4.
Sviluppo del movimento
internazionalista (1866-67)
Fra il 3 e l'8 settembre 1866 si tenne
a Ginevra il I Congresso dell'Internazionale, presenti una sessantina
di delegati, quasi tutti francesi e svizzeri302.
Al Congresso non intervenne alcuna
rappresentanza italiana; se ne dette la colpa alla guerra che si
combatteva allora nella penisola; e il Congresso deplorò
vivamente tale guerra303. Ciò non spiega perché
non fosse almeno intervenuto il rappresentante italiano nel Consiglio
generale.
Gli è che nei mesi precedenti
era avvenuto in seno al Consiglio qualcosa che val la pena di
ricordare, perché lumeggia efficacemente i rapporti tra
Mazzini e l'Internazionale.
Il 15 febbraio 1866 uno dei membri
tedeschi del Consiglio, lo Jung, aveva stampato una lettera sul
giornale «L'Echo de Verviers», nella quale affermava che
la freddezza di Mazzini e dei suoi verso l'Internazionale derivava
dal carattere dichiaratamente antiborghese che l'associazione,
adottando gli statuti di Marx, aveva assunto; e, deplorando che in
Italia non si fossero fino allora trovati aderenti, ne gettava la
responsabilità sulle spalle dei membri italiani del consiglio,
sostenendo che essi non godevano la fiducia delle società
operaie italiane, cosí bene organizzate304. Nella
seduta di consiglio del 6 marzo 1866 Wolff si lamentò di
questo articolo, che metteva Mazzini e lui in cattiva luce; e poiché
lo Jung replicava che in realtà «i socialisti italiani
non avevano confidenza in Wolff», dichiarò che la
«parola socialista non era usata in alcun luogo e che
non v'eran socialisti in Italia nel senso francese della parola».
Il consiglio ritirò allora ufficialmente le espressioni
contenute nella lettera di Jung. Ma nella seduta successiva (13
marzo) Marx, a sua volta, venne a dolersi delle deliberazioni prese
in sua assenza, e a ribadire talune affermazioni di Jung, rivelando
che Mazzini andava facendo propaganda contro il socialismo
marxista305. Alla seduta partecipava, invitato, Angelo
Orsini, fratellastro di Felice, ex mazziniano. Anche Orsini si
scagliò contro Mazzini accusandolo di aver «preso
un'attitudine reazionaria di fronte alla scienza» e affermando
che «v'erano socialisti in Italia... Carlo Cattaneo, Ferrari
erano socialisti»306. L'incidente si trascinò
per altre sedute, finché il 17 aprile non vennero confermate
le deliberazioni prese il 6 marzo. Il 1° maggio fu eletto
segretario per l'Italia un certo Irani307. Ma un nuovo
incidente portò alle sue dimissioni. Il Lafargue, membro del
consiglio, stampò sulla «Rive Gauche», in
occasione della guerra italo-austro-prussiana, un attacco contro
Mazzini e Garibaldi qualificandoli degni compari di Bismarck.
L'Irani, protestando, il 26 giugno, affermò sdegnato che i due
italiani erano «buoni socialisti» – e si ritirò
dal consiglio308. Con ciò il posto di rappresentante
italiano rimase vacante.
È molto strano che, nonostante
questo carattere sempre piú nettamente antimazziniano che
l'Internazionale andava assumendo309 le relazioni tra di essa
e i piú autorizzati esponenti del mazzinianismo in Italia si
mantenessero ottime.
Il 18 marzo 1866 il «Giornale
delle Associazioni operaie» di Genova annunciava di essersi
posto in relazione con la sezione ginevrina dell'Internazionale e
stampava un esteso notiziario dell'associazione. Il 30 marzo Gaspare
Stampa, a nome della Commissione permanente eletta nel Congresso di
Napoli, plaudiva all'opera dell'Internazionale, dichiarando ai suoi
dirigenti che «le aspirazioni e gli scopi del nostro patto sono
i vostri, se non che il vostro è piú esteso e promette
una vita piú potente» e annunciando di fare «la
piú ampia adesione al vostro programma»310. Il
22 aprile lo stesso «Giornale» parlava
dell'Internazionale in questi termini: «Alle società di
ogni paese sovrasta un fatto della massima importanza, a queste
società viventi in territorio limitato s'impone una società,
che dovunque si estende, che non patisce confini, che affratella e
trionfa, che comprende tutte le società, che è
l'emblema della fratellanza universale, vogliamo dire: la Società
internazionale». Nei numeri successivi non mancò di dar
notizie sulla vita dell'associazione, di riprodurne gli statuti e via
dicendo. Nello stesso tempo la Società operaia di Genova si
poneva in relazione diretta col Consiglio generale di
Londra311.
