Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Nello Rosselli
Mazzini e Bakunin

IntraText CT - Lettura del testo

  • Indice dei nomi
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Indice dei nomi

Abba, Giuseppe Cesare

Abello, Giuseppe

Acampora

Accarini, Italo

Afflitto, d'

Alagna

Aldovrandi

Alessio

Alighieri, Dante

Allegrini

Amadio

Andreotti, A.

Angiolini, Alfredo

Antonelli, Giacomo, cardinale

Aprile

Arisi

Armando, vedi Cafiero, Carlo

Armirotti

Ashurst, Emilia

Asproni, Giorgio

Assing, Ludmilla

Astengo, Gerolamo

Atanasio

Ayassa

 

Bagnagatti

Bagnasco, Rosario

Bargoni, Angelo

Barilari, Domenico

Battaglia

Bavetti

Bazzoni, Guido

Bebel, August Friedrich

Becker, Johann-Philipp

Beghelli

Bellasio

Bellerio

Bernasconi, Francesco

Bernstein, Eduard

Bertagnoni, Luigi

Bertani, Agostino

Bertarelli, Achille

Berti-Calura

Bertolini

Besso

Bezza, R.

Bezzi, Egisto

Bianchi, Giuseppe

Bignami, Enrica

Bignami, Enrico

Billia, Antonio

Bismarck-Schönhausen, Otto, principe di

Bizzoni, Achille

Blanc, Jean-Joseph-Charles-Louis

Boccardo

Bodio, L.

Boldrini, Stefano

Boldrini, Vincenzo

Bolis

Bonghi, Ruggiero

Bora

Borbone, famiglia reale

Bottero, M.

Bovio, Gennaro

Bramante, Giuseppe

Bresca, G. N.

Brocchi

Broglio

Bruno T.

Büchner, Ludwig

Burbero, vedi Pezza, Vincenzo.

 

Cabrini

Cadorna, Raffaele

Cafiero, Carlo

Cagiati

Calfapetra

Cambray-Digny, Luigi Guglielmo, conte di

Campanella, Federico

Cannonieri

Cantelli, Girolamo

Cantú, C.

Caporusso, Stefano

Caratti

Carducci, Giosue

Carpi, Leone

Casaccia, Felice

Casalini

Castellazzo, Luigi

Castelli

Cattaneo, Carlo

Cavallotti, Felice

Cavour, Camillo Benso, conte di

Cerretti, Celso

Cesare, de

Cesarini

Charletty

Chiala, Luigi

Chiapparo, Luigi

Chiesi, G.

Ciampoli

Cienio, Calogero

Ciminino

Cirma

Cironi, Piero

Codignola, Arturo

Cognetti de Martiis, Salvatore

Coletti, Francesco

Condurelli, Natale

Conte, Angelo

Contento

Corbetta

Corradini, C.

Cossa

Costa, Andrea

Covelli, Emilio

Cozzi, Giuseppe

Cremer, William Randal

Crispi, Francesco

Cuno, Theodor

 

Dagnino, Felice

D'Amico

Dassi

De Boni, Filippo

De Gubernatis, Angelo

De Luca

Depretis, Agostino

Di Lucca, Sebastiano

Diotajuti

Di Serio

Dolfi, Giuseppe

Domanico, G.

Donati

Dragomanov, M.

Dramis

Dupont, Eugène

Dutton

 

Eandi, Giuseppe

Ellena, V.

Engels, Friedrich

 

Fanelli, Giuseppe

Fano, Enrico

Fava, Siro

Fenicia, S.

Ferrari, Giuseppe

Feuerbach, Ludwig Andreas

Fichte, Johann Gottlieb

Filipperi, B.

Filopanti, Quirico

Fontana, F.

Fontanelli

Fontenelle, Bernard Le Bovier de

Forte, Francesco

Franceschi

Francesco V d'Austria-Este, duca di Modena e Reggio

Franchetti, Leopoldo

Franchi, Ausonio

Franchini, Francesco

Frapolli, Lodovico

Fratti, Antonio

Friscia, Saverio

 

Gabelli, Aristide

Gambuzzi, Carlo

Gandolfi, M.

Garelli, Alessandro

Garibaldi, Giuseppe

Garibaldi, Ricciotti

Geimonat, Paolo

Geisser

Giannelli, Andrea

Giannini

Giarelli, F.

Gioberti, Vincenzo

Giorgina

Giuliozzi

Giustiniani

Gnocchi-Viani, Osvaldo

Grassi, Gaetano

Grilenzoni

Grispigni, F.

