3.
Bakunin in Italia
Nel gennaio 1864 Bakunin viene in
Italia. Mazzini e Saffi241 – che ha conosciuti in
Inghilterra e che lo sanno un fervente democratico – gli hanno
procurato biglietti di presentazione per gli uomini piú
influenti della Sinistra242.
A Genova incontra Agostino Bertani,
che piú tardi giudicherà una delle teste migliori del
partito d'azione243 e che ora gli facilita una gita a Caprera
per conoscere Garibaldi244.
Giunge infine a Firenze e vi si
trattiene fino all'agosto. Di questo primo soggiorno in Italia
Bakunin approfitta per maturare definitivamente il suo programma
sociale: fino allora ha dedicato gran parte della sua attività
alla battaglia per la libertà in Russia e per il diritto
nazionale in Polonia; adesso si trova in un paese che, risolto il
problema delle libertà costituzionali e della indipendenza
nazionale, è ben lungi dall'avere raggiunto un definitivo
assestamento; un paese in cui la rivoluzione politica non è
stata affatto seguita da un progresso immediato, visibile, della
maggioranza della popolazione. L'osservazione di questo fatto
esercita una decisiva influenza sul suo spirito.
A Firenze egli annoda numerose
relazioni, specie nell'ambiente democratico massonico; conosce
Alberto Mario, Lodovico Frapolli, Luigi Castellazzo, Beppe Dolfi,
Giuseppe Mazzoni, Ettore Socci, Andrea Giannelli, Berti Calura, De
Gubernatis; rivede Ludmilla Assing. Frequenta quel circolo di
scienziati positivisti, che si raggruppa attorno ad Ugo Schiff e ad
Alessandro Herzen (figlio del rivoluzionario russo suo intimo amico)
e che allora, in Firenze, è molto in vista245.
Vuol farsi un'idea del valore dei
partiti politici italiani, soprattutto di quello di sinistra, che è
il piú vicino alle sue idee. «Presso noi – scrisse
Andrea Giannelli – Bakunin fece tesoro della sua amicizia con
G. Mazzini altamente lodandone le qualità politiche tanto
ch'egli riuscí ad attirare le nostre simpatie»246.
La sua prima impressione della lotta
politica in Italia non è buona. «Come vedete –
scrive il 4 marzo 1864 agli amici Herzen e Ogarëv – qui e
in tutta l'Europa vi è un terribile imbroglio; nessuna
questione viene posta nettamente e chiaramente. Ma l'elettricità
si va accumulando nell'aria e l'atmosfera ne diventa sempre piú
satura. L'uragano è imminente. Può darsi che
l'esplosione avvenga piú tardi, ma mi sembra che il riflusso
sia finito e che stia per cominciare l'alta marea»247.
Lo urtano le tergiversazioni della
Sinistra, il suo rivoluzionarismo temperato e conciliante, le mille
tendenze particolari nelle quali si divide e che la rendono
praticamente poco efficace. Però sintomi rivoluzionari nel
paese ci sono, o cosí gli sembra, e tanto basta: bisognerà
coltivarli e prima o poi si tradurranno in fatti.
Non sappiamo con certezza se Bakunin
fosse o no ascritto alla massoneria; tra questa e le associazioni piú
o meno segrete che egli creò allora e in seguito vi sono certo
molti punti di contatto. Inoltre, si deve a lui un progetto di
riforma della massoneria, che parrebbe provare la sua
affiliazione248. Come Mazzini, egli spera di convertire al
suo programma la potente associazione, la quale, secondo lui, non ad
altro deve tendere che alla emancipazione completa dell'uomo, alla
costituzione di un'umanità libera sulle rovine d'ogni
autorità249.
Il 23 maggio 1866 invita gli amici
Herzen e Ogarëv a lasciare «l'idea assurda ch'io sia
iscritto alla frammassoneria. Forse la frammassoneria potrebbe
ancora servirmi da maschera o da passaporto, ma il cercarvi
un'occupazione seria sarebbe, per lo meno, puerile quanto il cercar
consolazione nel vino»250. Smentita cui si oppongono le
testimonianze fiorentine, abbastanza esplicite. Il De Gubernatis
afferma che egli «avea pur dovuto passarvi (nella massoneria)
perché gli forniva il modo di preparare altro»251;
e il Giannelli, che «aveva fiducia nella massoneria in genere,
era esso stesso massone, ma s'ingannava, ritenendo che cotesta
istituzione, guidata allora dal Frapolli in Italia, potesse neppure
minimamente giovare, accettare od appoggiare le sue idee
nichiliste»252. Era, dunque, assai probabilmente
massone; forse, come autorevolmente suppone il Nettlau253, lo
divenne a Firenze, con la speranza di acquistare in tal modo larghe
aderenze nell'ambiente democratico e specialmente nella frazione
mazziniana, allora in strettissimi rapporti con la
massoneria254. Quello stato d'animo che Mazzini, col suo
apostolato di trent'anni, aveva creato in molti giovani delle classi
medie e in qualche operaio intelligente, era quello stesso sul quale
poteva contare Bakunin per la divulgazione della sua dottrina sociale
in formazione.
