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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • II. Movimento operaio e propaganda mazziniana dal 1860 al 1864
    • 2. L'urto tra mazziniani e conservatori
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2.

L'urto tra mazziniani e conservatori

 

 

 

 

 

Il movimento operaio italiano prende un deciso sviluppo col 1861: in quest'anno sorgono 49 società nuove: 4 in Piemonte, 11 in Lombardia, 3 in Liguria, 5 in Emilia, 14 in Toscana, 4 nelle Marche, 5 in Umbria, 1 in Abruzzi, 1 in Puglia, 2 in Sicilia86.

Alcune, fin dalla loro fondazione, si prefiggono scopi assai piú vasti del semplice mutuo soccorso, e si organizzano in maniera da poter raccogliere gran numero di soci. Tale la Società operaia di Napoli, che sul cadere dell'anno ne conta già 2860, divisi in 20 corpi di mestiere87; la Società operaia di Arezzo, quella di Ancona, quella di Genova, la Rigenerazione proletaria di Torino, che unisce operai e contadini88, la Società operaia di Bologna che tenta la fondazione di un giornale operaio89.

Un'importanza speciale riveste la Fratellanza artigiana, fondata a Firenze nel febbraio 1861 per iniziativa di elementi democratici mazziniani (Dolfi, Cironi, Giannelli) e non mazziniani (Montanelli, Vannucci); la Fratellanza ha un vastissimo programma d'azione, che si riassume nel primo articolo del suo statuto: «In nome della Patria, dell'Umanità e del Progresso, gli artigiani d'Italia, usando le libertà che i tempi nuovi concedono, fanno fratellanza per cooperare al miglioramento intellettuale, morale e materiale della loro classe, mediante la istruzione, il soccorso reciproco e il credito». Si diffonde rapidamente in tutta la Toscana, tendendo ad «associare l'istruzione all'educazione, il lavoro al capitale», a riunire quanti «sudano nelle officine e nei campi in uno stesso principio di amore fraterno»90. Esercita il mutuo soccorso, apre scuole serali e festive, istituisce corsi speciali di economia. Sulla fine del 1861 conta già 1500 soci.

 

Il 1861 è anno di miseria per le classi operaie. Rincarano i generi di prima necessità, ma non aumentano i salari. Di qui scioperi e agitazioni. Si comincia a Napoli, nel febbraio, con lo sciopero degli arsenalotti; seguono a Castellamare di Stabia i tumulti di quattrocento operai licenziati; nel maggio scioperano i fornai di Torino; nel giugno gli operai di una fabbrica di vasellami a Napoli e i fornai a Firenze; nel luglio gli operai addetti ai lavori ferroviari a Napoli; a Messina, nel luglio, i conciapelli fanno una dimostrazione di protesta; a Napoli, nell'agosto, i tipografi; a Bologna e in varie altre città dell'Emilia, nel settembre, si verificano gravi tumulti contro la carestia; seguono, nell'ottobre, scioperi a Genova (falegnami), a Napoli (facchini) e a Milano (nastrai); nel novembre, ancora a Genova (calzolai) e a Palermo (sarti); nel dicembre a Napoli (vetturini) e a Firenze (operai delle strade ferrate). Repressioni piú o meno violente, arresti in gran numero troncano quasi tutte le agitazioni. Gli operai scioperanti, che non dispongono di casse di resistenza dalle quali attingere sussidi, riprendono il lavoro al piú presto per non trovarsi alla miseria. Le domande di diminuzione dell'orario lavorativo non vengono accolte: i proprietari sanno che non hanno nulla da temere dalle maestranze impotenti e che lo sciopero non può prolungarsi che per pochissimi giorni.

Solo gli operai nastrai della ditta Visconti (Milano), che sono apertamente sostenuti dalla loro società di mutuo soccorso, e che possono perciò restar senza lavoro per tre settimane, ottengono una completa vittoria; il proprietario concede loro il richiesto aumento di salario. È un esempio per le altre categorie di lavoratori.

Desta meraviglia il notare che il maggior numero di scioperi operai si verifica nel Sud d'Italia e specialmente a Napoli; non certo sotto il cessato regime borbonico le classi lavoratrici avevano appreso a esercitare questa evoluta forma di protesta.

