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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • III. L'origine dell'Internazionale. Bakunin in Italia
    • 1. Mazzini e l'origine dell'Internazionale
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III. L'origine dell'Internazionale. Bakunin in Italia

1.

Mazzini e l'origine dell'Internazionale

 

 

 

 

 

Tutti sanno che l'Associazione internazionale dei lavoratori venne fondata a Londra, il 28 settembre 1864, in un meeting di democratici e di operai appartenenti a vari paesi d'Europa. Meno noti sono i rapporti che, nei primi tempi, corsero tra di essa e Mazzini.

Mazzini era stato invitato a partecipare al meeting; ma aveva preferito farsi rappresentare da alcuni membri della Società operaia italiana di Londra, che subiva interamente la sua influenza: due suoi amici, il Wolff e l'italiano Fontana, vennero nominati membri del Comitato provvisorio, incaricato di provvedere alla organizzazione pratica dell'associazione; il Wolff, poi, venne anche chiamato a far parte del Sottocomitato per la redazione degli statuti.

L'idea in base alla quale era stata fondata l'Internazionale, collegare cioè i movimenti operai dei vari paesi d'Europa, era pienamente condivisa da Mazzini. Ma poteva attuarsi per vie assai diverse. Mazzini intravide subito la possibilità di stringere intorno al suo programma la maggioranza dei componenti il comitato; attraverso i suoi emissari tentò dunque di impadronirsi del nuovo organismo il quale, poiché rispondeva a un bisogno veramente sentito dalle piú evolute frazioni della massa operaia europea, prometteva fin da principio d'incontrare un grande successo.

Il piú temibile avversario del programma mazziniano era, nel sottocomitato, il tedesco Carlo Marx.

Marx non intervenne alla prima seduta di questo sottocomitato, che Wolffmunito delle istruzioni di Mazzini – poté rappresentarvi la parte piú importante. Fatta approvare una dichiarazione secondo la quale si affermava esser scopo dell'Internazionale «il promuovere il progresso morale intellettuale ed economico delle classi operaie europee, attraverso un accordo fra le varie associazioni operaie in tutta Europa, al fine di ottenere unità d'intenti e unità d'azione», egli lesse l'Atto di fratellanza delle società operaie italiane (quello stesso che venne poi adottato nel Congresso di Napoli), proponendo di utilizzarlo per l'Internazionale. I membri del sottocomitato lo trovarono eccellente e deliberarono di presentarlo al Comitato provvisorio insieme con una dichiarazione di principî letta da un owenista inglese218.

Il Comitato generale (al quale si erano intanto aggiunti altri membri, tra i quali gli italiani Setacci e Aldovrandi, rispettivamente vicepresidente e consigliere della Società operaia italiana), nella sua seduta del 12 ottobre lodò la proposta di Wolff, rimandandola al sottocomitato per una semplice revisione. Quest'ultimo provvide a fondere le dichiarazioni del rappresentante italiano e di quello inglese, aggiungendovi una dichiarazione preliminare di principî redatta da un francese.

Se nessun fatto nuovo fosse intervenuto, l'Internazionale sarebbe stata governata dagli statuti mazziniani, sia pur riveduti e corretti. Ma Carlo Marx, avvertito del pericolo, accorse, il 19 ottobre, alla terza seduta del sottocomitato: assente il Wolff, allora allora partito per Napoli219, gli venne data lettura del progetto approvato nella seduta precedente. «Restai proprio spaventatoscrisse pochi giorni dopo all'amico Engels – quando udii il buon Le Lubez (il rappresentante francese) leggere un preambolo inutile, fraseologico, malamente scritto e assolutamente infantile, che pretendeva di essere una dichiarazione di principî, nel quale ad ogni punto si sentiva Mazzini incrostato con pezzi di socialismo francese»; inutile riportarlo, ché Engels ben sapeva con quale spirito e con quale fraseologia Mazzini affrontasse la questione operaia: «Mirava all'impossibile, una specie di direzione centrale (naturalmente con Mazzini in fondo) della classe operaia»220.

Restò molto spaventato, ma non lo dette a vedere; anzi approvò, con tutti gli altri membri del sottocomitato, il programma italo-anglo-francese; suggerí soltanto che se ne migliorasse qua e la forma e riuscí a ottenere che si affidasse a lui tale incarico.

