4.
La crisi del mazzinianismo
L'atteggiamento anticomunardo e
antinternazionalista di Mazzini destò dapprima fra i giovani
democratici di estrema piú stupore che ira. Da quarant'anni
rivoluzione e Mazzini sembravano intimamente, indissolubilmente
legati; ed ecco che Mazzini condanna una rivoluzione! Sembra un
assurdo: e quei giovani son piú disposti ad accusar Mazzini di
rinnegar se stesso che a riconoscere lealmente la profonda insanabile
divergenza tra il suo concetto rivoluzionario e quello dei comunardi.
La reazione antimazziniana che ne
seguí ebbe proporzioni e rivestí importanza assai
maggiore di quanto generalmente non si creda. Si pensi che i piú
noti adepti dell'internazionalismo post-Comune provengono quasi
tutti dalle fila mazziniane. Cosí Osvaldo Gnocchi-Viani,
collaboratore per ben otto anni dell'«Unità italiana»,
attivissimo repubblicano, fondatore di circoli politici e società
operaie: ancora a mezzo agosto del '71, pur simpatizzando già
per il libero pensiero e il socialismo589, egli fa parte di
quella Commissione permanente che convocherà il Congresso
operaio mazziniano590, ma nel novembre s'inscrive
all'Internazionale, parteggiando per quella corrente che fa capo alla
«Plebe» di Lodi591.
Cosí Errico Malatesta, tipico
rappresentante di quella gioventú che, ammaliata dalla parola
rivoluzione, s'è figurata per un pezzo che
l'instaurazione della repubblica avrebbe condotto, di necessità,
alla trasformazione totale dell'assetto sociale e che davvero
Mazzini, un giorno o l'altro, avrebbe dato il segno della battaglia.
Repubblicano convinto, entusiasta, egli ha partecipato «a tutti
i tentativi in cui scorgessi anche un vago desiderio di repubblica»
perché – indignato delle ingiustizie sociali –
«udivo intorno a me che la repubblica era la negazione di
queste cose che mi torturavano, che nella repubblica tutti erano
uguali...; dappertutto e sempre vedevo la parola repubblica
menzionata con tutte le rivolte dei poveri e degli schiavi». La
repubblica al giovane Malatesta come a tanti altri è apparsa
come il «regime dell'uguaglianza, dell'amore, della
prosperità», «il sogno caro della mia fantasia
tradotto in realtà». Da mazziniano, Malatesta ha varcato
la prima volta la soglia del carcere, essendo stato arrestato in un
tumulto a Napoli nel 1870. Convintosi poi, dopo l'esperienza della
Comune, della fallacia delle sue speranze repubblicane per l'Italia,
passa al socialismo rivoluzionario e diventa uno dei piú
risoluti sostenitori di Bakunin592. Cosí Caporusso,
uno dei fondatori se pur, come sembra, non in buona fede
dell'Internazionale nel Mezzogiorno, è stato nel 1865
presidente di una società operaia napoletana che, in un
indirizzo inviato all'esule di Londra, ha assicurato: «Il
popolo sta con voi»593.
Saverio Friscia, abbiam visto, pur
polemizzando contro Mazzini, serba verso di lui un grande rispetto.
Poiché non dimentica che Mazzini è «il primo che
mi ha insegnato a pronunciare con emozione il santo nome
d'Italia»594.
Uno dei piú intimi amici di
Bakunin e dei piú fervidi internazionalisti – il
Gambuzzi – ha partecipato, nel 1864, al Congresso operaio di
Napoli, nel quale si è fatto promotore di un indirizzo a
Mazzini.
