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Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

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  • VI. Ultime lotte di Mazzini contro l'Internazionale
    • 1. La preparazione del Congresso di Roma
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VI. Ultime lotte di Mazzini contro l'Internazionale

1.

La preparazione del Congresso di Roma

 

 

 

 

 

Mazzini sente la necessità di dimostrare coi fatti che la sua condanna della Comune e dell'Internazionale non va interpretata come il sintomo di un suo diminuito interessamento per le classi operaie. «Vorrei... fare qualche cosa di reale per gli operai: se no, non abbiamo diritto di combattere l'Internazionale», scrive al Saffi verso la fine d'agosto 1871613. Ma bisogna anche costringere le società operaie italiane ad assumere un netto atteggiamento di fronte all'Internazionale: quante di esse, in sostanza, ne hanno abbracciato i principî? Mazzini spera di poter provare che l'Internazionale è riuscita a sobillare solo una infima frazione degli operai italiani; di tranquillizzare cosí le classi medie, ossia i piccoli proprietari, i piccoli trafficanti, i piccoli capitalisti (per l'alta borghesia egli non nutre nessuna simpatia), di rompere quel funesto equivoco che va sempre piú diffondendosi, secondo il quale emancipazione dei lavoratori s'identificherebbe con Internazionale.

Un Congresso riunito solennemente a Roma, ben preparato e diretto, che statuisca l'unione delle varie società operaie già tante volte per l'innanzi auspicata e formulata, non mai raggiunta, che riprenda il filo dei vecchi congressi spezzato nel '64 e li ravvivi; ecco la manifestazione che in quel momento gli sembra piú necessaria e piú utile. Ne scrive all'Emilia Venturi, il 29 agosto, chiarendo i propri intenti: «costituzione di una Direzione centrale per tutte le società operaie italiane... separazione ufficiale dall'Internazionale; fondazione di un foglio ufficiale settimanale degli operai, a Roma. V'è, certo, tra le fila degli operai, chi è discorde, ma la maggioranza, confido, abbraccerà le mie vedute»614.

Mentre Mazzini lancia il Congresso operaio, alcune Società democratiche romagnole suggeriscono la convocazione di un Congresso democratico, al quale dovrebbero partecipare tutte le frazioni della Democrazia, per tentare un accordo615. Mazzini non ne vuol sapere. Il Congresso operaio tende precisamente a creare una netta scissione nel campo democratico e a troncare definitivamente pericolosi equivoci che l'altro non farebbe che prolungare. «Temo gli scandali dei quali il nemico profitterebbescrive perciò il 5 settembre. – Uno chiederà l'abolizione di Dio: un altro parlerà dell'Internazionale; altri contro; e [il Congresso democratico] finirà, temo, per screditare il partito, e farlo veder piú diviso che in fondo non è; e quanto all'unir tutte le società in una, perché non s'uniscono nell'Alleanza Repubblicana che esiste già?... Di ciarle ne abbiamo anche troppe»616. Garibaldi, invece, accetta con entusiasmo di presiedere il proposto congresso: ciò che provoca polemiche vivaci sui giornali democratici, ed è una nuova spina per Mazzini617.

Proseguono intanto i preparativi per il Congresso operaio. L'unificazione e la nomina di una direzione centrale permetteranno agli Artigiani d'Italiascrive Mazzini – di dire «pacificamente ma seriamente e officialmente ai loro fratelli di patria i loro bisogni e le loro aspirazioni, ciò che patiscono, ciò che, nella loro opinione, porgerebbe ai loro patimenti rimedio»618; la direzione dovrà esser costituita in modo che «rispettando i diritti e i doveri puramente locali delle società, possa legalmente rappresentare doveri, diritti, tendenze, interessi comuni a tutta quanta la classe artigiana»619. Dal giorno in cui il Patto di unificazione sarà votato e l'autorità centrale eletta «comincerà la vita collettiva degli operai italiani»: «la questione sociale, oggi lasciata all'arbitrio di ogni nucleo locale, potrà definirsi davanti al paese, forte dei fatti raccolti da tutte le società e del consenso indiretto di quasi dodici milioni tra operai manifatturieri, dati all'industria mineraria ed agricoltori». Una volta costituita questa potenzadice Mazzini, rivolgendosi agli operai – potrete «stringere, nei modi e coi patti che vi parranno opportuni, coi vostri fratelli dell'altre Nazioni, vincoli d'alleanza che tutti intendiamo e vogliamo, ma dall'alto del concetto nazionale riconosciuto, non sommergendovi, individui o piccoli nuclei, in vaste e male ordinate società straniere che cominciano dal parlarvi di libertà per conchiudere inevitabilmente nell'anarchia o nel dispotismo di un centro o della città nella quale quel centro è posto»620.

