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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • V. La Comune di Parigi
    • 4. La crisi del mazzinianismo
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4.

La crisi del mazzinianismo

 

 

 

 

 

L'atteggiamento anticomunardo e antinternazionalista di Mazzini destò dapprima fra i giovani democratici di estrema piú stupore che ira. Da quarant'anni rivoluzione e Mazzini sembravano intimamente, indissolubilmente legati; ed ecco che Mazzini condanna una rivoluzione! Sembra un assurdo: e quei giovani son piú disposti ad accusar Mazzini di rinnegar se stesso che a riconoscere lealmente la profonda insanabile divergenza tra il suo concetto rivoluzionario e quello dei comunardi.

La reazione antimazziniana che ne seguí ebbe proporzioni e rivestí importanza assai maggiore di quanto generalmente non si creda. Si pensi che i piú noti adepti dell'internazionalismo post-Comune provengono quasi tutti dalle fila mazziniane. Cosí Osvaldo Gnocchi-Viani, collaboratore per ben otto anni dell'«Unità italiana», attivissimo repubblicano, fondatore di circoli politici e società operaie: ancora a mezzo agosto del '71, pur simpatizzando già per il libero pensiero e il socialismo589, egli fa parte di quella Commissione permanente che convocherà il Congresso operaio mazziniano590, ma nel novembre s'inscrive all'Internazionale, parteggiando per quella corrente che fa capo alla «Plebe» di Lodi591.

Cosí Errico Malatesta, tipico rappresentante di quella gioventú che, ammaliata dalla parola rivoluzione, s'è figurata per un pezzo che l'instaurazione della repubblica avrebbe condotto, di necessità, alla trasformazione totale dell'assetto sociale e che davvero Mazzini, un giorno o l'altro, avrebbe dato il segno della battaglia. Repubblicano convinto, entusiasta, egli ha partecipato «a tutti i tentativi in cui scorgessi anche un vago desiderio di repubblica» perché – indignato delle ingiustizie sociali – «udivo intorno a me che la repubblica era la negazione di queste cose che mi torturavano, che nella repubblica tutti erano uguali...; dappertutto e sempre vedevo la parola repubblica menzionata con tutte le rivolte dei poveri e degli schiavi». La repubblica al giovane Malatesta come a tanti altri è apparsa come il «regime dell'uguaglianza, dell'amore, della prosperità», «il sogno caro della mia fantasia tradotto in realtà». Da mazziniano, Malatesta ha varcato la prima volta la soglia del carcere, essendo stato arrestato in un tumulto a Napoli nel 1870. Convintosi poi, dopo l'esperienza della Comune, della fallacia delle sue speranze repubblicane per l'Italia, passa al socialismo rivoluzionario e diventa uno dei piú risoluti sostenitori di Bakunin592. Cosí Caporusso, uno dei fondatori se pur, come sembra, non in buona fede dell'Internazionale nel Mezzogiorno, è stato nel 1865 presidente di una società operaia napoletana che, in un indirizzo inviato all'esule di Londra, ha assicurato: «Il popolo sta con voi»593.

Saverio Friscia, abbiam visto, pur polemizzando contro Mazzini, serba verso di lui un grande rispetto. Poiché non dimentica che Mazzini è «il primo che mi ha insegnato a pronunciare con emozione il santo nome d'Italia»594.

Uno dei piú intimi amici di Bakunin e dei piú fervidi internazionalisti – il Gambuzzi – ha partecipato, nel 1864, al Congresso operaio di Napoli, nel quale si è fatto promotore di un indirizzo a Mazzini.

Celso Cerretti, che diverrà poi una delle colonne dell'Internazionale nelle Romagne, intermediario fra Bakunin e Garibaldi, è stato anch'egli un convinto mazziniano595, e come lui Francesco Natta, organizzatore delle sezioni internazionaliste toscane dopo il 1872596, Leoncavallo, direttore del napoletano «Il Motto d'Ordine», che diventa internazionalista fin dal novembre 1871; Fanelli; Piccioli-Poggiali, internazionalista fiorentino597; Francesco Piccinini di Lugo, ucciso nel maggio '72, pare, da mazziniani598; Vincenzo Pezza, uno dei piú battaglieri internazionalisti lombardi, che, il 9 giugno 1871, scrive sul «Gazzettino rosa»: «Da lui [Mazzini] imparammo tutti ancor giovanetti a balbettare il nome di repubblica, e le sue parole scendevano al cuore come una rivelazione, infiammavano i nostri petti, gettavanci nell'anima il germe di quello spirito d'emancipazione che ora ci tormenta l'esistenza».