Tutto ciò non poteva
verificarsi senza il beneplacito di Mazzini, che con molta attenzione
seguiva l'attività del «Giornale» genovese e
manteneva strette relazioni con la Commissione permanente di Napoli.
Ma del suo curioso atteggiamento e delle sue probabili cause ho già
fatto cenno.
Nonostante questi contatti fra la
rappresentanza degli operai italiani e l'Internazionale, nessun
delegato italiano, ripeto, presenziò al Congresso di Ginevra.
E solo un Comitato centrale delle società operaie della
Lombardia fece pervenire un messaggio di adesione.
Di questo I Congresso (nel quale
vennero approvati gli statuti definitivi; si deliberò di
bandire in tutti i paesi la lotta per le otto ore di lavoro e per la
regolamentazione del lavoro delle donne e dei fanciulli; si additò
nella cooperazione uno dei mezzi principali di emancipazione del
proletariato) Mazzini rimase abbastanza soddisfatto, pur deplorando
che l'ordinamento dato alla Associazione la rendesse incapace di
provvedere a cosí vasti disegni e mantenendo la critica
pregiudiziale sul dannoso disinteresse dalle questioni politiche che
le si era imposto. «Nel suo primo e migliore periodo di vita, –
scrisse nel 1871, – l'Internazionale fu associazione
strettamente operaia, separata da ogni questione vitale politica e
concentrata esclusivamente sulla questione economica»312.
Ai primi del 1867 intanto la
propaganda che da quasi due anni Bakunin sta svolgendo in Italia,
comincia a ottenere tangibili resultati: si fonda a Napoli il circolo
Libertà e Giustizia del quale si conserva, oltre a un
Manifesto, di cui non conosco che un breve
riassunto313, il Programma, direttamente ispirato alle
idee di Bakunin. Esso s'inizia con un rapido sguardo alle condizioni
d'Italia, che definisce addirittura disastrose: il paese necessita di
una completa riorganizzazione che tenga conto delle esigenze della
classe piú numerosa della società perché «ogni
organizzazione che si compia fuori del popolo e senza il suo efficace
concorso sarebbe illusoria, anzi malefica, e non risponderebbe alla
grande opera... E bando ai vecchi partiti, alle vecchie bandiere, ai
grossi nomi, noi proclamiamo a tutti gli amici sinceri del popolo che
il nostro programma è benessere sociale, la nostra bandiera è
Libertà e Giustizia».
Seguono quattordici articoli, nei
quali si richiede: 1) suffragio universale; 2) revocabilità
del mandato a quei rappresentanti che non godano piú la
fiducia dei loro elettori; 3) magistratura elettiva; 4)
responsabilità effettiva di tutti i funzionari pubblici; 5)
libertà completa di stampa, associazione e riunione; 6)
assoluta libertà di culti; liquidazione dell'asse
ecclesiastico in pro' del lavoro e della istruzione pubblica; 7)
soppressione di tutte le spese non indispensabili e istituzione di
un'unica imposta progressiva sul reddito; 8) abolizione delle banche
privilegiate; 9) politica non piú di Stato ma di popolo; 10)
abolizione delle guerre e degli eserciti stanziali: organizzazione
dell'armamento nazionale; 11) abolizione della burocrazia di Stato;
12) ordinamento dello Stato in base al principio di federazione
spontanea; 13) assoluta libertà d'insegnamento e insegnamento
primario gratuito; 14) emancipazione del lavoro per mezzo
dell'istruzione e dell'associazione proletaria314.
