3.
Il movimento operaio nel 1869
Mentre i contadini italiani sfogavano
il loro malcontento in vane sanguinose rivolte, gli operai e gli
artigiani, inscrivendosi sempre piú numerosi nelle
organizzazioni, davan prova, s'è detto, di una progrediente
maturità. Il movimento delle società di mutuo soccorso
continuava a svilupparsi, nonostante il disinteressamento dei
mazziniani; forse non a torto si potrebbe dire, grazie al loro
disinteressamento; perché abbiam veduto il danno che molte di
esse, aderendo al programma mazziniano, risentivano, per il solo
fatto di esser legate ad un partito d'opposizione.
Tali società, da 573 che erano
nel 1867, sono salite a 771 nel 1869. Importante lo sviluppo nel
Mezzogiorno: fra il '66 e il '70 vi si fondano 41 società409.
Ma l'incremento è molto piú intenso di quanto non
appaia dal semplice paragone con le cifre degli anni precedenti.
Infatti molte delle società menzionate nelle statistiche del
1862, trovandosi dopo qualche anno nella incapacità di far
fronte agli impegni presi, hanno subito una crisi in qualche caso
definitiva; la vita di quelle che forniscono pensioni per la
vecchiaia è facile nei primi anni – i guai cominciano
con le prime liquidazioni: allora molte società falliscono. Le
cifre del 1867 e 1869, dunque, stanno a indicare un numero di società
nuove molto maggiore410.
Studiosi e istituti finanziari
continuano a interessarsi del movimento, premiando, incoraggiando,
suggerendo perfezionamenti. Il premio Ravizza per il 1869 ha per
tema: «Quale indirizzo dare alle associazioni di mutuo soccorso
ed alle società cooperative, allo scopo di migliorare le
condizioni morali e sociali del popolo italiano»411.
Degna di memoria è l'opera del Fano, pubblicata nel 1869, su
La carità preventiva e le società di mutuo soccorso.
L'interessamento è in parte
spontaneo, in parte frutto del timore che il gran numero delle
Società operaie comincia a destare negli ambienti borghesi. Lo
confessa candidamente il Rapporto della Commissione
aggiudicatrice del premio Ravizza412, quando scrive che le
associazioni operaie costituiscono «una delle piú belle
speranze, come una delle piú urgenti minacce all'ordine
economico, non solo, ma al civile e politico. Il difendere la società
contro quelli che ne scalzano i fondamenti, cioè il diritto,
la religione, la proprietà, la famiglia... è dovere
comune»413. Lo confessa il vincitore del premio
Ravizza, Enrico Martuscelli, quando deplora il modo come sono
costituite molte società operaie «piú che altro
accolte di operai intese a fini politici», che si riscaldano
«al fuoco malsano di teorie e di aspirazioni umanitarie e
sociali, vaghe e fantastiche»414.
E, insieme, si disegna un movimento di
simpatia per la classe operaia in genere, al quale non sono estranee
le preoccupazioni per il crescente numero degli scioperi415 e
per le fantastiche notizie che vanno divulgandosi
sull'Internazionale. Cosí in varie città si fondano
scuole e circoli d'istruzione per gli operai (a Milano, a Torino, a
Firenze, a Bologna, ecc.)416 che le autorità
incoraggiano anche con premi417.
Mentre continua lo sviluppo delle
organizzazioni di resistenza (il 24 settembre 1869 si riunisce a
Bologna il II Congresso dei tipografi: delibera di fondare la
Federazione italiana tra lavoranti tipografi e dà perciò
incarico alla società di Firenze di provvedere alla
compilazione del progetto di statuto per la federazione; discute
delle limitazioni da porsi all'impiego degli apprendisti, della
costituzione di tipografie cooperative, del sussidio da concedersi ai
disoccupati)418, il movimento cooperativo si intensifica.
Secondo il Fano, nel 1869 si contano in Italia «circa trenta
società di consumo nelle quali prevale il concetto
cooperativo. Ché se si vogliono noverare le società
tutte che vendono agli operai le derrate necessarie alla vita senza
proporsi guadagno di sorta,... ve n'ha forse piú di
cento»419, Il maggior numero degli spacci cooperativi è
aperto e gestito dalle società di mutuo soccorso420.
Le cooperative di produzione si
moltiplicano. A Milano se ne fonda una fra i nastrai, nell'ottobre
1869421. Altre sorgono a Bologna, a Lodi, a Genova e in molte
altre città – ma come trovarne notizia? la debole
consistenza finanziaria, l'ancor piú debole costituzione
tecnica e amministrativa le condannarono quasi tutte a vita
brevissima, a dissolversi cioè prima di trovar posto nelle
statistiche422.