Le raccomandazioni son dunque quelle stesse che egli ha ripetuto innanzi i Congressi di Firenze, di Parma e di Napoli, e corrispondono a quei principî che egli ha cercato di far prevalere a Londra nel settembre '64, discutendosi lo statuto dell'Internazionale; con in piú la preoccupazione di tranquillizzare le classi medie sul moto operaio e di non dare al Congresso una intonazione politica. Perciò alle società L'avvenire di Torino e L'universale della Spezia che gli hanno offerto la loro rappresentanza al congresso, Mazzini risponde che – ove non ostassero già all'accettazione le sue condizioni di saluterifiuterebbe l'incarico perché la sua presenza darebbe «nell'opinione di molti, al congresso un carattere politico che voi dovete e volete evitare», darebbe pretesto agli avversari per accusarlo «di tendere a mutare la vostra in una manifestazione esclusivamente politica e favorevole alle credenze dell'anima mia»621.

Non è piú il linguaggio fermo e risoluto di chi, nel '61, pieno ancora di forza combattiva e fidando nell'immancabile trionfo del suo programma, non soltanto non credeva doversi giustificare degli appunti che gli si movevano di volere immettere la politica nei congressi operai, ma questo intento proclamava suo merito precipuo; la situazione è mutata e bisogna poter mostrare al paese, schierate, le forze operaie non internazionaliste622. Mazzini sente che tale è il suo dovere preciso: gli rimorde il silenzio che ha mantenuto, dal 1864 in poi, verso gli operai italiani. Forse se egli li avesse vigilati piú accuratamente, essi non sarebbero caduti facile preda delle dottrine «oltramontane». Di piú, sentendosi vecchio e prossimo alla fine, egli intende forse, col Congresso di Roma, ammonire la parte repubblicana che d'ora innanzi – dileguatesi le speranze di un sollecito rinnovamento politico d'Italia – le sue migliori energie debbono rivolgersi alla progressiva soluzione del problema sociale.

Per evitare deviazioni pericolose, Mazzini stabilisce che i lavori del congresso vengano rigidamente prefissati in un ordine del giorno, che elimini la discussione di ogni questione generica e, piú precisamente, «ogni discussione intorno a dottrine religiose, politiche o sociali che un congresso oggi non può decidere se non con dichiarazioni avventate e ridicole per impotenza»623. Questa limitazione giustificava le accuse che piovevano in quei giorni sul suo canuto capo, di voler sottomettere gli operai italiani a una non richiesta tutela.

Quelle stesse accuse Mazzini, nel '61, nel '63, nel '64, lanciava contro gli apolitici. Il contrasto era troppo evidente perché i suoi avversari di sinistra non lo rilevassero. Eppoi era assurdo pensare che – pur tacendo della questione politica – sarebbe stato possibile raccogliere e trattenere a Roma rappresentanti di nuclei operai d'ogni colore politico. Chi ignorava essere Mazzini, personalmente, l'ideatore, l'animatore della radunanza? Né Mazzini, dopo quarant'anni di apostolato politico, poteva seriamente sperare di ottenere larghe adesioni al suo programma sociale, col solo distaccarne l'indispensabile base politica, col solo rinunciare ad intervenire personalmente. Nonostante ogni sua protesta, era evidente che chi aderiva al congresso o accettava implicitamente il programma mazziniano o avrebbe dovuto dichiarare pubblicamente il proprio dissenso.