Celebre per la fuga dalla Siberia,
ammirato come irriducibile ribelle e veterano delle battaglie per la
libertà di tutti i popoli, Bakunin si mette dunque in contatto
con gli elementi piú intelligenti e spregiudicati dell'estrema
Sinistra. Con i quali, massoni o non massoni, egli aveva già
molti principî e molte idealità comuni; e intanto,
fondamentali, la sensazione che il paese non avesse davvero raggiunto
un assetto definitivo; l'aspirazione in essi piuttosto vaga, ma
generalmente condivisa, a una riforma prossima o lontana, totale o
parziale, ma pur sempre a una riforma sulle basi politiche e sociali
dello Stato italiano. Inoltre la convinzione che, nel rapido
rivolgimento che aveva portato alla formazione dello Stato unitario e
posto le fondamenta della prosperità della borghesia, troppo
poco posto si era fatto ai desideri e al soddisfacimento dei bisogni,
anche se inavvertiti o inespressi, delle classi povere; e perciò
la volontà, piú o meno costante e spontanea, di andare
incontro a quelle classi e di curarne l'elevazione morale e materiale
e di inserirle – per la prima volta nella storia – come
forze coscienti nella vita della nazione. Terzo e non ultimo punto di
contatto fra loro la visione dell'avvenire europeo, che, pur
prospettato sotto forme tutt'altro che identiche, si accordava nella
comune aspirazione a veder rispettate e promosse le libertà
nazionali dei singoli popoli. Alcuni fra quei democratici –
citerò Bertani, Mario e Macchi, che ebbero tutti, in quegli
anni, relazioni con Bakunin – eran poi convinti fautori del
federalismo, come di quel principio che, intelligentemente applicato,
avrebbe potuto rigenerar l'Italia e guarirne tanti mali dovuti alla
scarsa omogeneità dei suoi abitanti e alla affrettata
unificazione; e ciò valeva a creare fra essi e Bakunin un
terreno di facile intesa.
Ma tra il russo e una buona parte dei
democratici militanti italiani v'era ancora un altro elemento di
accordo destinato, date le circostanze, ad avere la piú grande
importanza: la concezione religiosa. Dal '48 in poi la lotta per
l'unità e l'indipendenza italiana si era identificata, almeno
in parte, con una vivacissima campagna contro il potere temporale dei
papi, che per il fatto stesso della sua esistenza e per la sua
funzione politica, costituiva uno degli ostacoli piú gravi al
raggiungimento degli obiettivi nazionali; ma non soltanto contro il
potere temporale, bensí contro il cattolicismo ufficiale che
consacrava, insieme a quello, la legittimità degli Stati e di
tutto un assetto politico il cui abbattimento era condizione
indispensabile alla unità.
Il nostro Risorgimento, insomma, se
non nelle premesse, certo nei mezzi usati ad attuarlo e negli
immediati resultati, fu pienamente avverso alle esigenze del
cattolicismo e noi lo vediamo oggi impostato – o cosí ci
sembra – come uno sforzo di liberazione dal conservatorismo
antiunitario della Chiesa.
Gli uomini che avevano abbracciato il
programma di Mazzini o di Cattaneo o comunque contribuito alla
formazione dell'Italia eran perciò, in notevole maggioranza,
dei ribelli anche nel campo religioso; e, o si limitavano a voler la
distruzione del potere temporale, pronti, poi che si fosse ottenuto
questo intento, a far atto di ossequio all'autorità spirituale
del pontefice; o rilevavano la insufficienza della religione
ufficiale, sognandone una nuova, piú adatta alle necessità
dello spirito moderno, che integrasse l'insegnamento cristiano; o,
sordi ad ogni concezione spiritualistica della vita, si
disinteressavano del problema religioso, limitandosi a ribadire
ripetutamente il loro anticlericalismo; o, infine, a riflesso di un
nuovo movimento filosofico e scientifico che si andava affermando
sempre piú vigorosamente fuori d'Italia, si accostavano a
quella concezione positivistica che sembrava corrispondere, nel campo
speculativo, alla tendenza emancipatrice, allora trionfante in quello
politico.
Questi uomini formatisi nelle
battaglie del periodo 1848-59 erano poi gli stessi che riempivano la
scena politica del decennio successivo; sí che può
dirsi che le prime fondamenta del nuovo edificio nazionale costruito
sui detriti dei vecchi regimi vennero gettate da una generazione
composta in buona parte di elementi che con la religione ufficiale
avevano tutti qualche conto da saldare, e molti addirittura con
qualunque disciplina e concezione religiosa.
La religiosità del Mazzini non
solo non riusciva ad attirare questi transfughi del cattolicismo, ma
neanche a permeare di sé la maggioranza dei mazziniani; molti
dei quali seguitavano a professarsi tali, pur discordando dal maestro
nel punto centrale, anzi in quel che era il vero deus-ex-machina di
tutto il suo sistema. Il positivismo invece prese salda radice in
Italia proprio negli anni immediatamente successivi al '60,
coincidendo con un intenso risveglio di attività scientifica.
Accanto a Cattaneo – discepolo
di Romagnosi – che in ogni campo della sua sconfinata attività
aveva portato lo stesso metodo di indagine spassionata e realistica,
lo stesso spirito lucido e concreto e che, col suo Invito alli
amatori della filosofia (1857) – esortazione ad abbandonare
lo sterile astrattismo per dedicar l'ingegno allo studio e
all'incremento delle scienze – aveva dato in certo senso la
squilla al movimento positivistico italiano; troviamo il Ferrari,
solitario pensatore, teorico del fenomenismo, per tanti punti nei
suoi studi storici e filosofici precursore del nuovo orientamento
spirituale; il Macchi, formatosi alla scuola del Cattaneo,
razionalista convinto ed assoluto, fervido propagandista delle sue
idee; Alberto Mario, fedele seguace del programma politico di
Cattaneo e libero pensatore; Ausonio Franchi, transfuga del
cattolicismo, teorico di un razionalismo integrale e fondatore del
giornale «La Ragione» (1854-57) e poi Pasquale Villari,
il Trezza, Aristide Gabelli e Nicola Marselli, nomi illustri o nella
storia o nella filosofia, teorici del positivismo. E, dietro a loro,
tutta una schiera di pensatori e di scrittori di seconda grandezza,
attivissimi nella divulgazione dei risultati del nuovo indirizzo
scientifico: come Luigi Stefanoni, traduttore di Feuerbach, di
Büchner, di Herzen, di Fontenelle, oltre che mediocre ma vivace
cultore di studi storici e politici; Filippo De Boni, Levino
Robecchi, Guido Bazzoni, Giuseppe Ricciardi, Luigi Bertagnoni e
moltissimi altri, ai quali si deve una fervidissima propaganda del
libero pensiero, propaganda che si estrinsecava nella
fioritura di numerosissime società di liberi
pensatori255, promotrici di conferenze, riunioni,
pubblicazioni varie e giornali. Fra questi ultimi, notevole «Il
Libero Pensiero» (tramutatosi poi nel «Libero Pensatore»)
che si pubblicò prima a Parma, poi a Firenze e a Milano dal
1866 al 1875.