Le idee di Bakunin, dunque, ma esposte
in forma temperata: nessun accenno alla rivoluzione sociale come
all'unico mezzo nel quale egli fidava per l'attuazione del suo
programma; il quale veniva presentato come un lontano fine da
raggiungersi attraverso una progressiva riforma delle basi sociali,
politiche e religiose dello Stato. Gli è che Bakunin
diffondeva il suo programma integrale solo in una ristretta cerchia
d'iniziati, che operavano in segreto: il circolo Libertà e
Giustizia non doveva servire ad altro che a creare nell'opinione
pubblica un ambiente favorevole a quelle novità che la
organizzazione segreta avrebbe preparate ed attuate e a legare uomini
che, rifuggendo da ogni estremismo, pur condividessero l'idea della
necessità di affrontare coraggiosamente il problema della
riforma dello Stato. Al contatto dei piú decisi, molti di essi
– sperava Bakunin – sarebbero giunti, a poco a poco, a
comprendere l'impossibilità di attuare il programma bandito
dal circolo senza ricorrere a un violento rivolgimento che
paralizzasse le forze dello Stato e desse il potere in mano ai
rappresentanti del popolo; e sarebbero cosí divenuti reclute
del movimento segreto.
Non conosciamo, al solito, la portata
effettiva di questo movimento. Ma a tal proposito è
sintomatica una lettera di Bakunin (23 maggio 1867) nella quale egli
riferisce che il prefetto di Napoli lo ha denunciato come «promotore
e capo del movimento in Sicilia, soprattutto a Palermo, e in genere
nell'Italia meridionale»315.
Nell'agosto 1867 cominciò ad
uscire a Napoli il periodico «Libertà e Giustizia»,
organo settimanale del circolo omonimo: oggi è introvabile.
Continuò le pubblicazioni fin verso il febbraio 1868. Pare
ottenesse un certo successo nell'ambiente democratico anche perché
Bakunin rinunciò a dargli un'impronta rivoluzionaria
intransigente316. Lo diresse il De Luca e vi collaborarono,
oltre a Bakunin, che fra l'altro vi stampò una lunga lettera a
Herzen contro il panslavismo, Fanelli, Friscia, Gambuzzi, Tucci,
Caporusso.
Il distacco da Mazzini e Garibaldi si
fa intanto sempre piú netto, aperto. Discorrendo di un suo
proprio articolo, il 7 maggio 1867, Bakunin scrive: «È
la confutazione completa di Mazzini e Garibaldi... con tutta la
discrezione e la stima dovute ai due celebri italiani i quali, in
questo momento, sono diventati veramente funesti al loro
paese»317.
E il 2 maggio 1867, a Herzen: «Invano
tu cerchi di persuadermi a risparmiare i due Giuseppe. Il sentimento
di pietà storica è sempre vivo in me, e alla mia età
non starebbe di peccare contro questo dovere con giovanile insolenza,
ma la stessa storia e i loro servizî nel passato, per grandi
che siano stati, non debbono ostacolare la causa nel presente e
nell'avvenire»318.
Pii tardi, nel 1869, rievocando le sue
esperienze italiane, Bakunin traccia un irriverente, ma non del tutto
ingiusto quadro del partito garibaldino, che è un
partito «passabilmente elastico. Manca di caratteri perché
manca di principî; quel che gli serve di legame è una
specie di culto personale e di fede piú o meno cieca nella
stella di un eroe; di modo che se Garibaldi sparisse, il suo partito
sparirebbe con lui»319.
L'attività di Bakunin era
dunque riuscita a qualcosa. Maturato definitivamente il suo pensiero
sociale, egli aveva esercitato una decisiva influenza su un nucleo di
giovani, alcuni dei quali ormai avrebbero seguito la sua guida, anche
quando egli non fosse piú stato materialmente vicino a loro;
aveva fondato una società segreta che si era diffusa in tutti
i paesi d'Europa; aveva dato vita a un circolo e a un giornale che
rappresentavano una corrente di idee nuova e spregiudicata immessa
nell'ambiente un po' rinchiuso della democrazia italiana; aveva,
infine, impostato la lotta contro Mazzini e capito Garibaldi.