E mazziniani prima che internazionalisti sono stati parecchi giornali, come «Il Romagnolo» di Ravenna, «La Favilla» di Mantova, «L'Apostolato» di Catania. «La Campana» di Napoli afferma, il 14 gennaio 1872, che «in quanto ai mazziniani, noi siamo stati fra loro e li conosciamo». «Il Proletario italiano» di Torino scrive il 6 agosto 1872 che a malincuore i suoi redattori hanno dovuto schierarsi avversi a Mazzini «perché cresciuti a' principî suoi politici, usi a venerarlo siccome il piú grande degli agitatori contemporanei». Non si esagera dunque affermando che i due terzi del contingente internazionalista italiano del 1871-72 provengono dal mazzinianismo.

Essi, o la maggior parte di essi, credono in buona fede di continuare la tradizione mazziniana, di esserne ormai i depositari, dopo che il maestro, per senile incomprensione, l'ha tradita o non sa piú intenderne i logici sviluppi. Non solo si può benissimo passare dal mazzinianismo al socialismo senza strappi di coscienza; non solo tra le due scuole non v'è nessun carattere contraddittorio; ma anzi, si può forse sostenere che in Italia è difficile diventar socialisti senza esser prima passati dal mazzinianismo. Lo dice Gnocchi-Viani599.

Ma, come già ho osservato, bisogna intendersi sul valore di questa vera e propria eruzione internazionalista, poco o punto paragonabile con l'internazionalismo tedesco, inglese o francese, preceduti da un lungo periodo d'incubazione scientifica e di tentativi pratici di organizzazione operaia, consolidatisi attraverso un lento consapevole processo di accrescimento, sotto la spinta di determinate uniformi condizioni economiche; l'internazionalismo italiano è esploso d'un tratto, quasi dal nulla, reazione e non movimento spontaneo, impulso subitaneo e sentimentale, non frutto di ragionata convinzione. In questi internazionalisti del '71 non sono ancora giunti a fusione i vari elementi che concorrono a comporre la loro individualità: Mazzini, Garibaldi, Bakunin e in minor misura la scuola federalistica italiana esercitano su di essi i piú vari influssi; che il libero pensiero, generalmente condiviso, copre e confonde con una patina uniforme di spregiudicatezza.

Per quanto riguarda la storia dei rapporti iniziali tra socialisti e mazziniani non v'è – credolettura piú viva e interessante di quella dei giornaletti internazionalisti che pullulano in Italia tra il '71 e il '72. Lettura purtroppo tutt'altro che agevole, tanto è difficile rintracciarne le collezioni. Giornaletti di piccolo formato, i piú, con testate chiassose, colti, quasi tutti, da malattie mortali dopo pochi numeri, sempre tormentati da angustie finanziarie e dagli artigli del fisco. Trascinati da un impeto di entusiasmo a lodare la Comune, si sentono dapprima, di fronte alla condanna mazziniana, come spaventati della loro audacia. Ma noblesse oblige: bisogna difendere la posizione, anche se difficile. Cercano perciò di spiegare l'atteggiamento di Mazzini, osservando che egli non dispone forse di tutti gli elementi necessari per giudicare equamente la Comune600. Protestano la loro devozione a lui, che li ha educati al culto della libertà e della giustizia, e da cui li divide una sua momentanea aberrazione; non vogliono sentir parlare di scissione e, comunque, ne respingono ogni responsabilità. Ma non intendono sacrificare al rispetto e alla gratitudine per il maestro la propria indipendenza di giudizio. L'intransigenza e lo sdegno di Mazzini e del suo stato maggiore li obbligano ad assumere posizioni sempre piú nette: superato il disagio iniziale, si sentono alfine nello stato d'animo di minorenni usciti di tutela. Alla fermezza di Mazzini oppongono da parte loro una fermezza corrispondente e crescente: non ne possono piú dell'idealismo mazziniano, deridono la sua religione del dovere, il suo Dio, il suo spiritualismo; si ribellano con gioia al suo autoritarismo, all'abitudine sua di trasportare ogni minuto problema contingente nelle piú alte sfere del dovere, della morale, della missione o del progresso umano; non ne vogliono piú sapere d'aspettare la soluzione ideale del problema politico per essere autorizzati a tentare una soluzione radicale del problema sociale. Abbandonano piú che volentieri un partito nel quale si evita se pur non s'interdice la discussione dei principî di carattere generale, nel quale si è venuto cristallizzando un dogma indiscutibile, che agli adepti è dato accettare in blocco, non mai rivedere criticare o rinnovare. Nei congressi dell'Internazionale, dicono essi, la discussione non ha limiti di sorta né ci si preoccupa gran che di rispettare i valori tradizionali. È quindi con un senso di sollievo che tutta questa gente si ascrive all'Internazionale, la cui dottrina, dicono ancora, è in perpetua evoluzione.

