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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

IntraText CT - Lettura del testo

  • IV. Anni di crisi (1868-70)
    • 2. La rivolta contro il macinato
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2.

La rivolta contro il macinato

 

 

 

 

 

Nel mentre, sul cadere del 1868, si avvicina la data fissata per l'introduzione della nuova tassa sul macinato, la situazione delle campagne italiane appare veramente preoccupante. È vero che la crisi industriale e commerciale si ripercuote assai piú sugli operai e sugli artigiani che sui contadini; ma non bisogna dimenticare, fra questi ultimi, la numerosa categoria dei braccianti agricoli, le cui condizioni di lavoro rassomigliano per molti versi a quelle degli operai, senonché vivendo dispersi, lontani dai grandi centri di popolazione, trascurati dai partiti politici, i braccianti non si trovano, come gli operai, in grado di far valere la forza del numero per resistere ai ribassi di salario o agli eccessivi prolungamenti degli orari di lavoro. Nessuna forma di previdenza li soccorre; i buoni o i cattivi raccolti si traducono immediatamente in alti e bassi, ma piú bassi che alti, dei loro salari371.

L'inasprimento delle tasse e la coscrizione rendono piú acuto il loro malcontento e tormentano al tempo stesso i piccoli proprietari, i piccoli affittuari e i mezzadri, i quali tutti cominciano ormai a guardare al passato come ad un periodo di benessere perduto; il clero esca all'inquetitudine.

Nei regimi caduti, il parroco di campagna funzionava infatti da elemento moderatore e ispirava la rassegnazione; nel nuovo s'è mutato in elemento perturbatore, che semina nel cuore dei fedeli lo spirito di rivolta.

Il contadino non si limita piú alla rassegnata deplorazione del suo miserevole stato; è stanco, è sfiduciato, troppe circostanze cospirano a farlo disperare dell'avvenire; cova nel cuore la rivolta e si propone di conquistarsi con la violenza un po' di benessere.

Studiata in fretta nei particolari dell'esecuzione, nonostante tanto clamore di proteste, la tassa sul macinato entrò in vigore agli ultimi di dicembre del 1868. La leggerezza con la quale se ne compilò il regolamento era tanto piú colpevole quanto piú evidente da ogni parte appariva che, all'atto della sua applicazione, essa avrebbe condotto a seri guai.

Il 24 dicembre il ministro dell'Interno (Cantelli) invia a tutti i prefetti un telegramma che tradisce la piú viva preoccupazione: «Attuazione legge macinato segna momento importantissimo nell'assetto finanziario e politico del regno. Partiti estremi si sforzano di turbarlo, eccitando interessi, passioni, pregiudizi. Spetta ai signori prefetti rendere vana l'opera sovvertitrice col prevenire ogni disordine»372.

I primi tumulti si verificano il 26 dicembre tra i contadini del Veronese; si allargano quindi rapidissimamente alla Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia. La «Gazzetta ufficiale» del gennaio, per tranquillizzare il pubblico turbato dalle notizie esagerate, fa noto che «in dodici province l'applicazione del macinato non ha dato luogo a inconvenienti. In altre province si manifestarono dei torbidi che fortunatamente non ebbero serie conseguenze»; ma si parla già di alcuni morti in quel di Reggio Emilia. Nei giorni successivi le cose si aggravano. In molte località i mugnai, i quali dovrebbero esigere il sopraprezzo sulla macinazione, o fanno causa comune coi rivoltosi o, nel timore d'avere a subire le conseguenze dell'ira popolare, chiudono i mulini. Qua e si parla proprio di «sciopero dei mugnai»373. Torme di contadini invadono in Emilia municipi e mulini, si precipitano tumultuando nella città di Parma, mentre le campane suonano a stormo. A Pavia tutti i fornai ricevono una circolare inviata da un Comitato rivoluzionario che li invita a rifiutare qualsiasi accordo con le autorità, a desistere da ogni trattativa onde non ricadano sopra di essi le conseguenze del loro «passo mal fatto»374. Tumulti sanguinosi si verificano nei dintorni di Pontassieve e nelle province di Torino e di Bologna; piú gravi nelle province di Reggio Emilia e Parma. A Boffalora sopra Ticino viene appeso sull'albo comunale un cartello con la dicitura: «Abbasso il macinato – chi mi toccherà il sacco di farina – farà la morte del Prina»375. In alcuni comuni i contadini si dànno a costruir barricate. La «Gazzetta ufficiale» del 4 gennaio segnala assembramenti e dimostrazioni in provincia di Cuneo, Verona, Pavia, Cremona, Piacenza, Modena, Bologna, Lucca, Arezzo. Il 5 gennaio il governo emana un decreto per cui nelle province di Bologna, Parma, Reggio Emilia, i poteri vengono passati al generale Raffaele Cadorna.

