3.
Prima polemica Mazzini-Bakunin
Fin dai primi sprazzi rivoluzionari in
Francia, Mazzini ha gridato al materialismo; e al materialismo
torna in ogni articolo e attribuisce ogni colpa. Dapprima lo addita e
lo combatte come una minacciosa corrente, come un sintomo, come un
pericoloso e diffuso atteggiamento dello spirito; ma poi, chi legga
in successione i suoi fierissimi articoli, avverte come un
progressivo concretarsi, come un precisarsi e un individuarsi, nel
significato e nella portata di quest'espressione a lui, allora come
sempre, tanto discara.
Il 24 maggio, con la risposta
All'Internazionale di Napoli, Mazzini allude per la prima
volta, esplicitamente, all'Associazione dei lavoratori, «oggi
nota per la parte d'istigatrice esercitata in Parigi»; la
nomina un'altra volta, di sfuggita, nella settima puntata
dell'articolo Il Comune e l'Assemblea (28 giugno)571;
il successivo Agli operai italiani (13 luglio) è un
preciso e severissimo atto di accusa contro quell'Internazionale,
della quale con tanta se pur diffidente simpatia egli aveva seguito,
alcuni anni innanzi, i primi passi e i primi successi572.
«Di mezzo al moto normale degli
uomini del lavoro – suona con solennità la sua
requisitoria – è sorta un'associazione che minaccia
falsarlo nel fine, nei mezzi e nello spirito al quale
v'ispiraste finora e dal quale soltanto otterrete vittoria. Parlo
dell'Internazionale».
Son già noti gli appunti che
egli le muove e che discendono tutti dalle tre grandi negazioni da
lui ritenute il fondamento della dottrina e della azione
internazionalista: la negazione di Dio573, della patria,
della proprietà privata. Traspare dall'articolo Agli operai
italiani la fiducia che gli operai, informati finalmente
sull'essenza e gli scopi della misteriosa e potente associazione, se
ne ritrarranno disgustati o le rifiuteranno ogni e qualsiasi
solidarietà.
«No – scrive sicuro Mazzini – no; voi non
lascerete, per proposte siffatte, la via calcata sinora e io potrò,
sino all'ultimo giorno, movere su quella con voi». E alludeva
al suo mutuo soccorso, alla sua cooperazione di consumo, di
produzione e di credito, al suo programma di una patria di liberi e
di eguali, nella quale fossero riconosciuti al lavoro tutti i suoi
imprescindibili diritti.
Con questa illusione iniziò la
battaglia contro l'Internazionale: la piú dura e la piú
amara delle battaglie, quella che, per i suoi risultati immediati,
parve a tutti e a lui pel primo la piú vana, certo la meno
coronata di vittoria.
Egli avverte gli operai e i suoi
giovani piú focosi amici democratici che l'Internazionale
dubita dell'esistenza di Dio e nega la patria; con ciò solo
crede tenerli lontani dal contagio: e invece da piú parti
inaspettatamente gli si risponde che in verità, sí, Dio
e la patria son nomi vuoti, astrazioni imaginate e imposte dai
privilegiati nel loro esclusivo interesse.
Per la prima volta forse Mazzini ha
modo di misurare tutta l'intima debolezza del suo partito,
l'inconsistenza dei suoi discepoli, la cui diversità di
temperamento, di aspirazioni, di metodi solo un provvisorio fine
comune ha tenuto celata e che, al primo urto, s'è mostrato in
tutta la sua inconciliabilità.
Forse soltanto nel 1871 Mazzini
afferrò il motivo di quella incapacità di fronte a
un'azione organizzata, di quella fondamentale apatia e discordia
d'intenti che avevano travagliato nel decennio precedente il suo
partito, esteriormente tanto robusto e saldamente inquadrato.