Era stato annunciato per il settembre
1867, a Ginevra, un Congresso democratico internazionale per la pace.
Bakunin comprese che esso poteva riuscirgli assai utile per una prima
pubblica esposizione del suo credo sociale e che la Lega della
pace e della libertà (convocatrice del congresso) avrebbe
potuto diventare un ottimo strumento per la diffusione delle sue
idee.
Nello stesso mese, poi, doveva
radunarsi a Losanna il II Congresso dell'Internazionale. Bakunin si
propose di parteciparvi per lanciare anche nella grande Associazione
dei lavoratori le sue idee e neutralizzare quelle di Marx, il quale,
predominando nel Consiglio generale, mirava a imporle a tutta
l'associazione come dogma ufficiale.
Abbandonò dunque l'Italia; e
non doveva ormai tornarvi che fugacemente320.
«Avevo passati circa quattro
anni in Italia – scrisse – ove fui testimone del primo
svolgimento, lentissimo e, a dir vero, all'inizio assai confuso, ma
tuttavia molto nettamente progressivo, delle aspirazioni, degli
istinti e delle idee socialiste»321.
In Italia il movimento socialista
muoveva i suoi primi passi; all'estero, intanto, andava assumendo
proporzioni insperate.
Al II Congresso dell'Internazionale
(Losanna, 2-7 settembre 1867) apparvero chiari i grandi progressi
compiuti dall'Associazione. Il suo fruttuoso intervento in grosse
questioni tra industriali e lavoratori in Francia e in Inghilterra le
aveva valso l'adesione di intere leghe operaie; si fondavano qua e là
giornali internazionalisti, perfino in America gli operai
cominciavano a guardare con fiducia verso la nuova organizzazione. In
Italia, incoraggiate dall'atteggiamento filointernazionalista di
Mazzini, le società operaie di Napoli, Milano, Genova,
Bologna, Bazzano si erano messe in corrispondenza col Consiglio
generale di Londra322; e al II Congresso parteciparono due
italiani: il marchese Tanari, in rappresentanza delle Società
operaie di Bologna e Bazzano; e Gaspare Stampa, in rappresentanza
della Società operaia di Milano323. Non bisogna però
dare al loro intervento a Losanna che un valore molto relativo di
adesione generica: essi non rappresentavano nessuna sezione vera e
propria dell'Internazionale; e probabilmente consideravano quel
congresso come alcunché di simile, se pur di piú vasto,
dei congressi operai italiani di Parma e di Napoli: ossia radunata di
rappresentanti la classe operaia per discutere i problemi del lavoro,
liberi poi ed essi e le società che li avevano delegati di
reggersi ed amministrarsi come meglio loro piacesse324.
Il Congresso di Losanna fu l'ultimo di
quel primo periodo dell'Internazionale che Mazzini riconobbe il
migliore: il collettivismo, che doveva l'anno seguente imprimere
all'associazione un nuovo radicale indirizzo, non vi fece che una
timida apparizione attraverso le parole di un delegato
belga325. Fu anche il primo congresso del quale Marx si
dichiarasse soddisfatto: e infatti vi si erano espressi voti per la
statizzazione delle aziende di trasporti, si era dichiarata la
necessità di lottare per la difesa immediata e per
l'abolizione avvenire dei salari, si era definito lo Stato come il
semplice esecutore delle leggi votate dai cittadini, si aveva infine
lungamente discusso sui problemi della istruzione e dell'eredità.
«Les choses marchent –
scrisse ad Engels, l'11 settembre 1867. – Alla prossima
rivoluzione, che è forse piú vicina che non sembri, noi
(ossia tu ed io) avremo questo strumento in mano nostra. Paragona a
questo il risultato delle operazioni di Mazzini, ecc., da trent'anni
a questa parte. E tutto ciò senza denaro e nonostante gli
intrighi proudhoniani di Parigi, di Mazzini in Italia, avendo contro
di noi Ogder, Cremer, Potter a Londra... e Schultze-Delitzsch e i
lassalliani in Germania. Davvero, possiamo essere
soddisfatti!»326.
