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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • II. Movimento operaio e propaganda mazziniana dal 1860 al 1864
    • 4. La crisi del 1862
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4.

La crisi del 1862

 

 

 

 

 

La situazione politica del 1862 consigliò quei democratici mazziniani e non mazziniani che si erano divisi nell'ottobre del 1861 sulla questione della politicità delle società operaie, di procedere a una sollecita riconciliazione, superando dissensi che avrebbero avuto ragione d'essere solo quando si fosse realizzato il comune programma politico; dissensi che, in sostanza, servivano soltanto al giuoco dei moderati.

Era caduto il Ricasoli dalla presidenza del Consiglio (3 marzo); e gli era succeduto un uomo piuttosto ben visto dalla sinistra d'azione: Urbano Rattazzi. Il Rattazzi inaugurò una politica di evidente favore verso questo partito, che allora lavorava intensamente per la liberazione di Roma e della Venezia e che, con l'aperta raccolta dei volontari, con le dimostrazioni quotidiane nelle grandi città, con una vivacissima campagna di stampa, cercava di trascinare il paese alla guerra.

L'accordo fra i democratici, diciamo cosí, di Firenze e quelli di Asti, si operò spontaneamente, poi che gli uni e gli altri si trovarono a lavorare assieme in quella Società emancipatrice, che si era fondata il 10 marzo 1862, mercè l'unione di tutte le associazioni democratiche concordi nel programma: Roma e Venezia137; poi che molte Società operaie, dell'una e dell'altra tendenza, ebbero fatta adesione alla stessa Società emancipatrice. Una pubblica dichiarazione dell'avvenuto accordo non s'ebbe che qualche mese piú tardi138.

Fino a tutto aprile Rattazzi seguitò a incoraggiare il partito d'azione perché osasse; o lo lasciò fare in piena libertà. Nel maggio, improvvisamente, costretto dalle necessità della politica estera e preoccupato della risolutezza dei propositi garibaldini, sempre schiavo degli alti e bassi del suo temperamento incerto e irresoluto, troncò ogni parvenza di accordo, con gli arresti dei nuclei di volontari, fatti eseguire a Sarnico e a Palazzuolo.

La Società emancipatrice, che era il focolare dell'agitazione, fu sottoposta a una sorveglianza strettissima, mentre tutti i nuclei democratici che ad essa aderivano – fra cui molte società operaie – erano guardati con grandissimo sospetto. Ai primi di giugno Rattazzi presentò alla Camera un progetto restrittivo della libertà di associazione.

Le condizioni del paese si facevano sempre piú gravi per l'agitazione generale; e la minaccia di una sedizione armata si andava precisando, col viaggio e la permanenza di Garibaldi in Sicilia, con la partenza di gruppi di giovani per il Mezzogiorno, con i tumulti quotidiani nelle grandi città. Il ministro moltiplicò gli arresti, i sequestri di giornali avanzati, le perquisizioni in case private e nelle sedi di varie società, sospette di favorire il movimento insurrezionale. E finalmente, con decreto 20 agosto 1862 sciolse la Società emancipatrice e tutte le organizzazioni aderenti.

Molte società operaie, ormai quasi completamente trasformatesi in nuclei politici, furono inquisite, costrette a sospendere la loro attività139; alcune vennero addirittura sciolte.

La Società operaia di Reggio Emilia lamentò che, con lo scioglimento, venisse «a mancare intieramente il soccorso ai veri bisognosi e ai poveri soci ammalati»; Grilenzoni, che ne era il vicepresidente, diresse al Rattazzi una fiera lettera: «O abolite lo Statuto, signor ministro, se vi credete da tanto, o dovete religiosamente osservarlo il primo. Se vuolsi il dispotismo, si abbia il coraggio di proclamarlo»140.

Il 29 agosto s'ebbe il dolorosissimo scontro di Aspromonte.