Molti intellettuali seguitano a vedere
nella cooperazione l'unico rimedio efficace ai pericolosi mali
sociali. «Ai prodi pionieri di Rochdale promulgatori fecondi
della formula che sola può sciogliere la minacciosa questione
sociale» dedica il Viganò la sua opera sulla
cooperazione; nella quale scrive che solo le cooperative «ponno
condurci alla conciliazione del capitale col lavoro – ovvero
evitare la bufera immensa, micidiale che tuona incessante ovunque:
guai se ci opponiamo al movimento cooperativo generale»423.
L'attuale condizione degli operai,
ammonisce il de Cesare, «sarà sempre una minaccia o un
pericolo per l'ordine sociale... Alle società cooperative è
dato risolvere oggidí questo problema»424.
Certo che un intenso sviluppo delle
cooperative di produzione avrebbe potuto influire potentemente sulle
condizioni dei lavoratori. Ma nel 1869, in sostanza, si era ancora al
periodo dei tentativi, nella storia del movimento cooperativistico,
né si può dire che questi si ripetessero con troppa
frequenza.
Le condizioni dei lavoratori non
avevano subito, negli ultimi anni, alcun mutamento notevole.
Dopo il '66, è vero, si era
verificato un piccolo aumento generale nei salari425. I dati
che possediamo sono scarsi ma sicuri e ci apprendono che, per nove
categorie di operai, la media dei salari – ricavata in base a
notizie raccolte nelle varie regioni fra il 1866 e il 1873 –
sopravanzava notevolmente la media dei salari del periodo 1862-65; e
precisamente, considerando quest'ultima uguale all'unità,
oscillava da 1,05 a 1,25426. Ma la crisi economica che il
paese andava attraversando, il deprezzamento della moneta
annullavano, o quasi, questo piccolo vantaggio: con i salari erano
aumentati infatti i prezzi di tutti i generi. Un quintale di frumento
costava nel 1868 L. 32,69 (contro L. 28,52 nel 1862); il quintale di
riso era passato da L. 29,51 a L. 33,23, di granturco da L. 14,31 a
L. 19,27 e cosí via. Nel '69 si verificò, sí, un
ribasso in questi prezzi, in parte dovuto ai buoni raccolti, in parte
forse anche a motivi politici, ma il costo della vita si mantenne pur
sempre piú alto che negli anni precedenti al 1866.
E insomma quel medesimo operaio
tessile, da me preso ad esempio nel principio di questo studio, il
quale nel 1862 doveva metter da parte il salario di ventidue giornate
di lavoro per essere in grado di acquistare un quintale di frumento,
nel 1868, con un salario aumentato del 18%427, poteva
acquistare quel medesimo quintale di frumento accumulando il reddito
di circa ventun giornate di lavoro428. Come si vede, il
miglioramento era quasi irrisorio.
Questa persistente insufficienza del
salario a coprire le spese indispensabili veniva ammessa anche da
elementi moderati e conservatori, non troppo facili a riconoscere che
in qualcosa le classi operaie, lamentandosi, avessero
ragione429. Cosí il Bolis scriveva: «Non può
negarsi che il salario non sia generalmente inferiore ai bisogni
dell'operaio, specialmente dopo l'aumento che ebbero in questi ultimi
tempi i generi di prima necessità e gli affitti delle
case»430. E il Bonghi: «È certamente
importante il provare che esse (le classi povere) hanno ora maggiori
diritti e piú largo compenso dal loro lavoro; ma non basta
all'assunto, se non si prova altresí, che il complesso delle
loro circostanze è siffatto, che l'esercizio di cotesti
maggiori diritti e l'uso di cotesti maggiori compensi producono ora
nel loro animo una somma di soddisfazioni piú grande, di quel
che un'inferiore condizione giuridica e minori salari producevano in
passato»431; dove, con un bel giro di frase, è
detto che, insomma, le classi povere versavano nelle identiche poco
allegre condizioni di qualche anno innanzi.