«Il Gazzettino rosa», 24 maggio 1871, il segno della campagna contro Mazzini: se la piglia con quei tiepidi repubblicani i quali sperano di rivoluzionare il mondo col solo predicare al popolo l'istruzione e l'educazione. «Essi ci incolpano di andar sempre troppo oltre nelle questioni, mentre è questo il nostro vanto. La grande differenza fra noi e loro sta appunto in ciò che noi rimontiamo ai principî, unica base di sano giudizio... essi invece si fermano incerti...»

La dose è rincarata nel numero del 7 aprile, in cui si dichiara che i mazziniani hanno «del prete»; piú ancora in quello del 14 maggio: Mazzini deplora che i giovani inneggino alla Comune. «Ma Mazzini s'inganna... credendo che tutta la democrazia italiana abbia per bandiera Dio e popolo, dogma e ragione. Questi giovani che sentonsi balzare il cuore di speranza ad ogni sintomo di riscossa... applaudono alla ribellione quand même. Mazzini (io dico franco la mia opinione rispettando quell'altissimo intelletto) sagrifica alle proprie teorie il sacro dovere di stendere la mano a chiunque combatte per la libertà... Mazzini lavora da trenta anni a creare una scuola; ma i tempi gli sono corsi innanzi... La generazione attuale non accetta il dogma»; e piú oltre: «Noi giovani materialisti non ci curiamo troppo di ciò che sarà l'anima quando saremo morti... Dio non deve essere un incubo, se esso è un ostacolo, si elimini».

I giornali mazziniani levano il campo a rumore; Mazzini dichiara senza ambagi che non si può esser repubblicani per davvero se non si crede in Dio; chi respinge la formola Dio e popolo è tutto fuorché un repubblicano. E il «Gazzettino» a ribattere esser folle pretesa quella di voler tenere incatenati i giovani a quella parte del sistema mazziniano nella quale essi non credono piú e che, nebulosa e poco comprensibile com'è, non può soddisfare alle esigenze, limitate se si vuole, ma chiare e concrete del loro spirito positivo. «Anch'io confesso candidamente la mia ignoranza, – scrive Burbero601 il 23 maggio, – non ho mai potuto capire l'affare del vertice e della base che Mazzini ha spiegato nei suoi scritti». Non si può seguir Mazzini su per i cieli602.

Ma la polemica non s'è ancora tanto inasprita da far supporre che finirà per compromettere definitivamente la unità del partito democratico. Si discute, si dissente, eppur si presume che nell'eventualità di una azione pratica tutti torneranno d'accordo. «Che nessuno dei nostri nemici s'illuda», avverte lo stesso «Gazzettino», il 9 giugno; e «Il Romagnolo», il 18 dello stesso mese: «Materialisti e socialisti non abbandoneranno certo il campo se la bandiera che inizia la rivoluzione è quella che porta scrittoDio e popolo – né gli spiritualisti e mazziniani l'abbandoneranno se per esempio in Italia la rivolta si iniziasse col vessillo stesso che sventolò ultimamente a Parigi»603.