Il successo dei mazziniani che, in sostanza, eran riusciti a convertire alla loro tesi i democratici contrari alla politicità delle società operaie, era dunque durato ben poco. Trionfavano i moderati, che avevano ora buon giuoco nell'accusarli di subordinare gli interessi operai ai loro fini politici partigiani. E al punto di vista dei moderati s'avvicinarono ora anche molti nuclei operai che avevan patito le conseguenze del rigore governativo o avevano avuto comunque agio di constatarne gli effetti.

In queste condizioni era assolutamente impossibile convocare il Congresso operaio. La Commissione permanente eletta a Firenze fu costretta a riconoscerlo: «lo stato d'assedio proclamato nelle province napoletane e sicilianescriveva – non permetterebbe a un terzo d'Italia d'esser rappresentato in questa assemblea e la maggior parte delle società della Lombardia, della Liguria, della Toscana, dell'Emilia, della Romagna e della Sardegna non sarebbero al grado di nominar delegati, essendo state sciolte con una ordinanza ministeriale del 23 agosto p. p.»141.

Nonostante questa crisi, il 1862 non segna affatto una sosta nel movimento di organizzazione operaia.

La statistica delle società di mutuo soccorso eseguita in quell'anno ci minuti ragguagli in proposito: in tutto il 1862 eran sorte 93 società nuove, delle quali 14 in Piemonte, 19 in Lombardia, 5 in Liguria, 10 in Emilia, 17 in Toscana, 10 nelle Marche, 4 in Umbria, 1 in Abruzzo, 4 in Puglia, 2 a Napoli, 4 in Sicilia. che in tutt'Italia, le società esistenti al 31 dicembre 1862 erano 445. E bisogna tener sempre presente che le cifre della Statistica sono indice di un movimento assai piú esteso142.

Di queste 445 società, un 400 circa raccoglievano lavoratori manualiintendo operai, artigiani e contadini; le altre eran costituite fra piccoli impiegati, commessi, artisti. Il maggior numero delle società s'addensava nell'Italia settentrionale: contro 165 che ne contava il Piemonte e 83 la Lombardia, le province napoletane non ne contavano che 19 e 8 la Sicilia e 3 la Sardegna.

Il patrimonio globale di 408 di queste società ammontava a L. 2715748 (ossia L. 6631 come capitale medio di ogni società), che solo per metà era stato raccolto con le contribuzioni dei soci effettivi143. S'intende che le società piú ricche erano quelle del Nord, e specialmente quelle piemontesi, da piú lungo tempo fondate.

Un fenomeno molto interessante e significativo è quello dei soci onorari: su 121635 soci appartenenti a 408 società, ben 10027 erano onorari. Bisognerebbe poter distinguere, tra di essi, i personaggi politici influenti, da quei soci facoltosi che avevano incoraggiato finanziariamente il sorgere delle società e che in certo modo ne garantivano il bilancio. Ma i dati che possediamo non sono cosí particolareggiati da permettere tale indagine. Si può dire soltanto questo: che le società influenzate dai mazziniani eleggevano di solito a soci onorari personalità politiche della sinistra; le altre, quelle influenzate dai conservatori e dai moderati, preferivano appoggiarsi a personalità locali, per niente in vista nella lotta politica, ma larghe in appoggi finanziari144.

Curioso notare che i soci onorari spesseggiavano dove il movimento operaio era piú florido e dove, per altri aspetti, la classe operaia appariva piú evoluta: la Lombardia. In questa regione i soci onorari costituivano un settimo dei soci effettivi (3031 su 23861); in Sicilia invece un quarantaseiesimo, in Sardegna un quarantatreesimo; in Emilia la percentuale era altissima145.

Questo fatto, che può sembrare incomprensibile, si spiega con la maggiore partecipazione delle società lombarde ed emiliane alla politica attiva. L'eleggere a socio onorario Garibaldi o Mazzini o Saffi o Bertani o Quadrio non costituiva già di per sé una chiara presa di posizione nel campo politico?