Guerrazzi, Francesco Domenico (recte Temistocle)

Guesde, Mathieu Basile, detto Jules

Guillaume, James

 

Hegel, Georg Wilhelm Friedrich,

Heng

Herzen, Aleksandr Ivanovič

Howell, George

Hugo, Victor-Marie

 

Irani

 

Jacini, Stefano

Johannard, Jules

Joukovskij, vedi Žukovskij

Jung

 

Lafargue, Paul

Lama

Lanza, Giovanni

Laplace, Carlo

Lassalle, Ferdinand

Laveleye, de

Le Lubez

Lemmi, Adriano

Leoncavallo, Leone

Leroux, Pierre

Lessona, Michele

Levi, Alessandro

Locle

Lombroso, Cesare

Lo Savio, Nicolò

Lovari, Oreste

Luigi Napoleone, vedi Napoleone III.

Luzio, Alessandro

Luzzatti, Luigi

 

Macchi, Mauro

Magrini

Maineri

Malatesta, Errico

Malon, Benoît

Manes-Rossi

Manfredi, F.

Manganelli

Mangoni

Manini, fratelli

Manini, Angelo

Manna, Giovanni

Marcora, Giuseppe

Marescotti

Mariano

Marini, Ludovico

Mario, Alberto

Mario, Jessie Meriton White

Marius

Marselli, Nicola

Martello, Tullio

Martinati, Antonio

Martinelli

Martino, de

Martuscelli, Enrico (Elvio)

Marx, Karl

Masi, M.

Mazzatinti, G.

Mazzoni, Giuseppe

Mayer

Michels, Roberto

Mileti, R.

Minghetti, Marco

Minuti, Luigi

Mistrali

Moleschott, Jakob

Molmenti, P. G.

Moneta, Alcibiade

Montanari

Montanelli, Giuseppe

Montel, de

Mora, Francisco

Morelli

Morpurgo

Mosto

Mrozkowski

Murat, Luciano

 

Nabruzzi, Lodovico

Napoleone III, imperatore dei Francesi

Narratone, Domenico

Nathan, Ernesto

Nathan, G.

Natta, Francesco

Nettlau, Max

Niccoli

Nusperli

 

Odger, George

Ogarëv, Nikolaj Platonovič

Olivieri

Omnis, Vincenzo Brusco

Orilla

Orsini, Angelo

Orsini, Felice

 

Paini

Pais-Serra, Francesco

Palladino, Carmelo

Pallavicino, Giorgio

Panciatichi, Pompeo

Panizza

Pantaleo

Pantano, E.

Parola, Luigi

Passano, da

Péchard, vedi Regis V.

Pedretti

Perelli, Gaetano

Perino

Perla, P.

Peruzzi, Ubaldino

Pescatori, Erminio

Pestalozza, A.

Petroni, Giuseppe

Petruccelli della Gattina

Pezza, Vincenzo

Piazzesi

Piccardo

Piccini, Francesco

Piccinini, Francesco

Piccio, G.

Piccioli-Poggiali, Lorenzo

Pigorini

Pisacane, Carlo

Piscopo

Pomelli, Giuseppe

Potter, George

Pozzi

Préaudeau, M. de

Prina, Giuseppe

Procaccini

Proudhon, Pierre-Joseph

 

Quadrio, Maurizio

 

Rabbeno

Rae

Raimondi, Giacomo

Rangoni, Luigi

Rattazzi, Urbano

Ravà

Ravizza

Regis, V.

Resta

Restelli, F.

Revel

Ricasoli, Bettino

Ricci, Filippo

Ricciardi, Giuseppe

Richard, Albert

Richards

Riggio

Robecchi, Levino

Romagnosi, Gian Domenico

Romanelli, A.

Rossetti

Rossi, Carlo

Rossi, vedi Marius.

Rota, Pietro

Rotondi, P.

Ruffo di Bagnara, Fabrizio

Rusconi, Carlo

 

Sacchi, G.

Saffi, Aurelio

Saffi, G.

Salvatella

Sanguinetti, Paolo

Sanmito, Mario Aldisio

Sartirana

Savi, Filippo Bartolomeo

Savonarola, Girolamo

Sbarbaro, Pietro

Schettino

Schiff, Ugo

Schultze-Delitzsch, Hermann

Sebastiano

Sella, Quintino

Setacci

Siccoli

Silva

Silvani, Silvano

Sineo

Socci, Ettore

Solustra

Sonnino, Sidney

Sorge, Friedrich Albert

Spadoni, A.

Stampa, Gaspare

Stansfeld

Statuti, Michelangelo

Stefanoni, Luigi

Steffenone, Vincenzo

Suzzara-Verdi, Paride

 

Tallinucci

Tamagno

Tanari

Tavassi, Francesco

Terzaghi, Carlo

Thiers, Marie-Joseph-Louis-Adolphe

Tivaroni, Carlo

Tivoli, Giuseppe

Tommasi, Salvatore

Torrigiani

Traini

Trevellini, L.

