Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

IntraText CT - Lettura del testo

  • II. Movimento operaio e propaganda mazziniana dal 1860 al 1864
    • 5 I Congressi di Parma e di Napoli
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

5

I Congressi di Parma e di Napoli

 

 

 

 

 

Nel corso del 1862 la parte democratica, riafferrata in pieno dal problema politico, si era interessata assai mediocremente del movimento operaio, o meglio non se ne era interessata che per chiedere solidarietà attiva o consenso generico nell'azione politica alla classe lavoratrice organizzata.

Nel 1863 il suo atteggiamento si modifica; essa ritrova un poco del suo antico fervore.

Il 3 gennaio esce a Milano, per iniziativa di Mazzini, il primo numero di un piccolo giornale operaio, «Fede e Avvenire». «Predicate agli operai che lo aiutinoscrive Mazzini lo stesso giorno a Giannelli. – Non badino al piccolo: se aiutati, lo ingrandiremo e ne faremo il monitore della classe operaia»155.

I giornali operai mazziniani, che sono una piccola legione, tra quelli fondati all'estero e in Italia prima e dopo il 1860, ebbero tutti un tipo uniforme, immediatamente riconoscibile. Su tutti Mazzini, ancorché non vi collaborasse direttamente, imprimeva il suggello della sua prepotente personalità. Era sempre lui che ne tracciava il programma e i limiti e ne designava i redattori. Questi redattori venivano scelti fra i discepoli piú ortodossi o erano assiduamente sorvegliati; gli scritti editi di Mazzini erano la falsariga sulla quale si compilava ogni numero; ogni fatto contingente veniva commentato ispirandosi alle sue vedute generali.

«Fede e Avvenire», la cui redazione settimanale è affidata a Levino Robecchi, è infatti assai ottimista sulla possibilità di appianare le questioni tra capitale e lavoro156, ripudia nettamente le teorie socialistiche157 e ogni mezzo violento di lotta158; ripone ogni fiducia nel progressivo diffondersi dell'istruzione tra gli operai, caldeggia l'istituzione degli arbitrati di lavoro, incoraggia le cooperative di consumo; insiste sul dovere che hanno le classi operaie di interessarsi alle vicende politiche del paese159 (e perciò, accanto agli articoli di carattere economico, altri ne stampa o politici o storico-patriottici) e le classi abbienti di interessarsi al movimento operaio.

L'unica seria discordanza da Mazzini e dalle sue dottrine, in «Fede e Avvenire», consiste nella scarsa fiducia che questo mostra di riporre nella cooperazione di produzione, per la quale dichiara piú d'una volta che le masse operaie sono ancora assolutamente immature160.

Mazzini invece seguita a vedere in essa il mezzo piú efficace per risolvere gradatamente il problema del lavoro. E proprio nell'agosto 1863, plaudendo ad alcuni falegnami genovesi che hanno emesso un prestito per ricavare la somma necessaria ad aprire per conto loro un laboratorio di falegnameria, scrive ai redattori dell'«Unità italiana»: «Desidero vivamente il successo del loro disegno... L'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani per mezzo d'associazioni volontarie è il passo piú importante che l'epoca nostra deve muovere».

Mazzini sperava di fare di «Fede e Avvenire» il monitore della classe operaia. Ma fosse indifferenza degli operai o imperizia di redattori, certo è che il giornaletto ebbe poca fortuna: nell'ottobre, quando si radunò il X Congresso delle società operaie, aveva già cessato le sue pubblicazioni.

 

Nonostante l'accordo intervenuto fra le Commissioni permanenti elette a Firenze e ad Asti, nonostante che quella di Asti avesse rivolto invito a tutte le società che avevano protestato contro le deviazioni fiorentine di partecipare al nuovo Congresso di Parma, per «cementare col fatto la concordia»161, questo (riunitosi dal 9 al 12 ottobre) riuscí assai poco numeroso: solo 60 società vi si fecero rappresentare da 115 delegati.

I moderati, e in genere i nemici di Mazzini, avevano fatto di tutto per mandarlo deserto162.

Il Congresso di Parma ebbe dunque scarsa importanza; pochi furono i quesiti presentati alla discussione, malamente dirette e inconcludenti le discussioni stesse. Ritornò fuori l'eterna questione della politicità163 e, per esempio, non si degnò d'attenzione un interessante quesito presentato dalla Fratellanza artigiana di Lucca sulle cause e i rimedi della disoccupazione operaia164; si ragionò ancora, e naturalmente senza poter giungere a conclusioni pratiche, sul problema dell'istruzione popolare165. Di questioni importanti all'ordine del giorno non v'era che quella dell'unificazione delle società operaie e un progetto per la fondazione di una banca artigiana.

In favore dell'unificazione parlarono Savi, Stampa e Guerrazzi. E fu lo Stampa a proporre ai congressisti di dichiarare «che le Associazioni italiane proclamavano e stabilivano un patto federativo, la cui azione fosse esercitata dalla Commissione permanente, conservando a ciascuna società la propria autonomia; che la Commissione... procedesse a formare un regolamento da approvarsi dalle società». La proposta venne votata alla quasi unanimità: solo sei o sette delegati votaron contro, ritenendo che la unificazione avrebbe compromesso troppo gravemente la vita autonoma delle singole società. Stefano Boldrini, che era fra quelli, chiarí per tutti le ragioni del dissenso. Quindi si ritirò dal Congresso166.

Quanto alla proposta di fondare una banca operaia, il congressodopo lunga discussionepreferí affidar la cura di studiarne la possibilità e i particolari tecnici a una speciale commissione, della quale fu chiamato a far parte, con Broglio e Martinati, Carlo Cattaneo167. La commissione avrebbe riferito nel successivo congresso.

Ultima deliberazione fu quella di fondare un giornale che fosse l'organo ufficiale delle società operaie.

Quindi, eletta la nuova Commissione permanente168 e spediti due indirizzi a Garibaldi169 e a Mazzini170, il congresso si sciolse171.

 

Mazzini, saputo che a Parma si era deliberata la tanto auspicata unione in un solo fascio delle società di mutuo soccorso, la fondazione di una banca e del giornale operaio, rimase piú che soddisfatto, fiducioso che alle deliberazioni sarebbero seguiti immediatamente i fatti.