A rintuzzare le accuse di Mazzini e a
neutralizzare gli effetti della sua decisa campagna si leva il
fondatore e il tutore del movimento operaio internazionalista in
Italia: Bakunin. Questi con la foga abituale, centuplicata ora dalla
sensazione di difendere uno stato d'animo diffuso, investe le basi
stesse del sistema mazziniano, inspira e dà il tono alla
rivolta giovanile; armato del suo logico materialismo espone alla
gioventú, esitante nello strappare i legami che la avvincono a
Mazzini, i pezzi del sistema «romantico-sentimentale»
mazziniano smontato, scomposto, denudato del suo essenziale involucro
morale574.
Il primo articolo antinternazionalista
di Mazzini cadde sotto gli occhi del Bakunin – che allora si
trovava a Lugano – una diecina di giorni dopo la sua
pubblicazione. Fintanto che Mazzini aveva attaccato la Comune e, di
traverso, ma non dichiaratamente, l'Internazionale, nessuno del campo
internazionalista che avesse autorità e vena polemica, gli
aveva risposto di proposito. Ma ora la battaglia era impegnata in
campo aperto. E il 25 luglio il russo iniziò una Risposta a
Mazzini che, terminata in quattro giorni, tradotta e mandata alla
direzione del «Gazzettino rosa» di Milano, venne da
questo immediatamente pubblicata in un supplemento al numero del 14
agosto575.
La Risposta di un
internazionalista a Mazzini fece chiasso, rinfrancò molti,
incerti tra l'adesione al movimento materialista-internazionalista e
l'antica devozione al maestro; riuscí preziosa ai giornaletti
democratici d'estrema che trovarono comodamente riassunti e chiariti
molti punti di possibile attacco contro Mazzini, da riprendere,
sviluppare e diffondere.
In questo come negli altri pamphlets
che Bakunin dedicherà al suo grande avversario, non tutto,
anzi ben poco è originale. Il nucleo stesso degli appunti che
egli muove a Mazzini si trova sparso in scritti precedenti di altri
autori (a lui per altro certamente ignoti), quali – per non
citarne che alcuni – le pagine dedicate dal Gioberti, nel 1851,
al sostenitore dell'idea unitaria576, le critiche astiose di
Felice Orsini577, le altre piú composte e serie di
Luigi Stefanoni. Bakunin le raccolse, le sistematizzò, le
ravvivò con la sua arguta vivacità di scrittore; dalle
linee della Risposta e piú dal successivo opuscolo,
pure dedicato a Mazzini, la figura di questo – che allora,
anche al dire d'avversari, assurgeva a una grandezza e un rilievo
quasi ieratici nella appassionata difesa di una società, di un
sistema d'idee che, in quanto contenenti preziosi germi di
miglioramento, si potevano sí criticare, ma non soffocare
nella pazza ricerca del nuovo, né considerare troppo
leggermente superate – la figura, dico, del Mazzini usciva
contraffatta e grottesca e pure, come sempre nelle caricature
riuscite, con qualcosa di vero e di acutamente osservato; e, meglio
che la figura, le idee di Mazzini. Non v'è dubbio che alla
notorietà e al successo di questa polemica, in confronto alle
tante precedenti che avean preso di mira il Mazzini, contribuí,
oltre alla solennità del momento e alla tragicità
evidente del duello di questo vecchio contro una impetuosa corrente
di giovani, quel carattere caricaturale appunto, che alla calda
appassionata un po' sacerdotale prosa di Mazzini contrapponeva, con
riuscitissimo effetto, una prosa agile, guizzante, ora grave ora
birichina, sempre piacevole.
Bakunin professa il piú grande
rispetto personale per Mazzini: «una delle piú nobili
figure e pure individualità del nostro secolo»; è
riconoscente al «santo vegliardo» del quale non può
dimenticare il generoso contegno dimostrato qualche anno innanzi
verso di lui, calunniato a piú riprese e non sempre in grado
di difendersi578. Questa netta distinzione tra il pensiero
dell'avversario e la sua persona fa onore al polemista; il quale, se
qualche volta, nella foga, trascende, subito si riprende, e par quasi
voglia scusarsi d'avere ecceduto.