Durante i moti del macinato, abbiam
detto, qualche nucleo di giovani repubblicani ruppe la consegna di
Mazzini o partecipando a quei moti, o esprimendo la sua solidarietà
con i tumultuanti. Sono i primi effetti di un malumore contro Mazzini
e, in genere, contro i dirigenti del movimento democratico d'estrema,
che trova le sue origini, non certo logiche, ma cronologiche, in
Mentana. Già la propaganda del libero pensiero, che Mazzini
credeva di additare alla condanna dei suoi, bollandola di
materialista, aveva provveduto a creare fra lui e molti dei
suoi seguaci un punto di distacco, sia pur limitato alla questione
religiosa; era intervenuto poi Bakunin a predicare che non si può
esser materialisti per davvero e amanti della libertà umana se
non si tende alla realizzazione completa e senza restrizioni di essa
libertà; ora la mancanza, apparente o effettiva, di spirito
rivoluzionario in Mazzini, manifestatasi durante i torbidi dei primi
giorni del 1869, veniva a compier l'opera. Alcuni fra i repubblicani
piú giovani cominciano apertamente a esprimere il loro
dissenso dal maestro e cercano una via nuova.
«Fu un tempo – scrive un
giornaletto semiclandestino, "L'Italia nuova", nel marzo
1869 – che la formola Dio e popolo sospingeva alle
ardite imprese e faceva bello il patibolo alla gioventú
borghese d'Italia; oggi quella medesima gioventú corre a
schierarsi fra le numerose fila dei liberi pensatori, ed in nome
della scienza rinnega quella tirannica idea di un Dio, cui li uomini
dei tempi ricchi hanno creato a somiglianza di se medesimi, con tutte
le malvagie passioni che covano nel loro seno e che pretesero
creatore di quanto si svolge nella perenne, necessaria ed inevitabile
evoluzione della materia. Pure Mazzini si ostina a mantenerla integra
cotesta formola... I tempi mutano; in trent'anni nuove idee si
svolgono, principî nuovi si affermano, altri bisogni si
palesano e i doveri e i diritti pigliano base diversa e diverso
indirizzo. Mazzini è rimasto siccome sorse; e, mentre i
tempi cangiati chiedevano un ateo ed un rivoluzionario, egli è
rimasto un credente ed un apostolo»432.
Il materialismo, l'incubo di
Mazzini, mina le fondamenta della sua popolarità. E insieme e
accanto ad esso, quella che Mazzini additerà piú tardi
come la piú tipica incarnazione del materialismo stesso:
l'Internazionale, che, nel corso del 1869, mette in Italia salde e
definitive radici.
Un membro del Consiglio generale
dell'Internazionale scriveva a Napoli, il 20 gennaio 1869, lamentando
di non ricevere da mesi notizie dall'Italia: «la cosa ci
stupisce assai, perché i tempi sono troppo preziosi per non
impiegare tutti i nostri istanti a fare un'attiva propaganda presso
gli operai italiani. Contiamo sul vostro concorso energico per
spingere gli operai ad aderire in massa all'Associazione
internazionale, è il solo mezzo per render efficace la
prossima rivoluzione che scoppierà»433.
Undici giorni dopo veniva fondata la
sezione di Napoli, che aderiva pienamente agli statuti
dell'Associazione e si costituiva in Comitato centrale per tutta
l'Italia.
«Sotto l'influenza della
situazione economica dell'Italia meridionale e del progresso delle
idee socialiste, una sezione dell'Internazionale poté essere
fondata a Napoli nel mese di gennaio di quest'anno... La sezione di
Napoli fa una propaganda attivissima nell'Italia meridionale; verso
cui tutte le infelici popolazioni della penisola volgono lo sguardo
come verso i precursori della vera libertà. Gli operai
napoletani mettono in fascio tutte le loro forze sul terreno del
socialismo rivoluzionario, ed hanno mandato il loro rappresentante a
questo Congresso per suggellarvi coi rappresentanti di tutte le altre
sezioni d'Europa l'alleanza universale che deve preparare e
proclamare, coll'abolizione di tutte le enormezze sociali, la
sovranità del popolo»434.
Con queste parole il sarto napoletano
Caporusso annunziava al Congresso internazionalista di Basilea
(settembre 1869) la fondazione della sezione napoletana
dell'Internazionale, di cui egli stesso era presidente435.
Questa sezione incontrò tra gli
operai un notevole successo, come attesta il seguente Manifesto ai
nostri fratelli (che è uno dei primi atti pubblici
dell'Internazionale in Italia) da essa diramato nel maggio: «Noi
ci siamo riuniti in numero di milleduecento operai
napoletani436 onde formare la sezione napoletana
dell'Associazione internazionale dei lavoratori. Fratelli delle altre
province d'Italia, venite ad aumentare le nostre fila. Uniamoci una
bella volta col patto dell'Internazionale ai nostri fratelli del
mondo intero». E piú oltre: «Fino a che noi
resteremo divisi o male associati, non potremo vincere.
