VI. Ultime lotte di Mazzini
contro l'Internazionale
1.
La preparazione del Congresso di
Roma
Mazzini sente la necessità di
dimostrare coi fatti che la sua condanna della Comune e
dell'Internazionale non va interpretata come il sintomo di un suo
diminuito interessamento per le classi operaie. «Vorrei... fare
qualche cosa di reale per gli operai: se no, non abbiamo diritto di
combattere l'Internazionale», scrive al Saffi verso la fine
d'agosto 1871613. Ma bisogna anche costringere le società
operaie italiane ad assumere un netto atteggiamento di fronte
all'Internazionale: quante di esse, in sostanza, ne hanno abbracciato
i principî? Mazzini spera di poter provare che l'Internazionale
è riuscita a sobillare solo una infima frazione degli operai
italiani; di tranquillizzare cosí le classi medie, ossia i
piccoli proprietari, i piccoli trafficanti, i piccoli capitalisti
(per l'alta borghesia egli non nutre nessuna simpatia), di rompere
quel funesto equivoco che va sempre piú diffondendosi, secondo
il quale emancipazione dei lavoratori s'identificherebbe con
Internazionale.
Un Congresso riunito solennemente a
Roma, ben preparato e diretto, che statuisca l'unione delle varie
società operaie già tante volte per l'innanzi auspicata
e formulata, non mai raggiunta, che riprenda il filo dei vecchi
congressi spezzato nel '64 e li ravvivi; ecco la manifestazione che
in quel momento gli sembra piú necessaria e piú utile.
Ne scrive all'Emilia Venturi, il 29 agosto, chiarendo i propri
intenti: «costituzione di una Direzione centrale per tutte le
società operaie italiane... separazione ufficiale
dall'Internazionale; fondazione di un foglio ufficiale settimanale
degli operai, a Roma. V'è, certo, tra le fila degli operai,
chi è discorde, ma la maggioranza, confido, abbraccerà
le mie vedute»614.
Mentre Mazzini lancia il
Congresso operaio, alcune Società democratiche romagnole
suggeriscono la convocazione di un Congresso democratico, al
quale dovrebbero partecipare tutte le frazioni della Democrazia, per
tentare un accordo615. Mazzini non ne vuol sapere. Il
Congresso operaio tende precisamente a creare una netta scissione nel
campo democratico e a troncare definitivamente pericolosi equivoci
che l'altro non farebbe che prolungare. «Temo gli scandali dei
quali il nemico profitterebbe – scrive perciò il 5
settembre. – Uno chiederà l'abolizione di Dio: un altro
parlerà dell'Internazionale; altri contro; e [il Congresso
democratico] finirà, temo, per screditare il partito, e farlo
veder piú diviso che in fondo non è; e quanto all'unir
tutte le società in una, perché non s'uniscono
nell'Alleanza Repubblicana che esiste già?... Di ciarle ne
abbiamo anche troppe»616. Garibaldi, invece, accetta
con entusiasmo di presiedere il proposto congresso: ciò che
provoca polemiche vivaci sui giornali democratici, ed è una
nuova spina per Mazzini617.
Proseguono intanto i preparativi per
il Congresso operaio. L'unificazione e la nomina di una direzione
centrale permetteranno agli Artigiani d'Italia – scrive Mazzini
– di dire «pacificamente ma seriamente e officialmente
ai loro fratelli di patria i loro bisogni e le loro aspirazioni, ciò
che patiscono, ciò che, nella loro opinione, porgerebbe ai
loro patimenti rimedio»618; la direzione dovrà
esser costituita in modo che «rispettando i diritti e i doveri
puramente locali delle società, possa legalmente
rappresentare doveri, diritti, tendenze, interessi comuni a tutta
quanta la classe artigiana»619. Dal giorno in cui il
Patto di unificazione sarà votato e l'autorità centrale
eletta «comincerà la vita collettiva degli operai
italiani»: «la questione sociale, oggi lasciata
all'arbitrio di ogni nucleo locale, potrà definirsi davanti al
paese, forte dei fatti raccolti da tutte le società e del
consenso indiretto di quasi dodici milioni tra operai manifatturieri,
dati all'industria mineraria ed agricoltori». Una volta
costituita questa potenza – dice Mazzini, rivolgendosi agli
operai – potrete «stringere, nei modi e coi patti che vi
parranno opportuni, coi vostri fratelli dell'altre Nazioni, vincoli
d'alleanza che tutti intendiamo e vogliamo, ma dall'alto del concetto
nazionale riconosciuto, non sommergendovi, individui o piccoli
nuclei, in vaste e male ordinate società straniere che
cominciano dal parlarvi di libertà per conchiudere
inevitabilmente nell'anarchia o nel dispotismo di un centro o della
città nella quale quel centro è posto»620.