Il 5 gennaio a Milano vien diffuso un foglio volante, del quale ecco i brani piú significativi: «Milanesi! – L'imposta sulla fame, l'imposta sulla miseria, sulla disperazione ha prodotto gli effetti che si prevedevano. A Parma, a Reggio, in moltissimi altri paesi d'Italia il sangue cittadino fu versato. I bravi soldati d'Italia, furono anche una volta... strumento nelle mani del governo ad una irragionevole e brutale repressione... Noi non abbiamo che una parola a dirvi: le fucilate di Parma sono una minaccia anche per voi. Provveda dunque ciascheduno al proprio interesse ed al proprio onore e all'interesse d'Italia tutta... Chiunque senta dignità di cittadino italiano, chiunque senta che l'Italia fu fatta dal popolo e per il popolo, pulisca il suo fucile e tenga asciutta la polvere. – Il Comitato segreto repubblicano»376.

A Vernao il 6 gennaio i contadini, tumultuando, gridano: «Abbasso i ricchi377. Parma, il 7 gennaio, è in piena insurrezione; la truppa si batte sanguinosamente con un gran numero di contadini. Ad Ancona viene affisso il seguente manifesto: «Non pagate le imposte se volete aver la repubblica»378.

A San Giovanni in Persiceto (Bologna) duemila contadini invadono gli uffici pubblici, dànno al fuoco le carte, saccheggiano alcune case private; scontratisi con la forza pubblica, lasciano morti e feriti sul terreno379. Lo stesso avviene a Cento, a Pieve, in altri comuni minori. A Milano e provinciariferiscono alcuni giornali – viene affisso il seguente manifesto: «MacinatoAbbasso il governo italiano! Mora quell'infame mugnaio che ci ruba il pane di bocca, che ci leva la religione, e che ci ammazza in inutili guerre i nostri figliuoli: – W. il governo austriaco! W. il papa! W. il pane senza la tassa del macinato! W. la rivoluzione! W. il popolo italiano! Rivoluzione, o italiani; se no, siamo perduti»380.

«La Nazione», 6 gennaio, dichiara che i disordini sono provocati da mestatori politici, i quali fanno credere ai contadini che la nuova tassa sia una invenzione del governo per affamare la povera gente; infatti laddove, come nel Mezzogiorno, l'imposta sul macinato è già conosciuta, poiché era in vigore sotto i cessati regimi, i contadini si mantengonoafferma sempre «La Nazione» – piú che tranquilli.

Ma l'8 gennaio giunge notizia che a Potenza, a Trani, a Molfetta i mugnai scioperano; il giorno dopo che in un comune di Terra di Lavoro (Alife) le donne hanno inscenato una dimostrazione381. A Campobasso i contadini tumultuano, gridando: «W. Vittorio Emanuele; abbasso il municipio e i dazi doganali; vogliamo pagare, ma quanto possiamo».

A Carmignano (Pistoia) il 12 gennaio trecento montanari occupano il municipio, bruciano le carte e il ritratto del re e dichiarano per iscritto che non desisteranno dai tumulti fin quando non avranno ottenuto: 1) soppressione del macinato; 2) abolizione del maestro e della maestra di scuola, l'istruzione resa ai parroci; 3) diminuzione degli stipendi di alcuni impiegati comunali; 4) abolizione del dazio sui maiali382. In parecchi piccoli centri dell'Abruzzo e delle Calabrie, intanto, la resistenza contro la tassa si fa accanita383.

Verso il 15 i tumulti cominciano a declinare; l'ordine si va ristabilendo quasi dappertutto. Un mese dopo serpeggia di nuovo qualche torbido, specie nell'Emilia: cosí a Reggio, a Pian di Voglio (14 febbraio) dove si deplorano scontri cruenti con le truppe, a Imola. Il fatto piú grave e piú caratteristico si verifica nei dintorni di Reggio. Due fratelli Manini, figli di Angelo, capo del partito repubblicano in Reggio, si uniscono ai ribelli del contado, assumendone il comando (primi di febbraio). Formano cosí una vera e propria banda, che si reca ai molini a rompere i contatori, a ritirare il denaro eventualmente versato dai contadini per la tassa (denaro che viene restituito ai contadini stessi), che affronta audacemente i carabinieri e le truppe. «Dopo 3 giorninarra Giuseppe Pomelli in un interessante libro di ricordi384 – i contadini vedendosi isolati e le città tranquille, scoraggiati e delusi ritornarono alle loro case. I fratelli Manini però, essendo troppo compromessi, assieme a pochi altri non cedettero, ma se ne andarono alla macchia seguitando a molestar carabinieri e truppe». Finalmente, arrestato il padre (considerato come «il Mazzini di Reggio»)385, perduta ogni speranza di veder allargato il moto di rivolta, i fratelli Manini si lasciarono arrestare; l'amnistia dell'ottobre 1870 li liberò dal carcere386.