Nelle Università, intanto, nei
gabinetti scientifici trionfava l'indirizzo materialistico di quasi
esclusiva importazione straniera. Basterà ricordare il
Moleschott, lo Schiff, lo Herzen, Cesare Lombroso, Salvatore Tommasi.
Il clamore destato dai loro studi valeva a dare a tutto il movimento
del libero pensiero, che dei risultati di quegli studi si faceva
divulgatore, generalizzatore ed esageratore entusiasta, un tono di
vivacità e nello stesso tempo di serietà che gli
conciliavano sempre piú larga simpatia e adesioni.
Le file democratiche si eran lasciate
profondamente permeare da questo nuovo spirito tanto che si può
dire che, fra di esse, quelli che n'eran rimasti estranei formavano
una piuttosto esigua minoranza. Lo seguiva perfino – e con
quanto fervore – il capo riconosciuto del movimento
democratico, Giuseppe Garibaldi; il quale, movendo da un
anticlericalismo istintivo ed ostinatissimo, che non di rado lo portò
a trascendere ogni limite negli attacchi quotidiani alla religione
ufficiale dello Stato, era giunto a un suo culto della ragione che,
per esser teoricamente vago e indistinto, non per questo era meno
saldo e ribadito e ostentato.
In questo ambiente di mazziniani
ortodossi e di mazziniani dissidenti sul problema religioso, di
positivisti misurati e serii, di materialisti, di razionalisti e di
liberi pensatori tra i quali si potrebbe distinguere tutta una gamma
di interpretazioni e di atteggiamenti diversi che andavano dalle
logiche deduzioni delle nuove correnti scientifiche a una giovanile
superficiale ribellione contro la visione tradizionale dei sommi
problemi, si infiltrò il deciso ateismo di Michele Bakunin.
Resosi conto delle tendenze prevalenti
nella Sinistra democratica, il russo, insinuandovisi, lavorò
soprattutto su quei punti intorno ai quali esistevan già
evidenti possibilità di accordo: tentando cioè di
sfatare le illusioni sulle possibilità di una lenta riforma in
senso democratico della costituzione politica e di sostituire al
blando rivoluzionarismo mazziniano la sua idea di rivoluzione
esclusivamente sociale, non italiana, ma europea, basata
sull'immediato raggiungimento di un generale livellamento di classi;
dimostrando la inanità del movimento operaio quale era andato
fino allora svolgendosi e la necessità di pensare a una
organizzazione generale di tutta la massa lavoratrice; criticando il
concetto di unità quasi forzata, autoritaria, perché
d'ispirazione divina, che era centro della dottrina mazziniana, e
dimostrando ai federalisti che il loro principio andava applicato non
alla sola organizzazione politica del paese, ma al disegno di una
riforma totalitaria nella costituzione della società umana;
facendo leva sull'atteggiamento libertario assunto da moltissimi
democratici di fronte al problema religioso e sostenendo essere
illogico e irrazionale non mantenerlo di fronte a ogni altro problema
spirituale o materiale, individuale o collettivo.
Con questa opera personale di
persuasione, Bakunin si riprometteva di formare una élite di
uomini intelligenti e attivi che costituissero lo stato maggiore dei
prossimi moti sociali. Era un lavoro preparatorio lento e paziente,
ben difficile oggi a documentare. Poiché non in altro
consisteva che in conversazioni, riunioni segrete e poco numerose,
nelle quali si preparavano vasti progetti destinati a crollare al
primo contatto con la realtà; non ne poteva restare ricordo
che negli scritti di Bakunin e in quelli dei suoi primi seguaci
italiani: ma Bakunin è stato singolarmente parco di notizie su
questo periodo della sua attività; gli altri, che allora
subirono il suo fascino personale e si lasciarono andare a entusiasmi
presto sbolliti ed a promesse presto ritirate, ne parlarono, in
seguito, il meno possibile. Ci restano, è vero, alcuni
manifesti, programmi, progetti; ma bisogna dare a questi documenti un
valore molto relativo: dietro di essi non c'è che un'ombra di
quel vasto movimento che vorrebbero rappresentare. La grafomania fu
una tra le caratteristiche di Bakunin: e chi, dall'abbondanza di
statuti e progetti arguisse una larga fortunata propaganda, sarebbe
quanto mai lontano dalla verità.