Deciso a «non lasciar stare, dov'era possibile, neppure un rigo di quella roba», rifece di sana pianta il preambolo, ridusse a dieci i quaranta articoli dello statuto già approvato, scrisse un indirizzo alle classi operaie interamente nuovo; sostituí, insomma, al documento affidatogli per una semplice revisione formale, un documento affatto diverso, specchio della sua personale visione del movimento operaio.

Gli altri membri del comitato, che evidentemente non avevano idee troppo precise sull'argomento, nella seduta del novembre approvarono senz'altro le sue fatiche. Wolff, che avrebbe potuto sostenere il punto di vista mazziniano, non c'era. Per non urtare i delegati francesi e inglesi e già piú che soddisfatto pel successo, Marx si lasciò persuadere soltanto a introdurre nel preambolo «due frasi sui doveri e diritti e sulla verità, la morale e la giustizia»; due frasiscrisse egli stesso ad Engels – che, sperdute nel contesto, «non potranno recare alcun danno»221.

Erano le seguenti: «I sottoscritti... dichiarano che questa Associazione internazionale e tutte le società o individui che vi faranno adesione, riconosceranno come base della loro condotta verso tutti gli uomini: la Verità, la Giustizia, la Morale, senza distinzione di colore, credenza o nazionalità. Essi considerano come un dovere di reclamare non soltanto per se stessi i diritti d'uomo e di cittadino, ma anche per chiunque compie i suoi doveri. Nessun dovere senza diritti, nessun diritto senza doveri»222.

A Marx ripugnavano le espressioni vaghe, fondate su concetti imprecisi e mal definiti, espressioni cui ciascuno che le adopera e ciascuno che le legge attribuisce sensi diversi. Ma l'ironico compatimento per le «due frasi» non è del tutto sincero. Infatti nell'Indirizzo inaugurale, che egli scrisse tutto di sua ispirazione, si trova che gli operai debbono «unirsi in una contemporanea pubblica accusa per proclamare le semplici leggi della morale e del diritto, che dovrebbero regolare tanto i rapporti dei singoli quanto le leggi superiori dei mutui rapporti fra le nazioni»223.

Mazzini era dunque battuto. Che impressione gli fecero gli statuti e l'indirizzo redatti da Marx? Testimonianze dirette non ce ne sono; ma il suo pensiero risulta chiaro dal suo atteggiamento pratico. La guerra a oltranza da lui mossa all'Internazionale è posteriore di molti anni al 1864; e le critiche all'ordinamento dell'associazione gli furono suggerite non tanto dalla lettura degli statuti quanto dalla esperienza delle conseguenze a cui condusse la loro applicazione. Nel 1866, quando un membro del Consiglio dell'Internazionale fece carico a Mazzini di essersi adoprato per impedire la traduzione in italiano dell'indirizzo inaugurale, Wolff smentí esplicitamente: Mazzini si era limitato a muovere obiezioni «a certi passaggi, in tutto 9 o 10 parole». Eppure, come vedremo, Mazzini non poteva condividere le idee espresse negli statuti di Marx. Come si spiega allora l'atteggiamento conciliativo da lui assunto, in un primo tempo, di fronte all'Internazionale? Non altrimenti che con la fede illimitata da lui riposta nell'associazionismo operaio. L'essenziale era che si riuscisse a destare le masse lavoratrici alla vita collettiva: esse avrebbero poi saputo scegliere la via migliore. L'intransigenza della quale egli dava prova in ogni altro campo della sua attività si attenuava fin quasi a scomparire quando si trattava della organizzazione operaia. Ci volle l'esperienza del '71 per fargli mutare atteggiamento e per costringerlo a deplorare i mal rimediabili effetti della sua troppo mite condotta.

Bisogna anche dire che Marx, nel redarre i documenti fondamentali dell'Internazionale, aveva dato prova di una grande moderazione. Essi rispecchiavano le sue idee, ma non tutte le sue idee. A differenza di Mazzini, egli aveva voluto fare in modo che la nuova associazione potesse incontrare il favore del piú gran numero di organizzazioni operaie in tutta Europa; attraverso il Consiglio generaleorgano direttivo con poteri da principio abbastanza limitati – egli avrebbe poi cercato di far prevalere un programma sempre piú preciso ed esclusivista.