La banda, con la quale il Pomelli stesso si tenne in contatto, ebbe colore repubblicano o almeno fu da tutti ritenuta per tale perché repubblicani erano, notoriamente, i suoi capi387.

Tirando le somme, gli effetti della sommossa erano stati tutt'altro che lievi. Nella sola Emilia erano rimasti uccisi 26 contadini; i feriti, tra contadini e militari, salivano a 55; nel solo circondario di Bologna, si erano eseguiti 1127 arresti. Sempre nell'Emilia si dovettero istruire 129 processi con 2226 imputati; su 2172 imputati, 108 eran proprietari, 261 artigiani, 569 mezzadri, 1234 braccianti e giornalieri388. Secondo statistiche apparse in vari giornali i morti, in tutta l'Italia, erano stati 257, i feriti 1099, gli arrestati 3788389.

Da osservare: nessun disordine nelle grandi città; gli operai non si muovono. Sono i contadini che, riunendo le forze di tre o quattro paesi vicini, si muniscono degli strumenti rurali, disarmano, quando possono, la guardia nazionale e procedono alle violenze.

I tumulti scoppiarono spontaneamente o furono istigati e diretti da elementi appartenenti ad altri ceti sociali? Sui giornali si scatenarono violentissime polemiche, quelli di sinistra e clerico-reazionari sostenendo che erano scoppiati spontaneamente in alcuni luoghi e si erano poi diffusi per la speranza dei contadini di riuscire a far ritirare l'imposta; i giornali ministeriali accusando i repubblicani, oppure i neri e i retrivi, o tutti assieme di averli organizzati e diretti.

Che le condizioni economiche dei contadini fossero cosí disastrose da poter trasformare la loro tradizionale apatia in una disperata e spontanea volontà di rivolta, non è dubbio.

Nella Relazione della Commissione d'inchiesta sui casi dell'Emilia pel macinato390 si ricercano le cause determinanti delle sommosse; quella sulla quale piú si insiste – per quanto si dia molto peso anche alla campagna condotta dai partiti estremi e alla inerzia colpevole degli elementi liberali e moderati – è appunto il triste stato delle masse. Secondo i calcoli ufficiali, la media delle imposte, tasse, diritti comunali e provinciali che si esigevano da ogni cittadino bolognese nel 1858 era di L. 26 a testa, di L. 18 da ogni modenese e reggiano, di L. 20 da ogni parmense. Nel 1867, le medie son cresciute rispettivamente a 43, 36, 34.

Perché l'Emilia è stato il centro della rivolta? Perché – spiega un redattore della «Gazzetta dell'Emilia», 9 gennaio 1869 – prima del 1860 «la popolazione della campagna godeva della predilezione di quei governi ed in ciò tengo per fermo vi fosse sagacità politica degna di essere da noi meglio imitata».

Perché a Parma o nel parmense si sono svolti gli episodi piú gravi? Perché – dice alla Camera il deputato Paini, nella seduta del 25 gennaio 1869 – questa città versa in una «condizione sociale infelicissima, condizione economica che non ha riscontro in alcun'altra provincia del regno. Parma, fino dal 1859, epoca in cui cominciò a far parte del regno, è soggetta a un deperimento economico continuo, di cui non abbiamo ancora raggiunto l'esito estremo... Questo decadimento ha spostato, ed è naturale, parecchi interessi, ha lasciato senza lavoro la numerosa classe operaia che si agita intanto in un malcontento legittimo: la parte colta ed intelligente della popolazione, immiserita anch'essa, ha perduto la calma, e non sa e non può moderare l'opinione pubblica»391.

Il macinato non è, dunque, che la goccia la quale fa traboccare il vaso del malcontento popolare; l'origine dei tumulti, perciò, si può anche spiegare senza ricorrere all'ipotesi di incoraggiamenti e di provocazioni da parte di elementi estranei alle classi contadine; ma non si spiega in tal modo quel non so che di preordinato, di organizzato, di disciplinato, direi, pur nel disordine, che innegabilmente si riscontra nei moti: insomma, la strategia della rivolta392. Bisogna per forza ammettere che i contadini tumultuanti, consci o inconsci, abbiano trovato alleati piú o meno numerosi e potenti, piú o meno disinteressati negli altri ceti sociali.