Trezza

Tucci

Tucci, Cristiano

Tucci, Giuseppe

Turchi, P.

Tuveri

 

Valentini

Valzania, Eugenio

Vannucci

Venturi, Carlo

Venturi, Emilia

Verratti

Viganò

Villari, Pasquale

Virgilio, Jacopo

Visconti, ditta

Vittorio Emanuele II, re d'Italia

 

Wolff, Luigi

 

Ximenes

 

Zamperini

Zanardelli, Tito

Zannoni

Zoccoli, E.

Žukovskij

Zuppetta, Luigi



Statistica del Regno d'Italia. Popolazione. Parte I: Censimento generale (31 dicembre 1861), per cura della Direzione della statistica generale del regno, Firenze 1867 [d'ora in poi Censimento generale, 31 dicembre 1861].

MORPURGO, La statistica e le scienze sociali, Firenze 1872, pp. 268 sg.

Potrei qui citare alcuni di quegli studi regionali sull'agricoltura, pubblicati fra il 1860 e il 1875, dei quali mi son valso per farmi una idea meno imprecisa della questione. Ma è piú semplice rimandare il lettore al volume del NICCOLI, Saggio storico e bibliografico dell'agricoltura italiana dalle origini al 1900, Torino 1902, che tutti li elenca.

Roma 1876.

Ad Agostino Bertani va il merito di avere, tra i primi in Italia, additato l'importanza e la gravità della questione sociale nelle campagne. Ecco quanto scriveva sul primo numero della «Riforma», da lui fondata (1866): «Se l'operaio delle città ha saputo in gran parte redimersi dalle antiche miserie e farsi valere per sua propria virtú, non aspettiamo indifferenti che i contadini, schiavi della fame e del lavoro, ci chieggano severo conto dell'abbandono in cui, dopo tante innovazioni, furono lasciati. Bisogna una volta uscire da codesto egoismo borghese, che ha già sconvolto altre Nazioni, e, quel che piú monta, ha soffocato nel sangue i reclami del popolo, a volta a volta blandito e tradito. La questione sociale se non venga posta come dovere, verrà imposta come necessità».

Parole profetiche quando si pensi a quel che avvenne in Italia, poco piú di due anni dopo, nel 1869. La discussione alla Camera sul progetto Bertani per la inchiesta agrariafirmato da una cinquantina di deputati – si svolse il 7 giugno 1872. Il progetto venne approvato. Ma i lavori dell'inchiesta si iniziarono solo nel 1876. Se ne raccolsero i risultati in ventidue grossi volumi, dedicati allo studio delle singole regioni. L'ultimo volume contiene un prezioso Indice sinottico-analitico (Roma 1881-86). Il senatore Jacini, presidente della commissione, dettò una Relazione finale, pregevolissima, della quale deve assolutamente tener conto anche oggi chi voglia capire il nostro problema agricolo.

Editi in uno stesso volume a Firenze, 1875.

Torino 1874.

Ecco, in riassunto, i dati forniti dal Garelli solo per alcune regioni italiane e solo per alcune categorie di lavoratori agricoli.

PIEMONTE: a) bovari (salariati fissi cui è affidata la coltivazione d'un podere), L. 320-350 annuali (parte in viveri, parte in denaro) piú alloggio e altri piccoli diritti; b) servi di campagna (braccianti assunti a giornata), L. 0,75-0,85 al giorno, d'inverno; L. 1,00-1,50 nelle altre stagioni; servi di campagna, assunti per un anno, L. 50-130 piú alloggio e vitto; c) risaiuoli, salario annuo massimo L. 400 di cui L. 60 in denaro.

LOMBARDIA (territorio della bassa Lombardia): a) famigli, circa L. 160 all'anno piú il vitto; b) garzoni, L. 60 piú vitto e alloggio; o L. 100 senza alloggio; c) giornalieri fissi, L. 0,40 al giorno d'inverno, 0,60-0,70 d'estate, piú il vitto; d) giornalieri avventizi, guadagnano d'estate fino a L. 3,00 il giorno, ma restano lungamente disoccupati.

VENETO: braccianti, da L. 0,65 a L. 0,75 il giorno, d'inverno e L. 1,00, d'estate.

AGRO ROMANO: a) pecorai, L. 7,50-10,00 al mese; b) contadini (contratto annuale, vivono nelle tenute nei mesi salubri), L. 50 al mese, d'estate e L. 40 nei mesi d'inverno.

ABRUZZI, MOLISE, PUGLIE, BASILICATA, CALABRIE: a) braccianti delle regioni montuose, L. 0,50 al giorno piú il vitto; b) bifolchi (contratto annuale), circa L. 300, parte in natura e parte in denaro; pecorai, circa L. 260 annue in generi diversi.