V'eran tuttavia due punti fondamentali nello statuto marxista che da soli bastavano a segnare una nettissima opposizione col programma mazziniano: l'uno, dove si dichiarava che ogni movimento politico doveva esser subordinato al grande fine della emancipazione economica del proletariato224; l'altro che, attraverso alla celebre espressione: «l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi», bandiva in sostanza la lotta di classe. Solo le considerazioni or ora svolte ci aiutano a capire come Mazzini anziché insorgere contro la proclamazione di questi due principî e di altri di minore importanza anch'essi in contradizione con tutto il suo modo di pensare225 potesse mantenere cordiali se pur non diretti contatti con l'Internazionale.

Per molto tempo egli sperò di poter neutralizzare l'influenza di Marx, e giovandosi delle simpatie che riscuoteva tra i trade-unionisti inglesi e dell'opera dei suoi amici italiani, di sostituirsi a lui nell'effettiva direzione dell'Internazionale.

Il temperamento, la coltura, le aspirazioni, il genio di Marx e di Mazzini erano troppo diversi perché potessero conciliarsi. La prevalenza dell'uno nell'associazione significava assoluta impossibilità per l'altro di occuparsene direttamente e attivamente.

Marx ostentava un ironico disprezzo per il cospiratore italiano, cui affibbiava in ogni occasione e senza risparmio bizzarri nomignoli e ogni sorta di epiteti ingiuriosi. Scherniva i presupposti religiosi e morali del buon Giuseppe, di Teopompo, di san Piero l'Eremita, di quell'eterno vecchio asino; rimpiccioliva goffamente il titanico sforzo da lui compiuto per sollevare e risolvere il problema politico d'Italia; della raggiunta indipendenza nazionale italiana non si mostrava del restosoddisfattopersuaso226; si rideva del programma sociale di quel leccapiatti della borghesia, e via discorrendo. Compatimenti e sbeffeggiamenti cui non bisogna dare un eccessivo peso, quando si ricordi che era incorreggibile abitudine del Marx di rivolgerli a quanti – uomini grandi e mediocri – o attraversavano il suo cammino o con le loro opere attiravan comunque l'attenzione, avendo il torto di non divider le sue idee. Nel caso di Mazzini, poi, vi s'univa una punta d'invidia per la immensa popolarità da lui conquistata in tanti anni di lotta, e di mal celato timore per le vaste influenze delle quali poteva e sapeva disporre. Marx scrive, , fin dal '64, che ormai Mazzini è finito tra gli operai italiani; ma s'accorgerà poi, quando a ogni passo dell'Internazionale in Italia si opporrà la resistenza accanita della organizzazione operaia mazziniana, come profonda, tenace e dura a morire sia l'influenza di Mazzini sulle classi lavoratrici. Tanto che nel '71, enormemente favorito dagli avvenimenti politici di quell'anno, giunto finalmente non a sbaragliare il suo avversario, ma a contrapporgli in Italia un poderoso movimento operaio che nega le sue idealità, escirà in un grido di trionfo, che è la piú bella confessione della gravità degli sforzi occorsi per raggiungere tale risultato.

Il giudizio di Mazzini su Marx è troppo noto perché sia necessario discorrerne e osservare quanto di acutamente vero esso contenga. Ma quelle che Mazzini tracciò son l'ombre del ritratto di Marx, non il ritratto nel suo contrasto d'ombre e di luci227.

In verità, i due uomini eran nati per non intendersi. Le circostanze li avevano sempre divisi e schierati in campi, se non opposti, diversi; v'era un lavoro (la organizzazione operaia) che avrebbe potuto associarli – e materialmente li associò, sia pur per poco – e conciliare le opposizioni nella comune devozione a una causa; e anche questo lavoro li divise, anzi li vide nemici assai piú accaniti che non per l'innanzi. Inconciliabilità di programmi, , ma anche impossibilità pei due temperamenti egualmente autoritari, egualmente insofferenti di consiglio o di critica, di perseverare concordi per una stessa via.

