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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • II. Movimento operaio e propaganda mazziniana dal 1860 al 1864
    • 3. La divisione delle forze
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3.

La divisione delle forze

 

 

 

 

 

I delegati che si son ritirati, protestando, dal Congresso di Firenze iniziano subito sulla stampa amica una campagna contro la maggioranza del congresso e i suoi deliberati «sovversivi».

«La Nazione» ospita con molta compiacenza i loro sfoghi. Fin dal 30 settembre essa pubblica una dichiarazione firmata da quarantaquattro rappresentanti di società operaie, piemontesi le piú, liguri e lombarde le altre, con la quale si protesta «in modo solenne e formale» contro la votazione dell'ordine del giorno Montanelli «con cui si verrebbe ad introdurre nelle società di mutuo soccorso un principio politico che urta ed è eminentemente in opposizione al vero, al solo, al grande principio che informa le società stesse, che è quello del mutuo soccorso, della istruzione, della educazione e dell'amore al lavoro, dalle quali cose e da non altra qualsivoglia utopia può sorgere e grandeggiare in bene della patria italiana, la vera forza e la ricchezza morale che materiale». Seguono nei giorni successivi, sulla «Nazione», sulla «Gazzetta di Firenze», altre proteste con motivazioni che offrono un grande interesse. Il presidente della Società operaia di Valenza, ad esempio, si lamenta perché si son volute mutare «le nostre adunanze in circoli politici, in cui si agitano le medesime passioni che dodici anni fa rovinarono l'Italia. Che cosa dirà ella, signor direttore, quando sappia che il deputato di Cagliari si raccomandava ai suoi colleghi perché non lasciassero sola la povera Sardegna, che va a vendersi a qualcuno? quando si censura il Parlamento

In tutta la stampa s'accende una polemica vivissima tra politici e apolitici, tra moderati e uomini del partito d'azione.

«Noi non pensavamosentenzia "La Nazione" il 20 settembre – che la Toscana, dove le idee di libertà economica sono ormai passate nel sangue di tutti, potesse venir prescelta a discutere di argomenti pigliati a prestito dalla scuola socialista, o razzolati fra i vecchiumi del protezionismo115 e usati sempre ad eccitare nelle masse incivili passioni».

Il 2 ottobre vien pubblicato il Proclama motivato di protesta dei deputati del Piemonte, Lombardia, Emilia, contro il IX Congresso tenutosi a Firenze, in cui si raccolgono e si sviluppano gli argomenti già esposti in singole dichiarazioni; credevano quei deputati d'essere tutti sudditi del re e invece, a Firenze, «sapemmo che eravamo nel regno dell'idea, nell'impero dell'apostolo della sistematica rivolta al governo, nella fucina delle sventure nazionali del '48 e del '49»116.

L'esito del Congresso operaio, i profondi dissensi che vi si sono rilevati costituiscono uno splendido pretesto, per i moderati, per scatenare una nuova vivacissima campagna contro Mazzini. Il quale – nessuno ora potrà negarlo – vuole la rovina del paese, l'anarchia, e inizia l'attuazione del suo programma col guastare le pacifiche società operaie.

È curioso notare che, nel congresso, non s'era fatto il nome di Mazzini che una volta sola. Ma il silenzio sul suo nome, certamente da lui imposto, non impedí che tutti comprendessero essere la battaglia impegnata su di lui e sui suoi principi.

Il 3 ottobre «La Nazione» gli dedica un articolo. Gli eventi del IX Congresso operaio «chiariranno alle moltitudini... quanto sia sincero, disinteressato, alto e diritto l'amore che loro professano a parole certi tribuni della plebe»; per i quali il mutuo soccorso e la previdenza «non costituiscono uno scopo, un'opera santa, da proseguirsi da ogni anima generosa per il meglio delle classi operaie, ma uno strumento d'opposizione al governo italiano, ma un'arme di partito»; «egli è bene che la Nazione sappia come la maggior parte delle società operaie non siano punto disposte a divenire zimbello e strumento nelle mani del signor Mazzini, e che d'ora innanzi o non interverranno piú ai congressi o si metteranno d'accordo per escludere gli agitatori e gli arruffapopoli».