AGRO DI BRINDISI: L. 0,83-1,27 al giorno.

CAPITANATA: a) massari (cui è affidato il bestiame), L. 1,00 al giorno; b) giornalieri (lavorano circa 60 giorni all'anno), L. 2,00 al giorno.

SARDEGNA: braccianti, L. 2,00-2,42 al giorno (soffrono lunghi periodi di disoccupazione).

Anche tenendo conto della svalutazione avvenuta nella moneta in questi ultimi cinquant'anni, e specialmente dopo la guerra, è evidente che con quei salari il livello di vita dei lavoratori agricoli doveva essere disastroso.

Qualche dato sui salari dei braccianti lombardi, prima del 1860, si può trovare in una memoria pubblicata da P. ROTA in «Annali di Statistica», 1885, vol. XIV.

Il Lanza, presidente del Consiglio, avanzò qualche riserva su questo quadro cosí pessimista; certe miserie, certe ingiustizie sono inerenti all'assetto della società e «farebbe cosa imprudente colui, e massime l'uomo di Stato, il quale affermasse a priori di poter rimediare. Dar siffatte lusinghe ai sofferenti è un voler esacerbarne anziché lenirne i dolori... Il modo piú efficace per migliorare le condizioni della classe proletaria è quello di favorire, quant'è possibile, il progresso della ricchezza e del lavoro».

Forse Bertani esagerava nel suo pessimismo; ma il suo pessimismo lo portava alla sensazione che bisognasse ad ogni costo provvedere ad alleviare i mali del proletariato agricolo. L'ottimistica rassegnazione portava invece il Lanza a disinteressarsi, in pratica, del problema. Rendiconti del Parlamento italiano, Discussioni, Sessione del 1871-72, vol. III, pp. 2640 sg.

Relazione finale sui risultati della Inchiesta agricola, Roma 1884, pagine 18-28.

Nel 1913: 872598.

Leone Carpi, che fu dei primi a volgere la sua attenzione di studioso al fenomeno dell'emigrazione, scriveva nel 1874: «Dopo il 1862 il contadino napoletano riconobbe quanto meschina fosse la vita che gli era concessa dalla ordinaria mercede di cinquanta o sessanta centesimi al giorno. Egli senti piú vivamente tutte le sofferenze del proprio stato, e, venutagli meno l'usata rassegnazione, non esitò ad abbandonare questa Italia matrigna per correr dietro al fantasma di una sorte migliore» (Atti del Comitato della Inchiesta industriale. Riassunti delle deposizioni orali e scritte, Firenze 1874, al paragrafo Quesiti generaliEmigrazione, p. 21 [d'ora in poi Inchiesta industriale, 1874]). Dello stesso CARPI, cfr. Della emigrazione italiana all'estero, Firenze 1871, e Delle colonie e dell'emigrazione degl'italiani all'estero, Milano 1874. Cfr. anche il classico lavoro di F. COLETTI, Della emigrazione italiana, in Cinquant'anni di vita italiana, Milano 1911, vol. III, pp. 1-284.

Statistica del Regno d'Italia. Società di mutuo soccorso. Anno 1862, per cura del ministro di Agricoltura Industria e Commercio, Torino 1864.

Tolgo le cifre riguardanti la istruzione, dal Censimento generale, 31 dicembre 1861 cit.; Statistica del Regno d'Italia. Istruzione elementare pubblica per Comuni. Anno scolastico 1862-1863, Modena 1864.

Cfr. inoltre L. BODIO, Di alcuni indici misuratori del movimento economico in Italia, 2a ed., Roma 1891, pp. 16-19; M. MASI, Istruzione pubblica e privata, in Cinquant'anni di storia italiana, per cura della Reale Accademia dei Lincei, Milano 1911, vol. II, pp. 1-78; L'Istruzione primaria e popolare in Italia, relazione presentata al ministro della Pubblica Istruzione da C. CORRADINI, Milano 1910.

Nel 1911, gli abitanti che sapevano leggere erano 18322866 su una popolazione totale di 34671377. La proporzione degli analfabeti, in cinquant'anni, calava dai quattro quinti a meno della metà della popolazione. (Censimento al 10 giugno 1911, Roma 1914, vol. III).

Al gennaio 1908, le sole scuole elementari diurne pubbliche erano 63618; 22 per kmq.

Nel 1908 questa condizione di cose era molto mutata: il Piemonte aveva 2,64 scuole per ogni 1000 abitanti; la Sicilia 1,55; la Sardegna 1,80; la Calabria 1,47.