È vero che le condizioni generali di malessere diffuse nel proletariato italiano in quell'anno si aggravano nel Sud pel concorso di altre circostanze. Ma non pare (né parve ai contemporanei) che ciò bastasse a spiegare il seguito ininterrotto di scioperi91. Chi li suggeriva agli operai meridionali? Si pensò – e forse in parte con ragione – che ci fosse la mano dei reazionari.

«La Nazione» (Firenze, 11 luglio), a proposito dello sciopero degli arsenalotti e operai delle ferrovie napoletane, disse chiaro che essi eran dovuti alle mene dei mandatari del Borbone, e approvò il governo che affrontava energicamente la situazione. «La Nazione», organo conservatore, aveva tutto l'interesse a denigrare le sommosse operaie92, ma è sintomatico che della stessa opinione fosse «Il Popolo d'Italia», giornale garibaldino di Napoli, il quale (21 febbraio) cosí scriveva: «Numerosi arresti si sono fatti questa mane fra gli operai dell'arsenale, addosso ai quali si trovavano armi diverse e revolvers. Ecco una nuova opera della reazione, una nuova congiura degli eterni nemici della Nazione. Pensi il clero alla grave responsabilità che pesa su di lui, perché è a lui che si fan rimontare le prime fila di questa cospirazione...»

Questi giornali riferivano voci e impressioni allora molto diffuse; che le loro induzioni avessero un qualche fondamento di verità non par dubitabile. Se infatti gli operai napoletani avessero ricorso spontaneamente allo sciopero, in base a un convincimento in essi radicato della efficacia di questa forma di lotta, come mai negli anni successivi, con l'indebolirsi della reazione politica, vedremmo progressivamente diminuire, se non quasi cessare affatto gli scioperi, mentre si moltiplicavano, diventando un'arma consueta di lotta, nelle altre regioni?

 

Nell'attesa del IX Congresso delle società operaie, che deve riunirsi a Firenze nel settembre 1861, Mazzini intensifica i suoi rapporti con le società di mutuo soccorso; vorrebbe che il congresso portasse alla unificazione delle forze operaie di tutta Italia. Il suo progetto è inviso alle società che subiscono l'influenza di elementi moderati; preoccupa le autorità.

«Condizione indispensabile di prosperità per le società di mutuo soccorsoscrive il ministro Manna nella relazione alla Statistica del 1862parmi essere il decentramento; voglionsi cioè mantenere le associazioni di cui è cenno, isolate città per città, borgo per borgo, villaggio per villaggio»93.

Mazzini non mirava soltanto a rivelare agli operai il segreto della loro forza, derivante da una organizzazione nazionale; ma anche – e soprattutto – a servirsi dei nuclei operai per il compimento della unità politica; scorgeva in essi l'unico mezzo per infondere in larghi strati della popolazione quella passione nazionale che egli considerava il primo gradino della emancipazione delle moltitudini. Le società operaie, inoltre, erano, dovevano essere, il punto d'appoggio per la prossima inevitabile rivoluzione repubblicana.

Questa la ragione fondamentale del suo febbrile interessamento alla organizzazione dei lavoratori. Bisognava non dar quartiere ai sostenitori della apoliticità delle società operaie, poiché chi vuol distrarre l'attenzione e l'interesse del lavoratore dai problemi politici del paese (sostiene Mazzini), gli nega il principale mezzo di emancipazione e di elevazione morale, proclama la sua inferiorità e, in ultima analisi, danneggia l'intera nazione, rendendo indifferente alle sue vicende l'elemento piú numeroso della società94.

Viene a sapere che la Fratellanza artigiana di Firenze cerca di promuovere una federazione di tutte le società operaie; e subito ne scrive (l'11 marzo) ad Andrea Giannelli: «Il lavoro artigiano impreso a Firenze, se ben diretto, può diventare importante. Aspetto a vederlo per giudicarne meglio»95. Ma il tentativo non riesce per la diffidenza che le società nutrono l'una verso l'altra, per gli screzi che dividono i dirigenti della Fratellanza96.

Il 20 giugno torna alla carica col Giannelli, incitandolo a lavorare attivamente in seno a quelle società operaie delle quali fa parte, nella imminenza del congresso: questo deve risultar «composto di uomini nostri – aver quindi in mano nostra la classe operaia da un punto all'altro d'Italia. Per questo è necessario ch'io sia certo della maggioranza dei delegati delle società; certo che accetteranno i nomi ch'io, senza mostrarmi, suggerirei. Questo vi spieghi perché io, noncurante di chi oggi dirige, insistessi che tutti i nostri, invece di tenersi in disparte, si cacciassero nelle società della loro circoscrizione. È necessario formare una maggioranza. Raccolgo ora liste e dati statistici delle società operaie da Milano a Palermo»97.