I mazziniani non subiscono inerti la raffica. Chiariscono e giustificano i deliberati del congresso, provano la calunniosità delle accuse che vengono loro lanciate. La Fratellanza artigiana, il 6 ottobre 1861, rilevando in un manifesto come i «bianchi e i neri, i moderati e i retrivi, i sedicenti liberali e gli assolutisti, si sono trovati uniti per spargere che vogliamo trasformare le associazioni di mutuo soccorso in congreghe politiche e usurpare perfino le prerogative dello Stato», si domanda se la causa del loro atteggiamento non debba attribuirsi, piuttosto che a ragioni di principio, al loro dispetto nel vedere le associazioni operaie aderire sempre piú numerose ai partiti di opposizione. Gli odierni apolitici, infatti, «sono gli stessi che nel Congresso del '58 proponevano affiliare codeste associazioni alla politica Società nazionale, fondata a fini esclusivamente politici». L'origine dei dissensi poi sta nella proposta, votata dal Congresso di Milano di chiedere al Parlamento il suffragio universale117.

Qualcosa di vero c'era senza dubbio, in questa affermazione; difatti, in un'altra protesta contro il IX Congresso, firmata dai delegati della Società operaia di Torino, si trova espressa l'opinione che il voto universale sia «dannoso alla patria ed agli operai, ed utile solo ai reazionari ed ai mestatori politici che, sperando il popolo dimentico del passato, sia per nuovamente accordarle [sic] quella popolarità da loro in altri tempi male usata»118.

Non dunque soltanto divergenze sulla politicità o meno delle società operaie ma, piú largamente, sul programma mazziniano.

Col Congresso fiorentinoscrive «La Nazione», 13 Ottobre 1861 – «la guerra civile, per ora morale, doveva entrare col signor Mazzini in quei tranquilli ritrovi e funestarli. Egli incominciò a scriver lettere da ogni parte, e dove sperò trovar proseliti ad inviare emissari. Accarezzò le ambizioni, e fece credere a' semplici ed onesti operai, a' fornai ed a' calzolai di essere economisti e scrittori, e dié loro a firmar articoli di filosofia socialista, di scienze morali, di legislazione, di economia...»119; è dovere degli onesti quello di rivelare «tutto intero il programma del partito d'azione, capitanato dal Mazzini», che, in sostanza, si riduce a voler disfatta l'Italia, provocando nel suo seno lotte fraterne e guerre esterne120. Se bisogna «guardarsi dagli agenti dell'Austria, da quelli del cardinale Antonelli, non bisogna dimenticare i socialisti del Mazzini, gli usurpatori di camicie rosse».

La polemica dilaga, s'invelenisce.

«L'Unità italiana» ribatte una ad una le affermazioni dei moderati, facendo notare che le società operaie dissidenti appartengono al solo Piemonte: «ciò che prova una volta di piú l'antagonismo, in cui il Piemonte s'è messo di fronte a tutta l'Italia»121invita gli operai italiani a scegliere fra il programma mazziniano e quello dei moderati, i quali pretendono che i lavoratori «si occupino esclusivamente degli interessi materiali... senza mai osare di lagnarsi se il governo conduce a perdizione il paese»122.

Intervengono nella polemica perfino giornali stranieri. «La Patrie», portavoce dei clericali francesi, scandalizzata per le proteste contro l'occupazione francese di Roma che non sono mancate nel Congresso operaio, loda senza riserve quanti hanno voluto apertamente separarsi da chi «minacciava di mettere a fuoco e fiamma col socialismo, col comunismo... l'Italia tutta»123.

Ai dissidi di partito si aggiungono quelli, piú meschini, di persona. Dolfi, Macchi, Sbarbaro, Fava s'accapigliano per le gazzette, rinfacciandosi il contegno tenuto al congresso: Macchi è tra i secessionisti; Sbarbaro, che ha partecipato a tutte le sedute, si è poi associato ad essi124. Una profluvie di opuscoli riesamina a fondo, in vario senso, la vexata quaestio della politicità125.

Mentre i moderati e i mazziniani s'accapigliano, la stampa clericale si gode lo spettacolo: l'esito del Congresso di Firenze prova ancora una volta che, quando si è imboccata la via della rivoluzione (e sono i moderati che l'hanno imboccata, a suo tempo), non ci si può fermare quando e dove si vorrebbe: c'è una logica della rivoluzione. I mazzinianiscrive «La Civiltà cattolica» nel dicembre 1861 – «tengono il disopra, e a vero dire hanno dato saggio di molto miglior logica e di migliore accorgimento che non i proseliti del ministero»126.