L'Associazione internazionale, stringendoci con uno stesso patto e
sotto un medesimo interesse, ci rende forti e ci assicura la
vittoria. Essa sola è capace di migliorare le nostre
condizioni economiche e morali – essa sola può
emanciparci definitivamente dalla prepotenza delle classi
privilegiate, facendo sparire l'ineguaglianza che divide gli uomini
in oziosi e lavoratori, in privilegiati e proletari, in felici e
miserabili, in carnefici e vittime». Il manifesto concludeva
con un caldo appello: «Operai italiani nostri fratelli, non
tardate, adunque – noi aspettiamo con ardente impazienza le
vostre adesioni. Rimarrete sordi al nostro appello? Noi non lo
crediamo»437.
Nel giugno la sezione annunciava
l'imminente pubblicazione di un suo giornale, che avrebbe avuto per
titolo «La Fratellanza». Il primo numero uscí
invece nel novembre con un altro titolo: «L'Eguaglianza»438.
Intanto le trattative fra Bakunin
quale rappresentante dell'Alleanza e il Consiglio generale
dell'Internazionale erano continuate. Nel gennaio la vecchia
Fratellanza segreta, per dissensi interni, si era sciolta; l'Alleanza
aveva assorbito tutte le sue sezioni, diffuse specialmente in
Svizzera, in Francia, in Italia e in Spagna. Bakunin propose ai
dirigenti l'Internazionale di sciogliere anche l'Alleanza, le cui
sezioni sarebbero venute a far parte dell'Internazionale, mantenendo
però il diritto di seguire le direttive stabilite dagli
statuti della defunta Alleanza.
Marx, considerando il vantaggio che
sarebbe derivato all'Internazionale dall'acquistare, d'un colpo, una
prima rete di sezioni in paesi nei quali fino allora era stata fatta
una debolissima propaganda, accettò (20 marzo 1869). Bakunin
raggiunse cosí il suo scopo: entrare nell'Internazionale col
potente appoggio di una organizzazione ufficialmente disciolta ma in
pratica viva e funzionante, che, informata ai suoi principî
sociali, potesse esercitare in seno all'Internazionale una decisa
influenza439.
Cosicché l'Internazionale
penetrò in Italia attraverso l'apparentemente disciolta
Alleanza: gli internazionalisti italiani, in quegli anni, facevano
capo a Bakunin, mantenendo soltanto rapporti amministrativi col
Consiglio generale di Londra. Ma Fratellanza, Alleanza pubblica o
segreta, statuti e programmi vigenti o non vigenti dell'una o
dell'altra, Internazionale, formarono spesso e in piú luoghi
un groviglio tale, che è molto difficile oggi distinguere
nettamente la loro rispettiva azione.
Di molte sezioni dell'Internazionale,
funzionanti qualche anno piú tardi, non possiamo neanche
stabilire con precisione la data di origine; la loro attività
pubblica fu spesso preceduta da un periodo di attività
segreta, della cui intensità e durata non sappiamo quasi
niente. La confusione è accresciuta dalla incertezza nei nomi
delle organizzazioni bakuniste. Questo ad ogni modo è sicuro:
che la prima infiltrazione dell'Internazionale in Italia si svolse
esclusivamente attraverso la propaganda di elementi devoti a Bakunin,
e che fino al 1871 si verificò principalmente nel
Mezzogiorno440.
Dal 6 al 12 settembre 1869 si riuní
a Basilea il IV Congresso dell'Internazionale; vi parteciparono,
quali rappresentanti dell'Italia, Bakunin, delegato della sezione dei
meccanici di Napoli, un certo Heng della sezione italiana di Ginevra
e il sarto Stefano Caporusso, della sezione di Napoli; Fanelli –
delegato di alcune associazioni operaie di Firenze – non
intervenne.
Questo Congresso che consacra l'enorme
sviluppo preso dall'Internazionale in tutti i paesi d'Europa e negli
Stati Uniti d'America segna il trionfo definitivo del collettivismo
come dottrina ufficiale dell'associazione. I delegati dichiarano che
la società ha il diritto di abolire la proprietà
individuale del suolo e di rivendicarla alla collettività441.
Ma seguiamo l'attività del
Caporusso. Il quale, nella seduta del 10 settembre, fa sapere che la
sezione di Napoli conta già seicento membri, tra i piú
risoluti operai del luogo442. Il 12 settembre, dopo aver
preso parte alla discussione sul collettivismo, presenta la seguente
proposta, che viene approvata a grande maggioranza: «Riguardo
al collettivismo tutte le sezioni devon presentare al prossimo
congresso il loro punto di vista sul mezzo pratico per risolvere tale
questione»443. Nella stessa seduta dà un
interessante ragguaglio sulla popolazione di Napoli; che, su un
totale di 600000 anime, si compone, secondo lui, di 100000 donne e
fanciulli, 50000 oziosi e vagabondi, 100000 capitalisti, 150000
usurai e bottegai, 200000 operai e proletari444. Scarsa è
la produzione; una quantità di generi manifatturati vengono
importati. Il salario ammonta a 2-3 lire la giornata di 15 ore e piú
di lavoro. «In nessun luogo gli operai son tenuti sotto un
pugno piú spietato. In nessun luogo perciò la soluzione
della questione operaia appare piú necessaria che a Napoli.