Celso Cerretti, che diverrà poi
una delle colonne dell'Internazionale nelle Romagne, intermediario
fra Bakunin e Garibaldi, è stato anch'egli un convinto
mazziniano595, e come lui Francesco Natta, organizzatore
delle sezioni internazionaliste toscane dopo il 1872596,
Leoncavallo, direttore del napoletano «Il Motto d'Ordine»,
che diventa internazionalista fin dal novembre 1871; Fanelli;
Piccioli-Poggiali, internazionalista fiorentino597; Francesco
Piccinini di Lugo, ucciso nel maggio '72, pare, da
mazziniani598; Vincenzo Pezza, uno dei piú battaglieri
internazionalisti lombardi, che, il 9 giugno 1871, scrive sul
«Gazzettino rosa»: «Da lui [Mazzini] imparammo
tutti ancor giovanetti a balbettare il nome di repubblica, e le sue
parole scendevano al cuore come una rivelazione, infiammavano i
nostri petti, gettavanci nell'anima il germe di quello spirito
d'emancipazione che ora ci tormenta l'esistenza».
E mazziniani prima che
internazionalisti sono stati parecchi giornali, come «Il
Romagnolo» di Ravenna, «La Favilla» di Mantova,
«L'Apostolato» di Catania. «La Campana» di
Napoli afferma, il 14 gennaio 1872, che «in quanto ai
mazziniani, noi siamo stati fra loro e li conosciamo». «Il
Proletario italiano» di Torino scrive il 6 agosto 1872 che a
malincuore i suoi redattori hanno dovuto schierarsi avversi a Mazzini
«perché cresciuti a' principî suoi politici, usi a
venerarlo siccome il piú grande degli agitatori
contemporanei». Non si esagera dunque affermando che i due
terzi del contingente internazionalista italiano del 1871-72
provengono dal mazzinianismo.
Essi, o la maggior parte di essi,
credono in buona fede di continuare la tradizione mazziniana, di
esserne ormai i depositari, dopo che il maestro, per senile
incomprensione, l'ha tradita o non sa piú intenderne i logici
sviluppi. Non solo si può benissimo passare dal mazzinianismo
al socialismo senza strappi di coscienza; non solo tra le due scuole
non v'è nessun carattere contraddittorio; ma anzi, si può
forse sostenere che in Italia è difficile diventar socialisti
senza esser prima passati dal mazzinianismo. Lo dice
Gnocchi-Viani599.
Ma, come già ho osservato,
bisogna intendersi sul valore di questa vera e propria eruzione
internazionalista, poco o punto paragonabile con l'internazionalismo
tedesco, inglese o francese, preceduti da un lungo periodo
d'incubazione scientifica e di tentativi pratici di organizzazione
operaia, consolidatisi attraverso un lento consapevole processo di
accrescimento, sotto la spinta di determinate uniformi condizioni
economiche; l'internazionalismo italiano è esploso d'un
tratto, quasi dal nulla, reazione e non movimento spontaneo, impulso
subitaneo e sentimentale, non frutto di ragionata convinzione. In
questi internazionalisti del '71 non sono ancora giunti a fusione i
vari elementi che concorrono a comporre la loro individualità:
Mazzini, Garibaldi, Bakunin e in minor misura la scuola federalistica
italiana esercitano su di essi i piú vari influssi; che il
libero pensiero, generalmente condiviso, copre e confonde con una
patina uniforme di spregiudicatezza.
Per quanto riguarda la storia dei
rapporti iniziali tra socialisti e mazziniani non v'è –
credo – lettura piú viva e interessante di quella dei
giornaletti internazionalisti che pullulano in Italia tra il '71 e il
'72. Lettura purtroppo tutt'altro che agevole, tanto è
difficile rintracciarne le collezioni. Giornaletti di piccolo
formato, i piú, con testate chiassose, colti, quasi tutti, da
malattie mortali dopo pochi numeri, sempre tormentati da angustie
finanziarie e dagli artigli del fisco. Trascinati da un impeto di
entusiasmo a lodare la Comune, si sentono dapprima, di fronte alla
condanna mazziniana, come spaventati della loro audacia. Ma noblesse
oblige: bisogna difendere la posizione, anche se difficile.