Se i secessionisti appartengono quasi tutti a società piemontesi, pure l'assidua propaganda che essi fanno muove alla ribellione contro il Congresso di Firenze anche gruppi d'operai d'altre regioni; perfino a Firenze una settantina di soci della Fratellanza artigiana presentano le loro dimissioni dichiarandosi «disposti sempre per altro ad iscriversi ad una società di mutuo soccorso la quale offra garanzie certe di non servire a intenti settari e personali ambizioni»127. E s'intende che i moderati trovano subito modo di contentarli, fondando nel '61 stesso, in Firenze, una Società operaia, che il mazziniano Minuti accusa di non aver altro scopo che quello di «dividere le forze artigiane e tenerle lontane da ogni azione politica e sociale»128. A Livorno, la Società degli artigiani muratori inserisce nel suo Statuto un articolo in base al quale la Società «esclude la politica, la quale distoglie dal lavoro, accende quistioni e discordie, e rende l'artigiano ozioso e superbo»129.

Tanto scalpore, discussioni tanto accanite non possono non sboccare in qualcosa di concreto che ribadisca la netta divisione determinatasi nel campo operaio. I secessionisti, ossia gli antimazziniani, propongono la convocazione di un controcongresso operaio, considerando come non avvenuto quello fiorentino. La Società operaia di Torino, che lancia l'idea, spiega che i pochi delegati rimasti a cianciare a Firenze «a vece di essere operai erano nella massima parte avvocati, giornalisti, romanzieri o marchesi». «Le esorbitanze state dette o scritte a nome nostro nel preteso Congresso di Firenze da uomini di un partito funesto all'Italia ed avverso alla maggioranza della Nazione, dove non ci attirarono addosso il ridicolo, ci provocarono contro la disapprovazione generale»130.

E mentre Mazzini, scrivendo agli operai di Parma, il 25 ottobre 1861, accenna ai «pazzi ed imprudenti sospetti, seminati sulla vostra via da uomini che dovrebbero salutare il vostro risveglio con orgoglio» nonché «agli errori di alcune vostre società che, illudendosi a poter migliorare le sorti materiali del popolo separatamente, condannerebbero senza avvedersene le associazioni operaie ad essere associazioni di ciechi e meccanici strumenti di produzione»131 – molte di queste associazioni accolgono con favore la proposta torinese; e il luogo di questa vera e propria dimostrazione antimazziniana viene fissato ad Asti.

I mazziniani, per burla o per stizza, chiamano questo controcongresso, che s'aduna il 10 novembre, il Sonderbund astigiano, paragonandolo alla lega fondata nel 1846 in Svizzera tra i cantoni cattolici contro la progressiva unificazione federale.

Vi partecipano 106 società, delle quali 84 piemontesi, 6 emiliane, 5 liguri, 5 toscane, 5 lombarde e una di Napoli132. Si discute e si approva il seguente ordine del giorno: «L'assemblea di Asti, mentre dichiara che lo scopo delle società di mutuo soccorso non è la trattazione della politica, e che per la propria conservazione e l'incremento del bene popolare, debbono anzi astenersene, non ammette dubbio che l'operaio possa con ciò essere buon cittadino». Si nomina quindi una Commissione (composta in maggioranza di democratici), perché faccia noti questi deliberati agli uomini di Firenze.

In tal modo, con una profonda divisione di forze, tra ire e recriminazioni, si risolve il tentativo di Mazzini volto a unificare, sotto la sua indiretta influenza, i nuclei operai d'Italia. L'esule, che tante speranze ha fondato sui risultati del Congresso di Firenze, ne è addoloratissimo; ma è uomo che l'insuccesso non ha mai scoraggiato, anzi ritemprato di forze. Giudica gli ultimi avvenimenti come sintomi della immaturità del movimento operaio italiano e della necessità in cui questo si trova d'esser guidato da mano saldissima. Perciò, mentre s'affanna a tener vive e a moltiplicare le relazioni con le società amiche, mentre, in ogni lettera che scrive, trova modo di far rilevare quanto sia degradante per l'operaio il concetto che di lui mostrano di avere i moderati133, Mazzini, attuando i propositi espressi innanzi il congresso, si mette in comunicazione con quei tre suoi amici, che sono stati incaricati di elaborare lo statuto per le società operaie unificate.