«Potrò io mai assistere personalmente ad una delle vostre riunioni? – scriveva l'11 novembre '63 alla Società degli ebanisti e falegnami in Genova. – Potrò io mai, con una stretta di mano a voi tutti che amo, rinvigorirmi di speranze e di affetti la vita cadente?... Aiutando noi tutti al conseguimento del fine nazionale, voi meriterete il conseguimento del fine sociale, che è vostro diritto; e a conseguirlo v'è necessario svolgere il germe cacciato dal vostro Congresso di Parma. Sollecitate i vostri incaricati perché redigano lo statuto che deve costituire praticamente la vostra federazione»172.

Ma, mentre la Commissione permanente eseguí con molta rapidità uno degli incarichi affidatile, dando vita, fin dal 3 gennaio 1864, al «Giornale delle Associazioni operaie italiane decretato nel X Congresso degli Operai tenuto in Parma», del quale assunse la direzione il Savi173, la redazione dello statuto, invece, procedeva con molta lentezza.

Mazzini che, come abbiamo veduto, desiderava si accettasse senz'altro il suo abbozzo e si mettessero in pratica le norme in esso contenute, s'impazientiva. «Perché questa decisione, la piú importante che abbiate mai presa, rimane inapplicata? – chiedeva alla Società dei legatori di libri, in Genova, il 4 aprile 1864. – ... Perché un lavoro di dieci giorni deve protrarsi per mesi174.

Gli è che se i tre mazziniani (presto ridotti a due, per la morte del Cannonieri) che facevan parte della commissione potevano contentarsi di porre la loro firma in calce al suo progetto, non cosí la intendevano gli altri membri. Ai quali, molto probabilmente, davan noia le considerazioni religioso-morali che v'eran premesse, in quanto avrebbero potuto allontanare molti preziosi elementi, concordi nel volere l'emancipazione operaia, e non per questo disposti a trangugiare formole religiose.

Ond'è che ricorsero ad altri lumi. Cattaneo, per via dell'incarico affidatogli dal Congresso di Parma, era già allora entrato in relazione con alcuni dirigenti del movimento operaio fiorentino. Questi gli avevano sottoposto lo statuto della Fratellanza artigiana (che mirava, come si ricorderà, a estendersi in tutta Italia), pregandolo di darne un giudizio. Era quello statuto stesso che Mazzini, a suo tempo, aveva elogiato e al quale si era, in sostanza, ispirato per il suo progetto.

Cattaneo aveva risposto franco e senza cerimonie, criticando con la consueta acutezza il documento. Aveva detto175: «Mi sembraste piú solleciti di costruire un grande edificio unitario e uniforme, che non di chiamare l'artigiano a libera vita propria. Non so perché debba dipendere dal nominale beneplacito di centoventimila soci176, sparsi in centomila miglia di paese, ogni minima riforma nel regolamento d'una trentina d'operai che col risparmio di tre o quattro centesimi al giorno vogliono prestarsi mutuo soccorso... Vedo soverchio apparato: maestri dell'arte, maestri del Comune, grandi maestri, priori, primati, decurioni, centurioni, censori, triumviri, direttori, sotto-direttori, delegati... Uno dei primi articoli dello statuto prescrive ai soci come condizione d'ingresso che esercitino arte o industria. Ma i nomi che vi sono firmati, sono quasi tutti di avvocati, dottori e professori»; e aveva consigliatocoerente a tutto il suo sistema di concepire la vita d'una collettività, fosse essa una modesta associazione o un grande Stato – di lasciare la massima autonomia alle singole sezioni-società, abbandonando l'idea che si potesse dal centro prestabilire e controllare la vita di tutte le lontane sezioni, disapprovando il modo seguito per conceder sussidi: «io riprovo tutto ciò che ha la vieta forma dell'elemosina e dell'umiliazione. Voi dovete coltivare nel povero un sentimento di modesta dignità». Da ultimo si era dichiarato contrario alla politicità dei congressi operai: «Non tutti quelli che hanno diritto a parteciparvi possono risolutamente e impunemente porsi al seguito della vostra opinione, prima forse d'averla potuta intendere ed apprezzare. Voi restringete dunque di vostra mano l'ingresso a quelle società, nel cui seno la vostra opinione dovrebbe acquistare spontaneo favore»177.

Queste idee eran cadute nel vuoto178.

Ma anche i membri della Commissione permanente incaricata di compilare lo statuto si rivolsero (intermediario Gaspare Stampa) a Cattaneo perché desse loro un consiglio in proposito.

Cattaneo, acconsentí, anzi presentò loro addirittura un suo originale Regolamento per la Federazione delle società operaie italiane (6 marzo), del quale potevano liberamente usare, purché non facessero il suo nome179.

Paragonare questo progetto con quello di Mazzini del 1861 è cosa di estremo interesse, tanto e l'uno e l'altro ci appaiono emanazione immediata, caratteristica, inconfondibile di queste due personalità cosí fondamentalmente diverse.

Mazzini premette agli articoli dello statuto il seguente preambolo:

«Credenti in Dio,

«In una Legge Morale che ci comanda di lavorare e progredire moralmente, intellettualmente, economicamente pel bene comune,

«Nell'Associazione delle forze come nel solo mezzo efficace a raggiungere quel fine...»

Cattaneo salta a piè pari ogni astratta considerazione, non impone ad alcuno la credenza in determinati articoli di fede, entra subito nel vivo dell'argomento:

«Le società operaie italiane costituiscono un potere federale all'intento di provvedere ai propri bisogni morali e materiali rappresentato da nove membri eletti ogni anno in occasione del Congresso degli operai. Nel mentre le società operaie costituiscono questa complessiva rappresentanza, conservano la rispettiva autonomia nella interna amministrazione».

Cattaneo sente la necessità di contrapporre al potere della complessiva rappresentanza l'autonomia delle sezioni; Mazzini – che parla invece di una Commissione direttrice suprema – di questa autonomia non fa menzione esplicita.

Mazzini assegna alla commissione il compito di promuovere fra gli operai «le tendenze al dovere, al sacrificio giovevole a tutti, all'unità tra le credenze e gli atti», di curare «quanto può educarli alla coscienza della loro missione»; Cattaneo non nomina mai le parole «dovere», «sacrificio», o simili; si limita a indicare quali sono i mezzi che possono contribuire ad elevare il livello morale ed economico delle classi operaie: scuole, biblioteche, banche artigiane, cooperative di consumo.