Il 13 settembremancano quattordici giorni alla inaugurazione del congressoMazzini si dichiara soddisfatto del lavoro compiuto. Egli spera che il congresso risulterà composto in maggioranza di uomini suoi; che approverà perciò l'unificazione delle società operaie98. In tal caso è necessario uno statuto, che dia le direttive fondamentali per lo svolgimento della organizzazione in tutta Italia. Allora si rivolge nuovamente a Giannelli: «manderei io segretamente le basi dello statuto, tanto che costituisse un atto di iniziativa della classe operaia in Europa»; e gli suggerisce tre nomi di uomini fidati ai quali il congresso potrebbe affidare l'incarico di rediger lo statuto (ossia, come vedremo, di accettare quello da lui proposto)99.

Poteva a buon diritto dichiararsi soddisfatto. In un anno aveva annodato relazioni con numerosissimi nuclei operai, era riuscito a farsi nominare, con i suoi piú fidi, socio onorario in molte società; moltissime società nuove si erano rivolte a lui per consigli; col 18 settembre «L'Unità italiana», che era il suo organo ufficiale, dedicava il numero domenicale agli operai, corredandolo di articoli sulle questioni del lavoro e di un largo notiziario sulla vita delle società di mutuo soccorso.

Solo il Piemonte, con la sua poderosa organizzazione, era rimasto estraneo a questo lavoro di propaganda.

 

Al Congresso di Firenze furono delegati da 124 società operaie 250 rappresentanti, dei quali 168 erano soci effettivi (operai e artigiani), gli altri soci onorari100; ma quelli che in realtà vi presero parte furono solo 199. Conosciamo i loro nomi101; è impossibile però classificarli tutti secondo il partito cui appartenevano, la maggior parte di essi non avendo lasciato memoria di sé in nessun campo. V'erano, tra gli altri, il Dolfi, il Mazzoni, il Savi, Felice Casaccia, Felice Dagnino, Girolamo Astengo, Siro Fava, appartenenti all'estrema sinistra mazziniana; Mauro Macchi, repubblicano federalista; Agostino Depretis, deputato di sinistra costituzionale; Gaspare Stampa, di idee non precise, ma tuttavia aderente alla sinistra d'azione; Pietro Sbarbaro per sua natura fuori d'ogni disciplina di partito; Francesco Domenico Guerrazzi102, i due fratelli Boldrini e Giuseppe Montanelli, democratici moderati.

Delle 124 società rappresentate, oltre metà appartenevano al Piemonte (67); 16 alla Liguria, 16 alla Lombardia; erano poi rappresentate alcune società toscane, emiliane, umbre, laziali, napoletane e sarde.

La Commissione permanente aveva ricevuto centotredici quesiti da proporsi alla discussione. Undici di essi concernevano questioni politiche e la commissione, per evitare i guai del Congresso di Milano, li aveva scartati103. Sugli altri (salvo alcuni riguardanti l'amministrazione delle società) val la pena di fermarsi un istante, per rendersi conto del modo col quale venivan prospettate le questioni del lavoro dai fautori del movimento operaio.

Va notata subito una cosa. Ed è la scarsità dei quesiti presentati dalle società piemontesi, che pure costituivano la maggioranza di quelle aderenti al congresso: gli è che i moderati, cui esse obbedivano, ammaestrati dall'esperienza milanese, erano ormai diffidenti di fronte alle nuove tendenze che s'andavan facendo strada nel movimento operaio; seguivano preoccupati la intensa attività di Mazzini e ora concentravano i loro sforzi nel mobilitare quanti piú potevano fautori del loro programma, i quali vigilassero sull'andamento del congresso, pronti a levare una solenne voce di protesta nel caso, molto probabile, che i democratici intendessero di ripetere la manovra dell'anno precedente. C'erano grosse questioni preliminari da discutere: i quesiti passavano in seconda linea.