La Risposta rappresenta, nel
duello Bakunin-Mazzini, la botta d'assaggio; è una
rapida presa di posizione che lascia prevedere il successivo attacco
in grande stile. Bakunin vi tratta in ispecie del problema religioso,
considerato come base non del solo sistema mazziniano ma d'ogni
sistema filosofico-sociale; ché, dalle diverse premesse che si
pongono su di esso, derivano opposte conseguenze, in ogni campo del
pensiero e dell'azione.
«Il sistema mazziniano –
sostiene Bakunin – è poggiato su due grandi basi: 1)
idealismo religioso; 2) culto dell'autorità e dello Stato.
Mazzini si parte da Dio per giungere all'uomo e alla materia; tutta
la sua costruzione dipende quindi dal primo postulato: Dio. Ecco
perché il «santo vegliardo» si scaglia con tanto
furore contro chi – semplicemente discutendo il primo postulato
– minaccia di fargli crollare tutto l'edificio. Egli accusa
gl'internazionalisti-materialisti di non credere a Dio; ciò
che significa – secondo lui – non amare profondamente gli
uomini, non rispettare la loro dignità, non comprendere e non
sentire quelle idee che han sempre fatto palpitare i piú
nobili cuori: libertà, giustizia, umanità, bellezza,
verità.
Le cose – osserva Bakunin –
stanno proprio all'opposto. Si deve deplorare che Mazzini si sia
lasciato acciecare dall'idea di Dio al punto di schierarsi accanto a
tutti i suoi compagni di fede religiosa contro alla causa della
emancipazione popolare. I piú grandi credenti in Dio, o
sedicenti tali, non sono forse tutti i potentati, tutti gli
oppressori dell'umanità? Dove trovare invece piú
convinti credenti nella libertà, nella giustizia umana ecc.,
se non appunto fra i cosiddetti materialisti? Tanto credono essi in
queste verità che vogliono addirittura distaccarle dal cielo
sul quale le hanno confinate e sospese Mazzini e i mistici come lui,
quasi «simboli e promesse per sempre irrealizzabili» e
tradurle in realtà, in pratica viva e feconda, qui sulla
terra. Sí, il socialismo è materialista, ma non nel
senso che suppone Mazzini (e qui Bakunin sviluppa il già noto
concetto sul valore dell'espressione materia e sul curioso
rovesciamento che ne hanno fatto gl'idealisti); sibbene in quanto
contrappone al culto divino il culto umano, in quanto crede, prima e
sopra ogni altra cosa alla libertà dell'uomo.
Si vuol vedere, attraverso una recente
esperienza, in che consista la differenza tra gli adoratori di Dio e
i materialisti? chiede Bakunin. I primi si sono schierati con
l'Assemblea nazionale di Versailles; i secondi, con la Comune. I
comunardi tentarono porre le basi della definitiva emancipazione
umana attraverso l'emancipazione del lavoro; i versagliesi
soffocarono il tentativo nel sangue.
Mazzini «ultimo gran prete di
quell'idealismo religioso, metafisico e politico, che se ne va»
non ha esitato a schierarsi con questi ultimi, imprecando contro la
popolazione di Parigi, nell'atto stesso che essa si sacrificava per
un ideale umano. Delitto imperdonabile.
Ben si comprende che, alleatosi alla
reazione europea, egli si scagli ora contro l'Internazionale,
che, unendo in un blocco i lavoratori di tutto il mondo, garantisce
l'attuazione dei principî in nome dei quali la Comune ha
combattuto. Ben si comprende che egli, teista e mistico, non possa
tollerare l'esistenza di un'associazione che ammonisce i lavoratori
essere l'emancipazione economica lo scopo fondamentale cui essi
debbono mirare; ben si comprendono l'ira e il disappunto di chi,
avendo diretto per piú di trent'anni il movimento
rivoluzionario europeo, sente ora che la direzione gli sfugge
irrimediabilmente di mano. Ma Mazzini s'inganna a partito se crede di
poter ancora trattenere i lavoratori italiani dall'unirsi con i
compagni delle altre nazioni, con l'offrir loro, anzi tentando loro
d'imporre un sistema che pretenderebbe di conciliare gli opposti:
l'autorità divina e la libertà umana; la ragione e la
fede.