Le raccomandazioni son dunque quelle
stesse che egli ha ripetuto innanzi i Congressi di Firenze, di Parma
e di Napoli, e corrispondono a quei principî che egli ha
cercato di far prevalere a Londra nel settembre '64, discutendosi lo
statuto dell'Internazionale; con in piú la preoccupazione di
tranquillizzare le classi medie sul moto operaio e di non dare al
Congresso una intonazione politica. Perciò alle società
L'avvenire di Torino e L'universale della Spezia che gli hanno
offerto la loro rappresentanza al congresso, Mazzini risponde che –
ove non ostassero già all'accettazione le sue condizioni di
salute – rifiuterebbe l'incarico perché la sua presenza
darebbe «nell'opinione di molti, al congresso un carattere
politico che voi dovete e volete evitare»,
darebbe pretesto agli avversari per accusarlo «di tendere a
mutare la vostra in una manifestazione esclusivamente politica e
favorevole alle credenze dell'anima mia»621.
Non è piú il linguaggio
fermo e risoluto di chi, nel '61, pieno ancora di forza combattiva e
fidando nell'immancabile trionfo del suo programma, non soltanto non
credeva doversi giustificare degli appunti che gli si movevano di
volere immettere la politica nei congressi operai, ma questo intento
proclamava suo merito precipuo; la situazione è mutata e
bisogna poter mostrare al paese, schierate, le forze operaie non
internazionaliste622. Mazzini sente che tale è il suo
dovere preciso: gli rimorde il silenzio che ha mantenuto, dal 1864 in
poi, verso gli operai italiani. Forse se egli li avesse vigilati piú
accuratamente, essi non sarebbero caduti facile preda delle dottrine
«oltramontane». Di piú, sentendosi vecchio e
prossimo alla fine, egli intende forse, col Congresso di Roma,
ammonire la parte repubblicana che d'ora innanzi – dileguatesi
le speranze di un sollecito rinnovamento politico d'Italia – le
sue migliori energie debbono rivolgersi alla progressiva soluzione
del problema sociale.
Per evitare deviazioni pericolose,
Mazzini stabilisce che i lavori del congresso vengano rigidamente
prefissati in un ordine del giorno, che elimini la discussione di
ogni questione generica e, piú precisamente, «ogni
discussione intorno a dottrine religiose, politiche o sociali che un
congresso oggi non può decidere se non con dichiarazioni
avventate e ridicole per impotenza»623. Questa
limitazione giustificava le accuse che piovevano in quei giorni sul
suo canuto capo, di voler sottomettere gli operai italiani a una non
richiesta tutela.
Quelle stesse accuse Mazzini, nel '61,
nel '63, nel '64, lanciava contro gli apolitici. Il contrasto
era troppo evidente perché i suoi avversari di sinistra non lo
rilevassero. Eppoi era assurdo pensare che – pur tacendo della
questione politica – sarebbe stato possibile raccogliere e
trattenere a Roma rappresentanti di nuclei operai d'ogni colore
politico. Chi ignorava essere Mazzini, personalmente, l'ideatore,
l'animatore della radunanza? Né Mazzini, dopo quarant'anni di
apostolato politico, poteva seriamente sperare di ottenere larghe
adesioni al suo programma sociale, col solo distaccarne
l'indispensabile base politica, col solo rinunciare ad intervenire
personalmente. Nonostante ogni sua protesta, era evidente che chi
aderiva al congresso o accettava implicitamente il programma
mazziniano o avrebbe dovuto dichiarare pubblicamente il proprio
dissenso.
Le autorità politiche furono le
prime a comprendere tutto ciò. «Il Lucifero» di
Ancona624, ottobre 1871, denunciando l'opposizione
governativa al Congresso di Roma, rivelò che il 13 settembre
1871 era stata inviata ai prefetti una circolare riservata per
invitarli a esercitare pressioni sulle società operaie
affinché rispondessero «col silenzio agli inviti che
pervenissero dal partito rivoluzionario, che per mezzo del Comitato
ligure e di qualche altro, cerca di propagare dottrine perniciose e
fomentare disordini mentre è ferma intenzione del governo di
non tollerarli»625.