I democratici fecero invece un notevole sforzo perché il congresso riuscisse un'ordinata esposizione di tutti gli aspetti piú importanti del problema operaio, di fronte al paese. Il gruppo di quesiti da essi presentato, insieme ai pochi dei piemontesi, raggiunse pienamente lo scopo: tali quesiti toccavano il problema delle relazioni fra capitale e lavoro (istituzione dei probiviri), del miglioramento dei salari104; suggerivano l'impianto di banche di credito sul lavoro e di cooperative di produzione, sostenevano la necessità di un intervento collettivo delle Associazioni per ottenere una riduzione delle ore di lavoro e un regolamento sull'impiego dei fanciulli nelle fabbriche; proponevano si istituissero sussidi di disoccupazione, si cercasse di ottenere dal governo per le società operaie almeno la preferenza nell'accollo dei lavori pubblici; mostravano inoltre l'opportunità di promuovere un'inchiesta generale sulle condizioni della classe lavoratrice in Italia, spingevano all'unificazione delle società operaie, ponevano il problema dell'istruzione del proletariato, suggerendo l'istituzione di scuole speciali, di corsi di economia, di premi ad autori di libri popolari, di restrizioni da farsi nelle società agli operai analfabeti; domandavano infine che i congressi si componessero in maggioranza di veri operai e che venisse fondato un monitore della classe lavoratrice. Due quesiti proponevano che le società operaie unissero i loro fondi per acquistare terre incolte da affidarsi pel dissodamento e la cultura a operai disoccupati105.

C'era dunque di che alimentare un magnifico Congresso; bisognava metter da parte ogni altra preoccupazione e tentar di risolvere alcuni di quei problemi; cosí soltanto i numerosi borghesi radunati a Firenze avrebbero potuto rendersi veramente utili alla classe operaia. Ma la questione della politicità, sulla quale s'imperniava il profondo dissidio tra democratici e moderati, impedí il pacifico svolgersi dei lavori.

Il congresso si inaugura il 27 settembre 1861. Il giorno prima, la fiorentina «Nazione» chiarisce il punto di vista dei moderati: troppi e non tutti strettamente attinenti al mutuo soccorso sono i quesiti presentati; si lodano gli organizzatori, che hanno bandito i quesiti di natura politica, provando cosí di aver compreso «quanto non solo inutile ma dannoso sarebbe stato seguire i consigli che dava alla Società di Bologna il Mazzini». Se le società operaie di mutuo soccorso «si convertissero in conventicole politiche, la loro natura sarebbe falsata, il loro scopo mancherebbe, la loro prosperità sarebbe compromessa dal sospetto e dalla diffidenza, che sono la morte della carità». L'articolo termina con l'augurio che nel congresso non si abbia a «deplorare la diffusione di false dottrine economiche, che per ora in Italia non sono penetrate nel popolo. V'hanno quesiti, dal modo di svolgere dei quali dipende il vedere se si vogliono o tener lontane dagli operai o infiltrare in essi certe massime, che può glorificare la scuola socialista, ma non può non condannare chiunque, non diremo profondo, ma sia alcun poco iniziato nello studio dei sani principî economici».

Il diffidente compiacimento della «Nazione» dura ben poco. Si è appena inaugurata la prima seduta che i deputati delle società operaie di Cagliari e Sassari presentano la seguente interrogazione:

«Se la Sardegna venisse, fors'anche da una nuova falange di 229, smembrata dall'Italia, e se lo straniero si attentasse di occuparla, vi obbligate voi a protestare contro il fratricidio, e ad impedire, con tutti i mezzi dipendenti dalle associazioni operaie, che l'usurpazione venga consumata? Accorrete voi in aiuto dell'isola sorella, in virtú dello stesso principio di mutuo soccorso che lega i membri delle vostre associazioni106.

Circolavano, in quei giorni, voci allarmistiche su una probabile cessione della Sardegna alla Francia: mazziniani e garibaldini avevano scatenato una campagna vivacissima contro Napoleone III e il governo di Torino, accusandoli di ostacolare il compimento dell'unità italiana, di voler mutilata l'Italia, macchinando altri baratti sul genere di quelli di Nizza e Savoia. Con l'interrogazione dei sardi, nettamente antigovernativa, s'impone la questione politica e il dibattito di partito.