Le autorità politiche furono le prime a comprendere tutto ciò. «Il Lucifero» di Ancona624, ottobre 1871, denunciando l'opposizione governativa al Congresso di Roma, rivelò che il 13 settembre 1871 era stata inviata ai prefetti una circolare riservata per invitarli a esercitare pressioni sulle società operaie affinché rispondessero «col silenzio agli inviti che pervenissero dal partito rivoluzionario, che per mezzo del Comitato ligure e di qualche altro, cerca di propagare dottrine perniciose e fomentare disordini mentre è ferma intenzione del governo di non tollerarli»625.

Ma furon sollecite a comprenderlo anche diverse società operaie. Nel resoconto di un'adunanza tenuta dalla Fratellanza artigiana di Livorno il 14 settembre per deliberare appunto sulla opportunità o meno di partecipare al Congresso operaio, si legge che i soci piú influenti – fra i quali il Guerrazzimanifestarono l'opinione di non parteciparvi; il congresso, disse uno di essi, «si dilungherebbe certo dal segno, sperdendosi in controversie religiose alle quali gli artigiani sono i meno adatti»626. Nell'ottobre la Società operaia di Napoli prese un'identica deliberazione, motivandola col fatto che il congresso sarebbe degenerato evidentemente in discussioni nel campo politico627. Altre società seguirono l'esempio628.

 

Gli articoli pubblicati dal Mazzini sulle direttive del congresso non potevano lasciar dubbio ai seguaci del Bakunin sui suoi veri intenti. In due di questi articoli629 Mazzini tracciava rapidamente la storia dell'Internazionale, richiamandosi agli atti dei congressi ed ai discorsi di alcuni capi piú influenti del movimento.

Essi non sfuggirono al Bakunin; ma fu la lettura dello scritto Ai rappresentanti gli artigiani nel Congresso di Roma (15 ottobre 1871), che gli fece comprendere l'urgente necessità di una risposta630. Il russo, che lavorava allora a un nuovo pamphlet: La teologia politica di Mazzini e l'Internazionale, troncò questo lavoro e cominciò il 19 ottobre una Circolare ai miei amici d'Italia in occasione del Congresso operaio convocato a Roma per il novembre dal partito mazziniano, che terminò il 28. Egli avrebbe desiderato stamparla innanzi l'apertura del congresso: mancando il tempo, si contentò di far distribuire ai congressisti un riassunto della prima parte631.

Il Socialismo e Mazzini – tale è il titolo col quale venne successivamente stampata la Circolare l'impressione che Bakunin fosse assai preoccupato delle conseguenze che potevano derivare dal Congresso di Roma; Mazzini, organizzandolo, stava compiendo il massimo sforzo per assicurarsi definitivamente il monopolio della questione operaia in Italia; era, , strana illusione la sua, di credere che ne sarebbe uscita l'unione di 12 milioni di lavoratori italiani, ma, per quanto modesto potesse risultare il suo successo, sarebbe stato imprudente da parte degli internazionalisti non far di tutto pur di contrastarlo o di attenuarne gli effetti. Il modo con cui Mazzini tentava concentrare le forze operaie e asservirlelegate mani e piedi – al suo sistema «soporifero», rappresentava, per certo, un colpo da maestro.