I frutti immediati dell'attività
bakunistica in Italia, tra il '64 e il '67, furono in realtà
scarsissimi. Ma era la prima volta che agli occhi di molti, avvezzi a
considerare il mazzinianismo come la soluzione piú
rivoluzionaria possibile dei problemi italiani, si apriva un
orizzonte nuovo e, almeno in apparenza, infinitamente piú
vasto. Mazzini era stato considerato da tutti, in Italia, come il
rivoluzionario per antonomasia. A lui si erano accostati tutti
quei giovani – dei quali l'Italia ha sempre avuto dovizia –
che, assillati dalla volontà di agire, bramavano di sfogare in
qualche modo quel bisogno di novità e di opposizione
all'ordine costituito che è comune e naturale nella gioventú;
tutti quei giovani che, tra i recentissimi ricordi delle
cospirazioni, delle rivolte, dei martiri, degli eroismi, si erano
educati a sognare una vita di avventure, di gloria, di sacrificio ed
erano pronti a buttarsi in questa corrente politica che promettesse
piú novità, piú mutamenti, piú rumoroso
impiego della loro quasi sempre effimera, ma pur sempre impetuosa
inquietudine.
Qui sta tutta l'importanza della propaganda di Bakunin. Il quale
inizia una campagna contro Mazzini non dal consueto punto di vista
dei conservatori o dei moderati, dei costituzionali o dei cattolici,
ma da quello ultrarivoluzionario; affronta Mazzini sul suo stesso
terreno di lotta e mostra ai giovani non quello che egli dice di
essere, ma quello che – secondo lui – egli è in
realtà: insufficiente, tiepido, dogmatico e, quanto al
nascente movimento operaio, prodigo somministratore di soporiferi di
pretta marca borghese.
Alcuni giovani restano scossi da
questa propaganda e inclinano ad accogliere il novissimo verbo, che
apre tutte le possibilità e non preclude nessuna via alla loro
smania rinnovatrice. Altri, turbati anch'essi, oscillano ormai
incerti tra il socialismo rivoluzionario e il mazzinianismo, incapaci
di una risoluzione netta e definitiva256.
Nell'autunno 1864, compiendo un breve
viaggio in Inghilterra, Bakunin s'incontra a Londra con Carlo Marx. I
due uomini sono divisi oltre che da divergenti vedute e opposti
temperamenti, da acri questioni personali; ma finiscono con
l'intendersi per la lotta contro Mazzini in Italia e, in generale,
per la diffusione della neonata Internazionale.
Sui primi di novembre il russo è
di ritorno fra noi. Ha anche ricevuto l'incarico di consegnare a
Garibaldi l'indirizzo inaugurale dell'Internazionale257. A
Genova gli è facile introdursi nell'elemento operaio grazie a
un biglietto di Mazzini a Federico Campanella: «Di' a Mosto che
andrà a cercarlo un amico mio russo con la moglie: che mi
preme sia ben accolto dai nostri; che lo faccia conoscere ai coniugi
Sacchi e Casaccia per gli operai... Starà pochissimo in
Genova. Questo russo ti darà una prima lettera russa, in
francese. È lavoro interessante assai»258.
Bakunin si serve dunque di Mazzini per iniziare i suoi contatti con
l'elemento operaio, quando già a Londra ha concordato con Marx
l'azione antimazziniana!
Da Genova ritorna a Firenze. Qui, sul
cadere del 1864, getta le basi di una società segreta, che ora
è detta Alleanza della democrazia socialista, ora Società
dei legionari della rivoluzione sociale italiana, piú spesso
Fratellanza. La nascita di questa società segreta coincide,
per il tempo, col precisarsi nello spirito di Bakunin delle nuove
teorie rivoluzionarie; egli ha bisogno di concretare il suo pensiero,
di tradurlo immediatamente in azione, perché ormai non ha fede
che «nella rivoluzione fatta dal popolo per la sua positiva e
completa emancipazione, rivoluzione che costituirà l'Italia
libera repubblica di liberi comuni nella libera nazione, liberamente
uniti fra loro». Cosí scrive il 7 febbraio
1865259.
In un altro scritto, Bakunin cosí
chiarisce gli scopi della Fratellanza: «Bakunin, con alcuni
amici italiani, fondò un'alleanza segreta soprattutto come
mezzo per combattere l'Alleanza repubblicana, che Mazzini aveva
fondato poco innanzi con una tendenza teologica e un fine puramente
politico». La Fratellanza fu insomma «creata come
affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religioso
politico di Mazzini»260.
Il programma della Fratellanza si
compone di dodici articoli che contemplano l'abolizione del diritto
divino, la rinunzia ad ogni propaganda nazionale, la libertà
dell'individuo nel comune, la libera federazione dei comuni nella
provincia e nella nazione, l'abolizione dell'attuale diritto pubblico
e privato, l'eguaglianza politica di tutti i cittadini, l'abolizione
di ogni privilegio, e quindi l'emancipazione del lavoro dal capitale,
la proprietà della terra ai contadini e degli strumenti del
lavoro agli operai261. L'eguaglianza e la libertà sono
i prepotenti bisogni, l'aspirazione piú alta di tutti gli
uomini e verranno raggiunte «con la forza selvaggia e legittima
del popolo fino nelle loro ultime esplicazioni»262.
Pochi legionari, la cui personalità sarà
circondata dal piú profondo mistero, ai quali sarà
solennemente vietato di mettersi in comunicazione gli uni con gli
altri, devono esser messi a parte di questo programma e diventarne
propagandisti. I componenti il Comitato centrale, supremo dirigente,
dovranno anche procurarsi tutte quelle nozioni militari che li
mettano in grado di guidare eventuali moti armati. Pene tremende sono
comminate ai traditori, agli apòstati, e una severità
grandissima deve presiedere alla accettazione di nuovi fratelli.