Sforzi di conciliazione assurda cui costringe l'atteggiamento della stampa di parte moderata, che s'interessa smisuratamente alla polemica, gode dei dissensi e cerca di sfruttare a proprio vantaggio le diatribe mazziniane. Non si legge infatti nel «Corriere di Milano», 26 giugno 1871, un articolo intitolato Mazzini codino, in cui si sostiene esser Mazzini molto meno lontano dai moderati che non dai suoi pretesi seguaci? E «La Nazione», che pure ha ancora fresche di stampa le sue piú grossolane accuse contro Mazzini, non largheggia ora con lui in lodi sperticate per i suoi virili articoli contro la Comune, che contengono «gravi e solenni verità», attestano un cuore di «patriota e di uomo onesto» nel loro autore, articoli pieni di invettive «eloquenti»? (10 luglio 1871). Come «Il Corriere di Milano», come «La Nazione», cosí «Il Monitore di Bologna» riproduce in parte o interamente gli articoli di Mazzini, e poi commenta (21 luglio): «C'è un programma chiaro dattorno al quale conviene fare esercito ed è il programma della democrazia conservatrice. Giuseppe Mazzini, avendolo svolto, ha onorato sé e l'Italia a cui addita la via della sua missione nel mondo moderno».

Complimenti e adesioni che non so quanta soddisfazione abbian procurato a Mazzini; dolorosa, , la polemica con gli amici di ieri, dolorosissimo veder frainteso e spesso svisato il proprio pensiero, ma niente di piú amaro che il vedersi confuso con quella corrente, lodato da quella stampa, accomunato con quegli uomini con i quali egli non ha mai avuto in comune né un principio né un'idealità né una preoccupazione né una speranza.

Lo zelo che la stampa moderata impiega nel riprodurre i suoi articoli, le lodi che gli vengono prodigate ribadiscono nei transfughi del mazzinianismo la convinzione che proprio Mazzini è passato dall'altra parte; non essi hanno abbandonato lui. Le relazioni avute nel passato con Mazzini, scrive «Il Gazzettino», 30 giugno 1871, non «ci avrebbero mai fatto supporre che un giorno egli ci avrebbe in tal modo rinnegati».

La polemica dilaga e s'invelenisce. Nel già citato scritto Gemiti, fremiti e ricapitolazione (10 agosto), Mazzini lamenta che uomini, i quali dovrebbero conoscere il suo pensiero, lo svisino a fini polemici. V'è chi gli rinfaccia colpe balorde e false che tradiscono la sua figura, tentando di additarlo al popolo come un indifferente alla questione sociale, unicamente preoccupato delle vicende politiche del paese e dell'interesse delle classi abbienti. «Non è dovere in alcuno – egli ammonisce, sdegnato – di leggere ciò che un uomo scrive, ma non è arme di buona guerra né di sensata polemica l'accusarlo di idee non sue e senza leggere ciò ch'egli ha scritto. Or questa è ipotesi mia piú che tollerante benigna a riguardo di giovani i quali scrivono imperturbabili in una gazzetta dedicata ai figli del popolo, ai quali né tempomezzi concedono d'appurare la verità o falsità dell'esosa accusa, che la mia dottrina è questa: non ti curar d'altrui libertà, non volger lo sguardo oltre i confini d'Italia, lavora per te solo, respingi la solidarietà dei doveri, bada al tuo diritto solamente, cioè il contrariopiú né meno di quanto ho scritto». E allude al foglio «Il Proletario italiano», di Torino (20 agosto), il quale, nello stesso articolo da lui citato, ha anche scritto che, tra Mazzini e l'Internazionale, «di fronte ai due programmi, l'uno che esclude e c'inimica e l'altro che ci avvicina, noi siamo coll'Internazionale. Il mazzinianismo ci divide, l'Internazionale ci unisce». Giusto lo sdegno di Mazzini; il quale ignorava e ignorò sempre che «Il Proletario italiano», sudicio foglio governato dalla polizia, aveva tutto l'interesse, anzi era stato forse creato apposta per acuire il dissidio verificatosi nel campo democratico604.