Mazziniscrive dunque Bakunin – ha affermato che nell'Internazionale non è salute perché o condurrà all'anarchia o condurrà al dispotismo di un centro. Ma non vuole egli stesso giungere a governare dispoticamente la massa operaia italiana? Se il progetto mazziniano si effettuasse, si avrebbe un «Mazzini dittatore e nelle sue mani tutta la classe operaia d'Italia debitamente imbavagliata, paralizzata, annichilita a pro' della commissione direttiva, diretta da Mazzini» (p. 21). Il Congresso di Roma tende a rassicurare la classe abbiente del paese sui veri fini del moto operaio; Mazzini si è costituito interprete di questa classe abbiente che già vede minacciati i suoi capitali (raccolti, secondo l'ingenuo Mazzini, «talora per eredità, piú spesso dal lavoro») e compie cosí bene il suo ufficio che, fin quando durerà la sua direzione del moto operaio, «la borghesia potrà dormire tra due guanciali tranquillamente» (p. 19). Al proletariato, schiavo come prima, non resterà altro sollievo che «le lettere di cambio che Mazzini gli darà per il cielo» (p. 19). Dopo il Congresso di Roma, che resterà da fare alle società operaie? «Potranno ben divertirsi nell'esercizio, come pel passato, di un po' di mutuo soccorso, e di saggi di produzione e consumo che finiranno col disgustarli d'ogni associazione» (p. 22).

Mazzini è un tipico autoritario; vuole il bene del popolo, ma preferisce imporgli lui quello che egli crede sia il suo bene; il suo motto dovrebbe essere: «tutto per il popolo; niente dal popolo». Si fa però sorprendere in perpetua contraddizione: afferma per esempio la necessità di una classe dirigente (borghesia) – ossia di una classe sfruttatrice delle altre – e poi pretende che essa non sfrutti il popolo e le raccomanda instancabilmente moderazione e disinteresse. Ma se la borghesia fosse moderata e disinteressata, ben presto non dominerebbe piú, cesserebbe d'esistere come classe a sé; essa dunque, se non vuol suicidarsi, non può seguire i pietosi consigli di Mazzini. Il quale – terrorizzato dalla Comune di Parigi e messosi d'urgenza a studiare il problema sociale632bandisce un programma interamente basato sull'equivoco: reclama per esempio l'educazione comune a tutti, senza capire che questa formula ha un valore quando sia inserita in un programma sociale che tenda al livellamento egualitario della società, si riduce altrimenti a un non senso. Sono forse le lezioni dei professori quelle che diversificano, nell'educazione, le varie classi sociali o non è piuttosto la differenza d'ambiente? E ancora: Mazzini sostiene che lo Stato deve agevolare con larghi crediti le cooperative di produzione che tendono a riunire nelle stesse mani capitale e lavoro. Ma sarà la borghesia cosí stupida da fornire al quarto stato i mezzi che gli serviranno per spodestarla da classe dominatrice? Ammettiamo che lo Stato-repubblica di Mazzini abbia tanta forza da imporre alla borghesia questo progressivo autospodestamento. La borghesia finirà per insorgere; e allora o essa vincerà e il sogno di Mazzini crollerà miserevolmente; o vincitore risulterà invece lo Stato e la borghesia verrà annientata ma a beneficio di uno Stato accentratore, autoritario, distruttore di ogni autonomia e d'ogni libera iniziativa, comunista insomma. In ogni caso il quarto stato non ne risentirà alcun vantaggio, posto che i suoi interessi collimano con l'instaurazione della piú ampia libertà individuale e collettiva.

La critica bakunista non è del tutto priva di ragionevolezza in quanto scuote energicamente la tranquilla fiducia riposta da Mazzini nella collaborazione borghese all'emancipazione operaia. Se il problema del finanziamento delle cooperative si pone cosí, e cioè nei suoi termini estremi, dagli aut aut di Bakunin è difficile uscire. Ma gli aut aut troppo assoluti non corrispondono mai alla realtà; né Mazzini tendeva infatti a un rapido spodestamento della borghesia né si può dire col Bakunin che, in difetto di questo, le classi lavoratrici non avrebbero potuto risentir dal cooperativismo alcun vantaggio degno di nota, degno dunque d'esser conquistato. Superfluo notare, poi, che Mazzini legava la vagheggiata riforma economica a tutto un ampio sistema di riforma politica, morale e sociale nel quale essa avrebbe trovato un naturale ambiente di sviluppo e senza del quale, effettivamente, poteva apparire nient'altro che sterile utopia.