Alcune circostanze parrebbero confermare le accuse contro i clerico reazionari; altre, quelle contro i repubblicani. Tra le prime sta il fatto, eloquentissimo, che i tumulti si verificano e, salvo eccezioni, restano limitati nelle campagne. Nelle campagne, a quel tempo, non si poteva davvero parlare di influenze di partiti politici e tanto meno di quello repubblicano che, seguendo Mazzini, mirava soltanto a prevalere nei centri; esse erano invece il feudo tradizionale dell'organizzazione clericale. I parroci erano certamente in grado di sorvegliare la massa contadina, di constatarne lo stato d'animo, di esercitare su di essa una influenza durevole; se, come apparve purtroppo chiaro nei primi giorni del 1869, i contadini giungevano quasi a rimpiangere i tempi andati, bisogna dire che trovavano nella maggioranza di quei parroci, ossia nella quasi esclusiva rappresentanza di una classe piú elevata con la quale vivevano a contatto, non soltanto comprensione, ma anche, e piú spesso, solidarietà attiva393. Né si dica che era naturale che i moti si sviluppassero solo nelle campagne, dappoiché i soli contadini avevano a soffrire della nuova tassa; che questa pesasse su di loro piú che su qualunque altra classe sociale, è vero, poste le scarse possibilità che essi avevano di trovare compensi al nuovo aggravio; ma il rincaro del pane, nelle città, non era anch'esso un fatto sufficiente a provocare le proteste piú vive della massa operaia?

Accompagna inoltre quasi tutti i tumultispecie nell'Emilia, dove essi sono piú violenti, appaiono piú organizzati e durano di piú – il grido di W. il papa; o W. la religione; W. l'Austria; W. Francesco V394; in alcune località, tra schiamazzi e devastazioni, i contadini dànno segni di profonda devozione al papa. Cosí a San Giovanni in Persiceto, penetrati nel municipio e trovato in granaio un polverosissimo busto in gesso del papa, «lo hanno preso e con molti segni di riverenza portato al parroco»395. Altrove i contadini armati pretendono che vengano restituiti ai preti certi privilegi che sono stati loro tolti. Il manifesto affisso a Milano accusa i mugnai – nella cui persona è simbolizzata, per l'occasione, la nuova classe dirigente – di levar la religione. Si vuole infine notare che i motidiffusi in tutta Italiaprincipiano e assumono particolare gravità in quelle regioni che sono state soggette al dominio temporale del papa.

Come si difendono i clericali?

Leggiamo «L'Ancora», Bologna, 9 gennaio 1869: «Questa povera gente che si vede tassato perfino il tozzo di pan nero onde sfama a mala pena se stesso e la propria famiglia, non ha mancato di far conoscere per molte vie che tale imposta è impopolare, gravosa...» La si è voluta imporre ad ogni costo. I contadini «non sanno ragionare a tutto filo di logica e di prudenza; sentono la necessità di protestare in qualche guisa contro tante esosità... Ricorrono spontanei e adirati ai mezzi che loro sono piú alla mano e che quasi diremmo siano loro naturali... Non riuscendo ad ottenere una pronta soddisfazione, trascendono a qualche via di fatto... E si va a vedere e a udire uomini e giornali, che si dicono seri ed imparziali, attribuire quei moti spontanei e quelle proteste naturalissime, strappate dalla piú dura necessità, ai preti, ai parrochi, e alla reazione, che sotto mano stimola ed eccita i contadini a sollevarsi per un intendimento al tutto politico e reazionario?... Del resto costoro non hanno tutto il torto. La reazione si avanza ogni giorno piú, ed essi che veggono... le masse imponentemente agitarsi e minacciarli del loro rozzo furore, vogliono sfogare la loro rabbia impotente contro poveri preti ed innocenti parrochi, per non dire a loro stessi e agli altri che comincia anche per loro il giorno tremendo del giudizio e del castigo».

Difesa debole quando gli accusatori possono addurre tutta una serie di prove buone a dimostrare, se non altro, che i parroci hanno tenuto, di fronte ai moti, un atteggiamento di neutralità piuttosto benevola; e rinfacciare la campagna di stampa che i clerico-reazionari hanno condotto nei mesi precedenti alla rivolta, campagna nella quale hanno sorpassato ogni limite di equità e di prudenza.

Chi scorra infatti le collezioni dei giornali clerico-reazionari non può non pensare che quella profusione di articoli fieramente avversi alla introduzione della nuova tassadipinta come un sopruso senza precedenti, un furto legalizzato, il preveduto smascheramento del nuovo regime – non mirasse a qualche intento pratico, non rispondesse in qualche modo a una parola d'ordine diffusa dall'alto; né può dare un eccessivo peso alle postume sdegnate dichiarazioni di innocenza di quegli stessi giornali. Per fermo nella introduzione del macinato vi fu chi vide l'occasione propizia per sferrare la nuova offensiva antiunitaria, o almeno per creare un serio imbarazzo al regime usurpatore.