Nel 1908 il Piemonte saliva a 422 scuole ogni 1000 kmq, ma la Sicilia a 222, la Sardegna a 57, l'Umbria a 164.

Il principio dell'istruzione obbligatoria allora non era a tutti bene accetto. Il CANTÚ, per esempio, nel suo Portafoglio d'un operaio, Milano 1872, scriveva: Voi [operai] vorreste «obbligare il Governo a dare scuole a tutti, e tutti obbligare a mandarvi i loro figliuoli... Dio vi scampi da questa tirannia che varrebbe a soffocare i grandi talenti, a ridurre tutti a non sapere che le medesime cose» (p. 105). Idee analoghe espresse il deputato Martinelli: «Con l'istruzione obbligatoria si toglie ai genitori il conforto del merito e della riconoscenza, s'indebolisce il sentimento del loro dovere e il prestigio della loro autorità, si cade nell'odioso, nel vessatorio, nell'impossibile» (Dell'istruzione popolare, Torino 1864, p. 373).

Ciò si rileva da tutte le fonti che verrò via via citando e specialmente dagli otto volumi di Inchiesta industriale, 1872-74; inchiesta che, nonostante la incompiutezza delle indagini eseguite e dei resultati raggiunti, rimane pur sempre un saggio di buona volontà e costituisce una preziosa raccolta di materiale. Cfr. anche GEISSER e MAGRINI, Contribuzione alla storia e statistica dei salari industriali nella seconda metà del secolo XIX, in «Riforma sociale», novembre 1904, pp. 705 sg.

Il 30 luglio 1860 i muratori di Torino dichiarano lo sciopero per ottenere una diminuzione nell'orario di lavoro. Intervenuta l'autorità, si stabilisce il seguente accordo: in estate, massimo di 12 ore, nelle altre stagioni, lavoro dal sorger del sole al calar della notte («La Gazzetta di Torino», 31 luglio 1860. GEISSER, op. cit., p. 875).

Ai primi di ottobre del 1861, i falegnami e stipettai genovesi si agitano per la conquista delle 10 ore («La Nazione», 11 ottobre 1861). Nel novembre dello stesso anno, e sempre a Genova, i lavoranti fornai chiedono le 13 ore di lavoro («L'Unità italiana», 15 novembre 1861).

Sulla fine di gennaio del 1863, gli ebanisti, falegnami e muratori di Torino si mettono in isciopero per ottenere un aumento nei salari. Questo vien loro concesso, ma l'orario di lavoro vien portato a 14 ore giornaliere («L'Unità italiana», 30 giugno 1863).

Nel gennaio 1864 gli operai vermicellai di Nervi, che lavorano 14 ore al giorno, inviano una circolare ai proprietari di fabbriche per ottenere le 10 ore («Il Giornale degli Operai», Genova, 24 gennaio 1864). Potrei citare molti altri esempi.

Non posso qui riprodurre tutte le notizie che ho pazientemente raccolto sui salari operai. Né posso rimandare il lettore a qualche studio completo sull'argomento, che non esiste. Si vedano tuttavia, oltre l'opera citata del Geisser e l'articolo del Rota, i volumi della Inchiesta industriale (piú utili però per gli anni posteriori al 1870), il lavoro di G. NATHAN, La rimunerazione del lavoro delle donne in Italia, Neuchâtel 1877, quello di V. ELLENA, La statistica di alcune industrie italiane, 2a ed., Roma 1880, alcuni dati raccolti in «Annali di Statistica», serie IV, vol. XXVI, Roma 1888. In queste opere si trovano citati altri lavori di carattere piú speciale. Molte notizie si trovano consultando le collezioni dei giornali operai o dedicati agli operai, che citerò via via. Si possono anche utilmente consultare le relazioni sulla attività di qualche nucleo operaio (cappellai, tipografi, sarti, ecc.) che verranno anch'esse citate nel corso di questo lavoro.

Seguo per questa ricerca il già citato Geisser. Un tentativo analogo, ma per gli anni seguenti al 1871, era già stato fatto in «Annali Stat. it.», Roma 1904, p. 360.

Dalle cifre che ho sott'occhio ricavo appunto questo approssimativo salario medio per i tessili dell'alta Italia.

Ann. Stat. it.», 1900, p. 551.