Eppure tutta l'efficacia di questo pamphlet sta in ciò che Bakunin ha sul suo avversario la facile superiorità dell'estremista sul riformista; da un punto di vista puramente logico l'estremista ha per sé tutta la suggestione che innegabilmente esercitano sugli spiriti le soluzioni radicali, desunte linearmente da poche e chiare premesse teoriche. Facile è per l'estremista cogliere in flagrante delitto d'incoerenza il riformista; il quale, a differenza del primo, deve e vuole accordare il suo pensiero alla realtà viva che si svolge e perciò rinunciare a quella assoluta coerenza formale, che possono mantenere il teorico puro o quel pensatore che al suo sistema assegni, in pratica, il valore di un mito, atto a tener desta la fede di quanti nella vita son costretti a seguire, rischiando di perdervisi, le tortuose vie dell'interesse immediato.

Liberatosi alla lesta del programma mazziniano e accertata la necessità di un profondo mutamento nell'ordine sociale, Bakunin afferma che non si può ormai fidare che nell'attuazione del programma collettivista-federalista, di quel programma cioè che, mirando ad abolire piuttosto che a modificare lo Stato e a lasciare che il popolo si ordini liberamente dal basso all'alto, può definirsi anarchico. Esso rappresenta una delle molte tendenze, che hanno diritto di cittadinanza nell'Internazionale e si realizzerà appunto – almeno cosí Bakunin spera – attraverso il trionfo dell'Internazionale: giusto è dunque occuparsi delle filippiche che Mazzini ha nuovamente scagliato contro quell'associazione. Egli, fra l'altro, la accusa di negare la patria. Che si intende per patria, per nazione? Mazzini intende quel nucleo che ci è stato dato da Dio perché tra fratelli affini a noi per lingua, fede, tradizioni, aspirazioni, interessi si trovi un valido aiuto nel compimento della propria missione. Ma in qual paese mai si riscontra questa identità di aspirazioni, tradizioni, ecc.? In Italia, dice Bakunin, si posson distinguere almeno cinque nazioni diverse, se tale è la definizione di nazione; e cioè: 1) il clero; 2) la nobiltà e l'alta borghesia; 3) la media e la piccola borghesia; 4) il ceto operaio; 5) il ceto contadino; cinque nazioni in quanto sono caratterizzate e distinte da condizioni di vita, tradizioni, aspirazioni e interessi nettamente diversi.

La nazione come la intende Mazzini è in realtà il simbolo della non libertà, della unione forzata, della sottomissione delle classi piú numerose agli interessi di quelle privilegiate. Bakunin è perciò ben lieto di dichiararsi antinazionale; per lui la parola patria sta a indicare il sacro diritto di ogni uomo e di ogni gruppo, grande o piccolo, d'uomini di vivere, pensare e operare a modo loro. Nello stesso modo che egli impugna l'utilità e la ragionevolezza del matrimonio, fra le istituzioni civili, e vorrebbe sostituirgli la libera unione, fondata sul reciproco rispetto e la reciproca libertà (soprattutto libertà di separazione), ossia su una maggior lealtà; cosí nega lo Stato come forza accentratrice e l'idea-Nazione che ne è la base e la giustificazione; e vuol ridare lealtà e maggior consapevolezza di sé agli uomini tutti, ponendoli di fronte alla possibilità di unirsi liberamente, in collettività sempre piú vaste, federate fra loro in un ideale di eguaglianza e di pace.