Sarebbe erroneo ritenere che i clerico-reazionari organizzarono la rivolta; ma non v'è dubbio che fecero quanto stava in loro per renderla possibile, avendo cura di non assumere mai responsabilità precise e accertabili: non v'è dubbio che contribuirono potentemente a creare l'atmosfera della rivolta. Sulla rivoluzione puramente economica s'innesta, cioè, la reazione politica. Perché nel Mezzogiorno d'Italia l'introduzione del macinato provoca scarse reazioni in confronto al resto della penisola? Perché la rivolta sociale-politica contro il nuovo ordine di cose si è già avuta, lunga e tremenda, dal '61 al '66, col brigantaggio e con la ininterrotta serie di disordini che ha conturbato la vita meridionale. Basti pensare alla rivolta palermitana del 16-23 settembre 1866 (L'anarchia dei sette giorni)396.

Altre circostanze indurrebbero a gettare una parte di responsabilità sui repubblicani397, ossia, come si diceva allora, prima dell'affermazione dell'Internazionale e del socialismo: i rossi. Basta ricordare il manifesto affisso ad Ancona, quello di Milano, quello di Pavia; le grida di W. la repubblica, emesse in varie località398, la banda Manini, certi scritti apparsi su giornali repubblicani399, certi discorsi, infine, che alcuni deputati repubblicani hanno pronunziato alla Camera, durante la discussione sul macinato. Ma l'atteggiamento di Mazzini basta ad escludere ogni partecipazione degli elementi responsabili del partito ai moti di rivolta.

Il Pomelli, che è un testimonio non sospetto (non solamente fu in relazione coi rivoltosi di Reggio Emilia, ma narra i fatti del '69 in un volume dal titolo Patrioti e soldati reggiani del Risorgimento!), a proposito della banda Manini, scrive: «Un momento piú favorevole per fare la rivoluzione non poteva esserci; invece non solo i capi mazziniani consigliarono la calma, ma Mazzini stesso scrisse lettere che a me furono fatte leggere, nelle quali addirittura combatteva quel moto e calorosamente raccomandava di non parteciparvi ma anche di cercare di farlo cessare»400.

Vi fu dunque tra Mazzini e una parte dei suoi gregari un dissenso sull'atteggiamento da prendersi di fronte alla marea montante del malcontento per l'introduzione della nuova tassa.

Scoppiata piú o meno spontaneamente, è certo che la rivolta prese forme e proporzioni dai contadini stessi e dal governo non prevedute. E fu allora che alcuni nuclei repubblicani, agendo di propria iniziativa, cercarono di utilizzarla ai propri fini, sperando di convertirla in rivoluzione. Si tratta soprattutto dei piú giovani elementi del partito i quali, dopo Mentana, sospirano il momento nel quale Mazzini darà il segnale della rivoluzione; di essa hanno sempre sentito parlare e della necessità di basarla solidamente su larghi strati della popolazione. Ora che una vastissima rivolta, determinatasi all'infuori della loro iniziativa, infierisce in ogni parte d'Italia, par loro certo che l'atteso momento sia giunto. Ma i dirigenti del partito, pur seguitando da anni a predicare la rivoluzione e a incitare individui e gruppi a tenersi pronti, non pensano affatto a una rivoluzione di contadini ignoranti e inferociti. È vero che con poco sforzo riuscirebbero a trasformare la rivolta dei contadini in una, ben piú pericolosa, di operai e di artigiani nelle città, agitando la bandiera della repubblica e soprattutto quella delle riforme sociali. Ma è da discutersi se fosse allora davvero intenzione dei repubblicani di provocare la rivoluzione401. Mazzini si preoccupa soprattutto della unità; considerate tutte le forze centrifughe che sono in giuoco, sa che una piccola scossa può comprometterla seriamente. Se proprio si guarda alla sostanza delle cose, bisogna riconoscere che, dalla unificazione politica in poi, Mazzini fu un elemento di conservazione assai piú che di vero rinnovamento. Parla di rivoluzione, caccia questa parola in tutti i suoi scritti, ma non pensa a organizzarla sul serio; capisce che cosí bisogna fare per tenere la coesione nella Sinistra e per non lasciarsi sfuggire gli elementi piú giovani e attivi: è la parola d'ordine, nulla piú. E intanto, fin quando i giovani intellettuali e gli operai staranno stretti intorno alla rivoluzione di Mazzini, l'unità e l'ordine sociale potranno dormire sonni tranquilli.