Quanto era delicata la sensibilità dell'uno, tanto era pesante, sorda la sensibilità dell'altro, priva di quel senso accorato d'umanità, di quella larga simpatia umana per cui Mazzini è sentito in ogni parte del mondo e, se pur lo si discute e nega, lo si comprende ed ama; Marx si studia e si ammira. Mazzini, riluttante ad ogni disciplina scientifica, profondamente pervaso di spirito religioso, conquistava i suoi ascoltatori e i suoi lettori non tanto o non solamente con la forza logica del ragionamento, quanto col calore della sua personale convinzione, con frequenti e sapienti ricorsi al sentimento, all'intuito, alla fede, col tono ispirato della parola. Chi non sa vibrare con lui, chi non s'abbandona a lui, non lo comprende e, se può concordare con alcune sue vedute pratiche o premesse teoriche, trova che tutto il suo sistema, come tale, crolla d'un tratto sol che lo si esamini con fredda critica obiettiva.

Rovesciamo Mazzini e si avrà qualcosa di molto simile a Marx: freddo, preciso, logicamente impeccabile, concreto; cervello assai piú acuto che non sensibile cuore.

Dall'uno non poteva venire che una predicazione di amore: il sogno della solidarietà fra le classi sociali, una dottrina di educazione e di elevazione morale. L'altro dalla secolare esperienza dell'umanità doveva trarre una ferrea legge economica, prima regolatrice d'ogni vicenda; legge che non nega, ma innegabilmente attenua l'influenza dei valori morali.

 

Nel 1871, biasimando le direttive dell'Internazionale, Mazzini afferma che esse o alcune di esse gli erano apparse fin dal principio pericolose e che «inascoltato, lo disse»228. Dunque serbò rapporti con i dirigenti dell'associazione anche dopo l'accettazione degli statuti redatti da Marx. Scrive anche che quelle direttive pericolose eran del resto corrette «in parte dalle formole, allora sincere, che affratellavano diritti e doveri» (abbiamo veduto quale si fosse la loro sincerità!) E insomma «di fronte a un esperimento che avea pure qualche cosa di grande in sé, non volle incepparlo e tacque fino a quando i tristissimi fatti recenti ebbero avverato il presentimento»229. Non solo tacque, ma apertamente appoggiò.

Il suo segretario (Wolff) parte infatti per Napoli dove si reca a portare la buona novella della fondazione dell'Internazionale; e, a Napoli, i congressisti operai si propongono di partecipare al I Congresso internazionalista. A Wolff, Fontana, Lama, Setacci, Aldovrandi si aggiungono, nel Consiglio generale, altri italiani: Solustra e Nusperli (22 novembre), Bagnagatti (29 novembre). Setacci anzi viene nominato vicepresidente e Fontana segretario corrispondente per l'Italia.

È falso dunque, se non altro, quanto scrive Engels a Marx, il 7 novembre, rallegrandosi dei successi dell'amico: «Buona soprattutto l'influenza sugli italiani, una vera fortuna, cosicché giungerà inaspettato al bravo Giuseppe che finalmente il suo "Dio e popolo" sia finito fra gli operai»230. Piú esatte se mai le parole di Marx, in una lettera del 18 novembre: «Mazzini ist rather disgusted [sic] che i suoi uomini sottoscrivano con noi; mais il faut faire bonne mine à mauvais jeu»231.

Tanta bonne mine fa Mazzini che il 13 dicembre la Società operaia italiana di Londra entra in massa, con i suoi trecentocinquanta soci, nell'Internazionale, facendosi precedere da un entusiastico manifesto di adesione232 e il 18 febbraio 1865 il foglio genovese «L'Unità italiana», che è la gazzetta ufficiale del mazzinianismo, racconta con lusso di particolari come è nata l'Internazionale e ne riproduce integralmente indirizzo e statuti. Wolff, tornando dall'Italia, annuncia, nella seduta del 21 febbraio, che le società operaie di Alessandria e di Brescia lo hanno incaricato «di esprimere loro amichevoli sentimenti verso il consiglio nonché la loro cordiale approvazione dei fini dell'associazione e speranza di poter presto entrare nella fraterna unione».