Di questa società segreta dà
qualche notizia Angelo De Gubernatis che fu tra i primi, a Firenze, a
subire il fascino di Bakunin e che, per dedicarsi alla propaganda e
per adattare la sua vita ai nuovi principî rivoluzionari, volle
rifiutare ogni privilegio e presentò le dimissioni da
professore universitario (ben presto però si pentí del
suo entusiasmo e tornò ai piú pacifici studi del
sanscrito): «si doveva fra lui [Bakunin] e me stabilire un
cifrario misterioso ch'egli ed io soli avremmo dovuto conoscere...
Prima di essere ricevuto nel consesso, sarebbe stato necessario che,
in casa del fornaio Beppe Dolfi, io mi sottoponessi a un
interrogatorio il quale sarebbe fatto da uno dei triumviri della
Repubblica toscana del 1848, Giuseppe Mazzoni di Prato»263.
De Gubernatis si trovava allora in uno stato d'animo di esaltazione
giovanile per cui sarebbe stato riconoscente a chi gli avesse offerta
«un'occasione di morir presto, di morir bene, di morir solo,
rumorosamente, per tutti»264. La dottrina di Bakunin
rispondeva pienamente a queste sue ingenue aspirazioni.
Non appena cominciò a lavorare,
il suo entusiasmo si raffreddò: «vedevo intorno a me
solo generali avidi di comando e nessun soldato». Ma era quello
appunto il programma iniziale di Bakunin: creare una minoranza
dirigente e comunicarle la scintilla rivoluzionaria: le masse
sarebbero venute poi265.
Quanti e chi furono i primi affiliati?
De Gubernatis non dà che notizie vaghe, parlando quasi sempre
di sé. Egli rammenta un'assemblea, tenuta a Firenze, a cui
presero parte una trentina di fratelli e accenna, abbiam
visto, a Dolfi e Mazzoni, come a personaggi influenti; ma il
bakunismo di questi due mazziniani non dovette essere di lunga
durata; in caso diverso, ne sarebbe rimasta qualche altra
testimonianza. Certo è che molti mazziniani si avvicinarono a
Bakunin per impulso proprio e, fors'anche, per incoraggiamento di
Mazzini stesso che non poteva supporre che il russo perseguisse lo
scopo precipuo di scalzare il suo prestigio in Italia. Lo confessa
Andrea Giannelli, ma aggiunge: «fu cosa minima». Si
rammenti però che Giannelli scrive parecchi anni dopo, quando
non doveva essere piacevole per un mazziniano ammettere che alcuni
tra i piú influenti del partito, e Mazzini stesso, s'eran
lasciati ingannare da Bakunin e lo avevano aiutato a creare un organo
volto, in sostanza, a combattere il mazzinianismo. Anche il
Giannelli, del resto, «pur disputando continuamente con lui»,
rimase «suo personale amico»266.
Ad ogni modo, non sembra che la
Fratellanza incontrasse soverchia fortuna a Firenze. Tanto che
Bakunin nella primavera del 1865 lasciò questa città,
trasferendosi nei dintorni di Napoli.
Deboli tracce della influenza da lui
esercitata nell'ambiente democratico in Firenze si posson forse
ravvisare nella fondazione del settimanale «Il Proletario»,
che vi iniziò le pubblicazioni il 20 agosto 1865, diretto da
Nicolò Lo Savio, massone, amico del Dolfi267,
insegnante di economia sociale nelle scuole della Fratellanza
artigiana.
«Il Proletario» è
interessante soprattutto perché si rivela come un quid
medium tra il mazzinianismo e il socialismo.
Sul tronco mazziniano (fiducia
smisurata nell'associazione operaia, nella cooperazione,
inviolabilità del principio della proprietà privata),
«Il Proletario», giornale «economico socialista per
la democrazia», innestò infatti qualche principio di
provenienza bakunistica: primo punto, non fece mai parola del
problema politico; inoltre sostenne apertamente il concetto della
società divisa in classi antagonistiche, la necessità
di uno sforzo tenace da parte della classe operaia per raggiungere la
propria emancipazione senza l'aiuto della borghesia; e infine affermò
che la ricostituzione sociale avrebbe dovuto basarsi sull'eguaglianza
di tutti i cittadini.
Forse perché «Il
Proletario» non si occupava di politica, le autorità non
lo videro di malocchio, lo lasciarono tranquillamente prosperare fino
a raggiungere un 1500 abbonati e poi (7 gennaio 1866) morire di morte
naturale268.
Gli scarsi successi incontrati
nell'ambiente democratico italiano impressionarono assai
pessimisticamente Bakunin sugli uomini del partito d'azione. Questo
pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostra
democrazia non è buona che a parole; in pratica impotente,
supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi
campioni: Mazzini e Garibaldi.
«Che malinconica cosa questa
democrazia italiana – scrive scoraggiato Bakunin nel novembre
'65. – A mala pena riunendo tutte le sue ricchezze
intellettuali, essa riuscirà a mettere al mondo un'idea:
pretende vivere sempre di sentimento, d'istinti e di non darsi che
delle arie di bravura. Tutto questo non va. Bisogna pensare, se si
vuol progredire. Ma in questo paese, che dà la mano al papa,
pare si sia messo il pensiero all'indice. La democrazia perciò
si trova qui (a Napoli) come dappertutto in Italia, in uno stato di
prostrazione, di ristagno difficili a descriversi, e di equivoco
cronico e perpetuo»269.
La gioventú borghese italiana è
infinitamente piú arretrata di quella d'altri paesi e
assolutamente inadeguato è in Italia lo sviluppo della
scienza: solo pochissimi seguono quelle correnti scientifiche che,
trasportate nel campo economico e filosofico, trionfano all'estero e
formano la base e la conferma del socialismo.