Cercano perciò di spiegare l'atteggiamento di Mazzini,
osservando che egli non dispone forse di tutti gli elementi necessari
per giudicare equamente la Comune600. Protestano la loro
devozione a lui, che li ha educati al culto della libertà e
della giustizia, e da cui li divide una sua momentanea aberrazione;
non vogliono sentir parlare di scissione e, comunque, ne respingono
ogni responsabilità. Ma non intendono sacrificare al rispetto
e alla gratitudine per il maestro la propria indipendenza di
giudizio. L'intransigenza e lo sdegno di Mazzini e del suo stato
maggiore li obbligano ad assumere posizioni sempre piú nette:
superato il disagio iniziale, si sentono alfine nello stato d'animo
di minorenni usciti di tutela. Alla fermezza di Mazzini oppongono da
parte loro una fermezza corrispondente e crescente: non ne possono
piú dell'idealismo mazziniano, deridono la sua religione del
dovere, il suo Dio, il suo spiritualismo; si ribellano con gioia al
suo autoritarismo, all'abitudine sua di trasportare ogni minuto
problema contingente nelle piú alte sfere del dovere, della
morale, della missione o del progresso umano; non ne vogliono piú
sapere d'aspettare la soluzione ideale del problema politico per
essere autorizzati a tentare una soluzione radicale del problema
sociale. Abbandonano piú che volentieri un partito nel quale
si evita se pur non s'interdice la discussione dei principî di
carattere generale, nel quale si è venuto cristallizzando un
dogma indiscutibile, che agli adepti è dato accettare in
blocco, non mai rivedere criticare o rinnovare. Nei congressi
dell'Internazionale, dicono essi, la discussione non ha limiti di
sorta né ci si preoccupa gran che di rispettare i valori
tradizionali. È quindi con un senso di sollievo che tutta
questa gente si ascrive all'Internazionale, la cui dottrina, dicono
ancora, è in perpetua evoluzione.
«Il Gazzettino rosa», 24
maggio 1871, dà il segno della campagna contro Mazzini: se la
piglia con quei tiepidi repubblicani i quali sperano di rivoluzionare
il mondo col solo predicare al popolo l'istruzione e l'educazione.
«Essi ci incolpano di andar sempre troppo oltre nelle
questioni, mentre è questo il nostro vanto. La grande
differenza fra noi e loro sta appunto in ciò che noi
rimontiamo ai principî, unica base di sano giudizio... essi
invece si fermano incerti...»
La dose è rincarata nel numero
del 7 aprile, in cui si dichiara che i mazziniani hanno «del
prete»; piú ancora in quello del 14 maggio: Mazzini
deplora che i giovani inneggino alla Comune. «Ma Mazzini
s'inganna... credendo che tutta la democrazia italiana abbia per
bandiera Dio e popolo, dogma e ragione. Questi giovani che sentonsi
balzare il cuore di speranza ad ogni sintomo di riscossa...
applaudono alla ribellione quand même. Mazzini (io dico
franco la mia opinione rispettando quell'altissimo intelletto)
sagrifica alle proprie teorie il sacro dovere di stendere la mano a
chiunque combatte per la libertà... Mazzini lavora da trenta
anni a creare una scuola; ma i tempi gli sono corsi innanzi...
La generazione attuale non accetta il dogma»; e piú
oltre: «Noi giovani materialisti non ci curiamo troppo di ciò
che sarà l'anima quando saremo morti... Dio non deve essere un
incubo, se esso è un ostacolo, si elimini».
I giornali mazziniani levano il campo
a rumore; Mazzini dichiara senza ambagi che non si può esser
repubblicani per davvero se non si crede in Dio; chi respinge la
formola Dio e popolo è tutto fuorché un
repubblicano. E il «Gazzettino» a ribattere esser folle
pretesa quella di voler tenere incatenati i giovani a quella parte
del sistema mazziniano nella quale essi non credono piú e che,
nebulosa e poco comprensibile com'è, non può soddisfare
alle esigenze, limitate se si vuole, ma chiare e concrete del loro
spirito positivo. «Anch'io confesso candidamente la mia
ignoranza, – scrive Burbero601 il 23 maggio, –
non ho mai potuto capire l'affare del vertice e della base
che Mazzini ha spiegato nei suoi scritti». Non si può
seguir Mazzini su per i cieli602.