Segue un periodo di rapporti meno cordiali. Il 25 febbraio 1865 Mazzini, scrive Marx, «è fuor di sé perché la sua Società operaia di Londra ha mandato per il mondo il mio indirizzo tradotto in italiano, facendo a meno del desiderato permesso del signor Mazzini»233.

Il 14 marzo 1865, in seguito a un disaccordo con i colleghi del consiglio, Wolff presenta le sue dimissioni, seguito, il 4 aprile, da tutti gli altri italiani234. Ciò non significa che Mazzini e i suoi non seguitino a vedere con simpatia l'Internazionale. Ce lo prova una lettera scritta da Mazzini, il 26 aprile 1865, a un certo Traini, che gliene ha chieste informazioni. «Entrate pure nell'Associazione internazionale. Gli elementi inglesi sono buonissimi; altri non tanto. Ed è necessario stare in guardia contro influenze che mirano ad accrescere l'antagonismo aperto fra le classi operaie e le classi medie, ciò che nuoce senza raggiunger lo scopo»235.

Dunque, ancora nell'aprile 1865, Mazzini giudica maggiori i meriti che non i demeriti dell'Internazionale e consiglia i suoi amici operai di associarvisi. Lo conforta ancora la speranza di intervenire a tempo opportuno e guadagnarla alle sue idee e ai suoi metodi. Tant'è vero che non gli pare necessario di far ritirare dall'Internazionale la sua Società operaia di Londra; la quale anzi, sollecitata a nominare un suo rappresentante nel Consiglio generale, designa nuovamente il Wolff.

 

La conclusione che si deve trarre da questi brevi cenni è che Mazzini ha dunque notevolmente contribuito, direttamente e indirettamente, al primo affermarsi dell'Internazionale: ciò che non era stato finora, o cosí mi sembra, sufficientemente posto in luce.

La constatazione, intendiamoci, ha importanza solo per la biografia di Mazzini: non si può ritenere infatti che l'associazione avrebbe incontrato sorte gran che diversa nel mondo dei lavoratori, fortuna molto maggiore o molto minore nel nostro paese se egli avesse fin dal principio assunto un differente atteggiamento.






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218 Cfr. i già citati Verbali inediti del Consiglio generale e il Briefwechsel zwischen Engels und Marx, a cura di Bebel e Bernstein, Stuttgart 1913, vol. III, passim.



219 Lettera di Marx a Engels, 4 novembre 1864, in Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 186 sg.



220 «Wolff voleva centralizzazione e intendeva per associazioni operaie solo quelle di beneficenza», dichiarò Marx un anno e mezzo piú tardi, quando già l'influenza mazziniana era del tutto eliminata dall'Internazionale. Centralizzazione, , e l'abbiam visto esaminando l'Atto di fratellanza; quanto alle associazioni di beneficenza, Marx forse alludeva al fatto che Mazzini ripudiava le organizzazioni di resistenza e fondava il suo concetto di movimento operaio sul dogma della collaborazione borghese (Verbali citati, Seduta di consiglio del 13 marzo 1866). Nel 1871, quando Mazzini si scagliò apertamente contro l'Internazionale asservita a una minoranza intrigante, il Consiglio dell'associazione, in una relazione del 4 luglio, gli ricordò il progetto di statuto da lui fatto proporre; nel quale senza tanti scrupoli si affidava la direzione delle cose al Consiglio generale né si esprimeva il dubbio che quei pochi individui, investiti di tanta autorità, finissero o per non operare o per operare tirannicamente. Il progetto presentato dal Wolff «era nello stile solito di Mazzini: la democrazia borghese che offriva diritti politici agli operai, onde poter conservare i privilegi sociali delle classi medie e superiori» («Il Romagnolo», Ravenna, 9 settembre 1871).



221 Lettera citata, 4 novembre 1864.



222 Cfr. gli statuti dell'Internazionale in J. GUILLAUME, L'Internationale, Documents et souvenirs (1864-1878), Paris 1905, t. I, pp. 11-21.



223 C. MARX, Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale dei lavoratori, Roma 1901, p. 10.



224 Per via di temperamenti successivi, Marx cercò poi di far accettare alle Federazioni dell'Internazionale la dottrina della necessità preventiva per le classi operaie di conquistarsi i poteri politici. E fu proprio su questo punto che la grande associazione si scisse in due correnti antagonistiche, e quindi decadde.