Altro scritto contro il quale Mazzini, a buon diritto, protesta è quello stampato dal giornale «Il Presente», di Parma, 21 agosto 1871; vi si parla della «crociata contro il movimento proletario del mondo» da lui bandita e si insinua – con bella dose d'impudenza – essersi egli scagliato contro la Comune solo perché e solo quando essa è caduta605.

Ma «Il Proletario italiano» e «Il Presente» sono in buona compagnia. «Fede cieca e servile» definisce «La Favilla» di Mantova, nell'agosto, la fede di Mazzini; né gli si risparmiano attacchi personali e derisioni. «Cos'è questo predicare che noi non siamo capaci di sacrificio! ("Gazzettino rosa", 12 agosto). Che ne sa Mazzini? O che faccia bisogno vestir di nero, vivere nel mistero ed aver colloqui collo Spirito Santo per essere capaci di sacrificio?... Noi detestiamo ogni sorta di tirannia, ed anche a quella di Mazzini ci ribelliamo... Signor Mazzini! lei è grande, noi siamo piccini; lei ha uno splendido passato, noi né avvenirepassato abbiamo per noi. Ma è questa una ragione perché ella erigendosi a ministro d'una supposta divinità, venga a calunniare i nostri intendimenti, le nostre aspirazioni, il nostro coraggio, le nostre speranze606. E «Il Diavolo rosa», di Roma (Mazzini e l'Internazionale, 12-13 agosto): «L'ambizione sta per divorare quel grande filosofo, che consacrò tutta la sua vita alla causa della libertà». «Ed ora? Ei fu!.. La moderna società dichiara, quasi unanimemente, che Mazzini non è piú all'altezza dei tempi. L'Internazionale è un soleMazzini è un astro, e muore ogni astro in faccia al Sol»607. Ciononostante «Il Diavolo rosa», si augura ancora che «mercè l'Internazionale, possa effettuarsi l'alto concetto di Mazzini»; il che fa capire quanto confuse fossero le idee di quel giornale, ma non di quello solo, e sulle dottrine mazziniane e sull'Internazionale stessa.

V'è chi cerca di far opera di conciliazione; e per esempio «Il Satana»608 di Cesena – 26 agostosostiene che il dissenso verte unicamente sulla questione religiosa: Mazzini non può obbligare ogni repubblicano a far professione di fede teistica; ma d'altronde «vorranno i giovani partigiani dell'Internazionale pretendere che G. Mazzini rinunci al suo Dio, che poi non è certo una ridicola divinità come quella del cattolicismo o di qualunque altra religione dogmatica609. «Per ciò che concerne le questioni della proprietà, della famiglia e della nazione almeno da quelli stessi che si dicono internazionalisti non sembra se ne propugni seriamente l'abolizione». Ma subito e risolutamente gli dànno sulla voce i fogli internazionalisti, ripetendo fino alla noia che non dalla parte loro è l'intolleranza, e che d'altronde essi non possono rinunciare alla loro fede. «Continueremo nella via intrapresa senza guardarci indietro, senza contarci, con l'amarezza nell'animo per aver perduto senza colpa la stima di un grande; ma tranquilli nella coscienza, e con la profonda convinzione di trovarci sulla via maestra della rivoluzione moderna»: scrive per tutti «Il Gazzettino rosa», 28 agosto.

I giornali mazziniani (non però «La Roma del Popolo») serbano al solito un contegno incertissimo. Un giorno, sulle tracce degli articoli di Mazzini, fanno gli intransigenti ad ogni costo; il giorno dopo cercano di chiuder gli occhi sulle divergenze fondamentali che li dividono dagli internazionalisti e sembrano maravigliarsi che ci si letichi per cosí poco. Maraviglioso invece è che, nel pieno della lotta, nel piú acceso dilagare delle polemiche, «L'Unità italiana», per esempio, polemizzando appunto con «La Favilla», giunga a scrivere: «Noi siamo, se non per altro, almeno per età, assai prima della "Favilla", socialisti» (28 settembre).