Mentre Cattaneo vuole che la rappresentanza curi la diffusione del mutuo soccorso «nelle classi agricole, finora quasi dimenticate»180, Mazzini, che di queste ultime sembra ignorare fin'anco l'esistenza, affida alla commissione l'incarico di promuovere agitazioni volte a ottenere il suffragio universale e una riforma tributaria.

Il confronto è sommario181, ma significativo.

Mazzini ha tradotto nello statuto il nucleo delle sue idee religiose, politiche, sociali. Egli vuol fondare una grande Associazione operaia mazziniana; si sente ispirato da Dio e crede perciò alla superiorità assoluta del suo programma: logicamente quindi tenta di imporlo182.

Cattaneo, positivista, con un rispetto della libertà che non soffre eccezioni, si tratti di grandi o di piccoli interessi, ha indicato le poche norme indispensabili al coordinamento dell'azione operaia in tutto il paese, cui le singole società debbono sottostare, senza per questo rinunciare alla propria autonomia.

I due uomini sono tutti nelle poche linee di questi loro progetti.

In possesso dei quali i membri della Commissione permanente eletta a Parma si posero all'opera per assolvere il compito loro affidato, e non dovette esser cosa facile compilare, d'accordo, un testo definitivo. Ma sulla fine di luglio del 1864 la loro fatica era giunta al termine e il nuovo Atto di fratellanza comunicato alle società perché lo ponessero in discussione.

In sostanza la commissione si attenne al progetto mazziniano, valendosi dell'altro come d'un vaglio critico cui sottoporne ogni punto. Questo lavoro di assottigliamento e di correzione non fu lieve: il tono caldo e ispirato dello statuto di Mazzini venne concretato, spianato, si direbbe, al contatto delle espressioni precise e dimesse di Cattaneo. Si tagliò il preambolo morale-religioso, si tolsero le allusioni al suffragio universale e alla riforma tributaria. Si presero a prestito dal progetto di Cattaneo l'assicurazione della indipendenza di ciascuna sezione e l'idea di diffondere il mutuo soccorso tra le classi agricole «troppo neglette finora»; si mantenne l'articolo riguardante le relazioni da promuoversi con le associazioni straniere, e si rifuse in modo assai felice quello sulla fede nazionale183; si mutò forma, non la sostanza, di qualcuno fra i convincimenti iniziali, e s'aggiunse un paragrafo affatto nuovo, che non so in qual misura potesse garbare a Mazzini, sulle «petizioni da inviarsi al Parlamento a pro' degli interessi e dei diritti delle classi operaie». Mazzini aveva parlato di agitazione legale; i prudenti commissari scelsero la formola petizione184.

L'XI Congresso delle società operaie, convocato a Napoli per il 25 ottobre 1864, fu chiamato a discutere e ad approvare questo Atto di fratellanza.

Si può dire che in ciò solo consista l'importanza del congresso il quale, per gli avvenimenti politici che di poco lo avevano preceduto e che avevano distratta la generale attenzione (Convenzione di settembre e fatti di Torino) si perse nell'indifferenza sia dei democratici sia dei moderati. Il fatto è che della questione operaia le classi colte s'interessavano in periodi di bonaccia politica: la dimenticavano completamente quando altre preoccupazioni premevano.

Le società rappresentate furono sessanta: i rappresentanti in grande maggioranza mazziniani e garibaldini185.

Votati i soliti indirizzi e ordini del giorno di carattere politico186, si discussero tre quesiti assai interessanti: uno sull'attribuzione esclusiva dei lavori pubblici agli operai italiani187; il secondo sull'opportunità di organizzare un'inchiesta sui salari agricoli-industriali188; il terzo, presentato dalla Società generale di mutuo soccorso e d'istruzione degli operai di Trani, e per essa dal suo delegato, Gennaro Bovio, era cosí concepito: «Può convocarsi a quando a quando un congresso internazionale fra le società operaie delle diverse nazioni, acciò provvedendo a' loro comuni bisogni, ne detti un comune regolamento, che sempre piú ne avvicini a quell'unità morale fra le nazioni o popoli, ch'è la piú sublime ispirazione del nostro secolo

Un mese prima che il Congresso di Napoli si adunasse, a Londra era sorta l'Associazione internazionale dei lavoratori189. Di questo fatto alcuni delegati del Congresso napoletano eran certamente stati informati, forse dal Mazzini o forse da un suo intermediario190. Perciò, dopo che l'ebbero appoggiata Savi, Asproni e Fanelli, la proposta del Bovio venne approvata con molto calore e si deliberò di far rappresentare gli operai italiani al I Congresso dell'Internazionale che era stato indetto per il 1865 a Bruxelles, sempre che fossero disponibili mezzi sufficienti a fronteggiare le spese di viaggio di un rappresentante.

Molti altri quesiti, davvero non indegni d'esser presi in esame, non vennero discussi; vertevano sulla durata del lavoro, sulla proposta di assegnare un premio annuale agli operai per sollecitarli a compiere il loro dovere, sulla partecipazione agli utili, sulla protezione da accordarsi agli operai cui venisse diminuito il salario, sulla secolarizzazione dell'istruzione, sul suffragio universale; un quesito sul contratto d'impiego proponeva una multa a carico del capofabbrica che «licenzia capricciosamente un giovine che adempie al proprio dovere»191.

L'Atto di fratellanza, attentamente discusso e riveduto, venne approvato nell'ultima seduta. La Commissione permanente192 fu incaricata di comunicarlo a tutte le società operaie, invitandole a farvi atto di adesione193.

 

Il 27 ottobre, commentando i lavori del congresso, «Il Popolo d'Italia» scriveva che i suoi benefizi dovevano «stimarsi immensi». «L'aspirazione di tanti anni si è realizzata. Uno statuto fu approvato, che se non è perfetto, è però un'opera che racchiude i germi del progresso morale e perciò politico ed economico. La libertà vi è adottata come mezzo e come fine. Noi speriamo che sarà fedelmente applicato, e nell'applicazione vi sarà anche maggiore diffusione di libertà. È necessario di darsi ogni sollecitudine per allargare un'istituzione che trasforma la plebe in popolo provvido e pensante».