Ma la polemica non s'è ancora
tanto inasprita da far supporre che finirà per compromettere
definitivamente la unità del partito democratico. Si discute,
si dissente, eppur si presume che nell'eventualità di una
azione pratica tutti torneranno d'accordo. «Che nessuno dei
nostri nemici s'illuda», avverte lo stesso «Gazzettino»,
il 9 giugno; e «Il Romagnolo», il 18 dello stesso mese:
«Materialisti e socialisti non abbandoneranno certo il campo se
la bandiera che inizia la rivoluzione è quella che porta
scritto – Dio e popolo – né gli
spiritualisti e mazziniani l'abbandoneranno se per esempio in Italia
la rivolta si iniziasse col vessillo stesso che sventolò
ultimamente a Parigi»603.
Sforzi di conciliazione assurda cui
costringe l'atteggiamento della stampa di parte moderata, che
s'interessa smisuratamente alla polemica, gode dei dissensi e cerca
di sfruttare a proprio vantaggio le diatribe mazziniane. Non si legge
infatti nel «Corriere di Milano», 26 giugno 1871, un
articolo intitolato Mazzini codino, in cui si sostiene esser
Mazzini molto meno lontano dai moderati che non dai suoi pretesi
seguaci? E «La Nazione», che pure ha ancora fresche di
stampa le sue piú grossolane accuse contro Mazzini, non
largheggia ora con lui in lodi sperticate per i suoi virili articoli
contro la Comune, che contengono «gravi e solenni verità»,
attestano un cuore di «patriota e di uomo onesto» nel
loro autore, articoli pieni di invettive «eloquenti»? (10
luglio 1871). Come «Il Corriere di Milano», come «La
Nazione», cosí «Il Monitore di Bologna»
riproduce in parte o interamente gli articoli di Mazzini, e poi
commenta (21 luglio): «C'è un programma chiaro dattorno
al quale conviene fare esercito ed è il programma della
democrazia conservatrice. Giuseppe Mazzini, avendolo svolto,
ha onorato sé e l'Italia a cui addita la via della sua
missione nel mondo moderno».
Complimenti e adesioni che non so
quanta soddisfazione abbian procurato a Mazzini; dolorosa, sí,
la polemica con gli amici di ieri, dolorosissimo veder frainteso e
spesso svisato il proprio pensiero, ma niente di piú amaro che
il vedersi confuso con quella corrente, lodato da quella stampa,
accomunato con quegli uomini con i quali egli non ha mai avuto in
comune né un principio né un'idealità né
una preoccupazione né una speranza.
Lo zelo che la stampa moderata impiega nel riprodurre i suoi
articoli, le lodi che gli vengono prodigate ribadiscono nei
transfughi del mazzinianismo la convinzione che proprio Mazzini è
passato dall'altra parte; non essi hanno abbandonato lui. Le
relazioni avute nel passato con Mazzini, scrive «Il
Gazzettino», 30 giugno 1871, non «ci avrebbero mai fatto
supporre che un giorno egli ci avrebbe in tal modo rinnegati».
La polemica dilaga e s'invelenisce.
