commissioni di sorveglianza che tutelino le condizioni
igieniche degli operai78; della istituzione di una cassa di
credito sul lavoro79; del modo di diffondere l'istruzione. Il
congresso chiede che il Parlamento voti la legge sull'istruzione
elementare obbligatoria80.
Fin qui la discussione di questioni
strettamente attinenti al movimento operaio e di mutuo
soccorso81. Non c'è dubbio che alcuni dei quesiti e i
dibattiti cui essi dan luogo attestano una matura coscienza dei
sostanziali interessi della classe operaia. Un grande senso di misura
caratterizza i lavori di questo congresso. Ma quanti sono gli operai
che prendon parte alla discussione? Io non ne ho trovati citati che
pochissimi: la quasi totalità dei delegati è composta
di avvocati, giornalisti, deputati, piccoli borghesi.
Bisogna perciò non esagerare
nella valutazione di questo congresso ed evitare di ricavarne
conclusioni troppo ottimiste sull'attività morale delle
singole società operaie.
L'ultima seduta è riservata
alla discussione di una spinosissima questione: il suffragio
universale. Devesi trattarla in un congresso esclusivamente dedicato
agli interessi operai? Sulla questione preliminare si incrociano i
pareri opposti, e in breve nasce un tumulto. Mentre alcuni sostengono
essere il suffragio universale il mezzo piú logico e piú
conveniente per rimediare ai mali della classe operaia, altri si
oppongono nettamente alla discussione. Si viene ai voti, questi
ultimi resultano in minoranza; è cosí radicata la loro
convinzione che, ponendo all'ordine del giorno argomenti di questo
genere, si rovinano i congressi operai, suscitando dissensi politici
quanto mai dannosi ai sostanziali interessi della classe lavoratrice,
che essi preferiscono ritirarsi anziché assistere al trionfo
della tesi avversaria82.
È importante notare come tra
questi ultimi si schierino i rappresentanti della frazione piú
evoluta della classe operaia: i tipografi di Milano. Non vogliono
sentire di suffragio universale, e son quelli stessi che, qualche
mese prima, hanno proclamato lo sciopero. Il loro atteggiamento, che
significa disinteresse per le questioni politiche, anticipa una ben
nota tendenza del futuro movimento operaio italiano, che troveremo
già notevolmente diffusa, con grande disperazione di Mazzini,
verso il 1871.
I delegati che rimangono al congresso,
dopo breve discussione, esprimono il voto che «venga allargata
la base elettorale in guisa che gli interessi delle classi operaie
siano sempre rappresentati». Col qual voto, non avendo nominato
il suffragio universale, par loro di aver salvato la situazione. La
nostra discussione, conclude il presidente nel toglier la seduta, «è
ristretta entro il circolo degli interessi operai»83.
Il Congresso di Milano vede dunque il
trionfo dei mazziniani: era la tesi di Mazzini che il primo dovere e
il primo diritto degli operai fosse quello di partecipare alle
competizioni politiche del paese. Non per questo si deve attribuire
agli sforzi di Mazzini o dei mazziniani il risultato del congresso.
Mazzini, nel 1860, con la ristampa del
suo vecchio scritto sui Doveri dell'uomo84, al quale
ha aggiunto un nuovo capitolo dedicato alla questione
economica85, ha esposto con grande chiarezza alle classi
operaie il suo programma sociale. Questa è la base necessaria
al lavoro cui egli si darà negli anni successivi per spingere
all'unificazione le società operaie e per tentare di
concentrare in sé il potere direttivo del movimento operaio
italiano. Ma questo lavoro non s'inizia davvero nel 1860.
Al Congresso di Milano partecipano
molti mazziniani, rappresentanti di società operaie liguri
(con alcune delle quali Mazzini ha sempre conservato relazioni
dirette) e lombarde. La questione del suffragio universale, posta da
uno di loro (il Franchini), trova consensi da parte di altri delegati
democratici, se pur non mazziniani. Si giunge cosí a un primo
improvviso successo della tesi mazziniana, senza che Mazzini v'abbia
direttamente contribuito e probabilmente contro o al di là di
ogni sua previsione. Tale successo rivela a Mazzini l'esistenza di
molti nuclei operai influenzati o diretti da elementi democratici,
sui quali si può agire per guadagnarli al suo concreto
programma sociale e politico: egli intravede la possibilità di
contrapporre alla organizzazione dei moderati, forte, ma limitata
alle province del Piemonte, un movimento compatto, vivace,
mazziniano, diffuso in ogni regione d'Italia. Bisogna perciò
darsi a una propaganda attivissima: spinger gli amici a entrare nelle
società operaie di tendenze incerte per farvi prevalere il suo
punto di vista, fondare società nuove affidandone la direzione
a uomini fidati; tentar di rompere, insomma, quella rete d'influenze
con la quale i moderati hanno tenuto avvolto fino allora il movimento
operaio, al fine di immobilizzarlo e d'impedirne ogni logico
sviluppo.
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