Giustissimo. Ma quante società avevano approvato quello statuto? Sessanta: neppure un decimo di quelle esistenti in Italia.

Mazzini, ancora una volta, si rallegrò moltissimo. L'Atto di fratellanza votato a Napoli non era parola per parola quello da lui proposto. Ma, insomma, non conteneva nulla che egli non potesse approvare; l'unione di tutti gli operai italiani in un unico fascio, possibilmente devoto a lui, gli pareva cosa imminente.

Ancora una volta, le sue speranze dovevano andar deluse. La Commissione permanente, composta di membri residenti in città lontane l'una dall'altra, privata con la morte del Savi (avvenuta nei primi mesi del 1865) del piú attivo elemento, non perfettamente concorde su varie questioni anche importanti, concluse ben poco. Per tutto il 1865 non si parlò di unificazione. Le condizioni sanitarie del paese impedirono la riunione del XII Congresso.

Nel '66 si cominciarono a raccogliere le prime adesioni all'Atto; ma il lavoro venne interrotto dalla guerra, la quale uccise il giornale delle associazioni operaie, costrinse a rimandare la convocazione del congresso, assorbí tutta l'attività dei promotori del movimento operaio.

Dopo la guerra, Mazzini riprese la intransigenza repubblicana, mobilitando tutti i suoi uomini per l'attuazione del suo programma politico. Fino al 1871 né egli né in genere la parte democratica ebbero tempo di dedicarsi, con l'ardore del 1861, alla questione del lavoro. La diminuita attività di Mazzini in questo campo determinò un rilasciamento anche tra le fila moderate: nessuno, cosí pareva, minacciava adesso di far deviare i lavoratori dai pacifici esperimenti di mutuo soccorso e di cooperazione.

In realtà, anche nel 1863-64 l'apporto dei democratici al movimento operaio era stato di scarsa entità. Il loro sforzo maggiore era consistito nel radunare i due Congressi di Parma e di Napoli, non inutili davvero, non privi di discussioni vivaci e interessanti. Peccato non avessero compreso essere assai piú opportuno transigere sulle questioni di principio, evitando le solite gazzarre sulla politicità o sull'apoliticità e affrontare con volontà di risolverle una o pochissime questioni d'indole pratica, delle piú urgenti che premevan la classe operaia, cattivandosene cosí la simpatia e la riconoscenza. La classe operaia, invece, si era mantenuta piuttosto estranea a quei congressi; e ai democratici che, dopo avervi partecipato, se ne tornavano soddisfatti alle loro sedi, convinti d'aver fatto fare un gran passo alla questione del lavoro e d'aver presenziato alla piú importante ed efficace manifestazione del movimento operaio italiano, non si può dire fosse mal diretta la mordente critica che ad esso rivolgeva, nel 1871, il russo Michele Bakunin:

«Il fatto è che il moto degli operai italiani, grazie ai soporiferi che Mazzini lor somministra, è stato finora nullo. Essi han dormito e durante il loro sonno grave e doloroso, solo Mazzini e i mazziniani sonosi agitati, e, come spesso accade a persone che han poca critica, essi han preso il moto loro proprio pel moto di chi era loro d'attorno»194.

Nella qual critica è uno spunto di verità commisto a due affermazioni inesatte: la prima della nullità del moto operaio, la seconda che solo i mazziniani si fossero in pro' di quello agitati. Basterà esaminare i progressi della organizzazione operaia nel 1863-64 per persuadersene.

In quei due anni si erano costituite 76 nuove società di mutuo soccorso, delle quali – importa il notarlo – 10 nelle province dell'Italia meridionale continentale, 12 in Sicilia195.

Le cooperative di consumo avevano preso un grande slancio. Un giornale operaio ne elencava 58 nel 1865196; al qual numero andavano aggiunti molti spacci aperti dalle società di mutuo soccorso per i propri soci, da considerarsi vere e proprie cooperative. Il fenomeno cominciava ad imporsi all'attenzione dei competenti in questioni economiche; i quali, cercando di rendersi ragione della fragilità estrema di tutti questi tentativi, volsero lo sguardo a quel che nello stesso campo s'era fatto negli altri paesi. Ed ecco il Luzzatti, il Revel, il Viganò, il Rota, il Boccardo a spiegar l'errore di costituire cooperative col sistema della vendita a prezzo di costo; ecco il formarsi di cooperative sul modello inglese (vendita a prezzi di mercato e ripartizione proporzionale degli utili fra i soci), delle quali i due primi esempi si ebbero nel 1864 a Sampierdarena e a Como197.

Un grande successo (grande se paragonato alle difficoltà che presentava la sua attuazione) andava incontrando l'idea della cooperazione di produzione; tanto piú notevole quanto piú spontaneamente si determinava in alcuni gruppi operai, premuti dalla disoccupazione, il proposito di ricorrervi.

La Società degli operai lavoranti in pettinifondata nel '62 a Milano – s'era consolidata e aveva, nel '63, emesso un prestito da collocarsi tra operai, per aumentare il suo capitale. Nel 1863 si era aperto a Genova lo Stabilimento degli artisti tipografi, il cui capitale era stato costituito con l'emissione di 250 azioni da L. 78, pagabili a L. 0,50 la settimana198; e un forno sociale a Ferrara199. Anche la Società degli operai uniti di Alessandria aveva sui primi del '64 emesso un prestito a fine di aprire un mobilificio sociale200. Nel febbraio un gruppo di lavoranti calzolai, a Genova, aveva inaugurato un laboratorio201. La Fratellanza artigiana di Firenze aveva accordato un prestito di L. 5000 a una società cooperativa fra muratori e stabilito di incoraggiar sempre nella misura del possibile tentativi analoghi compiuti da suoi soci202. I lavoranti caffettieri di Genova avevano aperto una fabbrica di birra e gazosa nell'agosto 1864; non era mancato loro il consueto incoraggiamento di Mazzini: «Non vi stanchino le prime difficoltà – egli scriveva loro il 25 agosto 1864. – La cooperazione di tutti le supererà. Voi avete in mano la piú santa causa che esista, quella dell'indipendenza del lavoro. Il problema fu agitato clamorosamente e con modi pericolosi in Francia, con poco frutto. Date voi, operai d'Italia, la gloria alla patria vostra di sciogliere questo problema col fatto, coi vostri sacrifici, colla vostra economia, senza ire funeste tra classe e classe, colla quieta costanza di chi vuole davvero»203.