Nel già citato scritto Gemiti, fremiti e ricapitolazione
(10 agosto), Mazzini lamenta che uomini, i quali dovrebbero conoscere
il suo pensiero, lo svisino a fini polemici. V'è chi gli
rinfaccia colpe balorde e false che tradiscono la sua figura,
tentando di additarlo al popolo come un indifferente alla questione
sociale, unicamente preoccupato delle vicende politiche del paese e
dell'interesse delle classi abbienti. «Non è dovere in
alcuno – egli ammonisce, sdegnato – di leggere ciò
che un uomo scrive, ma non è arme di buona guerra né di
sensata polemica l'accusarlo di idee non sue e senza leggere ciò
ch'egli ha scritto. Or questa è ipotesi mia piú che
tollerante benigna a riguardo di giovani i quali scrivono
imperturbabili in una gazzetta dedicata ai figli del popolo,
ai quali né tempo né mezzi concedono d'appurare la
verità o falsità dell'esosa accusa, che la mia dottrina
è questa: non ti curar d'altrui libertà, non volger
lo sguardo oltre i confini d'Italia, lavora per te solo, respingi la
solidarietà dei doveri, bada al tuo diritto solamente,
cioè il contrario né piú né meno di
quanto ho scritto». E allude al foglio «Il Proletario
italiano», di Torino (20 agosto), il quale, nello stesso
articolo da lui citato, ha anche scritto che, tra Mazzini e
l'Internazionale, «di fronte ai due programmi, l'uno che
esclude e c'inimica e l'altro che ci avvicina, noi siamo
coll'Internazionale. Il mazzinianismo ci divide, l'Internazionale
ci unisce». Giusto lo sdegno di Mazzini; il quale ignorava
e ignorò sempre che «Il Proletario italiano»,
sudicio foglio governato dalla polizia, aveva tutto l'interesse, anzi
era stato forse creato apposta per acuire il dissidio verificatosi
nel campo democratico604.
Altro scritto contro il quale Mazzini,
a buon diritto, protesta è quello stampato dal giornale «Il
Presente», di Parma, 21 agosto 1871; vi si parla della
«crociata contro il movimento proletario del mondo» da
lui bandita e si insinua – con bella dose d'impudenza –
essersi egli scagliato contro la Comune solo perché e solo
quando essa è caduta605.
Ma «Il Proletario italiano»
e «Il Presente» sono in buona compagnia. «Fede
cieca e servile» definisce «La Favilla» di Mantova,
nell'agosto, la fede di Mazzini; né gli si risparmiano
attacchi personali e derisioni. «Cos'è questo predicare
che noi non siamo capaci di sacrificio! ("Gazzettino rosa",
12 agosto). Che ne sa Mazzini? O che faccia bisogno vestir di nero,
vivere nel mistero ed aver colloqui collo Spirito Santo per essere
capaci di sacrificio?... Noi detestiamo ogni sorta di tirannia, ed
anche a quella di Mazzini ci ribelliamo... Signor Mazzini! lei è
grande, noi siamo piccini; lei ha uno splendido passato, noi né
avvenire né passato abbiamo per noi. Ma è questa una
ragione perché ella erigendosi a ministro d'una supposta
divinità, venga a calunniare i nostri intendimenti, le nostre
aspirazioni, il nostro coraggio, le nostre speranze?»606.
E «Il Diavolo rosa», di Roma (Mazzini e
l'Internazionale, 12-13 agosto): «L'ambizione sta per
divorare quel grande filosofo, che consacrò tutta la sua vita
alla causa della libertà». «Ed ora? Ei fu!.. La
moderna società dichiara, quasi unanimemente, che Mazzini non
è piú all'altezza dei tempi. L'Internazionale è
un sole – Mazzini è un astro, e muore ogni astro in
faccia al Sol»607. Ciononostante «Il Diavolo
rosa», si augura ancora che «mercè
l'Internazionale, possa effettuarsi l'alto concetto di Mazzini»;
il che fa capire quanto confuse fossero le idee di quel giornale, ma
non di quello solo, e sulle dottrine mazziniane e sull'Internazionale
stessa.
V'è chi cerca di far opera di
conciliazione; e per esempio «Il Satana»608 di
Cesena – 26 agosto – sostiene che il dissenso verte
unicamente sulla questione religiosa: Mazzini non può
obbligare ogni repubblicano a far professione di fede teistica; ma
d'altronde «vorranno i giovani partigiani dell'Internazionale
pretendere che G. Mazzini rinunci al suo Dio, che poi non è
certo una ridicola divinità come quella del cattolicismo o di
qualunque altra religione dogmatica?»609. «Per
ciò che concerne le questioni della proprietà, della
famiglia e della nazione almeno da quelli stessi che si dicono
internazionalisti non sembra se ne propugni seriamente l'abolizione».