I dissensi rivelatisi a Firenze, le diatribe sui giornali, il Congresso di Asti, sono presto dimenticati. «Noi non dobbiamo solamente curare il progresso operaioscrive a Savi, Mazzoni e Franchini il 29 novembre – ma tentare che, mentre non esiste in Italia iniziativa di sorta, questa unificazione operaia riesca tale da costituire una iniziativa tra le classi operaie europee»; e presenta loro un abbozzo di statuto «da discutersi tra voi tre», dichiara in capo alla lettera; ma qualche riga piú giú: «Vi scongiuro quindi ad accettare, quando la coscienza ve lo permetta, il mio linguaggio». L'abbozzo di statuto, successivamente riveduto e corretto, è in sostanza quello stesso che verrà poi approvato nel Congresso di Napoli (1864) e, con piú solennità, in quello di Roma del 1871134.

C'era molto da lavorare, in mezzo ai nuclei operai, e grande era il bisogno che giovani, fidenti elementi della borghesia intellettuale si avvicinassero al popolo per comprenderne la miseria, gl'infiniti bisogni, per migliorarlo e anche, , per esserne migliorati: poiché nell'operaio si trova «ciò che è piú raro trovarsi in oggi – la spontaneità degli affetti, la schiettezza disinteressata delle impressioni, l'abitudine della moralità»135.

«Accostatevi fidenti al popolo, o giovani, e se a lui infonderete virtú di piú buone e larghe idee, ne trarrete copia interminabile di energici e schietti sentimenti. È l'ideale che divengano uno chi pensa e chi fa». Cosí, proprio l'ultimo giorno del 1861, Mazzini scrive all'Associazione giovanile abruzzese136.






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115 Si allude alla proposta avanzata nel congresso di escludere dai lavori pubblici gli operai non italiani.



116 L'accusa a Mazzini di aver sabotato il '48 correva sulla bocca di molti. Lo stesso Garibaldi ebbe a lanciarla contro colui nel quale, si voglia o non si voglia, egli vedeva il suo grande antagonista. Cfr. lettera a Petroni, 21 ottobre 1871, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi, Milano 1882-85, vol. II, p. 385.



117 «La Nuova Europa», 9 ottobre 1861.



118 Ibid., 3 ottobre 1861. Controbatte questa tesi, sulla «Nuova Europa» del 19 novembre 1861, un operaio fiorentino, certo Piazzesi; non riesce a capire perché mai, se gli operai privi di diritti politici intendono conquistarseli, si debba accusarli di essere «arruffapopoli, repubblicani e mazziniani»; perché si gridi: «costoro vogliono rovinare l'Italia, vogliono il disordine».



119 Si allude al Dolfi e al Piccini, fornaio l'uno, l'altro calzolaio, che rivestivano importanti cariche nella Fratellanza artigiana e avevano organizzato il congresso.



120 Credo interessante riprodurre un brano di quell'articolo per mostrare quanta animosità si ponesse in tali contese e come in realtà l'interessamento per il movimento operaio coprisse, un po' da tutte e due le parti, intenti politici: «"Per giungere al culmine dei nostri desideri, – diceva a un nostro amico un soldato del profeta, – abbiamo bisogno di un'altra notte". "Non intendo, – rispondeva l'altro. – Qui ci bisognano nuovamente gli austriaci, e il disordine universale, poi verremo noi"». Ed ecco, riassunte, le direttive degli uomini di sinistra: 1) far chiasso contro i francesi perché, provocati, si ostinino a non lasciar Roma; 2) attaccarli con qualunque mezzo; 3) provocare la guerra contro l'Austria; 4) sorprendere la buona fede di Garibaldi; 5) ridurre le società operaie a tante società giacobine, sul modello dell'89; 6) fomentare disordini nel Parlamento; 7) profittare della corruzione sparsa dai Borboni nel Mezzogiorno per alimentare incessantemente lotte fraterne.



121 ottobre 1861.



122 18 ottobre 1861.



123 «La Nuova Europa», 21 novembre 1861.



124 Guerrazzi scrive sulla «Nuova Europa», 15 dicembre 1861, che le ragioni dell'atteggiamento di Mauro Macchi devono ricercarsi nel fatto che «il fu Minghetti (ministro nel gabinetto Ricasoli) gli negava il passo gratuito in terza classe su le ferrovie di Stato agli operai, laddove non si fossero astenuti da trattare di negozi politici al IX Congresso».



125 GUERRAZZI, Il Macchi accusa, Genova 1861; P. SBARBARO, Le società operaie e la politica, Firenze 1861; S. BOLDRINI, Brevi cenni sul Congresso IX, in Firenze ecc., Vigevano 1861; GRILENZONI, Gli operai e la politica, Milano 1861.