Questo calcolo ha un valore soltanto approssimativo. Com'è noto, in molti luoghi d'Italia il granoturco sostituiva allora e sostituisce oggi in parte il frumento. Il granoturco nel 1862 costava L. 19,91 al quintale. Per quanto mi sappia, l'unico tentativo, grossolano fin che si vuole, ma pur sempre interessante, di ricostruire il bilancio operaio intorno al 1861 è quello che in vari numeri de «L'Unità italiana», Milano, dicembre 1861, fece Gaetano Perelli. Nei suoi articoli intitolati Alimenti degli operai, il Perelli prese a base un guadagno 20 e ne calcolò cosí l'impiego: 8 per il vitto, 3 per la pigione, 3 per l'educazione dei figli, 3 per vestiti e spese di casa, 1 per spese straordinarie, 1 per risparmio, 1 per passatempi. Fissò a due lire il salario medio giornaliero degli operai, avvertendo che, in base alle sue ricerche, gli pareva di «avere esagerato in piú». Dunque L. 600 all'anno; delle quali L. 240 ossia L. 0,65 al giorno venivano assorbite in spese per alimenti (e postillò: «chiunque compera attualmente commestibili, sa quanto sia meschino questo giornaliero stipendio per comperare un conveniente nutrimento»). Le restanti 360 si suddividevano cosí: L. 90 per la pigione e per il vestiario; altrettante per l'educazione dei figli; 30 per spese straordinarie, 30 per risparmi e 30 per passatempi.

Il calcolo del Perelli, interessante senz'altro perché compiuto da un contemporaneo, presenta evidenti difetti; arbitraria e inverosimile è la suddivisione delle spese nel bilancio, troppo elevato il salario assunto come medio; nonpertanto ci un'idea della realtà, che se mai pecca, a parer mio, di soverchio ottimismo.

Op. cit.; GEISSER e MAGRINI, op. cit., pp. 806-9.

Delle statistiche successive, pubblicate nel 1875 e nel 1880, la prima si limita a indicarci il numero delle società sorte fra il 1848 e il 1861, che sussistono ancora nel 1875 e non ci permette di sapere quante sono sorte prima dell'unità nazionale e quante nel biennio 1860-61. La seconda ci notizie piú precise, ma è evidente che solo la minima parte delle società anteriori al 1859 sussisteva nel 1880: essa novera 14 società fondate anteriormente al 1850 in tutta l'Italia, escluso il Piemonte; 15 fra il 1850 e il 1859.

Si avverta che la Statistica riguarda anche alcune società di mutuo soccorso fra bottegai, professionisti, e altre categorie non operaie; le cifre che riporto si riferiscono esclusivamente alle società operaie.

Per iniziativa dell'operaio tipografo Vincenzo Steffenone.

Prima ancora della costituzione della Società i tipografi torinesi avevano stipulato una tariffa di lavoro con i proprietari, che fissava lo stipendio minimo settimanale in L. 16. Con la tariffa del 1851, si fissava l'orario di lavoro a dieci ore, la retribuzione a L. 0,40 l'ora (T. BRUNO, La Federazione del libro nei suoi primi cinquant'anni di vita, Bologna 1925, pp. 22 sg.).

S. FENICIA, La cooperazione in Piemonte, Torino 1901, pp. 8 sg.

La Statistica del 1880 concorda con quella precedente per il numero di società fondate fino al 1849. Fra il '50 e il '53, ne registra invece solo 50.

S. FENICIA, op. cit., pp. 8 sg.

Questi congressi sono stati ingiustamente dimenticati dagli studiosi del movimento operaio. Io avrò occasione di parlarne piú diffusamente in una piccola monografia di prossima pubblicazione. Notizie su di essi sono difficilmente rintracciabili. Piú a lungo di tutti ne trattò il MACCHI in uno studio su Le associazioni operaie di mutuo soccorso, apparso nella «Rivista contemporanea», marzo 1862. Ho consultato inoltre il Sunto degli atti del II Congresso generale delle società degli operai dello Stato tenutosi in Alessandria nel 1854, gli Atti del VI Congresso generale delle società operaie tenutosi in Vercelli, 1859, e una serie di giornali che va dall'«Italia e Popolo», Genova, alla «Gazzetta di Genova», al «Vessillo della libertà», Vercelli, alla «Gazzetta piemontese», Torino, ecc.

Riassumo qui l'attività dei singoli congressi.

Congresso di Asti (17-19 ottobre 1853): discussioni su l'istruzione degli operai – sulla fondazione di un giornale operaio – sul trattamento reciproco tra i membri delle varie società di mutuo soccorso.

Congresso di Alessandria (ottobre 1854): discussioni sulla opportunità di fondare una Società manifatturiera agricola e commerciale con capitale raccolto dagli operai – sulla istituzione dei comitati di previdenza (cooperative di consumo) – sulla costruzione di case per le classi lavoratrici – sull'istruzione degli operai – sul miglior mezzo per soccorrere i soci impotenti al lavoro per malattia o per vecchiaia – su una Esposizione industriale da aprirsi ogni anno in occasione e nella sede del congresso.