Una speciale attenzione meritano le società operaie professionali, che – secondo la Statisticaammontavano a 121146. Intorno ad esse cosí si esprimeva la Commissione superiore di vigilanza delle società di mutuo soccorso, in un rapporto stampato nel 1863: «L'unione degli artigiani della medesima professione, mentre agevola l'attuazione e l'ordinamento di una società di reciproco soccorso, ne prepara pure l'alterazione e gli abusi. Poiché l'intimità induce la tentazione di occuparsi di interessi d'altra natura e d'altra importanza, oltre di quelli concernenti il soccorso ai malati e agli infermi»147.

Quali sono questi interessi d'altra natura? Rispondono per noi le società di mutuo soccorso dei tipografi di Torino e di Milano, dei nastrai di Milano, che, in base ai loro statuti, sussidiavano i soci scioperanti; le varie società fra lavoranti cappellai che, il 25 marzo 1862, si riunivano ad Intra per discutere interessi comuni a tutta la classe148, la Camera di unione degli onesti giovani panettieri di Catania che, per evitare la disoccupazione, sottoponeva tutti i panettieri a un rigoroso turno di lavoro149. Questi interessi d'altra natura sono dunque le casse di resistenza, gli scioperi, gli sforzi di organizzazione autonoma, la tendenza a liberarsi da ogni controllo di elementi appartenenti alla borghesia intellettuale, l'accogliere e l'adottare tutte quelle forme di lotta che si mostrano adeguate a raggiunger miglioramenti economici.

Purtroppo la Statistica del 1862 non precise notizie sul numero di queste società professionali; nelle Considerazioni generali preliminari vi si accenna solo genericamente: senza dubbio i dati mancavano anche alle autorità per il silenzio molto comprensibile mantenuto dalle società incriminate.

Società professionali o cumulative estendevano poi la loro attività in molti altri campi attigui al mutuo soccorso; quali fondavan scuole serali o festive, quali biblioteche, quali giornali, quali funzionavano da casse di prestito per gli operai, garantendosi sul loro salario. Ventisei di esse avevano istituito spacci cooperatividetti Comitati di previdenza – ad uso dei soci150.

Fu questa una prima fioritura della cooperazione di consumo, la quale per altro ebbe durata brevissima. Il sistema amministrativo sul quale quasi tutte le cooperative sorte in questo periodo si fondavano era quello di vendere a prezzo di costo: sistema apparentemente eccellente, apparentemente piú vantaggioso di qualunque altro per il consocio acquirente; in realtà rovinoso, in quanto la singola cooperativa, rinunciando ad accumulare un piccolo capitale ricavato dal giornaliero guadagno, si trovava poi impreparata e impotente a superare eventuali crisi, carestie o rinvilii improvvisi – e falliva. Solo due anni piú tardi fu riconosciuta la bontà di altri sistemi.

La cooperazione di produzione seguitava a muovere, con molta lentezza, i suoi primi passi. La Società italiana degli operai uniti, in Torino, aveva aperto un laboratorio di falegnameria, a disposizione dei soci disoccupati151.

Nel novembre, era sorta a Milano la Società degli operai lavoranti in pettini. Alcuni di essi, licenziati dai loro padroni per mancanza di lavoro, avevano impiantato una propria officina nella quale potevano lavorare circa venti operai. Nei giorni festivi, da principio, tutti i soci avevano prestato gratuitamente alcune ore di lavoro, provvedendo in tal modo all'acquisto di utensili e delle materie prime. In pochi mesi l'attivo aveva raggiunto le 4000 lire152.

Erano esempi bellissimi di coraggiosa iniziativa153.

Non bisogna dimenticare, in questo quadro sintetico, un'ultima nota interessante: la diffidenza che gli operai nutrivano contro le macchine, delle quali, proprio in quegli anni, nell'Italia settentrionale e sporadicamente nel resto della penisola, s'andava operando l'introduzione. In nessun paese del mondo la trasformazione del lavoro da manuale a meccanico s'operò senza incontrare ostinate resistenze nelle masse lavoratrici, che in essa scorgevano una causa di diminuzione nell'offerta di lavoro e quindi di ribasso nei salari. Bisogna dire che in Italia tali resistenze non esorbitarono, salvo eccezioni, dai limiti di una ben comprensibile richiesta di garanzie. Qualche caso eccezionale verrà in seguito illustrato154.