Vincenzo Boldrini, tra il tumulto suscitato dall'interrogazione, sostiene che bisogna dapprima e una volta per sempre stabilire se al congresso si può o non si può discutere di politica. Uno dei sardi tenta dimostrare – e l'assunto era certamente ardito – che la questione dell'isola non è punto politica, bensí proprio di mutuo soccorso, perché si tratta d'impedire il passaggio di fratelli dalla libertà al servaggio. La confusione nell'assemblea aumenta. Mentre il presidente sospende la seduta, molti delegati escono protestando. Ad evitare guai piú grossi, lo stesso delegato sardo propone ai congressisti di limitarsi a dichiarare che «chiunque proponesse la cessione della Sardegna sarebbe dichiarato traditore della patria, il che ritiene impossibile», e che si passi ad un altro argomento.

Ma niente può ormai arrestare la battaglia appena iniziata.

Guerrazzi, il quale è favorevole alla politicità delle società operaie107, dichiara ritenere questione di moralità che la discussione non si chiuda in modo equivoco: il congresso deve pronunciarsi esplicitamente su tale problema. Sbarbaro sostiene invece che le controversie politiche costituiscono il maggior ostacolo all'incremento del mutuo soccorso nonché alla progressiva soluzione dei problemi del lavoro108, controbatte il Guerrazzi109, Vincenzo Boldrini espone un punto di vista conciliativo: gli operai non debbono disinteressarsi delle questioni politiche, ma non devono neanche mutare in comizi politici i loro congressi annuali. Replica ancora lo Sbarbaro110 e finalmente il Montanelli, in vena di conciliazione, escludendo che i congressi possan mai farsi mancipi di politica partigiana, presenta un ordine del giorno tutt'altro che chiaro, tutt'altro che risolutivo, anzi suscettibile di opposte interpretazioni, il quale, s'intende, vien frettolosamente approvato con 72 voti favorevoli e 30 contrari. «L'assemblea dichiara: che le questioni politiche non sono estranee ai suoi instituti quante volte le riconosca utili al suo incremento e consolidamento».

Nella votazione non vi sono astenuti: dunque quasi un centinaio di congressisti è assente. E le cronache dei giornali riferiscono che i piú si sono ritirati durante la tumultuosa discussione politica, protestando per la illecita deviazione dall'ordine dei lavori.

Col ritiro di quasi la metà dei delegati, il IX Congresso operaio perde quell'importanza che, nella intenzione degli organizzatori, e soprattutto dei mazziniani, doveva rivestire. La grandissima maggioranza dei delegati rimasti è costituita da democratici.

Se ne sono andati, in blocco, i rappresentanti delle società piemontesi, la piú parte moderati, gli altri democratici non mazziniani.

Il 28 settembre s'inizia la discussione sui quesiti, quando ormai l'importanza e l'interesse che essa poteva rivestire sono in gran parte caduti, col dileguarsi delle possibilità di un esauriente scontro d'idee e di programmi fra moderati e democratici. Le risoluzioni si seguono monotone e prevedibilmente vane, a conclusione di discussioni generalmente affrettate e incolori. Da rilevarsi qualche accenno, lievissimo invero, a una differenza di valutazione delle concrete questioni del lavoro fra i delegati borghesi e quelli operai. Discutendosi per esempio di come si possa ottenere il riscatto delle plebi, mentre i primi dichiarano di fidar soprattutto nella diffusione dell'istruzione, nella concessione del suffragio universale e nella unificazione delle società operaie, due operai sostengono che è vano parlar d'istruzione quando i lavoratori non hanno tempo per istruirsi; e un altro avverte che finché i ragazzi saranno costretti dalla necessità ad impiegarsi nelle officine sarà difficile pretendere che si istruiscano. Ma nell'ordine del giorno che poi tutti i delegati votano concordi si piú peso alle opinioni dei borghesi intellettuali:

«L'Assemblea delle società operaie, riconoscendo non potersi ottenere il sollecito e completo riscatto delle plebi senza sviluppare ed estendere l'associazione mediante l'unificazione delle società, procurare il suffragio universale e l'istruzione obbligatoria e secolarizzata, delibera di eleggere una commissione incaricata di avvisare ai modi piú convenienti per ottenere l'uno e l'altro».

Due borghesi e un operaio (Savi, Mazzoni e Franchini), mazziniani tutti e tre, vengono incaricati di studiare le modalità della unificazione delle società operaie e un regolamento generale.