Congresso di Genova (23-25 novembre 1855): discussioni sul modo di diffondere l'istruzione tra le classi operaie – sul riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso – sulla possibilità di diffondere il mutuo soccorso operaio in tutte le province d'Italia – sull'abolizione del titolo soci onorari – sull'istituzione del giurí nelle controversie fra operai e datori di lavoro.

Congresso di Vigevano (1856): discussioni sulla convenienza di accettare erogazioni fatte dal governo alle società di mutuo soccorso – sull'istruzione degli operai.

Congresso di Voghera (settembre 1857): non sono riuscito a trovare resoconti. È rammentata soltanto una discussione sull'opportunità di ammettere la fondazione di società operaie confessionali.

Congresso di Vercelli (2-4 ottobre 1858): discussioni sull'opportunità di presentare una petizione al Parlamento perché venga resa obbligatoria l'istruzione elementare – sulla durata del lavoro – sulla cooperazione di consumo – sulla unificazione delle società operaie – se sia conveniente che le società operaie si costituiscano in comitati elettorali in occasione delle elezioni e si mettano in relazione con la Società nazionale.

Congresso di Novi (ottobre 1859) discussioni sull'opportunità di federare le società operaie piemontesi con le altre sorte o in via di formazione nel resto d'Italia – sulla cooperazione di consumo – sulla definizione giuridica del lavorodiscussioni di carattere politico.

Sunto storico presentato all'Esposizione Nazionale di Torino, 1884, sulle società operaie di Torino, e S. FENICIA, op. cit.

CASALINI, Cenni di storia del movimento cooperativo in Italia, Roma 1922, p. 47.

Non ne conosciamo il numero perché gli studiosi del fenomeno cooperativo, non considerando questi spacci come vere e proprie cooperative, sibbene come una branca del mutuo soccorso, non li compresero nelle statistiche della cooperazione.

Statistica del 1880 cit.

In realtà Savona che però non è “provincia” tra il 1859 e il 1927 [nota per l’edizione elettronica Manuzio]

RABBENO, Le società cooperative di produzione, Milano 1889, pagine 280 sg.

Sulle preoccupazioni delle classi dirigenti piemontesi di fronte al lavorio dei repubblicani per sobillare l'elemento operaio, cfr. una lettera di Cavour ad Angelo Conte, del 4 luglio 1858 (L. CHIALA, Lettere edite ed inedite di Cavour, Torino 1887, vol. VI, p. 2445).

Sarebbe utilissimo raccogliere e studiare tutti i giornali operai che nacquero in Piemonte dopo il 1848. Io ho potuto consultare tre fogli genovesi: «Il povero», trisettimanale, sorto il 14 maggio 1851, «Il lavoro», settimanale, dal 4 settembre 1852, «Associazione, Lavoro», settimanale, dal marzo 1853. Qualche giornale operaio era stato fondato anche in altre regioni d'Italia. A Milano, per esempio, nel 1848, avevano veduto la luce «L'Operaio», «La Politica per il Popolo», e «L'Operaio galantuomo».

Sul significato di socialismo e di comunismo essi, e non soltanto essi, avevano idee tutt'altro che chiare. Cfr. ad esempio: «La Giovane Italia», almanacco per il 1862, Bologna 1861, p. 25; «Il Conservatore», mensile, anno I, Bologna, febbraio 1863, maggio 1863; «Il giornale degli Operai», Genova, 13 agosto 1865; CAGIATI, De' rivolgimenti contemporanei in Italia, Roma 1867, pp. 45, 92, 104; S. COGNETTI DE MARTIIS, Gli studi economici in Italia, Bari 1869, p. 40; FONTANELLI, Manuale popolare di economia sociale, Firenze 1870; MAINERI, Le stragi di Parigi del 1871 ecc., Milano 1871, vol. III, pp. 45, 428; «L'Alleanza», Bologna, 3-9 dicembre 1871; REVEL, Il libro dell'operaio, Torino 1872, p. 93; ALAGNA, Il vero diritto sociale, Roma 1872, pp. 21, 36; CANTú, Gli ultimi trent'anni, p.123.

Per citare un solo dato, le scuole elementari, che erano, nel 1861, 28524 con 1008672 alunni, salirono, nel 1866, a 31117 con 1217870 alunni; nel 1870 (comprese quelle della Venezia) a 38300 con 1577654 alunni; nel 1872 a 39398 con 1745467 alunni, piú 14152 scuole serali e festive con 524532 alunni (Documenti sulla istruzione elementare nel Regno, Firenze 1868-72, passim).