Il movimento operaio, dunque, non aveva subito soste nel 1862, anno di grave crisi per la democrazia. Un numero sempre maggiore di lavoratori s'andava affacciando, attraverso all'associazione, alla vita pubblica, perdendo il senso funesto del proprio isolamento e acquistando coscienza dell'esistenza di grandi interessi collettivi. Mutuo soccorso, cooperazione, istruzione erano le tre vie fondamentali attraverso le quali questi operai andavan compiendo la loro trasformazione.






p. -

137 All'indomani della costituzione della Società emancipatrice, Garibaldi riuní a Quarto i membri della Commissione permanente eletta a Firenze e li persuase a tentare la conciliazione, incitando tutte le frazioni della classe lavoratrice a cooperare al bene della patria comune («L'Unità italiana», 19 luglio 1862).



138 E precisamente nel luglio. Le due commissioni permanenti, di Firenze e di Asti, dichiararono che gl'incresciosi fatti del '61 eran dovuti piú a un equivoco che a una differenza reale di principî; e infatti a Firenze s'era ammessa la trattazione delle questioni politiche «non in un modo assoluto, ma solo ogni qualvolta si riferissero all'esistenza e al consolidamento delle società artigiane»; e il Congresso d'Asti non aveva inteso «escludere la politica in modo assoluto e non poteva non ammetterla quando si trattasse d'interessi vitali per le classi popolari». La formola proposta dal Montanelli a Firenze veniva accettata di comune accordo come norma pel futuro («L'Unità italiana», 19 luglio 1862).



139 Cosí per esempio la Fratellanza artigiana di Firenze, le Società operaie di Reggio Emilia, di Genova, di Milano, di Chiavenna. Cfr. «L'Unità italiana», «La Nazione», e altri giornali d'estrema sinistra, o d'estrema destra, agosto-settembre 1862.



140 «L'Unità italiana», 27 ottobre 1862.



141 Ibid., 18 ottobre 1862.



142 Vennero comprese nella Statistica solo quelle società che avevano dato notizia di sé al compilatore; ora è evidente che molte, non godendo di alcun riconoscimento speciale da parte delle autorità, essendo anzi appena tollerate, tralasciarono di fornire notizie sulla propria attività. Specialmente interessate a non farsi troppo conoscere erano da un lato quelle che aderivano al partito d'azione, consideratepiú né meno come associazioni sovversive; dall'altro quelle che promuovevano scioperi e fondavano casse di resistenza. Il compilatore della Statistica lamentò infatti (p. 45) che alcune società genovesi si fossero rifiutate di fornire dati sulla propria attività: «Le risposte che la maggior parte di tali società ha date alla Prefettura mostrano pur troppo quale sia il loro stato di ignoranza e di anarchia». Erano tutte società che avevano subito le recenti persecuzioni politiche della estate 1862. Anche otto società napoletane si erano rifiutate di mandare informazioni al ministero.



143 La Statistica ufficiale cercò di stabilire in che modo si era formato questo capitale e compilò la seguente divisione, riguardante il patrimonio di quelle società che avevano dato notizie piú precise:

Capitale generale

L.

1411392

Per sovvenzioni, lasciti, ecc.

»

204865,75

Per contributo di soci onorari

»

73081,44

Per contributo di soci effettivi

»

887501,59

Per tasse d'ammissione

»

83969,91

Per interessi di capitale

»

112164,22

Per cespiti diversi

»

49809,20

Dove si vede che circa un quinto di questo capitale si doveva alla beneficenza. Anche il governo sovvenzionava qualche società; nel 1862, per esempio, spese, a questo titolo, L. 5600. Qualche aiuto ricevettero alcune società anche dai municipi. Cfr. E. MARTUSCELLI, Le società di mutuo soccorso e cooperative, Firenze 1876.