Bisogna dunque che l'Associazione internazionale se ne occupi e
cerchi di aiutare gli operai, fra i quali si trovano molti
risolutissimi internazionalisti»445.
Il relatore, sulle cui statistiche
demografiche sarà meglio non fermarsi, viene rincalzato da
Bakunin: «Caporusso ci ha dato un quadro cupo ma vero della
popolazione napoletana. I generi di prima necessità son
diventati piú cari che sotto i Borboni. Le comunicazioni
nell'Italia meridionale son tremende; gli operai che, come abbiamo
visto, lavorano 15 ore al giorno, devon poi fare, quasi tutti, da due
o tre ore di strada, cosicché per 18 ore consecutive non
godono di alcuna ricreazione»446.
Mazzini s'indigna per le deliberazioni
prese dal Congresso di Basilea (il quale venne «a coronare
l'opera di dissolvimento e di negazione» e a condannare
l'Internazionale «all'impotenza pel bene»447), ma
piú per il fatto che ad esso hanno partecipato tre delegati
dell'Internazionale italiana: fra questi è un semplice
operaio. Perciò s'affretta a scrivere al Giannelli, nel
settembre 1869: «Bisogna vegliare sull'operaio Caporusso del
quale egli [Procaccini] parla e se nel ritorno da Losanna448
passa per Lugano, catechizzarlo voi, Maurizio449, ecc. Se gli
operai di Napoli aspettano il miglioramento delle loro condizioni
dalle ciarle di Losanna, stanno freschi»450.
Ma gli operai di Napoli,
ciononostante, si stringono sempre piú numerosi intorno alla
sezione dell'Internazionale. Per opera della quale, e sotto la
direzione del genero di Caporusso, certo Statuti451, il 5
novembre '69 esce a Napoli il primo numero del giornale
«L'Eguaglianza», che intende «propugnare
esclusivamente la causa del lavoro, e gl'interessi economici, sociali
e politici della classe operaia». Ma «L'Eguaglianza»
è internazionalista soltanto di nome: serba infatti una grande
moderazione nel trattare la questione sociale e, accennando alla
esiguità dei salari, invita gli operai a non abusare dell'arma
degli scioperi; poiché, ammonisce, ad ogni rincaro nel prezzo
del lavoro corrisponde un rincaro dei prodotti e quindi della vita,
il cui peso graverà anche, anzi soprattutto, sugli operai
consumatori; lo sciopero – che va proclamato solo in casi
eccezionali e quando le probabilità di successo si presentino
notevoli – ha solo un merito, quello di contribuire a
sviluppare il sentimento di solidarietà fra i
lavoratori452.
Veri e propri giornali
internazionalisti, che bandiscano apertamente il dogma della lotta di
classe e ne propugnino tutte le conseguenze, non sorgeranno in Italia
che due anni piú tardi.
Accanto alla sezione internazionalista
di Napoli, e per opera sua, un'altra se ne fondò,
probabilmente sulla fine del 1869, a Castellamare di Stabia: essa
raggiunse rapidamente i cinquecento soci453. Altre erano in
via di formazione454 sempre nell'Italia meridionale dove,
compresa la Sicilia, esistevano dunque sul cadere dell'anno già
almeno quattro sezioni regolarmente costituite.
Bakunin poteva esser contento
dell'attività dei suoi amici. Ciò che stupisce è
che, nonostante lo sviluppo della sua azione socialista, e in Italia,
di necessità, antimazziniana, egli cercasse di mantenere buoni
rapporti sia con Mazzini che coi suoi luogotenenti. Sulla fine del
1869, infatti, trovandosi a Lugano cercò di incontrare
Mazzini. Ma questi, ormai informato sui veri fini della propaganda
bakunista, rifiutò di vederlo455. Piú ingenui
alcuni dei suoi seguaci: nel '69 stesso Quadrio si faceva un dovere
di spedire puntualmente al russo «L'Unità italiana»
da lui diretta e altri giornali italiani e stranieri456.
Ma un'aperta rottura non poteva
tardare.
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