Ma alcuni fra gli elementi piú giovani, piú accesi del partito, di fronte allo scoppio di un moto cosí vasto contro il governo monarchico, non si curarono degli ordini impartiti dai dirigenti e si buttarono nel pieno della rivolta per guidarla a fini repubblicani.

L'episodio della banda Manini è tipico. E cosí si spiegano i manifesti dei comitati segreti repubblicani, comitati forse, nella realtà, inesistenti, ma espressione della frenesia di molti repubblicani per slanciarsi nel moto.

Certo che l'inerzia dei dirigenti il partito contribuí a rafforzare in molti giovani quella sfiducia in Mazzini e nella sua rivoluzione, che Bakunin aveva saputo, per primo, ispirare e che eventi posteriori aggravarono e portarono a una crisi definitiva.

A parte tutto ciò, è certamente un fatto sintomatico e degno di rilievo che operai e artigiani, tra i quali era diffuso il rancore contro le classi dirigenti, e principiava a determinarsi una netta coscienza di classe, siano rimasti affatto immobili di fronte ai moti campagnuoli. Ostilità tradizionale del popolo di città a quello di campagna? Intuizione del fondo reazionario, quindi dello scopo piú politico che sociale del moto? Queste ragioni influirono certamente sul contegno degli operai; come anche, sia pure in misura minore, il disinteressamento se non la condanna dei moti da parte dei mazziniani, ai quali obbediva la maggior parte delle società operaie non legate al governo (tra l'altro era difficile che i mazziniani, per due terzi massoni, si alleassero alle mene dei clericali). Ma bisogna pure riconoscere che il contegno degli operai attestava un maturo senso della realtà; essi comprendevano ormai l'inutilità di certe rivolte incomposte; l'esperienza andava loro insegnando altri piú proficui e meno rischiosi mezzi di lotta; avevano appreso che il loro nemico non era il governo, che i mutamenti di regime politico avevano una ben scarsa ripercussione sulle loro condizioni. Loro nemico era l'iniquo assetto sociale, loro uniche armi l'associazione e la resistenza.

 

Nei giorni seguenti ai disordini i giornali fanno un gran parlare di questione sociale e di socialismo; si accenna ad anarchici, a rivoluzionari, a socialisti. Tutto ciò è giustificato dalla gravissima preoccupazione diffusa tra i proprietari agricoli402 e da alcuni episodi: assalti alle case dei ricchi, saccheggi, insulti ai signori. «La Nazione» grida l'allarme; si è proclamato «che era venuto il momento per i proletari di comandare e di avere»; «un pericolo gravissimo minaccia il paese»403.

Alla Camera tutti ragionano di socialismo. Il deputato Torrigiani invita il governo a studiare urgentemente le ragioni della rivolta, tenuto conto «dell'urto e dell'antagonismo manifestatosi tra le classi sociali dei proprietari e dei coloni». Egli è impensierito soprattutto per l'apparizione di «un sintomo nuovo nelle nostre popolazioni, il quale accenna al morbo del socialismo, di cui l'Italia aveva deplorato altrove i sinistri, ma erasi tenuta incolume e lontana»404. Il ministro delle FinanzeCambray-Dignyrispondendo al Torrigiani che «ci metteva ieri dinanzi agli occhi il fantasma del socialismo», ammette che effettivamente «qualche piaga ha mostrato di esistere». L'onorevole Bargoni scopre anch'egli «i germi latenti di una questione sociale» ma confida che il governo aiutato da tutti saprà volgerli al bene.

Si scatenano aspre polemiche tra rossi, neri e moderati: gli uni son colpevoli di tutto perché fanno una propaganda d'odio; gli altri perché non si occupano del problema sociale. I cattolici speculano sul terrore che ha invaso la borghesia italiana: quanto è accaduto è la logica conseguenza degli avvenimenti di molti anni addietro, quando i governanti attuali facevano essi i rivoluzionari, per spogliare i legittimi principi e rovesciare il potere temporale405.

Socialismo e socialisti: vien fatto di pensare se questi ultimi o meglio i seguaci di Bakunin in Italia abbiano avuto qualche parte nei moti di rivolta. Questo è da escludersi assolutamente: intanto, nessuno vi accenna; e le minacce ai proprietari vanno considerate come lo sfogo di brutali istinti delle masse, improvvisamente e per breve ora trovatesi prive di freno e padrone del campo. I bakunisti italiani lasciarono compiersi questo tragico tentativo che non avevano preveduto senza tentar di sfruttarlo. Bakunin si occupa della rivolta del macinato... l'anno di poi, come storico e come misuratore degli istinti rivoluzionari delle masse in Italia. «Il movimento affatto spontaneo406 dei contadini italiani l'anno passato, movimento provocato dalla legge che ha colpito con un'imposta la macinazione del grano, scrive a un amico francese, ha dato la misura del socialismo rivoluzionario naturale dei contadini italiani»407.