Cosí, fra accuse, ripicchi, rimproveri e recriminazioni, lieta spettatrice la stampa monarchica610, trascorrono tutto il settembre, tutto l'ottobre. Molti altri articoli di giornali mazziniani e internazionalisti comparsi in questo periodo si potrebbero riprodurre o citare, ma son tutti ricalcati sui tipi principali che abbiam visto. Specialmente interessante non tanto per la novità o meno del concetto quanto per la condizione dei firmatari è una dichiarazione pubblicata dagli operai dell'alto Santerno sul «Romagnolo», 22 ottobre 1871, con la quale essi prendono posizione contro Mazzini, che è stato la loro guida ideale per tanti anni. «Ma oggi che Mazzini... ci vuole gregari di un'idea che piú non corre col progresso dei tempi e che ci richiede fede quando abbiamo fame di pane non spirituale, liberamente gli diciamo che noi non potremo mai convenire di mettere le nostre azioni e i nostri pensieri sotto la dipendenza o protezione di un essere fittizio»611. Dove va notato – e lo vedremo ripreso piú tardi – il motivo della contrapposizione fra lo spiritualismo mazziniano, incapace di scendere a conquistare pratiche nel campo sociale, e il materialismo dell'Internazionale, apparentemente meno elevato, ma anche, per fortuna, piú aderente alla dura realtà e alle necessità della vita quotidiana.

Mazzini è stanco, è deluso. Vorrebbe conquistare una larga frazione della classe media moderata alle sue idee, e salvare le classi lavoratrici dall'Internazionale; ma l'Italia non è quella che egli aveva sognato e gli italiani non rispondono al suo appassionato appello col fervore che egli aveva sperato. «Voglio vedere prima di morirescrive alla Stansfeld, il 13 settembre – un'altra Italia, l'ideale dell'anima e della vita mia, risorgere dal suo sepolcro di trecent'anni. Questo non è che il fantasma, lo scherno d'Italia»; e, ragguagliando l'amica degli attacchi ingiusti cui è fatto segno: «Alcuni – le racconta amareggiato – alcuni perfino mi attribuiscono quella che chiamano una recrudescenza di sentimento religioso per le paure che sorgono nella vecchiaia612.

Ma già gli maturava nella mente l'idea di fare un grande solenne tentativo per strappare alle utopie straniere, da lui ritenute tanto nefaste, la classe operaia italiana.

 

 

 

 

 






p. -

589 Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 391 sg., lettera del 16 gennaio 1869: Gnocchi-Viani «è a un dipresso come lo dite; ma è buono in fondo...» Giannelli ne aveva scritto al Mazzini, informandolo delle sue tendenze socialiste.



590 «L'Unità italiana», 19 agosto 1871.



591 GNOCCHI-VIANI, Dal mazzinianismo al socialismo, Colle 1893.



592 E. MALATESTA, Cenni autobiografici, stampati in «La Questione sociale», Firenze, gennaio 1884; riprodotti in parte da M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., pp. 14-19.



593 Indirizzo della Associazione umanitaria degli operai di Napoli a Mazzini, 14 marzo 1865 («L'Unità italiana», 26 marzo 1865).



594 Mazzini e l'Internazionale, p. 135.



595 Cfr. lettera all'Alleanza di Bologna del 12 gennaio '72. Bakunin si rivolge a lui per la prima volta il 15 dicembre 1871 (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 649).



596 Cfr. la sua deposizione al processo di Firenze del 1875 (M. BOTTERO, Dibattimento ecc. cit., p. 46.



597 BOTTERO, Dibattimento ecc. cit., p. 83.



598 A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 78.



599 Dal mazzinianismo al socialismo cit. Cfr. anche G. CHIESI, La democrazia fossile e il Congresso repubblicano, Genova 1878.