Il Grilenzoni, bella figura di mazziniano oggi ingiustamente dimenticata, mette in guardia gli operai contro il troppo affettuoso interessamento degli uomini di destra. «Il segnale è stato dato su tutta la linea, e dalle sfere superiori è disceso l'ordine di fare in modo che dalle società operaie venga esclusa la politica... Se la cosa fosse possibile, i detentori dell'autorità li pareggierebbero [i proletari] a uno stuolo di capponi o ad un parco di montoni all'ingrasso». È interessante conoscere il giudizio che del Congresso di Firenze , nel 1868, un moderato intelligente, il de Cesare. «Gli operai nostri – egli scrive nel suo volume su Le classi operaie in Italia, Napoli 1868 – sono stati fin qui dei facili comodini in mano di pochi figuri, venuti su a dozzina nei casi italiani ed europei del 1848 e del 1860. Costoro, non avendo nulla da perdere e tutto da guadagnare, andavano per le città nostre piú importanti promuovendo congressi operai, i quali, formati sempre degli stessi individui, si mutarono in teatri gratuiti di buffonerie tribunizie. Il Congresso di Firenze è stato ancora peggio di quello di Milano del '60 per le molte sciocchezze ed esagerazioni che si declamarono dai gran capoccia dell'assemblea, e in particolar modo dal Dolfi, dal Guerrazzi e dal Montanelli i quali proclamarono addirittura il diritto che si avea dagli operai di occuparsi di questioni politiche in pubbliche assemblee». Il de Cesare propone che «a toglier di mezzo pretesti di scandalo», ogni statuto di società operaia contenga il principio che il primo il quale venga a parlar di politica, ne sia irremissibilmente espulso, poiché non bisogna dimenticare che la questione operaia «è economica e la politica è un pretesto di cattivo genere» (pp. 30, 43)



126 E qualche mese piú tardi (aprile 1862), atteggiandosi a mestizia: «Mi duole di dovervi dire che la causa del Mazzini va guadagnando ogni giorno, perché i rivoluzionari non amano le vie di mezzo, e chi ha seguito il conte di Cavour fino a questo punto, non vuol fermarsi, ma procedere innanzi alacremente».



127 «La Nazione», 9 ottobre 1861.



128 L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze ecc. cit., p. 37, nota.



129 Statuto della Società degli artigiani muratori di Livorno, Livorno 1861.



130 «La Nazione», 10 ottobre 1861.



131 Lettera di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit., pp. 8-9.



132 «La Nuova Europa», 20 novembre 1861.



133 Agli operai sardi scrive, nel novembre: voi riuscirete a provare «a quelli che vorrebbero confinarvi nello studio dei vostri interessi economici, che nell'amore della Patria, nel curarne il Progresso, voi attingete una potenza d'azione nel progresso vostro ch'essi smembrando la vita, non possono avere». Lettere di G. Mazzini alle Società operaie ecc. cit., pagine 6-7.



134 La lettera a Savi, Mazzoni e Franchini e l'abbozzo di statuto sono stati pubblicati da A. CODIGNOLA, nel suo interessante articolo su G. Mazzini e gli albori del movimento operaio italiano comparso in X Marzo, numero unico, a cura del Comitato genovese per le onoranze a Giuseppe Mazzini nel 50° anniversario della sua morte, Genova, 10 marzo 1922. Prima di questa pubblicazione si attribuiva, , la paternità dell'Atto di fratellanza al Mazzini, ma soltanto sulla fede del Saffi o del Giannelli. Il testo mazziniano s'inizia con una serie di convincimenti religiosi e morali, che successivamente, come vedremo, vennero aboliti o modificati. Le concessioni che Mazzini o i suoi dovettero fare, nella redazione definitiva dello statuto, alle tendenze razionalistiche predominanti fra i democratici e al desiderio di concretezza di questi e di molti fra i piú intelligenti elementi operai, furono abbastanza importanti in sé; e rivestono, com'è superfluo notare, un non disprezzabile interesse storico: espressioni che passavano inosservate nel 1861 stonavano già intollerabilmente due o tre anni piú tardi.



135 Lettere di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit. Lettera 25 dicembre 1861 alla Società operaia di Belgioioso, pp. 12-13.



136 «La Nuova Europa», 12 gennaio 1862.





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