 

Questo lungo discorso sui tumulti pel macinato era necessario per chiarire lo stato d'animo delle masse rurali ed operaie, degli ambienti governativi e parlamentari, dell'opinione pubblica moderata e conservatrice408 di fronte alla questione sociale.

In quei tumulti bisogna ravvisare: l'ultimo tentativo reazionario compiuto dai sostenitori dei cessati regimi; il primo sfogo del malcontento nelle masse rurali del nord e centro d'Italia; la prima occasione nella quale le sfere ufficiali s'accorgono dell'esistenza di un problema sociale, la prima grossa paura che li coglie a tale riguardo; la prova dell'insignificante sviluppo della propaganda bakunista in Italia, ma nello stesso tempo della esistenza di molti elementi e di molte circostanze favorevoli a tale sviluppo; la dimostrazione di una relativa maturità dell'elemento operaio e artigiano.






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371 In un diario manoscritto, che si conserva nella Biblioteca di Forlí, cui un anonimo pavido conservatore, tutt'altro che propenso a esagerare le tristi condizioni del proletariato, confidava le sue impressioni e i suoi timori, si leggono, per il 1871, e precisamente a 22 giugno, le seguenti notizie: «Oggi stesso vari mietitori venuti per trovar lavoro dalla montagna, non hanno trovato come occuparsi, e i piú si sono contentati di prendere centesimi 20, cioè 4 soldi al giorno! prezzo che non s'era mai fatto...» E a 24 giugno: «Il maggior prezzo a cui siano salite le opere per mietere in questi giorni è di centesimi 60, cioè 12 soldi al giorno»; l'epoca della mietitura era l'epoca grassa per i braccianti; l'epoca nella quale i proprietari, costretti a far molto in poco tempo, largheggiavano. Queste notizie si riferiscono al 1871, è vero, ma niente fa supporre che le cose andassero meglio negli anni immediatamente precedenti: tutt'altro.



372 Venne letto alla Camera nella seduta del 21 gennaio 1869.



373 Cfr. «La Nazione», gennaio 1869.



374 Ibid., 4 gennaio 1869.



375 Ibid., 5 gennaio 1869.



376 Il foglio è conservato nella Raccolta di Achille Bertarelli, Milano (ora donata al locale Museo del Risorgimento), al quale, per la cortesia dimostratami mettendo a mia disposizione l'ingente materiale magistralmente ordinato, esprimo qui tutta la mia gratitudine.



377 «La Perseveranza», 7 gennaio 1869.



378 Ibid., 9 gennaio 1869.



379 Ibid., dall'8 al 19 gennaio.



380 Ibid.



381 «La Nazione», dall'8 al 19 gennaio.



382 Dal rapporto del prefetto di Bologna al ministro dell'Interno, 18 gennaio 1869, ibid., 23 gennaio 1869.



383 «La Nazione», dall'8 al 19 gennaio.



384 Patriotti e soldati del Risorgimento. Note storiche e aneddotiche, Reggio Emilia 1915. Ristampato, con qualche variante, col titolo: Aspromonte-Mentana e le bande repubblicane in Italia nella primavera del 1870, Milano 1923. Nel libro non son citate le date precise di questi episodi.



385 Aspromonte-Mentana ecc. cit., p. 140.



386 Cfr. anche «Il Monitore di Bologna», 16, 17 febbraio 1869.



387 Mauro Macchi, per esempio, nel suo Almanacco istorico per il 1870 (pp. 18, 19), cita la banda emiliana per dimostrare il progresso compiuto dalle idee repubblicane in Italia.



388 Relazione della Commissione d'inchiesta sui casi dell'Emilia pel macinato, in «Il Monitore di Bologna», 20 settembre 1869.



389 «L'Ancora», Bologna, 16 gennaio 1869.



390 «Il Monitore di Bologna», 20 settembre 1869.



391 Rendiconti cit., pp. 8953-54.



392 Il prefetto di Parma nel suo Rapporto al generale Cadorna, 7 gennaio 1869 («La Nazione», 24 gennaio), scrive: «Noto il fatto, nuovo per questi tempi, del levarsi in massa, dell'affratellarsi in bande, del muoversi concertati, del percorrere lungo cammino onde trovarsi a determinata mèta. Noto questo fatto specialmente perché s'è compiuto con insolita rapidità e, ciò che piú monta, si è organizzato senza lasciarsi accorgere».