600 Rispettose osservazioni di questo genere si trovano in un volumetto pubblicato molti anni piú tardi da G. Bovio, Rivendichiamo Mazzini. Lettere autografe e documenti dell'apostolo a Gennaro Bovio, Napoli 1904. «Fin dai primi numeri di quella pubblicazionescrive il Bovio accennando alla "Roma del Popolo" e alla campagna anticomunarda condottavi da Mazzini – non fu possibile serbare l'accordo perfetto fra noi sul modo di vedere il Comune di Parigi». A bene giudicarlo, bisognava non guardare «agli eccessi in cui poteva essere trasceso questo moto per colpa precisamente di coloro che avevano il dovere, per il prestigio del nome loro, d'illuminarlo e dirigerlo, mentre restarono spettatori trepidi e muti; ma occorreva guardare alle origini legittime, ai fini retti, agli atti buoni compiuti... Oh! se quel principio e quegli uomini – che qualunque sieno... furono i soli e i primi a bandirlo nel mondo attonito – fossero stati illuminati e diretti, piuttosto che fulminati, dal genio di Mazzini e di V. Hugo per i primi!!!» (pp. 17 sg.).



601 Vincenzo Pezza.



602 Il 30 giugno, spiegando come materialismo e spiritualismo siano due scuole rispettabilissime, ma che non hanno niente a che fare con la questione politica: «Mazzini invece vuole imporci una nuova religione, ci comanda di accettare delle astruserie che ripugnano alla nostra ragione, e non rilascia patente di repubblicano se non a chi ha ricevuto il battesimo della sua dottrina... Non siamo noi che lo abbandoniamo, è lui che ci condanna».



603 Cfr. anche il numero del 29 luglio.



604 Del «Proletario italiano» era direttore Carlo Terzaghi, piú tardi scoperto per spia della questura. Spacciandosi per democratico estremista, questo figuro cominciò a farsi noto aizzando abilmente quell'amarissimo dissidio Mazzini-Garibaldi che si era inasprito in modo funesto nell'ultimo anno di vita del genovese. Appoggiando Garibaldi, se ne cattivò tutta la fiducia; poi, buttatosi nel movimento internazionalista italiano, ne divenne uno dei piú attivi propagandisti. Non è difficile intendere a che scopo egli mirasse: l'opera sua volgeva sempre a provocar dissidi, creando o incoraggiando correnti contrarie a quella dominante, la quale, se indisturbata, avrebbe potuto acquistar vera potenza. Inoltre egli forniva un prezioso servizio di informazioni alla polizia. Nel luglio '71 fondò il nominato «Proletario italiano» nel quale, diffamando e schernendo il partito mazziniano, levando alle stelle l'Internazionale, tese a scindere l'unità – del resto, anche senza di lui, compromessa – della democrazia italiana.



605 «Il Presente», a mezzo il '71, era ritenuto un vero e proprio organo dell'Internazionale (cfr. MARIUS, L'Internazionale ecc. cit., p. 62). Tanto piú amaro doveva riuscire al Mazzini il contegno di questo giornale, un tempo a lui devoto, in quanto Garibaldi invece dichiarava pubblicamente di apprezzarlo. «Ho letto l'assennato articolo sul "Presente" del 22 – scriveva infatti il 3 settembre all'avvocato Arisi, che lo dirigeva (si rammenti che l'articolo contro Mazzini era del giorno prima)... – e ve ne sono ben grato, leggendo sempre con molto interesse il vostro giornale» (XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. II, p. 18).



606 Il «Gazzettino», nel primo periodo della crisi mazziniana ossia fino al Congresso di Roma (novembre 1871), è tra i piú risoluti contro Mazzini. Il che si spiega quando si pensi che era sempre stato un foglio democratico di tinta garibaldina; il direttore, Bizzoni, era un soldato e un devoto di Garibaldi. Al risentimento antimazziniano dell'internazionalista o almeno del filocomunardo si aggiunge quello del garibaldino. Al «Gazzettino» cosí allude Mazzini (Lettera a Domenico Narratone, 8 settembre 1871): «Gli inni sui trionfi prossimi dell'Internazionale inseriti nel "Gazzettino" e in altri piccoli giornali mi fanno salire i rossori sul viso: non sono che inni ad una apparenza di forza straniera, l'antica piaga che credevamo guarita. Dovevamo un tempo essere salvati dalla Francia: oggi saremo salvati dall'Internazionale» («Il Risorgimento italiano», settembre-ottobre 1914, p. 698).