Ma subito e risolutamente gli dànno sulla voce i fogli
internazionalisti, ripetendo fino alla noia che non dalla parte loro
è l'intolleranza, e che d'altronde essi non possono rinunciare
alla loro fede. «Continueremo nella via intrapresa senza
guardarci indietro, senza contarci, con l'amarezza nell'animo per
aver perduto senza colpa la stima di un grande; ma tranquilli
nella coscienza, e con la profonda convinzione di trovarci sulla via
maestra della rivoluzione moderna»: scrive per tutti «Il
Gazzettino rosa», 28 agosto.
I giornali mazziniani (non però
«La Roma del Popolo») serbano al solito un contegno
incertissimo. Un giorno, sulle tracce degli articoli di Mazzini,
fanno gli intransigenti ad ogni costo; il giorno dopo cercano di
chiuder gli occhi sulle divergenze fondamentali che li dividono dagli
internazionalisti e sembrano maravigliarsi che ci si letichi per cosí
poco. Maraviglioso invece è che, nel pieno della lotta, nel
piú acceso dilagare delle polemiche, «L'Unità
italiana», per esempio, polemizzando appunto con «La
Favilla», giunga a scrivere: «Noi siamo, se non per
altro, almeno per età, assai prima della "Favilla",
socialisti» (28 settembre).
Cosí, fra accuse, ripicchi,
rimproveri e recriminazioni, lieta spettatrice la stampa
monarchica610, trascorrono tutto il settembre, tutto
l'ottobre. Molti altri articoli di giornali mazziniani e
internazionalisti comparsi in questo periodo si potrebbero riprodurre
o citare, ma son tutti ricalcati sui tipi principali che abbiam
visto. Specialmente interessante non tanto per la novità o
meno del concetto quanto per la condizione dei firmatari è una
dichiarazione pubblicata dagli operai dell'alto Santerno sul
«Romagnolo», 22 ottobre 1871, con la quale essi prendono
posizione contro Mazzini, che è stato la loro guida ideale per
tanti anni. «Ma oggi che Mazzini... ci vuole gregari di un'idea
che piú non corre col progresso dei tempi e che ci richiede
fede quando abbiamo fame di pane non spirituale, liberamente gli
diciamo che noi non potremo mai convenire di mettere le nostre azioni
e i nostri pensieri sotto la dipendenza o protezione di un essere
fittizio»611. Dove va notato – e lo vedremo
ripreso piú tardi – il motivo della contrapposizione fra
lo spiritualismo mazziniano, incapace di scendere a conquistare
pratiche nel campo sociale, e il materialismo dell'Internazionale,
apparentemente meno elevato, ma anche, per fortuna, piú
aderente alla dura realtà e alle necessità della vita
quotidiana.
Mazzini è stanco, è
deluso. Vorrebbe conquistare una larga frazione della classe media
moderata alle sue idee, e salvare le classi lavoratrici
dall'Internazionale; ma l'Italia non è quella che egli aveva
sognato e gli italiani non rispondono al suo appassionato appello col
fervore che egli aveva sperato. «Voglio vedere prima di morire
– scrive alla Stansfeld, il 13 settembre – un'altra
Italia, l'ideale dell'anima e della vita mia, risorgere dal suo
sepolcro di trecent'anni. Questo non è che il fantasma, lo
scherno d'Italia»; e, ragguagliando l'amica degli attacchi
ingiusti cui è fatto segno: «Alcuni – le racconta
amareggiato – alcuni perfino mi attribuiscono quella che
chiamano una recrudescenza di sentimento religioso per le paure che
sorgono nella vecchiaia!»612.
Ma già gli maturava nella mente l'idea di fare un grande
solenne tentativo per strappare alle utopie straniere, da lui
ritenute tanto nefaste, la classe operaia italiana.
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