La discussione piú concreta ed utile è, fra tante, quella che si svolge sul problema dei salari; è questo un problema universalmente sentito, urgente: che i salari siano insufficienti è innegabile. Le agitazioni e gli scioperi scoppiati nel paese ne sono una prova.

E i congressisti, consci della situazione, sentono la necessità di evitare lunghi discorsi e di fare invece proposte precise111.

Guerrazzi e Bianchi (di Sestri Ponente) propongono la creazione di una banca di credito artigiano112; Geimonat (di Genova) caldeggia la istituzione di cooperative di produzione; Sbarbaro suggerisce che le società operaie si tengano in continuo contatto per informarsi reciprocamente sulle condizioni del mercato del lavoro nella propria regione, che gli operai possano sapere dove abbondano e dove scarseggiano le domande di lavoro. Pedretti (di Torino) espone un suo grandioso piano per la fondazione di una società industriale con capitale versato dalle società operaie, che abbia per scopo la soluzione progressiva e integrale del problema del lavoro, attraverso l'impianto di banche operaie, di case operaie, di cooperative, di istituti per l'istruzione tecnica e via dicendo113. Fra gli operai, Franchini è per le cooperative di consumo; Alessio (di Genova) sostiene che necessità preliminare è la riduzione dell'orario di lavoro. Di queste e di altre proposte tien conto l'ordine del giorno conclusivo presentato da Guerrazzi, Sbarbaro e altri quattro delegati. Ordine del giorno che è la sintesi del congresso e che rappresenta uno sforzo notevole di concretezza e di praticità, per quei tempi, di fronte a un problema cosí grave e complesso.

«Il Congresso, considerata la questione dei salari urgentissima, proponendola allo studio della Commissione e di tutti i soci, dichiara funesto essere agli operai ogni sciopero ed ogni mezzo violento. Vero e sicuro modo di rialzare le condizioni materiali dell'operaio essere il progresso, l'accrescimento e l'organamento delle società operaie. E provvisoriamente, doversi ricorrere nelle contingenze dei casi a interporre uomini probi e retti scelti nel seno della società e tra gli amici degli operai per ottenere equi e cristiani provvedimenti a proposito dell'accrescimento dei salari e della riduzione delle ore di lavoro, come pure domandare l'abrogazione di quegli articoli del codice penale che puniscono le coalizioni degli operai. E raccomandare la formazione dei comitati di previdenza».

Il congresso si chiude, dopo che si è proceduto alla elezione della nuova Commissione permanente, a formar la quale vengono chiamati, s'intende, tutti democratici, i piú appartenenti alla sinistra mazziniana, con Garibaldi in testa.

Su 13 membri, 3 soli operai114.






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86 Notizie ricavate dalla Statistica del 1862 cit., e quindi incomplete,

La cooperazione di consumo, che già è stata tentata con successo negli anni precedenti, si diffonde gradatamente. Qua e si aprono spacci cooperativi, le società di mutuo soccorso studiano la possibilità di moltiplicarli. Nessuna statistica, però, ci permette di seguire attentamente nei primi suoi passi questo movimento che troveremo fiorente due o tre anni piú tardi.



87 «La Nuova Europa», Firenze, 23 novembre 1861.



88 L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze della Fratellanza artigiana d'Italia. Cenni storici, Firenze 1911, pp. 35-36.



89 Il 5 luglio 1861 essa si rivolge per aiuti al Bertani, poiché «componendosi... la detta Società di quasi tutti poveri operai, non possono distrarsi i fondi destinati al mutuo soccorso». Bertani risponde il 10 luglio, avvertendo che le strettezze finanziarie difficilmente potranno permettere la pubblicazione di un giornale. Ad ogni modo spedisce 100 lire a mo' d'incoraggiamento, «nella persuasione che siete voi e che sono io che si fonda cosa ottima promovendo la coltura degli operai». Archivio Bertani, cart. 50, Milano, Museo del Risorgimento. L'iniziativa non ebbe poi seguito. Nell'agosto, invece, iniziò le pubblicazioni, a Milano, la «Gazzetta degli Operai italiani», organo delle società di mutuo soccorso.