La gioventú italiana deve liberarsi dal funesto influsso mazziniano. Già si sono costituiti nuclei di giovani atei e materialisti i quali, tuttavia, credono di poter seguire Mazzini sul terreno dell'azione, pur rinnegando le sue basi teoriche e soprattutto rigettando il suo pensiero religioso; no, essi devono comprendere che per Mazzini la politica non è «che la traduzione del pensiero religioso nel campo dei fatti» (p. 23); non si può quindi che accettare o rifiutare in blocco il suo sistema. Ben naturale, e nessuno piú di Bakunin la comprende e la apprezza, è la devozione a oltranza che questi giovani nutrono per Mazzini, cioè per chi ha il merito immenso di «aver tenuto vivo nella gioventú italiana il fuoco sacro per quarant'anni» (p. 25), di averla formata per la lotta contro l'oppressore d'Italia. Ma il compito è finito: Mazzini non ha educato quella gioventú all'amore per il popolo vero, vivente, bensí per il suo popolo astratto, «teologico». Il suo sistema sedicente rivoluzionario, in realtà borghese e conservatore, s'è cosí profondamente infiltrato nei giovani, e li contamina ancora talmente come un male ereditario che occorrono loro molti e molti bagni nella vita popolare per liberarsene affatto.

Eliminata radicalmente l'influenza mazziniana, essi potranno dedicarsi anima e corpo alla causa popolare, vivendo in intimo contatto col popolo e cercando di cementare l'unione tra proletariato agricolo e proletariato cittadino, poiché «sta in questo la salvezza d'Italia». Non curino le inevitabili persecuzioni; diffondano il verbo dell'Internazionale, che ovunque trionfa perché essa – e qui Bakunin ragiona di un'Internazionale un po' imaginaria – non impone al popolo dottrine infallibili e dogmi indiscutibili, ma evolve sempre, lasciando agli adepti completa libertà di pensiero e d'azione: il suo programma altro non formola che gli istinti profondi, le aspirazioni piú intime del popolo né ad altro tende che a organizzarlo praticamente.

La prima battaglia, che dovrebbe segnare il distacco netto della gioventú rivoluzionaria italiana dalla classe e dai metodi borghesi, bisognerebbe impegnarla al Congresso di Roma; una minoranza compatta e decisa vi esponga il programma rivoluzionario in contrapposizione a quello soporifero di Mazzini: ecco un'ottima occasione per il battesimo del socialismo italiano in Italia e nell'Europa tutta633.






p. -

613 Cenni biografici ecc. cit., a proemio del volume XVII di SEI, pp. CXI.



614 RICHARDS, op. cit., VOI. III.



615 SEI, vol. XVI, pp. LXXXIX sg.



616 Ibid., p. XC. Lettera a Felice Dagnino.



617 Lettera datata lunedí, settembre 1871, in Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 46; e SEI, vol. XVI, pp. 225 sg.



618 Il Moto delle classi artigiane e il Congresso, in «La Roma del Popolo», 7 settembre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 212).



619 Ai rappresentanti gli artigiani nel Congresso di Roma, in «La Roma del Popolo», 12 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, pp. 217-18).



620 Ai rappresentanti gli artigiani ecc. cit.



621 «La Roma del Popolo», 5 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 215).



622 «Serietà quanta è possibile nel congresso e non appiglio a intervenire agli agenti governativiscrive Mazzini nelle Avvertenze pel Congresso, accluse ad una lettera per Dagnino di martedí, ottobre '71. – Riservare un po’ piú d’espressione alle simpatie politiche al pranzo di congedo... Il primo brindisi del pranzo sia a Roma e alla speranza che dalla città salvatrice dell'onore d'Italia nel 1849 venga la scintilla iniziatrice della nuova vita italiana» (Cenni biografici ecc. cit., a proemio del volume XVI di SEI, p. XCVII).



623 Ai rappresentanti gli artigiani ecc. cit.



624 Foglio repubblicano diretto da Domenico Barilari.



625 Ciò che è confermato dal corrispondente romano della «Nazione», novembre 1871, che raccoglie i «si dice» sulla probabile tranquillità e moderatezza del congresso. «Se però accadesse il contrario, posso garantirvi che è già stato formulato e deciso dal governo di non tollerare il piú piccolo eccesso».



626 «La Roma del Popolo», 28 settembre 1871.