Mazzini incoraggiava e scriveva lettere di plauso. Luzzatti, Viganò, Revel ed altri studiavano il miglior ordinamento pratico delle cooperative di produzione e in conferenze, in congressi204, in opuscoli e volumi esponevano i risultati delle loro ricerche agli operai. L'esempio dei prodi pionieri di Rochdale divenne, per mezzo loro, famoso in Italia, proverbiale tra gli operai.

Nel 1864 s'era avuto la prima rivelazione e il primo sviluppo delle banche di credito sul lavoro; merito anche questo di quel piccolo gruppo di studiosi entusiasti. Nel giugno si erano aperte le due prime banche a Lodi e ad Asola; di poi non era passato un mese che non segnasse un incremento di quella utile istituzione205.

Ma, accanto a quest'ultima forma cooperativistica, esempio di quella collaborazione fra borghesia e proletariato, della quale un altro aspetto ci è rivelato dal fiorire dei giornali operai206, s'eran sviluppate nelle classi lavoratrici anche altre forme di organizzazione autonoma.

A Firenze e a Napoli, nel 1864, si eran fondate quelle Società fra i tipografi, già esistenti a Milano, a Torino e a Genova, che funzionavano come vere e proprie casse di resistenza207. A Genova e a Nervi si erano costituite le Associazioni di mutuo soccorso fra gli operai vermicellai, che avevano iniziata la loro attività chiedendo miglioramenti nel contratto di lavoro e promuovendo lo sciopero208. A Biella nel 1864 la Società di mutuo soccorso fra i tessitori aveva preteso che i proprietari s'impegnassero a non licenziare alcun lavorante senza una causa «giudicata legittima dal Comitato degli operai» e a non ammettere altri apprendisti che i figli degli operai stessi; intimato il licenziamento di un capo operaio che non aveva voluto saperne d'iscriversi alla società209. Ad Alessandria la Società fra i lavoranti falegnami aveva domandato per i propri soci una diminuzione nell'orario di lavoro e sostenuto che i proprietari non avevano diritto di assumere al lavoro operai non inscritti alla società210.

Gli scioperi si eran succeduti con grande frequenza, assumendo proporzioni sempre piú vaste, rivelando una organizzazione sempre piú accurata e previdente.

Su cinque scioperi scoppiati nel 1863, dei quali ho trovato particolareggiate notizie, uno aveva impegnato quasi tutta la maestranza tipografica di Milano211, uno l'intera categoria dei falegnami e muratori di Torino212, un terzo ottocento operai metallurgici in quel di Napoli213.

Su dieci scioperi dichiarati nel 1864, uno, gravissimo e di non breve durata, era stato proclamato da migliaia di operai tessitori a Biella e nel Biellese214; un altro da cinquecento operai delle strade ferrate, a Firenze215.

Queste risolute tendenze della classe operaia avevano cominciato a preoccupare non poco gli ambienti intellettuali. Le prove di resistenza date dagli scioperanti avevano indotto a considerare con serietà quali erano le cause e quali potevano essere i rimedi a questo stato di cose. Perfino alcuni giornali conservatori s'eran messi a studiare la questione con pacatezza e con desiderio di obiettività216. Si era sentita la necessità di fare una distinzione nettissima tra sciopero e sciopero. Non si poteva condannarli a priori tutti, se si voleva, per esempio, essere ascoltati nella deplorazione degli scioperi violenti che, di quando in quando, scoppiavano nel Mezzogiorno217.

Lo sciopero cominciava ad acquistar diritto di cittadinanza nella consuetudine delle lotte del lavoro.

 

Non si poteva dunque dire che il moto degli operai italiani fosse «nullo».

 

 

 

 

 






p. -

155 Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 201 sg.



156 21 febbraio: «La lotta esiste e prosegue, ma, mano mano che la civiltà avanza, il cozzo sociale si fa meno violento, la conciliazione possibile».



157 4 aprile: quelle teorie sono erronee «essendoché non prendono mai l'uomo tal quale l'ha fatto natura, coi suoi istinti, colle sue passioni, colla sua varia sensibilità, ma richiederebbero uomini fatti a bella posta tutti di uno stampo». No, gli operai non devono «atterrare il privilegio dei pochi, attualmente organizzato», per poi invocare a favore delle masse, quasi per risarcirle dei mali patiti, «un altro genere di privilegio, che si nasconde sotto il nome di diritto al lavoro, di gratuito capitale, di diritto alla proprietà del terreno e via via» (9 maggio); ma tendere alla definitiva distruzione di tutti i privilegi.



158 21 aprile: «Un antagonismo pericoloso sorge fra i due motori dell'industria, capitalisti e lavoratori; l'operaio offeso e nella dignità e nell'interesse si accende a sinistre idee contro l'intraprenditore; obbligato dalla sua inflessibilità a perdurare nello sciopero, stretto dal bisogno che rincrudisce a misura che il guadagno manca, guarda con rancore agli agi delle altre classi sociali, perde ogni suo sano concetto d'ordine, ogni amore al lavoro». Riconosce però (13 giugno) che «gli scioperi hanno la loro ragione d'essere nelle condizioni non di una parte soltanto ma di tutta generalmente la classe operaia».



159 21 febbraio: «Oggi la legge vi impone doveri da compiere, e col pretesto della vostra immoralità e della vostra ignoranza vi impedisce l'esercizio di molti diritti; domani, soppressa la causa, cesseranno gli effetti».



160 2 maggio: non ritiene che «attualmente l'educazione economica in Italia sia abbastanza inoltrata da permettere tosto l'applicazione di codesti trovati preziosissimi dell'associazione; noi dubitiamo in massima, che all'inesperienza delle leggi che debbono governare un istituto industriale in tutti i suoi rapporti, susseguirebbe immediata una pratica infelice, la quale scorando le masse degli operai e facendole paurose di ardite ed utili iniziative, ritarderebbe il loro moto ascendente progressivo». Qua e , discorrendo di questioni economiche, «Fede e Avvenire» prova di una curiosa ingenuità, che certo non poteva imputarsi a Mazzini. Il quale non credo avrebbe sottoscritto, per esempio, questa esortazione rivolta agli operai, il 7 febbraio: «Abbandonate dunque il dannoso sistema di applicare a lavoro i vostri figlioletti, con l'ingiusta esigenza che vi venga guadagno dalle loro deboli membra, dalle incolte loro intelligenze; non li consegnate come bestie da soma ad un padrone; il padrone si tramuti in maestro, in scuola l'officina», Esortazione che si chiudeva con l'invito ai padri di famiglia operai di sborsare una quota affinché i loro figli venissero assunti come apprendisti!