393 Acutamente lo stesso prefetto di Parma fa notare come i contadini della sua provincia fossero blanditi e tenuti buoni dal cessato governo, costretto a lottare con la classe intelligente e tenuti a freno dai parroci, allora conservatori. Questi ultimi, dopo il '60, a tutto hanno pensato fuor che a calmarli e a inculcare la rassegnata osservanza delle leggi.



394 Dal Rapporto del prefetto di Reggio Emilia al ministero dell'Interno, 10 gennaio 1869; «La Nazione», 26 gennaio.



395 «La Gazzetta dell'Emilia», 12 gennaio 1869.



396 Non mi sono diffuso a parlare di questa rivolta, poiché la si deve considerare come un vero e proprio tentativo di restaurazione borbonica o di autonomismo, malamente truccato coi colori della rivolta sociale.



397 «Il Corriere italiano» di Firenze, in un articoletto che ha l'aria di un comunicato ufficioso afferma, il 4 gennaio, che il governo ha acquistato la prova essere le agitazioni opera del partito repubblicano.

Il PETRUCCELLI DELLA GATTINA, Storia d'Italia dal 1866 al 1880, Napoli 1882, p. 54, parlando dei repubblicani, scrive: «Si provocarono i contadini ad insorgere contro la tassa del macinato in alcune province».



398 Rapporto del prefetto di Reggio ecc. cit.



399 Eccone un campione («Il Presente», Parma, 3 gennaio 1869): «E qual legge potevano proporre piú ingiusta, piú iniqua, piú contraria allo Statuto?... Cambray-Digny e i suoi consorti la proposero, la votarono perché su di essi non fassi sentire. Non di pane solo essi vivono; è il povero popolo, il proletariato, il contadino cui restano pochi soldi per sfamarsi, che di solo pane vive, che quindi la maggior parte della tassa deve pagare. Chi meno possiede paghi di piú!... Ma che importa se ridestansi tumulti? abbiamo soldati, abbiamo cavalli, cannoni, baionette; se non volete morir di fame morirete di piombo... Tutto questo mentre ferve in piazza la rivolta, mentre le masse contadine percorrono imponenti e furibonde la provincia».



400 Aspromonte-Mentana ecc. cit., p. 139.



401 Il fatto che i moti non si sono estesi alle città basterebbe di per sé, com'è evidente, a escludere ogni partecipazione del partito repubblicano.



402 Cfr. il discorso dell'onorevole Donati alla Camera, 25 gennaio 1869; Rendiconti cit., p. 8970.



403 21 gennaio 1869.



404 Seduta del 21 gennaio 1869, Rendiconti cit., p. 8845.



405 Scrive «L'Ancora», Bologna, 30 gennaio 1869, in un articolo intitolato La paura del socialismo alla Camera dei deputati: «L'onorevole Torrigiani ha ben ragione di essere spaventato di questo nuovo sintomo; che alla fine contro le masse furibonde e sospinte dalla disperazione e dalla fame, mal reggono le baionette ed i cannoni... Un gelido orrore invade le ossa alla parola socialismo: ma quale provvedimento hanno preso o vanno prendendo i rigeneratori d'Italia per salvarla da questa catastrofe?» Di chi la colpa? di voi «che dieci anni sono non facevate che aizzare quelle masse medesime contro il papa e tutti gli altri sovrani d'Italia; voi che chiamavate sante le rivoluzioni, le disobbedienze alle leggi». Inutile sperare di poter ristabilire il principio d'autorità: «Sforzi inutili! Voi avete gettato le basi del piú spaventevole socialismo e le avete gittate confiscando le proprietà della Chiesa, le proprietà dei poveri, asciugando senza misericordia le tasche dei contribuenti... O governanti! ritirate le leggi, che faceste a danno della Chiesa, della santità del matrimonio; rimettete in onore quella religione che finora insultaste... Allora, ma allora solo, non tremerete piú del socialismo».



406 Nel '69 Bakunin era fuori d'Italia; non poté quindi rendersi conto di tante circostanze che rendono inesatta la qualifica «affatto spontaneo». Del resto egli era sempre felice quando poteva dimostrare essere le masse agricole all'avanguardia della rivoluzione.



407 Lettres à un français ecc. cit.



408 Interessante la lettera di un amico della «Nazione», che, dopo aver descritto i tumulti nella provincia di Parma, prorompe in disperate domande: «A che gli asili d'infanzia; a che tante scuole; a che le case di lavoro; a che tanto benefizio versato sulla classe operaia? La nostra generazione ha lavorato assai, ha speso non poco a pro' dei figli del popolo; ma quale frutto di riconoscenza e d'amore?» («La Nazione», 11 gennaio 1869).





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