90 A Livorno nell'agosto 1861 e a Lucca nel settembre sorgono due altri Comuni della Fratellanza.



91 Non pretendo davvero di averne dato un elenco completo.



92 Il 18 giugno, infatti, benevolmente commentando l'arresto di alcuni fornai scioperanti effettuato a Firenze, scriveva: «Il paese non vuole disordini... Il tempo degli arbitrii e delle violenze è finito per il governo e per la piazza. E arbitrii e violenze di piazza sarebbero questi che si vanno eccitando, sotto insussistenti pretesti, onde scomporre la quiete pubblica... Questi giovani operai non debbono dimenticare che il codice penale provvede severamente a simili licenze».



93 Statistica del 1862 cit., p. VII.



94 L'11 marzo si congratula con gli operai livornesi perché hanno protestato contro quanti affermano essere ad essi vietato occuparsi «di politica e di religione, quasi l'operaio non fosse uomo e cittadino, bensí un semplice strumento di produzione» (Lettere di Giuseppe Mazzini alle società operaie d'Italia, scritte nel decennio 1861-1871, Genova 1873, pp. 1-2). L'11 agosto rivolge lo stesso elogio agli operai di Napoli (ibid., p. 2).



95 Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli, 4 fascicoli, Prato 1888-92, p. 178.



96 Scrive infatti il Giannelli, a mo' di commento alla citata lettera di Mazzini, lamentando che nella Fratellanza siano prevalsi elementi democratici non mazziniani: «Si preferí a noi il Montanelli, il quale era notoriamente un fautore della politica di Luigi Napoleone in Italia!» In effetti, il Montanelli aveva (tra l'altro) parteggiato per la cessione del trono di Napoli a Luciano Murat.



97 Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., p. 180.



98 Il 14 agosto ha scritto alla Società di Bologna che, qualora il congresso sancisse l'unione di tutte le società, «la potenza dell'elemento operaio sarebbe costituita. La lega del popolo sarebbe fondata». E piú oltre: «Se Dio mi vita oltre il riscatto di Venezia e di Roma, essa sarà tutta consacrata allo sviluppo degli interessi vostri, che sono gli interessi d'Italia. S'ei me la toglie prima, ricordatevi con un po' d'affetto d'un uomo che v'ha sinceramente amati e che ha sperato molto in voi, per la patria, quando nessuno si occupava di voi, della vostra emancipazione e del vostro avvenire» («La Nuova Europa», 31 agosto 1861).



99 Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli, cit. p. 183.



100 La percentuale dei soci onorari era piuttosto elevata; ma lo era anche – vedremo – in seno alle singole società.



101 Cfr. elenco completo in «La Nuova Europa», 26 settembre 1861.



102 Guerrazzi era rappresentante del Comune livornese della Fratellanza artigiana; al cui presidente, ringraziandolo per tale nomina, scriveva sul cadere d'agosto del 1861: «Come voi zelatore della causa e degli interessi del popolo, mi è riuscito di non mediocre consolazione vedere com'egli non mi abbia messo in oblio accogliendomi nel suo seno e confidandomi il carico onorevole di rappresentarlo al Congresso di Firenze» («La Nuova Europa», settembre 1861).



103 Dieci fra i quesiti politici riproponevano la questione del suffragio universale; l'altro riguardava l'eventualità di una cessione della Sardegna alla Francia e il conseguente atteggiamento da assumersi dalle società operaie.



104 Caratteristico nella sua ingenuità il quesito presentato dalla Società operaia di Pinerolo: «Dare un ricorso al ministro di Commercio acciocché provveda a che tutti i principali aumentino le paghe agli operai in proporzione del loro guadagno del 20%».



105 La serie completa dei quesiti venne stampata su «La Nuova Europa», 22 settembre 1861.



106 «L'Unità italiana», Milano, 29 settembre 1861. In generale per la storia del Congresso ho seguito, oltre all'«Unità italiana», «La Nuova Europa» e «La Nazione», e soprattutto gli Atti del IX Congresso degli artigiani d'Italia [Firenze 27, 28, 29 settembre 1861], Firenze 1861.



107 Nella lettera già citata al presidente della Fratellanza artigiana di Livorno, scriveva: «Voi sapete come sia gelosa cura del governo che le società operaie non assumano nessun carattere politico. Io veramente credo che precipuo loro scopo abbia ad essere procurare lavori, agevolarli, soccorrersi, istruirsi, migliorarsi, provvedere alle disgrazie, alla vecchiezza ed altre necessità: tuttavia, le società operaie non possono né devono essere estranee alla politica».