161 «La Nazione», 3 ottobre 1863.



162 «L'Unità italiana», 15 ottobre 1863: «Il partito moderato, come sempre, come in ogni buona cosa, s'adoperò colle solite armi... a impedire prima, quindi a suscitare il disordine e la confusione, e finalmente a screditare ciò che non aveva potuto impedire». Cfr. anche «Il Dovere», Genova, 17 ottobre 1863.



163 Il delegato Silva propose si dichiarasse «per amore di concordia fra tutte le Società operaie, che i quesiti politici non verranno piú accettatiposti in discussioneora né mai». Accortosi d'aver contro di sé la maggioranza del congresso, preferí ritirarsi.



164 Il delegato della Fratellanza suggeriva «che all'operaio mancante di lavoro in un luogo fosse data abilità di potersi trasferire in un altro a spese delle società rispettive, a fine di procacciarselo»; ma la proposta non venne neanche messa in discussione.



165 Venne votato un ordine del giorno, col quale il congresso faceva voti che «l'istruzione profusa valga a combattere l'influenza del clero». Alla discussione prese parte il famoso fra Pantaleo, seguace di Garibaldi nella spedizione di Sicilia, che, prossimo a gettar la tonaca alle ortiche, prese vivacemente partito contro la preponderante influenza del clero nelle campagne.



166 Scrisse poi ai giornali che, poiché «il X Congresso, nel suo complesso, non corrisponde allo scopo ch'egli si prefisse nella creazione dei congressi degli operai italiani, anche colla conciliazione, ritiene suo dovere di non intervenire ad ulteriori trattazioni» («La Nazione», novembre 1863). Tra i dissidenti del congresso erano anche i delegati dell'Associazione operaia di Milano; i quali, nella relazione ai soci, affermarono che «dai veri amici delle società operaie si è con fondamento dubitato, e si dubita che ad altri intenti e ad altre mire, che non il benessere degli operai, fossero e sieno rivolte le aspirazioni di coloro che si fecero autori e propugnatori di questo concetto di federazione» («Il Giornale degli Operai», Genova, 12 dicembre 1863).



167 Il quale, per altro, non partecipava al congresso.



168 Che fu composta di tre mazziniani (Savi, Astengo e Cannonieri), un garibaldino (Asproni), piú Mauro Macchi e Valentini. Anche sull'elezione di questa commissione aveva influito il Mazzini, come si comprende da una sua lettera a Dagnino del 24 settembre 1863 (conservata nel Museo del Risorgimento di Genova), nella quale molti consigli sul modo di condurre il congresso. «Bisognerebbe che la commissione fosse in Genova. Ma è cosa da maneggiarsi cautamente per non irritare suscettibilità locali». La sede della commissione fu infatti stabilita in Genova.



169 Garibaldi aveva inviato una lettera al presidente del congresso (Olivieri), nella quale prendeva posizione per la tesi mazziniana sulla politicità. «Lasciate le vane questioni di parole, ma pensate che l'uomo non si dimezza, e che tutti, senza eccezione, abbiamo gli stessi doveri verso di noi, verso la patria e verso l'umanità».



170 Mentre l'indirizzo a Garibaldi venne votato per acclamazione e senza riserve, per l'indirizzo a Mazzini il presidente ritenne prudente avvertire che esso non si rivolgeva «all'uomo politico, ma all'operaio del pensiero, all'amoroso padre del popolo».



171 Non son riuscito a trovare gli Atti che pur furono stampati. Si veda il resoconto sui giornali parmensi del tempo («La Gazzetta di Parma» e «Il Patriota») nonché sulla «Nazione» e sull'«Unità italiana».



172 «L'Unità italiana», 28 novembre 1863.



173 Il giornale seguitò le sue pubblicazioni (settimanali) fino al 25 luglio 1866, salvo una interruzione dal 24 dicembre 1864 al 9 agosto 1865. Abbastanza agile, variato, accuratissimo nel riportar notizie riguardanti la vita delle società operaie, discretamente informato sulle vicende del movimento operaio all'estero, pronto a discutere e ad accogliere con simpatia ogni nuova iniziativa nel campo del lavoro, meritava un piú felice successo. Savi e gli altri membri della commissione lamentarono spesso l'indifferenza con la quale venne accolto dalla grande maggioranza delle società operaie.



174 «L'Unità italiana», 16 aprile 1864. E il 21 giugno alla Fratellanza artigiana di Lugo: «voi non lascerete che il decreto del Congresso di Parma rimanga, con discredito di tutti voi, lettera morta, deliberazione ineseguita...» (ibid., 16 luglio 1864).



175 Lettera a Martinati, 19 febbraio 1864 (Scritti politici ed epistolario, Barbera, Firenze 1901, vol. III, pp. 23 sg.).



176 Era questo il numero di soci che secondo quello statuto era necessario raccogliere per dar vita alla grande Fratellanza degli operai italiani.



177 Ribadiva questo concetto in una lettera a Bertani del 24 febbraio 1864. «Una grande associazione d'operai sarà sempre una forza politica; ma lo sarà tanto meno quanto piú professerà di volerlo essere. In ciò ha ragione Macchi. Intorno a questo pettegolezzo sarebbe da provvedere che non si rinnovasse ogni anno» (Scritti politici ecc. cit., vol. III, pp. 34-35).



178 Assieme al complesso statuto della Fratellanza, Cattaneo, conformemente all'incarico ricevuto dai congressisti di Parma, aveva preso in esame un piano da essa elaborato per la fondazione di una Banca operaia. Il lettore curioso troverà riprodotte le sue giustissime osservazioni critiche nel III volume dei suoi Scritti politici ecc. cit, (pp. 29 sg.). Il Martinati, a nome della Fratellanza, gli rispose il 5 marzo con queste righe significative se pur molto cortesi: «Le sue considerazioni se non frutteranno ora, frutteranno certamente in un non lontano avvenire, quando i nostri buoni operai si saranno, a colpi di sventura, formato un piú giusto concetto della libertà e del loro proprio bene». Cattaneo capí l'antifona. «La risposta del signor Martinatiscrisse il 6 maggio allo Stampa – ... mi diede gentilmente a capire che de' miei suggerimenti non si farebbe alcun uso» (ibid., p. 51). La risposta del Martinati riguardava tanto le osservazioni sulla Banca operaia quanto quelle sullo Statuto della fratellanza.