Questo, in breve, il succo della
Risposta di Bakunin. Insieme alla quale «Il Gazzettino
rosa» volle ristampare un articolo di Saverio Friscia dal
titolo L'Internazionale e Mazzini579, di ben scarso
valore in sé, ma interessante come documento della crisi
democratica.
Friscia è addolorato di dover
attaccare Mazzini, «l'uomo che per il primo mi ha insegnato a
pronunciare con emozione il santo nome d'Italia»; attaccandolo,
il cuore gli «comprime le idee, la mano non obbedisce che a
malincuore alle ispirazioni del pensiero». Ma la causa
internazionalista, che Mazzini ha mostrato di non comprendere, esige
una pronta risposta.
Nel difendere scopi e metodi
dell'Associazione dei lavoratori, Friscia non si può dire che
mostri di avere e degli uni e degli altri idee eccessivamente chiare;
si direbbe anzi che s'impanchi a far lezione a chi, sullo stesso
argomento, ne sa cento volte piú di lui. Fin dove può
seguire, nelle critiche a Mazzini o nell'apologia dell'Internazionale
la falsariga di Bakunin, procede sicuro e disinvolto: contrapponendo
i diritti dell'uomo all'autorità divina, criticando il
concetto di nazione, sostenendo che solo nella libera unione degli
individui nel comune, dei comuni nelle regioni, ecc., fino alla
federazione dell'umanità intera sta il vero progresso e la
piena attuazione degli ideali di fratellanza e di libertà. Ma
dove espone idee sue, appare disorientato. Sulla questione della
proprietà individuale, per esempio, il suo pensiero non è
ancora troppo preciso: comincia col dichiarare che «il
socialismo non ha ancora detto la sua ultima parola» in
proposito; poi tenta di dimostrare, giovandosi di passi tolti agli
scritti di Mazzini, che non soltanto questi è vicino
all'Internazionale e ne divide in sostanza i principî, ma che,
anzi, «lungi dal combattere il socialismo e l'Internazionale,
egli li ha sorpassati». Dimostrazione un tantino azzardata;
probabilmente il Friscia introduttore dell'Internazionale in Sicilia,
non aveva troppo accuratamente seguito l'evoluzione che essa aveva
subito dalla sua fondazione fino agli ultimi congressi, segnatamente
in riguardo alle questioni della proprietà e del diritto
ereditario. Le espressioni mazziniane sulla necessità di
sostituire a ogni altra imposta un'unica tassa progressiva sul
reddito e al salariato il sistema della cooperazione di produzione,
le sue dichiarazioni teoriche sul diritto dei lavoratori a godere il
frutto intero del loro lavoro, gli parevano nonché combaciare
superar quasi la dottrina internazionalista.
Il che ci aiuta non poco a spiegarci
il come e il perché della vampata internazionalista che nel
'71 corse l'Italia. Gli è che dell'Internazionale si avevano
idee imprecise e contraddittorie; si moltiplicavano, sí, i
seguaci fedelissimi di Bakunin che i suoi postulati accettavano in
blocco se non addirittura esageravano; ma i piú, con Garibaldi
alla testa, si ostinavano a prender dell'Internazionale quel che loro
piú persuadeva, a ignorarne i principî piú
radicali e non per tanto a dichiararsi internazionalisti convinti e
assoluti580.