Ma furon sollecite a comprenderlo
anche diverse società operaie. Nel resoconto di un'adunanza
tenuta dalla Fratellanza artigiana di Livorno il 14 settembre per
deliberare appunto sulla opportunità o meno di partecipare al
Congresso operaio, si legge che i soci piú influenti –
fra i quali il Guerrazzi – manifestarono l'opinione di non
parteciparvi; il congresso, disse uno di essi, «si
dilungherebbe certo dal segno, sperdendosi in controversie
religiose alle quali gli artigiani sono i meno
adatti»626. Nell'ottobre la Società operaia di
Napoli prese un'identica deliberazione, motivandola col fatto che il
congresso sarebbe degenerato evidentemente in discussioni nel
campo politico627. Altre società seguirono
l'esempio628.
Gli articoli pubblicati dal Mazzini
sulle direttive del congresso non potevano lasciar dubbio ai seguaci
del Bakunin sui suoi veri intenti. In due di questi
articoli629 Mazzini tracciava rapidamente la storia
dell'Internazionale, richiamandosi agli atti dei congressi ed ai
discorsi di alcuni capi piú influenti del movimento.
Essi non sfuggirono al Bakunin; ma fu
la lettura dello scritto Ai rappresentanti gli artigiani nel
Congresso di Roma (15 ottobre 1871), che gli fece comprendere
l'urgente necessità di una risposta630. Il russo, che
lavorava allora a un nuovo pamphlet: La teologia politica
di Mazzini e l'Internazionale, troncò questo lavoro e
cominciò il 19 ottobre una Circolare ai miei amici d'Italia
in occasione del Congresso operaio convocato a Roma per il 1°
novembre dal partito mazziniano, che terminò il 28. Egli
avrebbe desiderato stamparla innanzi l'apertura del congresso:
mancando il tempo, si contentò di far distribuire ai
congressisti un riassunto della prima parte631.
Il Socialismo e Mazzini –
tale è il titolo col quale venne successivamente stampata la
Circolare – dà l'impressione che Bakunin fosse
assai preoccupato delle conseguenze che potevano derivare dal
Congresso di Roma; Mazzini, organizzandolo, stava compiendo il
massimo sforzo per assicurarsi definitivamente il monopolio della
questione operaia in Italia; era, sí, strana illusione la sua,
di credere che ne sarebbe uscita l'unione di 12 milioni di lavoratori
italiani, ma, per quanto modesto potesse risultare il suo successo,
sarebbe stato imprudente da parte degli internazionalisti non far di
tutto pur di contrastarlo o di attenuarne gli effetti. Il modo con
cui Mazzini tentava concentrare le forze operaie e asservirle –
legate mani e piedi – al suo sistema «soporifero»,
rappresentava, per certo, un colpo da maestro.
Mazzini – scrive dunque Bakunin – ha affermato che
nell'Internazionale non è salute perché o condurrà
all'anarchia o condurrà al dispotismo di un centro. Ma non
vuole egli stesso giungere a governare dispoticamente la massa
operaia italiana? Se il progetto mazziniano si effettuasse, si
avrebbe un «Mazzini dittatore e nelle sue mani tutta la classe
operaia d'Italia debitamente imbavagliata, paralizzata, annichilita a
pro' della commissione direttiva, diretta da Mazzini» (p. 21).
Il Congresso di Roma tende a rassicurare la classe abbiente del paese
sui veri fini del moto operaio; Mazzini si è costituito
interprete di questa classe abbiente che già vede minacciati i
suoi capitali (raccolti, secondo l'ingenuo Mazzini, «talora per
eredità, piú spesso dal lavoro») e compie cosí
bene il suo ufficio che, fin quando durerà la sua direzione
del moto operaio, «la borghesia potrà dormire tra due
guanciali tranquillamente» (p. 19). Al proletariato, schiavo
come prima, non resterà altro sollievo che «le lettere
di cambio che Mazzini gli darà per il cielo» (p. 19).
Dopo il Congresso di Roma, che resterà da fare alle società
operaie? «Potranno ben divertirsi nell'esercizio, come pel
passato, di un po' di mutuo soccorso, e di saggi di produzione e
consumo che finiranno col disgustarli d'ogni associazione» (p.
22).