Inviando agli amici Herzen e Ogarëv
i programmi della Fratellanza, Bakunin si scusa dei troppi
particolari superflui che essi contengono. «Ma ricordatevi –
spiega – che ho scritto questo programma in ambiente italiano
in cui evidentemente le idee sociali sono quasi
sconosciute»270.
Si è formata in Italia una
consorteria la quale, impadronitasi di ogni impiego lucroso,
taglieggia il paese. Meno di cinque anni di indipendenza sono
«bastati» egli nota «per rovinare le sue finanze,
per precipitare tutto il paese in una situazione economica senza
uscita, per uccidere la sua industria, il suo commercio»: e,
quel che duole sopra ogni altra cosa, per distruggere nella gioventú
borghese quello spirito di eroica devozione che per piú di
trent'anni ha servito di potente leva a Mazzini271. I
repubblicani si sfogano ad attribuire ogni malanno al governo
monarchico. Ma la colpa ricade tutta sulla borghesia, che in Italia è
nella piú completa decadenza. In nessun luogo ci si può
render conto altrettanto chiaramente del vuoto che nasconde il
principio della rivoluzione esclusivamente politica. In nessun luogo
è piú arbitraria la identificazione che comunemente si
fa di «rivoluzionario» e di «patriota».
A Napoli o in quel di Napoli Bakunin
si trattiene fino al settembre del 1867; e impiega tutto il suo tempo
nella propaganda a favore della Fratellanza che gli sta molto piú
a cuore dell'Internazionale.
Anche qui i primi resultati non sono
troppo brillanti. Scrive il Giannelli che le cose non gli vanno
meglio che a Firenze; «non è affatto vero che gli
affiliati alla Falange sacra si fossero lasciati persuadere da
lui»272.
Bakunin si insinua nell'ambiente
democratico-massone e avvicina soprattutto giovani garibaldini:
giovani romantici sui quali lo spregiudicato radicalismo del
rivoluzionario russo esercita una vera attrazione, giovani scontenti,
ché la patria non ha piú bisogno di loro, e anzi
rifiuta i loro servigi e teme le loro agitazioni: essi cominciano ad
intravedere ideali che presuppongono la già compiuta unità
e indipendenza della patria e che della patria superano i confini.
Tra le prime conoscenze del Bakunin si
ricordano Giuseppe Fanelli273, Saverio Friscia274,
deputati al Parlamento; l'avvocato Carlo Gambuzzi – che abbiamo
trovato mazziniano al recente Congresso operaio di Napoli275
– Tucci, Dramis, De Luca, Mileti, Sebastiano di
Lucca276.
S'intende che giovano assai al
Bakunin, in questi primi contatti, le relazioni, finora ottime, che
egli mantiene con Garibaldi.
Il foglio garibaldino «Il Popolo
d'Italia», che si stampava a Napoli sotto la direzione, allora,
di Giorgio Asproni277, aprí – secondo assicura
il Giannelli – le sue colonne alla collaborazione di Bakunin;
il quale vi stampò «alcuni articoli sulla morale, intesa
a suo modo». Erano scritti in francese e furono tradotti in
italiano dalla Assting e dal Giannelli stesso278.
La sua propaganda nel Mezzogiorno
d'Italia sembrava singolarmente favorita dalle condizioni di quelle
regioni, affatto arretrate sotto il punto di vista dello sviluppo
industriale, senza grandi centri operai (unica eccezione Napoli),
ancora profondamente turbate dal grande sconvolgimento del 1860. Le
simpatie di Bakunin non si rivolgono affatto alle masse operaie della
grande industria, use alla disciplina e alla compattezza, ossia alla
mancanza di libertà, a quelle masse cui non ripugna l'idea
dello Stato, sia pure di uno Stato di lavoratori. Il suo cuore è
tutto per le grandi masse agricole, forti di un secolare malcontento,
proclivi, nella loro ignoranza, a quei mezzi di lotta che il suo
romanticismo sociale trova i piú sani e i piú proficui.
La politica non interessa i contadini, ma basta una scintilla per far
prorompere il loro odio contro il proprietario, il borghese, la
città. Ecco quel che Bakunin scrive nel 1870, esaltando il
rivoluzionario «in potenza» che si cela sotto i cenci di
ogni contadino italiano: «Risvegliate soltanto l'istinto
profondamente socialista che è sopito nel cuore di ogni
contadino italiano; rinnovate in tutta l'Italia, ma con un fine
rivoluzionario, la propaganda che il cardinale Ruffo aveva fatto in
Calabria, sulla fine del secolo scorso; gettate soltanto questo
grido: la terra a chi lavora con le sue braccia! e vedrete se tutti i
contadini italiani non sorgeranno per fare la rivoluzione
sociale»279.
Il contatto con la borghesia ha
rovinato gli operai, afferma Bakunin; il patriottismo dei borghesi li
ha contaminati; e forse egli ha presente la grande Società
operaia di Napoli, dominata da elementi democratici borghesi, che ha
fatto voti per la liberazione di Roma e di Venezia; probabilmente gli
amici napoletani lo hanno informato dell'andamento di quel Congresso
di Napoli, che ha ripetuto le mille volte agli operai essere loro
primo dovere la liberazione delle province ancora soggette allo
straniero. Il patriottismo è un veleno, che Mazzini e
Garibaldi hanno inoculato negli operai italiani: i quali «sono
schiacciati sotto il peso di un lavoro che basta appena a nutrire
loro, le loro donne, i loro fanciulli, maltrattati, malmenati,
morenti di fame, e spinti, diretti, lasciandosi trascinare ciecamente
dalla loro borghesia radicale e liberale, parlano di marciare su
Roma, come se dal Colosseo e dal Vaticano possano venir loro la
libertà, il riposo e il pane... Queste preoccupazioni
esclusivamente politiche e patriottiche sono molto generose, senza
dubbio, da parte loro. Ma bisogna anche confessare che sono molto
stupide»280. – Il veleno del patriottismo
borghese non è penetrato invece nelle masse agricole, sí
che queste serbano intatto l'istinto rivoluzionario: «Sotto il
rapporto della rivoluzione sociale, si può dire che le
campagne d'Italia sono anche piú avanzate delle
città»281.