Il Friscia – a giudicare da
questo articolo – apparteneva a questa seconda piú
numerosa schiera. Il suo articolo si chiudeva con un appassionato
appello a Mazzini, affinché non ripudiasse tanta parte della
democrazia italiana, accanendosi su questioni di carattere
secondario. «La gioventú italiana è con voi, gli
operai del mondo vi amano e vi ammirano, ma non date loro
l'indicibile dolore di dover combattere le ultime battaglie per la
redenzione della plebe senza la direzione e l'appoggio del vecchio
portabandiera della libertà».
Proprio mentre «Il Gazzettino
rosa» stampava la Risposta di Bakunin, Mazzini ribadiva
il suo atteggiamento con un lungo e bellissimo articolo dal doloroso
titolo Gemiti, fremiti e ricapitolazione, stampato sulla «Roma
del Popolo»581. Rilevava gli attacchi sempre piú
frequenti cui era fatto segno e, penetrando nel bel mezzo delle
posizioni avversarie, additava le contraddizioni, le inesattezze,
l'arbitrarietà dei loro argomenti, ripeteva che quel che lo
addolorava soprattutto era il vedere a poco a poco trionfare, «in
una frazione di giovani buoni ma sviati dietro a tristi esempi
stranieri, il bollore di passioni irritate dalla resistenza, gli
sdegni inconsiderati, le esagerazioni che ritardarono e ritardano
l'avvenire, l'odio che cela o profana il vero ed è conscio o
inconscio egoismo». Si mostrava infine preoccupato per le
conseguenze che l'atteggiamento dei democratici e di alcune frazioni
della classe operaia poteva produrre sullo stato d'animo dei medi
ceti; di quei medi ceti senza la collaborazione dei quali la
soluzione della questione sociale era, ai suoi occhi, utopia
irrealizzabile; e si faceva a tranquillizzarli, incitandoli a non
sopravvalutare sintomi pericolosi, sí, ma pur sempre sintomi e
quindi contenibili; a riconoscere, però, la loro parte di
responsabilità nel determinarsi di quelle nuove tendenze.
«Questi che voi oggi chiamate barbari rappresentano sviata,
guasta, sformata per colpa vostra, in gran parte, un'idea: il salire
inevitabile, provvidenziale degli uomini del lavoro. Perché lo
dimenticate?» Troppo poco essi hanno fatto, nel passato, per le
classi operaie; urge adesso la necessità di rimediare comunque
a quel passato582.
Ferma, nobile, coerente la posizione
di Mazzini; debole e incerta, ancora, quella dei mazziniani.
Nell'«Unità italiana» del 25, 28 e 31 agosto, per
esempio, Vincenzo Brusco Omnis, che la condirigeva, pubblicò
un seguito di articoli Un maestro della Russia, che è
un documento caratteristico della povertà d'idee di molti
mazziniani, incapaci a vivere profondamente le idee del maestro, a
connaturarsele sí da farne cosa veramente loro. Quelle idee,
esposte da certi mazziniani, avevano un che d'imparaticcio, di
freddo, di esteriore che subito si avvertiva: si era in pieno
bigottismo.
Il lungo scritto di Brusco Omnis non è
che la ristampa di alcuni brani della Risposta bakunista,
convenientemente isolati dal contesto e quindi qua e là
incomprensibili, seguiti da un breve commento ora ironico ora
sentimentale ora tragico; l'autore non cerca di rappresentarsi quali
siano le linee generali del pensiero avversario; né sa
contrapporgli una sintesi del proprio: non sa far altro che mettergli
di fronte, debitamente incorniciati di lodi, brani scelti di Mazzini.
Poi, dopo colonne e colonne di polemica piatta e inefficace, gli
sorge il dubbio che la lunghezza e la solennità della
trattazione dedicata all'Internazionale non possa far credere al
lettore inesperto essere questa una cosa davvero importante e
pericolosa. E allora avverte che «le teorie filosofiche del
signor Bakunin non hanno in sé nulla di essenzialmente
nuovo... non saranno mai seriamente pericolose nel nostro paese...»;
e finisce col tendere la mano al suo avversario: «Lo sappiamo
bene che il signor Bakunin e i suoi seguaci aborrono, come noi, dalle
conseguenze della stolida utopia; che vogliono il bene del popolo,
come noi lo vogliamo...»