Gli internazionalisti riuniti a
Losanna decisero di intervenire ufficialmente al I Congresso
convocato dalla Lega della pace e della libertà, che doveva
riunirsi a Ginevra qualche giorno dopo. Questo Congresso sollevò
molto scalpore in tutta Europa per la pubblicità che gli si
dette e per il nome dei partecipanti.
Mazzini aveva da poco fondato la sua
Alleanza repubblicana universale; e fuor di quella e della sua
diffusione in tutti gli Stati non vedeva salute o speranza di
progresso. Perciò, invitato, rifiutò di recarsi a
Ginevra. E in una lettera, che fu resa pubblica, ne spiegò il
motivo: non pace, ma libertà e giustizia bisognava cercare,
queste soltanto avrebbero portato, per naturale conseguenza, alla
pace; lotte e guerre sarebbero state probabilmente necessarie per
raggiungerla, come dunque aderire fino da allora alla pace ad ogni
costo?
L'intento comune dei democratici veri
non era forse quello di «un'ultima, grande, santa crociata, una
battaglia di Maratona a pro' dell'Europa, pel trionfo del principio
progressivo sul principio di retrocedimento o d'inerzia»?327.
L'esperienza e il buon senso insegnavano inoltre che iniziative sul
genere della Lega potevano a priori preconizzarsi sterili di
qualunque resultato.
Garibaldi, invece, partí per
Ginevra. Mosso da un vago umanitarismo, che egli non chiarí
mai e dal quale traeva a volta a volta le piú impensate
deduzioni, volle precisare, nella seduta inaugurale del congresso,
quelle che gli sembravano le condizioni indispensabili al
mantenimento della pace. Le sue dichiarazioni internazionaliste e
pacifiste (alla vigilia di Mentana) furono accolte da grandi applausi
per quanto i sentimenti generali restassero choqués da
un inaspettato accenno alla necessità di diffondere la
religione di Dio328.
L'indomani, tra molte visite,
Garibaldi ricevette quella di alcuni delegati internazionalisti, con
i quali ebbe una amichevole conversazione. Uno di costoro,
richiamandosi a quanto il generale aveva dichiarato il giorno
innanzi: «il solo schiavo ha diritto di far la guerra ai
tiranni», osservò che cosí la pensava anche
l'Internazionale, ma in senso piú largo. «Come?»
domandò Garibaldi. «Voi non parlate che di tirannia
politica; ma noi non vogliamo neanche la tirannia religiosa».
«Son d'accordo con voi». «E non vogliamo neppure la
tirannia sociale». «Sono sempre d'accordo. Guerra alle
tre tirannie: politica, religiosa e sociale. I vostri principî
sono i miei». E Garibaldi distribuí strette di mano a
destra e sinistra329.
Bakunin – intervenuto a Ginevra
in rappresentanza della sezione napoletana della Fratellanza –
espose con grande chiarezza il suo programma politico, religioso e
sociale, quale lo aveva elaborato nel suo triennale soggiorno in
Italia. Soprattutto cercò di mostrare come tutti i problemi
che i democratici della Lega avevano affrontato, non si potessero
risolvere che con la rivoluzione sociale. Solo la rivoluzione può
travolgere gli Stati centralizzati e centralizzatori, sostenuti dagli
eserciti permanenti. Finché questi organismi sussistono, le
guerre sono inevitabili. Esse favoriscono gli interessi di piccole
minoranze che tengono in assoluta soggezione le masse. Quindi la
causa della pace e quella dell'emancipazione proletaria sono
strettamente legate.
A noi non interessano le conclusioni
cui il congresso, diviso in due correnti – quella socialista e
quella democratica liberale degli iniziatori della Lega –
giunse dopo vivacissima discussione. Basti dire che si riuscí
a trovare un accordo dichiarando la necessità di far mettere
all'ordine del giorno in tutti i paesi la situazione delle classi
laboriose e diseredate e che alla prima corrente aderirono, fra gli
altri, due italiani: Gaspare Stampa e Carlo Gambuzzi, quest'ultimo
rappresentante del napoletano circolo Libertà e
Giustizia330.