225 Quella che si ritiene comunemente una delle differenze sostanziali tra movimento operaio mazziniano e quello marxista, la base cioè rigidamente nazionale del primo opposta all'internazionalismo del secondo, non poteva, nel 1864, apparir chiaramente. L'Internazionale, secondo il concetto dei suoi fondatori, non voleva essere che un nucleo di collegamento dei vari movimenti operai nazionali. Anzi negli statuti di Marx si affermava la necessità che i singoli movimenti serbassero, in seno all'associazione, la piú ampia autonomia. Solo attraverso gli annuali congressi, l'Internazionale mutò progressivamente la sua fisonomia fino a provocare la scomunica di Mazzini.



226 Il LUZIO, che fra Marx e Mazzini ha tracciato un vivace se pur poco obiettivo parallelo (ripubblicato nel volume Carlo Alberto e Mazzini, Torino 1923), si sdegna fra l'altro col Marx il quale – infiorando il suo dire con le consuete trivialitàaccusò Mazzini di aver trascurato la propaganda fra le masse contadine. Tale accusascrive a p. 449era goffamente calunniosa. Il Luzio ha perfettamente ragione per quanto riguarda le classi operaie; per quelle rurali, se pur la trascuranza di Mazzini ebbe motivi o almeno giustificazioni comprensibilissime, il rimprovero di Marx non è davvero calunnioso; affermare, com'egli affermò – alcuni anni dopo il 1848 – che i contadini italiani eran la base e il sostegno della dominazione straniera, significava enunciare una grande verità, forse da Mazzini non sufficientemente meditata.



227 Anima dell'Internazionale «è Carlo Marx, tedesco, uomo d'ingegno acuto ma, come quello di Proudhon, dissolvente; di tempra dominatrice, geloso dell'altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo, con piú elemento d'ira, s'anche giusta, che non d'amore nel cuore» (Agli operai italiani, in G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, 18 voll., Milano-Roma 1861-91, vol. XVII, p. 53 [edizione che d'ora innanzi indicherò con la sigla SEI]).



228 G. MAZZINI, L'Internazionale. Cenno storico, in SEI cit., vol. XVII, p. 109.



229 L'Internazionale. Cenno storico cit.



230 Briefwechsel cit., vol. III, p. 192.



231 Ibid., p. 194.



232 Verbali citati. Il manifesto fu letto nella seduta del 3 gennaio 1865 e conteneva espressioni di questo genere: I membri della Società operaia «dànno la loro piena approvazione ai vostri scopi e metodo... s'impegnano al pieno compimento dei doveri ivi [nello statuto] contenuti. Un nodo d'unione è stato già stabilito nel recente Congresso operaio a Napoli tra la maggioranza delle associazioni operaie italiane. Vi è stata eletta una direzione centrale e noi non dubitiamo che quel che noi facciamo, sarà fatto tra non molto da quella direzione centrale... per stabilire una pratica fratellanza generale, una generale unità d'intenti fra gli operai di tutte le nazioni». Altri passi di questo manifesto rivelano una diretta influenza di Mazzini, per esempio laddove si additano gli scopi dell'Internazionale nella elevazione morale, intellettuale ed economica della classe operaia, nella lotta per la conquista dei diritti politici, nella diffusione della cooperazione e di istituzioni educative e si definiscono questi punti come «un grande fine morale e veramente religioso» instauratore di una nuova era la quale «cancellerà iniquità, compressione, ignoranza, l'attuale sistema dei salari», sostituendovi «uguali doveri e diritti per tutti, vera educazione nazionale, e il sistema dell'associazione per la produzione e il consumo».



233 Briefwechsel cit., vol. III, p. 233.



234 Verbali citati e Briefwechsel cit., vol. III, p. 248. Nella seduta di consiglio del 25 aprile 1865 viene eletto consigliere un italiano: Salvatella. Ignoro se fosse in relazione con Mazzini.



235 A. SAFFI, Cenni biografici e storici a proemio del testo, in G. MAZZINI, SEI cit., vol. XVII, p. XII. La lettera è datata soltanto 26 aprile; il Saffi la attribuisce al 1865 e certamente con ragione.





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