Contrattacchi di questo genere
giovavano, anziché nuocere alla parte avversaria; e ben se
n'accorse Bakunin il quale all'«Unità italiana»
dettò una risposta spiritosa ed irruente (che per altro ben
poco aggiungeva al suo precedente scritto), deridendo la redazione di
quel giornale che «invece di produrre delle ragioni,... agita
le braccia, gli occhi, li alza al cielo, getta grida di sorpresa, di
dolore, di stizza, d'indignazione»583.
Solo punto importante in questa
seconda Risposta, quello nel quale il russo si scaglia contro
quanti sostengono che non tutte le verità possono rivelarsi al
popolo; e che, nel caso particolare, dicono essere il materialismo
una teoria da riservarsi alle persone colte, poiché, diffusa
nel popolo ignorante, può portare a non si sa quali perniciose
conseguenze. Bakunin non ammette che ci possano essere tutori del
popolo, i quali deliberino che cosa debba egli sapere, che cosa
ignorare; ogni idea, ogni nuova intuizione gli vanno anzi senz'altro
comunicate; solo cosí lo si abituerà a giudicarle, a
usare il suo senso critico, solo cosí si «provocherà»
la sua emancipazione sollecita e completa.
Questa concezione vale da sola a
scavare un abisso tra Bakunin e Mazzini. Né ha importanza
puramente teorica: ché costituirà, lo vedremo, uno dei
cardini della reazione antimazziniana nel campo operaio. Molti
ripetono allora, e piú ripeteranno in seguito, che Mazzini,
autoritario, intollerante d'opposizione, si ritiene autorizzato a
sottoporre a un'arbitraria tutela gli operai, vietando loro, quando
son riuniti a congresso, di discutere certe questioni che pur molto
li interesserebbero. Del che s'ebbe una prova nel Congresso di Roma.
Oltre all'articolo di Brusco Omnis e
ai molti altri apparsi sui giornali mazziniani per dar sulla voce al
Bakunin, la Risposta antimazziniana provocò proteste,
polemiche da parte di numerose Società operaie e democratiche.
Il Circolo filantropico di Messina, adunatosi all'uopo il 30 agosto
1871, osservando «che mal si affida al misero patrocinio della
menzogna e dell'ingiuria, la reazione d'una causa che dovrebbe, nella
giustizia almeno dello scopo, sostenersi con la logica della virtú
e della verità; – non con l'odio stizzoso e colla bile
punto veridica né ragionevole», invita le Società
operaie democratiche, nonché la stampa libera, a far voti
perché cessi «una lotta funesta, che minaccia di dolori
incalcolabili al popolo come dei tripudi tristissimi agli
oppressori»584. La Società operaia di Barcellona
di Sicilia afferma, il 2 settembre, che l'Internazionale «attentando
al concetto della proprietà, della famiglia e di ogni legge
morale, prepara, fors'anche in buona fede e in balia di un'illusione
gigantesca, l'altare ad un arido e gretto principio politico e
filosofico che andrebbe in ultima analisi a risolversi in un
servaggio piú duro e piú umiliante di ogni altro
servaggio»585; altre proteste partono dalla Società
del progresso di Cottignola e da un gruppo di repubblicani di
Sant'Agata sul Santerno586.
Altri nuclei prendono occasione
dall'attacco di Bakunin per riaffermare la loro fede in Mazzini. Cosí
i rappresentanti delle società repubblicane romagnole, riunite
in adunanza a Forlí il 4 settembre587; cosí la
Società dell'aurora, in Ravenna, che solennemente deplora lo
«sviarsi che fa una parte della gioventú, illusa da
teorie cosí deboli ne' fondamenti come fallaci nelle
promesse»588.
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