144 La Società operaia di Caselle (Piemonte) aveva nominato socio onorario l'appaltatore delle gabelle, che l'aveva esentata dal dazio sul vino. Atti del IX Congresso degli artigiani ecc. cit., pp. 72-81.



145 RAVà, Storia delle associazioni di mutuo soccorso e cooperative nelle province dell'Emilia, Bologna 1873. La Società di mutuo soccorso di Scandiano (Reggio Emilia) contro 132 soci effettivi contava, nel 1870, nientedimeno che 84 onorari!



146 16 in Piemonte, 31 in Lombardia, 10 in Liguria, 30 in Emilia, 12 in Toscana, 5 nelle Marche, 4 in Umbria, 1 nelle Puglie, 8 a Napoli, 3 in Sicilia, 1 in Sardegna.



147 E. FANO, Della carità preventiva e dell'ordinamento delle società di mutuo soccorso in Italia, Milano 1869, pp. 190-91.



148 Cenni storici della pia istituzione dei lavoratori cappellai di Milano, Milano 1880.



149 Statistica del 1862 cit. È interessante vedere come una organizzazione di questo genere, che noi oggi consideriamo perfettamente legale e anzi benefica, venisse giudicata a quel tempo, in certi ambienti. Il BOLIS (che fu questore del regno) in un suo grosso libro su La polizia e le classi pericolose della società (dove si vuol notare che per classi pericolose s'intendono i delinquenti nelle loro varie categorie e gli operai) definisce camorristica la Società dei garzoni prestinai di Palermo, la quale – son parole sue – è cosí congegnata: «chi è impiegato deve contribuire al mantenimento di chi vive oziando: i proventi si dividono una volta alla settimana, fatta prima larga porzione ai capi. Da questi i padroni ricevono d'ordinario i lavoranti: fissata è la mercede: chi si attentasse alterare gli usi, diminuire i prezzi, sottrarsi alla supremazia della società pagherebbe di persona». Dove il lettore di buon senso non fatica a rilevare quelle che sono le aggiunte e le amplificazioni dovute alla fantasia dell'autore.



150 Alcune inviarono i resoconti della loro attività all'Esposizione di Parigi del 1862. Vi ricevettero una menzione speciale le Società operaie di Cremona, Perugia e Torino perché si ritenne avessero esercitato una benefica influenza sulle condizioni dei lavoratori in Italia (BOLIS, La polizia ecc. cit., p. 419, «Il Diritto», 17 marzo 1868).



151 Statistica del 1862 cit.



152 «Fede e Avvenire», Milano, 2 maggio 1863. Statistica del 1862 cit., p. 53.



153 Nel 1862 gli scioperi dovettero essere assai pochi. Io non ho trovato notizia che di due scioperi di tipografi e uno di scalpellini, a Milano. A proposito di agitazioni operaie e di partecipazione degli operai alla vita politica, non è priva d'interesse questa notizia data dalla «Gazzetta di Torino», 2 settembre 1862: «La società dei facchini (di Genova) ha protestato contro le dimostrazioni, perché sono causa di arenamento negli affari». Erano i giorni nei quali in tutte le città d'Italia i democratici inscenavano dimostrazioni di protesta per Aspromonte.



154 L'adunanza dei cappellai ad Intra della quale ho detto piú sopra era stata convocata soprattutto per deliberare in qual modo si potesse fronteggiare l'introduzione delle macchine; i convenuti s'impegnarono a non eseguire nessun lavoro a macchina e a soccorrersi vicendevolmente per poter vincere le imposizioni dei proprietari.

Su questo argomento cfr. le opere citate di Fontanelli e di Revel. Assai istruttivo per rendersi conto del genere di propaganda svolta dai reazionari è quanto scrive La Italia disfatta cit., p. 10: «Chiameremo progresso e civilizzazione l'abbandono quasi totale dei pacifici studi, delle utili arti, dell'agricoltura, logorandosi invece gli umani ingegni per inventar macchine da render inerti le braccia degli operai?» Cfr. anche Agli operai una parola d'un amico, s. d. (ma credo 1862).





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