Mazzini è un tipico
autoritario; vuole il bene del popolo, ma preferisce imporgli lui
quello che egli crede sia il suo bene; il suo motto dovrebbe essere:
«tutto per il popolo; niente dal popolo». Si fa però
sorprendere in perpetua contraddizione: afferma per esempio la
necessità di una classe dirigente (borghesia) – ossia di
una classe sfruttatrice delle altre – e poi pretende che essa
non sfrutti il popolo e le raccomanda instancabilmente moderazione e
disinteresse. Ma se la borghesia fosse moderata e disinteressata, ben
presto non dominerebbe piú, cesserebbe d'esistere come classe
a sé; essa dunque, se non vuol suicidarsi, non può
seguire i pietosi consigli di Mazzini. Il quale – terrorizzato
dalla Comune di Parigi e messosi d'urgenza a studiare il problema
sociale632 – bandisce un programma interamente basato
sull'equivoco: reclama per esempio l'educazione comune a tutti, senza
capire che questa formula ha un valore quando sia inserita in un
programma sociale che tenda al livellamento egualitario della
società, si riduce altrimenti a un non senso. Sono forse le
lezioni dei professori quelle che diversificano, nell'educazione, le
varie classi sociali o non è piuttosto la differenza
d'ambiente? E ancora: Mazzini sostiene che lo Stato deve agevolare
con larghi crediti le cooperative di produzione che tendono a riunire
nelle stesse mani capitale e lavoro. Ma sarà la borghesia cosí
stupida da fornire al quarto stato i mezzi che gli serviranno per
spodestarla da classe dominatrice? Ammettiamo che lo Stato-repubblica
di Mazzini abbia tanta forza da imporre alla borghesia questo
progressivo autospodestamento. La borghesia finirà per
insorgere; e allora o essa vincerà e il sogno di Mazzini
crollerà miserevolmente; o vincitore risulterà invece
lo Stato e la borghesia verrà sí annientata ma a
beneficio di uno Stato accentratore, autoritario, distruttore di ogni
autonomia e d'ogni libera iniziativa, comunista insomma. In ogni caso
il quarto stato non ne risentirà alcun vantaggio, posto che i
suoi interessi collimano con l'instaurazione della piú ampia
libertà individuale e collettiva.
La critica bakunista non è del
tutto priva di ragionevolezza in quanto scuote energicamente la
tranquilla fiducia riposta da Mazzini nella collaborazione borghese
all'emancipazione operaia. Se il problema del finanziamento delle
cooperative si pone cosí, e cioè nei suoi termini
estremi, dagli aut aut di Bakunin è difficile uscire.
Ma gli aut aut troppo assoluti non corrispondono mai alla
realtà; né Mazzini tendeva infatti a un rapido
spodestamento della borghesia né si può dire col
Bakunin che, in difetto di questo, le classi lavoratrici non
avrebbero potuto risentir dal cooperativismo alcun vantaggio degno di
nota, degno dunque d'esser conquistato. Superfluo notare, poi, che
Mazzini legava la vagheggiata riforma economica a tutto un ampio
sistema di riforma politica, morale e sociale nel quale essa avrebbe
trovato un naturale ambiente di sviluppo e senza del quale,
effettivamente, poteva apparire nient'altro che sterile utopia.
Eppure tutta l'efficacia di questo
pamphlet sta in ciò che Bakunin ha sul suo avversario
la facile superiorità dell'estremista sul riformista; da un
punto di vista puramente logico l'estremista ha per sé tutta
la suggestione che innegabilmente esercitano sugli spiriti le
soluzioni radicali, desunte linearmente da poche e chiare premesse
teoriche. Facile è per l'estremista cogliere in flagrante
delitto d'incoerenza il riformista; il quale, a differenza del primo,
deve e vuole accordare il suo pensiero alla realtà viva che si
svolge e perciò rinunciare a quella assoluta coerenza formale,
che possono mantenere il teorico puro o quel pensatore che al suo
sistema assegni, in pratica, il valore di un mito, atto a tener desta
la fede di quanti nella vita son costretti a seguire, rischiando di
perdervisi, le tortuose vie dell'interesse immediato.
Liberatosi alla lesta del programma
mazziniano e accertata la necessità di un profondo mutamento
nell'ordine sociale, Bakunin afferma che non si può ormai
fidare che nell'attuazione del programma collettivista-federalista,
di quel programma cioè che, mirando ad abolire piuttosto che a
modificare lo Stato e a lasciare che il popolo si ordini liberamente
dal basso all'alto, può definirsi anarchico. Esso rappresenta
una delle molte tendenze, che hanno diritto di cittadinanza
nell'Internazionale e si realizzerà appunto – almeno
cosí Bakunin spera – attraverso il trionfo
dell'Internazionale: giusto è dunque occuparsi delle
filippiche che Mazzini ha nuovamente scagliato contro
quell'associazione. Egli, fra l'altro, la accusa di negare la patria.