627 «Il Monitore di Bologna», 24 ottobre 1871.



628 Tale la Società operaia Principe Umberto di Roma e la Società generale di mutuo soccorso fra gli operai in Milano («Il Monitore di Bologna», 26 ottobre, 2 novembre 1871).



629 L'Internazionale svizzera; L'Internazionale, in «La Roma del Popolo», 14, 21, 28 settembre 1871 (SEI, vol. XVII, pp. 97-122).



630 Forse l'idea di rispondere a Mazzini gli venne suggerita da Vincenzo Pezza, che il 15 ottobre si recò presso di lui.



631 Cfr. il diario di Bakunin dal 18 al 28 ottobre pubblicato dal GUILLAUME in Avant-propos alla Circolare (M. BAKOUNINE, (Œuvres, t. VI, pp, 305-422). La pubblicazione integrale di questo scritto non si ebbe che quattordici anni piú tardi, sulle colonne di due giornali anarchici: «Il Piccone», di Napoli e «Il Paria», di Ancona (1885); in seguito fu ristampato come opuscolo, ed è conosciuto per lo piú sotto il titolo di Il Socialismo e Mazzini. Non son riuscito a procurarmi l'opuscoletto Agli operai delegati al Congresso di Roma, firmato da un gruppo di internazionalisti e stampato a Napoli, che conteneva appunto il citato riassunto. Ma l'intero manoscritto di Bakunin, anche se non stampato, poté esercitare non poca influenza, in quanto che lo si fece circolare fra gli internazionalisti, intermediari Carmelo Palladino a Napoli, Vincenzo Pezza a Milano.

Quando Engels, a Londra, ricevette copia dell'opuscolo riassunto, lo credette opera di Cafiero, allora concorde col Consiglio generale dell'Internazionale; e lo lodò incondizionatamente, dichiarando che avrebbe potuto sottoscriverlo in ogni sua parte. Né dovette rimaner troppo compiaciuto quando il Cafiero, con lettera in data 29 novembre, lo avvertí: «Ma egli è con Bakunin che voi dovreste congratularvi e non con me...» (Carteggio di Engels cit.).

È interessante constatare come l'opuscolo e il manoscritto stesso vennero subito utilizzati dalla stampa internazionalista italiana. La società operaia L'emancipazione del proletario inviò un manifesto agli artigiani del Piemonte (senza data; pubblicato da «L'Unità italiana e Dovere», dicembre 1871) invitandoli a non lasciarsi trarre in inganno dai mestatori. «Sapete a che mira la mazziniana autorità direttrice centrale di Roma? A riunire nelle mani di cinque o sei politicanti le forze di cui dispongono gli operai italiani, per servirsene in tentativi di sostituire al sistema, che oggi governa l'Italia, il regno della borghesia. Vogliono separarvi dai vostri fratelli di Francia, d'Inghilterra, di Spagna, di Germania, di Russia e d'America; vogliono fare dell'Italia una specie di Cina, difesa da una muraglia teologica; vogliono isolarvi per dominarvi a loro voglia!... Vi vogliono ingarbugliare! Pane e lavoro sia il vostro grido. In guardia!» L'imagine piuttosto peregrina della muraglia teologica è evidentemente suggerita da un passo di Il Socialismo e Mazzini in cui Bakunin accusa il suo avversario di voler innalzare intorno all'Italia «un muro non cinese ma teologico, per isolarla da tutto il mondo» (Il Socialismo e Mazzini cit., p. 10).



632 Bakunin sapeva benissimo che questa insinuazione, giustificatissima riguardo alla borghesia italiana in genere, era, riguardo a Mazzini, non altro che una stolta calunnia.



633 Anche Cafiero, allora in comunicazione col Consiglio generale di Londra, era d'opinione che bisognasse concentrare a Roma tutte le forze internazionaliste, per fronteggiare l'offensiva mazziniana (Lettera a Engels, 18 ottobre 1871, in Carteggio di Engels cit.).





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