Erano, Garibaldi, Gambuzzi e Stampa,
appena tornati in Italia, si era appena spenta l'eco di quelli che
Mazzini chiamò «gli stupidissimi discorsi» di
Ginevra331, che il doloroso episodio di Mentana dimostrò
appieno quanto Mazzini avesse ragione a non volersi legare a una
società per la pace ad ogni costo, quand'era evidente la
necessità di ricorrere ancora alle armi, per il trionfo
dell'idea democratica.
Gambuzzi e Fanelli – i due piú
intimi e piú convinti amici che Bakunin avesse lasciato in
Italia – corsero ad arruolarsi. E il russo che li aveva
vanamente invitati a lasciar Garibaldi, se questi non avesse
finalmente deciso di «spiegare la bandiera della rivoluzione
incondizionata, senza sotterfugi e senza fraseologia, cosa di cui non
lo ritengo capace»332, dovette forse credere che di
rivoluzione come la intendeva lui in Italia fosse meglio non parlare.
Invece Mentana segna una data decisiva
per lo sviluppo del bakunismo e in genere delle idee socialiste in
Italia. La sconfitta distacca irrimediabilmente molti giovani dal
governo costituzionale, li disgusta una volta per sempre delle
agitazioni mazziniane e delle spedizioni garibaldine, ormai
provatamente inefficaci e, nel mentre acutizza il loro malcontento,
non sopisce la loro volontà d'azione: essi cominciano
piuttosto a rendersi conto che i problemi che stan loro a cuore non
potranno risolversi se non attraverso un vasto e contemporaneo
rivolgimento, che spezzi tutti insieme gli anelli di quella catena di
servitú morale, politica e religiosa, che essi hanno fin
allora ritenuto si potessero ad uno ad uno pazientemente limare.
La crisi che Mentana apre nell'animo
di questi giovani non principierà a dare i suoi frutti che nel
corso del 1868: e da quell'anno in poi Bakunin imparerà ad
apprezzare l'energia e la potenza rivoluzionaria dei suoi giovani
amici italiani.
La stessa crisi – della quale
lumeggiò piú oltre particolari aspetti – è
invece a tutto svantaggio di Mazzini alla cui popolarità e
influenza in Italia finirà per portare un gravissimo colpo. Ma
un gravissimo colpo, soprattutto, a quella organizzazione operaia cui
egli, ormai da tre anni, non dedica che scarsa attività: anche
nel '67 son rare le sue lettere alle società operaie, rari i
segni del suo interessamento.
Tale organizzazione continuava a
progredire333, ma il disinteressamento dei democratici le
toglieva la vivacità che, prima, le veniva dai continui sforzi
di rinnovamento, dalla continua ricerca di nuove vie e nuove
provvidenze. Solo la cooperazione, ormai affatto indipendente da
Mazzini, si sviluppava con grande successo, protetta e incoraggiata
da quel gruppo di intellettuali attivi ed intelligenti, cui già
si è accennato, che si riunivano intorno a Luigi Luzzatti.
Nasceva a Milano il giornale «Cooperazione e Industria»,
diretto appunto dal Luzzatti334, veniva fondata
l'Associazione industriale italiana, dedicata alla diffusione delle
cooperative.
Qua e là continuavano a sorgere
giornali dedicati alla classe operaia. Il piú interessante di
tutti, nel 1867, era «L'Eco dell'Operaio», settimanale
fondato a Bologna il 6 aprile da Pietro d'Amico, che discuteva i
problemi del lavoro con praticità e con fermezza, dimostrando
una precisa conoscenza delle effettive condizioni economiche del
proletariato. Il suo linguaggio aperto e risoluto, la sua radicale
concezione classista gli valsero il sospetto e i sequestri
dell'autorità politica335.
Unica nuova tendenza nel movimento
operaio i rapporti che ora di frequente si stabilivano tra società
italiane e straniere, tra gruppi d'operai italiani e d'altre
nazionalità336.
Documento interessante di tale
tendenza, l'indirizzo di solidarietà inviato dagli operai di
Brescia ai compagni di Parigi e di Berlino, che avevano emesso un
voto contro la guerra (giugno 1867)337.
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