Che si intende per patria, per nazione? Mazzini intende quel nucleo
che ci è stato dato da Dio perché tra fratelli affini a
noi per lingua, fede, tradizioni, aspirazioni, interessi si trovi un
valido aiuto nel compimento della propria missione. Ma in qual paese
mai si riscontra questa identità di aspirazioni, tradizioni,
ecc.? In Italia, dice Bakunin, si posson distinguere almeno cinque
nazioni diverse, se tale è la definizione di nazione; e cioè:
1) il clero; 2) la nobiltà e l'alta borghesia; 3) la media e
la piccola borghesia; 4) il ceto operaio; 5) il ceto contadino;
cinque nazioni in quanto sono caratterizzate e distinte da condizioni
di vita, tradizioni, aspirazioni e interessi nettamente diversi.
La nazione come la intende Mazzini è
in realtà il simbolo della non libertà, della unione
forzata, della sottomissione delle classi piú numerose agli
interessi di quelle privilegiate. Bakunin è perciò ben
lieto di dichiararsi antinazionale; per lui la parola patria sta a
indicare il sacro diritto di ogni uomo e di ogni gruppo, grande o
piccolo, d'uomini di vivere, pensare e operare a modo loro. Nello
stesso modo che egli impugna l'utilità e la ragionevolezza del
matrimonio, fra le istituzioni civili, e vorrebbe sostituirgli la
libera unione, fondata sul reciproco rispetto e la reciproca libertà
(soprattutto libertà di separazione), ossia su una maggior
lealtà; cosí nega lo Stato come forza accentratrice e
l'idea-Nazione che ne è la base e la giustificazione; e vuol
ridare lealtà e maggior consapevolezza di sé agli
uomini tutti, ponendoli di fronte alla possibilità di unirsi
liberamente, in collettività sempre piú vaste, federate
fra loro in un ideale di eguaglianza e di pace.
La gioventú italiana deve
liberarsi dal funesto influsso mazziniano. Già si sono
costituiti nuclei di giovani atei e materialisti i quali, tuttavia,
credono di poter seguire Mazzini sul terreno dell'azione, pur
rinnegando le sue basi teoriche e soprattutto rigettando il suo
pensiero religioso; no, essi devono comprendere che per Mazzini la
politica non è «che la traduzione del pensiero religioso
nel campo dei fatti» (p. 23); non si può quindi che
accettare o rifiutare in blocco il suo sistema. Ben naturale, e
nessuno piú di Bakunin la comprende e la apprezza, è la
devozione a oltranza che questi giovani nutrono per Mazzini, cioè
per chi ha il merito immenso di «aver tenuto vivo nella
gioventú italiana il fuoco sacro per quarant'anni» (p.
25), di averla formata per la lotta contro l'oppressore d'Italia. Ma
il compito è finito: Mazzini non ha educato quella gioventú
all'amore per il popolo vero, vivente, bensí per il suo popolo
astratto, «teologico». Il suo sistema sedicente
rivoluzionario, in realtà borghese e conservatore, s'è
cosí profondamente infiltrato nei giovani, e li contamina
ancora talmente come un male ereditario che occorrono loro molti e
molti bagni nella vita popolare per liberarsene affatto.
Eliminata radicalmente l'influenza
mazziniana, essi potranno dedicarsi anima e corpo alla causa
popolare, vivendo in intimo contatto col popolo e cercando di
cementare l'unione tra proletariato agricolo e proletariato
cittadino, poiché «sta in questo la salvezza d'Italia».
Non curino le inevitabili persecuzioni; diffondano il verbo
dell'Internazionale, che ovunque trionfa perché essa – e
qui Bakunin ragiona di un'Internazionale un po' imaginaria –
non impone al popolo dottrine infallibili e dogmi indiscutibili, ma
evolve sempre, lasciando agli adepti completa libertà di
pensiero e d'azione: il suo programma altro non formola che gli
istinti profondi, le aspirazioni piú intime del popolo né
ad altro tende che a organizzarlo praticamente.
La prima battaglia, che dovrebbe
segnare il distacco netto della gioventú rivoluzionaria
italiana dalla classe e dai metodi borghesi, bisognerebbe impegnarla
al Congresso di Roma; una minoranza compatta e decisa vi esponga il
programma rivoluzionario in contrapposizione a quello soporifero
di Mazzini: ecco un'ottima occasione per il battesimo del socialismo
italiano in Italia e nell'Europa tutta633.
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