Bakunin è in ordine di tempo il
primo in Italia che si occupi delle masse agricole del Mezzogiorno,
senza considerarle strumenti di reazione e non deplorando l'avvenuta
unificazione nazionale. Mazzini non ha mai pensato seriamente ai
contadini italiani. Anzi Bakunin ricorda quel che Mazzini gli
rispose, a Londra, una volta che egli gli osservò esser
necessario rivoluzionare i contadini italiani. «Per
ora nulla vi è da fare nelle campagne; la rivoluzione
dovrà farsi prima esclusivamente nelle città; poi,
quando l'avremo fatta, ci occuperemo delle campagne!»282.
Ma non bisogna dare troppa importanza
alle pagine vibranti di entusiasmo che Bakunin dedica ai contadini
italiani; le parole rimasero parole; gli incitamenti alla rivoluzione
non conquistarono che un piccolo entourage di giovanotti borghesi e,
in un secondo tempo, di operai e d'artigiani.
Fino a tutto il 1865 Bakunin poté
svolgere tranquillamente la sua attività, senza incontrare
resistenze troppo gravi: troppo modesta ancora per destare
preoccupazioni nell'ambiente borghese e nelle autorità, essa
si giovava del fatto che il mazzinianismo non era mai penetrato a
fondo nel Mezzogiorno; non si trattava perciò tanto di
scalzarlo o, per dirla con Marx, di minargli il terreno, quanto di
prevenirlo nella diffusione di un programma di rinnovazione sociale
che alleasse al proletariato elementi intelligenti e disinteressati
della borghesia, pronti a sacrificare all'emancipazione di quello i
privilegi tradizionali della loro classe.
Ma sul cadere del 1865 Mazzini,
compreso della necessità di trovare una piú larga base
al suo movimento e forse anche avvertito del lavorio che Bakunin
andava compiendo, si accinse precisamente a intensificare la
propaganda nel Mezzogiorno. «Mi son dato con volontà
feroce, superiore alle mie condizioni fisiche a conquistarci, con
intenzioni pratiche, il Mezzogiorno», scrive, il 2 dicembre
1865, a Federico Campanella283.
Se ne sente il contraccolpo nelle
lettere di Bakunin, purtroppo quasi unico insufficientissimo
documento di una attività che, per tanti rispetti, meriterebbe
d'essere un poco piú nota.
2 marzo 1866: «L'Italia
unificata si sfascia. L'opposizione contro il governo si accentua di
piú in tutte le province. Il deficit, la paura di nuove
imposte, il ribasso dei terreni, l'oppressione e i cavilli della
burocrazia, l'arrestarsi di tutti gli affari, tutto questo, riunito,
provoca, finalmente, una irritazione nella popolazione ed eccita
anche i piú indifferenti, i piú apatici»284.
19 luglio 1866: (quando già
Mazzini, riprendendo la intransigenza repubblicana, ha fondato la sua
Alleanza) «Sono stato obbligato a lavorare enormemente,
soprattutto contro le idee e le passioni cosí dette nazionali,
contro l'odiosa teoria del patriottismo borghese diffusa da Mazzini e
Garibaldi. Ma, dopo un penoso lavoro di tre anni consecutivi,
comincio ad ottenere dei risultati pratici... La maggior parte delle
organizzazioni mazziniane dell'Italia meridionale, della Falange
sacra, sono passate dalla parte nostra». E piú oltre:
«soprattutto nell'Italia meridionale, il basso popolo accorre
in massa verso di noi, non ci manca davvero la materia prima, ma
piuttosto mancano uomini istruiti e intelligenti che agiscano con
franchezza e che siano capaci di dare una forma a questa materia
prima. Il lavoro da fare è enorme; gli ostacoli da superare
innumerevoli, le risorse finanziarie mancano assolutamente.
Nonostante tutto, nonostante questo importante diversivo militare (la
guerra antiaustriaca), non ci perdiamo di coraggio, non manchiamo di
pazienza. Certo bisogna averne una dose abbondante, ma, per quanto
con lentezza, pure progrediamo tutti i giorni... In un manifesto
indirizzato ai suoi amici di Napoli e di Sicilia, Mazzini mi denunciò
formalmente, sempre dandomi il titolo di il mio illustre amico
Michele Bakunin285. Non era comodissimo per me; la denunzia
poteva compromettermi sul serio, visto che le falangi mazziniane,
soprattutto in Sicilia, abbondano di spie pagate dal governo
italiano. Per mia grande fortuna quest'ultimo non si rende ancora
conto del movimento socialista nel paese, e non nutre perciò
timori al riguardo. Decisamente, ciò dimostra la sua grande
bestialità, perché dopo il naufragio che hanno fatto in
Italia i diversi partiti politici, e la fine delle loro idee e dei
loro scopi, non resta in questo paese di vitale e di possibile che
una forza sola: la rivoluzione sociale»286.
L'ottimismo che traspare dalle parole
di Bakunin è in connessione col crescente sviluppo della sua
Fratellanza. La quale, diffusa, se pur debolmente, in tutta Europa,
ha messo radici anche nell'Italia meridionale. La frase «il
basso popolo accorre in massa verso di noi» è piú
l'espressione di un desiderio che della realtà; ma non v'è
dubbio che qualche nucleo della Fratellanza venne fondato in quegli
anni nel Mezzogiorno, come dimostra una circolare diretta da una
sezione palermitana ad altre sezioni287. A una sezione
fondata a Napoli fin dal 1866 accenna una memoria della Federazione
napoletana dell'Internazionale pubblicata dieci anni piú
tardi288.