108 Lo Sbarbaro mantenne sempre questa sua opinione. Il 27 dicembre 1870 scriveva a Boldrini: «Io ho costantemente sconsigliato alle società di mutuo soccorso di confondersi nelle miserabili contenzioni civili... ho sempre sconsigliato alle nascenti società di mutuo soccorso di mettersi sotto la bandiera politica di Mazzini» («La Roma del Popolo», 15 marzo 1871).



109 «È impossibile – egli dicescindere l'operaio dal cittadino; se a quest'ultimo tutti riconoscono il diritto anzi il dovere di occuparsi delle vicende del proprio paese, come si potrà contrastarlo all'operaio? Ma si dice: libero l'operaio di aderire a quel partito che piú gli aggrada; gli si chiede soltanto di non far della politica nelle associazioni di mestiere (e quindi nei congressi di tali associazioni); ma il povero non ha troppo tempo da spendere; il tempo è moneta per tutti; pel popolo è il solo patrimonio; se gli togliete di favellare di politica nella sola ora di riposo che ha, significa a un dipresso costituirlo vescovo in partibus della politica». La questione economica e la politica non possono scindersi: «se l'operaio si occupa solo delle faccende materiali in economia, si formerà idee assolute astrattamente buone, pessime, anzi sovversive nell'applicazione. A mo' d'esempio piacerà al popolo il comunismo, anco Cristo lo predicò, dunque è buono; chi vorrà impedirlo? È solo lo studio delle cose politiche che gl'insegnerà altro essere un sodalizio di alcuni apostoli, altro un consorzio sociale e gli farà toccare con mano che i suoi desideri e le pretensioni sue è forza che restringa, e sottoponga alla necessità politica. Allontanato il popolo dallo studio della politica, ci tornerà con passione... E tornerà alla politica eccessivo, e talora erroneo, e assurdo e feroce. I nostri avversari seminano la rivoluzione. , vi dico, la seminano, e giorni amari per loro, e per la patria; noi se potessimo giovarci del nome "moderati"».



110 Non si vuole interdire all'operaio di occuparsi di politica, se ciò gli sembri opportuno, ma alle società di mutuo soccorso, egli dice, affinché non si riducano come in Francia dove, col mescolarsi di politica «andarono in rovina, porsero al governo imperiale un pretesto d'intervenire nelle loro faccende ed ora languono all'ombra della protezione governativa». «Se si vuole educare alla vita politica le plebi, o perché non si opera a formare dei comitati e dei ritrovi a questo proposito



111 Fa eccezione il solo discorso di un certo Manganelli, socio onorario, di Perugia, il quale vorrebbe si raccomandasse ai capitalisti di essere umani e caritatevoli, agli operai di mantenersi laboriosi e sobrii, al re di favorire le industrie.



112 È appunto il Guerrazzi, che ricorda i molti scioperi avvenuti, e dichiara che bisogna ad ogni costo evitarne la ripetizione, affrontando virilmente il problema dei salari.



113 Il Pedretti è vicepresidente della società La rigenerazione proletaria, di Torino. Egli sostiene che l'emancipazione ha da esser conquistata dagli operai con loro sacrificio personale; non si facciano illusioni sulla collaborazione delle altre classi: filantropi non ce ne sono, vano è lo sperare dai governi, piú vano che mai sperare che gli industriali rialzino spontaneamente i salari, quando possono sempre trovare operai disposti, per fame, ad accettar lavoro a qualunque prezzo. Ma, a sua volta, il Pedretti non è immune dalla illusione, classica in Italia, delle terre incolte. Vorrebbe impiegare le braccia inoperose nell'agricoltura, la quale è la vera ricchezza italiana: essa, a differenza dell'industria, non richiede che si spendano milioni all'estero per l'acquisto delle materie prime. Nel dissodamento delle terre incolte troverebbero lavoro migliaia di lavoratori, ciò che provocherebbe un aumento di benessere degli operai manifatturieri. Il Pedretti fa noto che La rigenerazione proletaria intende appunto costituire una società per la compra, la coltura e la vendita delle terre incolte.



114 Garibaldi, Montanelli, Dolfi, Savi, Franchini, Guerrazzi, Geimonat, Bianchi, Casaccia (Genova), Parola (Cuneo), Silvani (Tortona), Da Passano (Spezia) e Allegrini (Lucca).





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