607 Un'imagine simile aveva usata Cafiero in una lettera ad Engels del 12 giugno 1871: «Il povero vecchio [Mazzini] non vuole comprendere che egli ha fatto il suo tempo, che il suo concetto di unità e libertà nazionalegrande al suo tempoimpallidisce ora come la luce di una candela innanzi alla luce del sole, venendo paragonato al sublimissimo concetto dell'unità, o meglio unione di tutti i popoli nella nuova organizzazione sociale che avrà per base l'eguaglianza...» (Carteggio di Engels cit.).



608 Settimanale «periodico opuscolo dell'avvenire», «Il Satana» era stato fondato l'8 luglio 1871 da Eugenio Valzania, in continuazione del cessato «Il Rubicone», con intenti soprattutto anticlericali. Nel numero del 22 luglio dedicava al popolo i seguenti versi: «Popolo, t'ergi, che in letargo infame / Dormi il sonno del vinto, e fissa altero / L'addobbato oppressor, superbo e fiero / Della tua fame. / ...Son dessi, che di fame intra l'orrore / A morte traggon dura il proletario, / Poi convertongli il figlio in vil sicario / Dell'oppressore. / Ti sfrena alfin, e con tremenda voce, / Popol gigante, a quella rea bugiarda / D'avi gloriosa prole empia e bastarda / Grida la croce».



609 Anche «Lo Staffile», Bologna, 19 agosto, ritiene che il dissenso fondamentale verta sulla questione religiosa. «È ben veroscrive – che di tal febbre religiosa si mostra troppo infetto lo stesso Mazzini», ma il suo Dio non è davvero simile a quello delle religioni ufficiali; «egli vuole un Dio sbracato, un Dio in camicia e berretto frigio». «Lo Staffile», settimanale satirico fondato il luglio 1871, era diretto da A. Spadoni.



610 Nonché disposta a posare a mazziniana, ora che Mazzini è diventato un elemento di conservazione. Il 3 ottobre «La Nazione» riporta una lettera diretta da Adriano Lemmi al direttore della «Roma del Popolo» (28 settembre 1871), in cui è affrontata con molta moderazione la questione del lavoro (che è definita una questione interna della classe operaia, questione tra capi fabbrica, imprenditori e operai, dipendente da male ordinate relazioni tra capi officina e giornalieri), trattata con molto ottimismo la questione agricola (soluzione: l'estensione a tutta l'Italia del contratto di mezzadria); ma in cui è pur detto che è necessario e urgente garantire agli operai una partecipazione agli utili delle aziende e impedire risolutamente l'intervento governativo nelle questioni operaie. Questo linguaggio che ancora qualche mese addietro i giornali conservatori avrebbero definito per lo meno «sovvertitore», è invece altamente apprezzato dalla «Nazione», ora che l'Internazionale fa in Italia passi da gigante. La lettera di Lemmi, essa commenta, «tocca assai opportunamente tutti i lati principali della questione; e se se ne tolgono alcune frasi che parranno a molti, come a noi, soverchiamente vive, ci pare contengano idee sane, moderate e prudenti». Nello stesso numero del 3 ottobre si legge che «le opinioni del Mazzini sono, come piú volte notammo, moderatissime in fatto di riforma sociale, ed alienissime dalle intemperanze dell'Internazionale e di tutta la scuola comunista».



611 Degna di ricordo è una lettera che – negli stessi giorni – la redazione del «Romagnolo» (Nabruzzi, Montanari, Resta) dirige ai membri del Consiglio generale dell'Internazionale. Contiene notizie sullo sviluppo del movimento in Romagna, esortazioni a inviare in Italia un rappresentante autorizzato del Consiglio; e poi i seguenti passi sul mazzinianismo: fino a poco tempo innanzi il popolo italiano era stato «educato dai repubblicani borghesi ad una scuola esclusivistica, inconseguente ed assurda. Oggi le intelligenze piú chiuse si aprono e la ragione tende a regnare sovrana... Possiamo adunque assicurarvi che il principio dell'Internazionale nella nostra Ravenna prevale, non cosí nel resto di Romagna dove i Mazziniani destatisi ad un tratto dal loro sonno ci contrastano il terreno palmo a palmo...» (Carteggio di Engels cit.).



612 RICHARDS, op. cit., vol. II, pp. 288 sg.





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