179 «... Non intendo che ne facciate menzione al Congresso o altrimenti come di cosa mia, volendo io, anche per l'angustia del tempo, astenermi da ogni successiva ingerenza in questi affari» (Lettera citata a Stampa, 6 maggio 1864).



180 Lettera citata a Stampa.



181 Anche un confronto piú minuto riuscirebbe interessante; Mazzini per esempio vuol che s'infonda nella massa operaia «un sempre piú giusto e profondo e attivo concetto della Fede nazionale», che si promuovano contatti fraterni fra gli operai italiani e quelli d'altri paesi. Cattaneo ne tace: ma è giusto osservare che mentre egli si è limitato a buttar giú una bozza di regolamento tutt'altro che definitiva, Mazzini ha redatto un progetto completo, che vorrebbe s'adottasse tal quale. Varie differenze di minor conto si posson notare nell'enumerazione dei mezzi pratici che condurranno all'emancipazione operaia. Cattaneo, per esempio, non nomina le cooperative di produzione.



182 E di imporlo non soltanto agli operai italiani. L'unificazione delle società di mutuo soccorso strette nel riconoscimento del suo statuto dovrebbe, egli scrive, «costituire una iniziativa tra le classi operaie europee» (Lettera citata a Savi, Mazzoni, Franchini, 29 novembre 1861).



183 «Le associazioni affratellate si ritengono d'or innanzi come una sola famiglia interessata a promuovere in tutti i modi possibili insieme col proprio benessere, la grandezza e la prosperità della patria, e l'educazione del popolo».



184 Questa redazione dell'Atto di fratellanza venne pubblicata sul «Giornale delle Associazioni operaie», Genova, 3 luglio 1864.



185 Tra gli altri: Savi, Zuppetta, Gambuzzi, Fanelli, Olivieri, Filopanti, Asproni, Morelli, Martinati, Stampa, Gennaro Bovio, Tavassi. Quest'ultimo venne acclamato presidente. I nomi dei rappresentanti insospettirono la polizia, che prese grandi precauzioni; la sala del congressoscrisse «Il Popolo d'Italia», Napoli, 25 ottobrepareva «in stato d'assedio».



186 Dapprima due indirizzi a Garibaldi e a Mazzini (il secondo proposto da Gambuzzi, che fra qualche anno troveremo fervente bakunista); poi un appello alla concordia degli operai italiani e «piú specialmente agli operai delle inclite e generose città di Roma, di Venezia e di Torino». Il delegato Morelli propose anche si emettesse un voto contrario alla Convenzione. Alle rimostranze del presidente, che lo ammoniva di non distrarre il congresso dallo svolgimento dei lavori prestabiliti e di non dimenticare che gli operai aspettavano pane, rispose: «pane dell'anima prima anche di quello del corpo». Ignoro se il congresso approvasse la sua proposta.



187 Presero parte alla discussione Verratti, Savi, Asproni. Si incaricò la Commissione permanente di presentare una petizione in tal senso al Consiglio dei ministri e al Parlamento.



188 Il congressouditi i discorsi di Quirico Filopanti, di Martinati e di Dassiaffidò alla commissione il compito di organizzare l'inchiesta.



189 In una lettera «ai rappresentanti dell'Internazionale in Londra», scritta alcuni anni dopo (gennaio 1872), il Bovio volle ricordare questo che egli riteneva un precedente dell'Internazionale; egli non ricordava che l'Associazione dei lavoratori rimontava al settembre 1864. Gli pareva ad ogni modo che la sua proposta al Congresso napoletano attribuisse «all'Italia un diritto che la storia le ha acquistato, quello cioè di essere stata almeno tra le prime nazioni a concorrere per l'iniziativa dell'Internazionale».

Gli rispose l'Engels il 17 aprile: «Riconosciamo volentieri che al tempo dove qui in Londra si realizzava per la prima volta una lega internazionale degli operai, voi, nella remota Puglia avete rilevato quella medesima idea... Vi ringraziamo d'averci comunicato questo fatto, perché contiene una nuova prova che l'alleanza degli operai del mondo incivilito intiero fu riconosciuta, già nel 1864, come una necessità storica anche nei paesi coi quali non potevamo allora metterci in relazioni». Nella bozza della lettera, che io ho avuto sott'occhio, si leggon di seguito queste linee che furon poi cancellate: «Senza dubbio, se le società operaie italiane... avessero rilevato la vostra idea... se avessero iniziato nello stesso tempo un movimento operaio italiano, basato sullo stato sociale del loro paese, forse s'avrebbe adesso meno di [sic] società operaie, sedicenti internazionali propugnando dottrine settarie, non italiane, ma francesi e russe. Nel movimento della classe operaia, secondo il mio parere, le vere idee nazionali, cioè corrispondenti ai fatti economici, industriali ed agricoli che reggono la rispettiva nazione, sono sempre nello stesso tempo le vere idee internazionali. L'emancipazione del contadino italiano non si adempirà sotto la stessa forma come quella dell'operaio di fabbrica inglese; ma piú che l'uno e l'altro comprenderanno la forma propria alle sue [sic] condizioni, piú... l'intenderanno nella sostanza...» Il lettore comprenderà il tono di questa lettera, che si trova manoscritta e inedita – come quella di Bovio – tra le carte di Engels, nell'Archivio del partito socialdemocratico tedesco, a Berlino, leggendo i capitoli successivi.