Si provvide anche alla necessità
di un giornale che collegasse le sezioni e divulgasse le idee
bakuniste: nell'ottobre 1866 apparve il primo numero della
«Situazione», due paginette interamente scritte da
Bakunin. Conteneva uno studio sulla condizione dei partiti in Italia,
l'esame della situazione del popolo italiano, della sua miseria,
della sua potenza insurrezionale, dei suoi nemici, ossia «la
Chiesa, lo Stato centralista e i suoi necessari elementi – i
privilegi sociali»; inoltre un attacco a fondo contro Mazzini e
Garibaldi289. Il secondo numero, a quanto pare, non uscí
che nel 1868, a Ginevra290.
Importante soprattutto è la
presa di posizione contro Garibaldi. All'atteggiamento apertamente
antimazziniano Bakunin era stato, in fondo, costretto dalla scomunica
che contro di lui aveva per primo lanciata Mazzini; ma l'attacco a
Garibaldi – occasionato dalla sua partecipazione agli
avvenimenti politici e militari di quell'anno – costituiva per
Bakunin una notevole dimostrazione di forza; egli sentiva di poter
già, a tre anni appena di distanza dal suo primo arrivo in
Italia, sostenere una parte nel movimento democratico italiano, pur
schierandosi contro il capo riconosciuto di quel movimento.
Quel che lo urta in Garibaldi è
la sua leggerezza291. Garibaldi infatti abbraccia con
disinvoltura tutte le dottrine che mirano a un rinnovamento della
vita politica, morale e sociale del paese: si dichiara federalista,
razionalista, socialista; ma non ne penetra a fondo nessuna e le sue
dichiarazioni di adesione, spesso avventate e impulsive, nuocciono
alla sua serietà e danneggiano i singoli movimenti. Il suo
sistematico intervento in ogni episodio della vita pubblica italiana,
la sua mania di aderire a ogni corrente d'opposizione, i suoi
equivoci perenni, le contraddizioni, i ripicchi personali rendono
difficilissima la vita del partito d'azione.
Non meno confusionario appare a
Bakunin il radicalismo dei garibaldini. Egli non riesce, per esempio,
a capire come tre dei suoi piú fidi seguaci, Fanelli, Gambuzzi
e Mileti, pur senza sconfessare la loro fede di rivoluzionari
socialisti, possano, nel '66, piantare i lavori della Fratellanza e
correre ad arruolarsi nelle schiere dei volontari per una guerra che
è a tutto esclusivo vantaggio della monarchia e che tende a
consolidare quello stato di cose per la distruzione del quale la
Fratellanza è sorta!
Il governo non si rendeva conto
dell'incipiente movimento socialista. Mazzini invece cominciava a
rendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo.
«Non esprimeva che un desiderio – scriveva il 24
settembre al Campanella, alludendo a certi articoli pubblicati sul
Dovere» – s'evitasse un nome, socialismo, che per
consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno
una soluzione falsa del problema e allarma tutta una classe
numerosissima senza pro'»292. Il movimento operaio
doveva seguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor
di quelli era l'errore.
Si poteva evitare di nominarlo, il
socialismo. Ma sapeva d'ingenuità da parte di Mazzini tale
pretesa, mentre in tutta Europa progrediva – come vedremo –
il movimento dell'Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non
senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e – quel che
era assai piú importante – gli operai insistevano nella
via delle agitazioni e degli scioperi.
Progrediva sí, il movimento
operaio di mutuo soccorso (le società, nel 1865, salivano a
519)293; continuava lo sviluppo delle cooperative (7
cooperative di produzione fondate nel 1865294, 3 nel
1866295), ma intanto, nel maggio 1865, tumultuavano i
lavoranti delle ferrovie in Sardegna e nelle Puglie296 e
gruppi di lanaioli disoccupati invadevano, ad Arpino, uno
stabilimento, distruggendone le macchine297 e, nel giugno, i
disoccupati inscenavano dimostrazioni paurose a Como298 e in
tutto il Piemonte i cappellai minacciavano lo sciopero e pretendevano
miglioramenti299; e agitazioni e scioperi si seguivano e si
moltiplicavano di mese in mese300. A questi preoccupanti
segni di malcontento della massa operaia, altri se ne aggiungevano,
che davano la misura dello stato d'animo dei contadini. In moltissime
località si verificavano tumulti contro l'inasprimento delle
tasse: come – per limitarsi al 1865 – a Sessa (Gaeta) in
aprile, a Sestri Levante nel maggio, a Legnano, a Verano (Milano), ad
Arluno (Milano) nell'agosto, a Brescia, ad Albenga nel
settembre301.
Mazzini, informato di tutto ciò,
avrebbe dunque dovuto non soltanto non tacere del socialismo, ma
affrontarlo in pieno, e impegnare fin d'allora la sua battaglia per
tentare di arginarne i progressi. Ma la rinnovata attività
politica assorbí tutta la sua attenzione.
Soltanto Bakunin continuava nella sua
propaganda, la quale assumeva di giorno in giorno un colorito sempre
piú nettamente antimazziniano. Ormai il russo non scriverà
piú due righe sull'Italia, senza cacciarvi dentro una tirata
contro Mazzini; al quale attribuisce la colpa di aver rovinato la
democrazia italiana e di avere isterilito il movimento operaio,
propinandogli gli estratti del suo sistema addormentatore.
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