190 Nella seduta del Comitato generale dell'Internazionale tenuta il 12 ottobre 1864 a Londra, il maggiore Wolff – in quel tempo segretario di Mazzinicomunicò che intendeva partecipare al Congresso di Napoli. Venne allora incaricato di indagare se i rappresentanti delle società operaie italiane sarebbero stati disposti a entrare nell'Internazionale. Il Wolff partí per l'Italia, ma non partecipò al congresso. Nel febbraio 1865, di ritorno a Londra, raccontò che era stato imprigionato nella fortezza di Alessandria. Tolgo queste e altre notizie dai verbali delle sedute settimanali del Consiglio generale dell'Internazionale, conservati nell'originale e in copia fotografica presso l'archivio del partito socialdemocratico tedesco, a Berlino. I verbali vanno dal 5 ottobre 1864 alla fine di agosto 1872; mancano dal 21 agosto 1866 al 14 settembre 1869.



191 Sulla questione della banca artigiana si rinnovò alla Commissione eletta nel 1863 l'invito di presentare delle proposte precise.



192 Composta di Savi, Tavassi, Zuppetta, Martinati e Stampa.



193 Non ho veduto gli Atti del Congresso di Napoli. Il mio breve resoconto è ricavato dal «Giornale delle Associazioni operaie», 6 novembre 1864, nonché dal «Popolo d'Italia» e dalla «Nazione» nei giorni del congresso.



194 M. BAKUNIN, Il socialismo e Mazzini, 5a ed., Roma 1910, p. 34.



195 Statistica del 1873, Roma 1875, passim.



196 «Il Giornale degli Operai», 16 luglio 1865. Il Viganò invece, nello stesso anno, ne contava quaranta (RABBENO, La cooperazione in Italia, Milano 1866, p. 15) e il GARELLI (I salari e la classe operaia, p. 290) cinquantaquattro. Una seria statistica delle cooperative non s'ebbe che in anni piú tardi.



197 RABBENO, La cooperazione in Italia cit., p. 13. CASALINI, Cenni di storia del movimento cooperativo in Italia cit., p. 45.



198 «Il Giornale delle Associazioni operaie», 24 gennaio 1864.



199 «Il Giornale degli Operai», 15 maggio 1864.



200 Ibid., 21 febbraio 1864.



201 Ibid., 28 febbraio 1864.



202 Fu questa una delle prime operazioni di quella banca operaia che, contro ogni consiglio di Cattaneo, la Fratellanza aveva voluto fondare e che si costituí ufficialmente qualche mese piú tardi. Cfr. «Fede e Avvenire», 28 maggio 1865; L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze ecc. cit., pp. 52 sg.



203 «L'Unità italiana», ottobre 1864. Una prova della spontaneità con la quale gli operai ricorrono all'idea della cooperativa di produzione: a Catanzaro i lavoranti sarti in numero di duecento scioperano perché non si vuol conceder loro un aumento di salario. «Il Giornale delle Associazioni operaie», 20 novembre 1864, scrive che i detti operai hanno ora l'intenzione di costituire un'associazione per lavorare per proprio conto e dividere i lucri.



204 Un congressino cooperativistico si tenne a Lodi nei primi mesi del 1864. Ed è curioso quanto ne scrive il Luzzatti, che cioè in esso, quando non era ancora sorta l'Internazionale e «i lavoranti pensavano piú alla patria che alla condizione economica... un ignoto ribelle osò accennare al socialismo, ma rimase isolato» (Cooperazione e credito in Italia negli ultimi trent'anni, in «Nuova Antologia», 15 ottobre 1895).



205 Tali banche si organizzavano sul sistema del tedesco Schultze-Delitzsch, opportunamente modificato. Ma non è qui il luogo di discorrerne diffusamente.



206 Nei grandi centri dove eran sorte e prosperavano numerose società operaie, questi giornali rappresentavano un bisogno e, a volte, anche un affare. Vi si dedicavano insegnanti e giornalisti di professione, piccoli borghesi intellettuali e operai semimborghesiti. Non citerò che i piú importanti: «Il Giornale degli Operai», fondato a Genova il 18 novembre 1863, sotto la direzione di un professor Iacopo Virgilio cui si associò piú tardi il Revel; contava fra i suoi collaboratori Stefano Boldrini, Pietro Sbarbaro, Michele Lessona, Girolamo Boccardo, Enrico Fano. Democratico-moderato, si schierò contro la politicità delle società operaie, caldeggiò cooperazione e credito popolare. Dopo una interruzione dal 25 dicembre 1865 al 4 febbraio 1866 e dopo aver mutato direttore (a Iacopo Virgilio e a Revel successe un certo Piccardo) cessò le pubblicazioni il 17 dicembre 1866. «L'Operaio» a Bergamo e «L'Artista» a Torino, diretto da un operaio (Tamagno), fondati sui primi del 1864; il già citato «Giornale delle Associazioni operaie»; «L'Operaio», fondato a Torino nel febbraio, direttore Caratti; «Il Manuale degli Operai», che iniziò le pubblicazioni a Palermo il 31 luglio.



207 T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit., p. 20; «Il Giornale degli Operai», 27 marzo 1864.



208 «Il Giornale degli Operai», 10, 24 gennaio 1864.



209 Ibid., 5 novembre 1864.



210 Ibid., 7 febbraio 1864.



211 «La Perseveranza», Milano, 6 gennaio 1863; «Fede e Avvenire», 21 aprile.



212 «L'Unità italiana», 30 maggio 1863.



213 «Il Giornale di Napoli», «L'Opinione», fra il 7 e il 12 agosto 1863.



214 «Il Giornale degli Operai», 14 agosto. «Il Giornale delle Associazioni operaie», 28 agosto 1864.



215 «Il Giornale delle Associazioni operaie», 24 settembre 1864.



216 «La Perseveranza», 6 gennaio 1863, a commento d'uno sciopero di tipografi: «Noi senza farci giudici tra le pretese degli uni e le negative degli altri, e senza sopratutto incoraggiare in alcun modo questa pericolosa via delle coalizioni per ottenere un aumento di salarii, dobbiamo però far conoscere che gli operai tipografi hanno dichiarato volere astenersi da ogni violenza, e non impedire alcuno dal lavoro alle condizioni che volesse accettare».



217 Lo sciopero dei metallurgici di Pietrarsa (Napoli), 6 agosto 1863, terminò con un cruento conflitto fra operai e militari e col ferimento del direttore dello stabilimento. Anche in questa occasione molti giornali di destra accusarono i reazionari di non essere estranei allo sciopero. (Cfr. La Società operaia napoletana per i luttuosi fatti di Pietrarsa, Napoli 1863).





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License