Documenti del primo placidissimo interessamento della borghesia italiana per le classi lavoratrici, sono i concorsi, abbastanza frequenti, che vennero banditi su argomenti inerenti alla questione operaia. Rammenterò i premi istituiti nel 1863 dalla Commissione centrale di beneficenza amministratrice della lombarda Cassa di risparmio per le società operaie meglio costituite (premi indetti poi regolarmente ogni anno fino al 1875); il concorso Secco Comneno, bandito dal R. Istituto lombardo di scienze e lettere nel 1865, per una pubblicazione che, tra l'altro, suggerisca il modo «di sovvenire anche alla classe dei semplici coloni ed agricoltori» («Annuario scientifico ed industriale», di F. Grispigni e L. Trevellini, anno I, Milano, p. 528); altri concorsi vengono promossi allo stesso scopo dalla Società agraria di Lombardia nel 1865 (ibid., p. 510); l'Associazione italiana per l'educazione del popolo, Firenze, bandisce nel 1867 un concorso – con premio di L. 5000 – per il miglior libro popolare il quale mostri al popolo che l'uomo può quel che vuole («L'eco dell'Associazione 1848», agosto 1867). Il premio del concorso Ravizza per il 1868, aggiudicato nel 1869, verrà concesso al miglior libro che studi l'ordinamento delle società operaie.

Chi conosce un poco l'argomento e ha sfogliato alcune di quelle pubblicazioni, mi darà atto del senso infinito di noia che prende chi legga le lunghe tiritere sulla igiene dell'operaio, o i doveri dell'operaio o i nobili esempi di disinteresse e di sacrificio proposti all'operaio o certe asfissianti divulgazioni di economia politica, di cui tali pubblicazioni sono infarcite!

Cito due o tre opere piú caratteristiche: MARESCOTTI, Catechismo sulla economia pubblica, Bologna 1861; MANGONI, La civiltà a pro' di tutti ecc., Napoli 1861; PIGORINI, Il libro dell'operaia, Milano 1870; C. CANTú, Portafoglio d'un operaio cit. Ma c'è un'intera biblioteca di trattatelli popolari, redatti in simil guisa, che varrebbe la pena di elencare dal primo all'ultimo e di far conoscere. Vi si troverebbe, non paia azzardata l'illazione, la giustificazione del socialismo!

La Vespa», Firenze, 2 giugno 1864, 10 gennaio 1865. Le citazioni di questo bisettimanale hanno una particolare importanza perché i suoi articoli venivano allora compiacentemente riprodotti dalla stampa reazionaria di tutt'Italia.

Il Conservatore», mensile, anno I, n. 5, Bologna, maggio 1863.

Ibid., luglio 1863.

La Giovane Italia cit., p. 88.

La Giovane Italia cit., p. 86. Cfr. anche «Il Conservatore», maggio 1863.

La Italia disfatta dalla rivoluzione piemontese, Malta 1862, p. 33; La Giovane Italia cit., p. 81. Anche «Il Conservatore», maggio 1863, scrive: «il disordine e l'anarchia saranno la conseguenza inevitabile di una società atea». Cfr. anche «L'Ancora», Firenze, 30 gennaio 1869; «La Civiltà cattolica», 6 maggio 1871.

La Vespa», 2 giugno 1864.

Ibid., 17 giugno 1864.

Ibid., 23 agosto 1864.

Piú d'una volta, come vedremo, negli scioperi degli operai meridionali si ebbe serio motivo di sospettare l'istigazione dei clerico-reazionari.

La legge 20 novembre 1859, tra le altre condizioni che davano diritto al voto politico, stabiliva quella di pagare un annuo censo di L. 40.

I partiti monarchici in Italia, Milano 1878, pp. 40 sg.

Una prova della sordità della Camera italiana in quel periodo di fronte alle questioni del lavoro si ebbe nel 1863, quando l'onorevole Siccoli (garibaldino) interpellò il ministero sulle misure di polizia prese contro alcuni operai falegnami di Torino, che si erano macchiati del delitto di sciopero. Il deputato, commentando il fatto, affermò che la questione grave dell'epoca non era né quella della monarchia né quella della repubblica, ma la questione sociale (rumori, interruzioni). E presentò un ordine del giorno col quale invitava il ministero a presentare un progetto di legge riguardante la formazione di collegi arbitrali per risolvere le divergenze tra operai e datori di lavoro: l'ordine del giorno, respinto dal ministro Peruzzi, non raccolse nemmeno un voto favorevole! (Seduta dell'11giugno 1863).

Era piú democratica la legislazione austriaca che non faceva tra di essi alcuna differenza e, sia che gli uni tentassero imporre ribassi sul salario, licenziando gli operai, gli altri estorcere aumenti, sospendendo il lavoro, comminava le identiche pene. Cfr. Il regolamento sull'industria, in Raccolta di leggi ed ordinanze della Monarchia austriaca, Innsbruck 1884, cap. VI, p. 677.

Dei codici vigenti in Italia prima del 1859, quello parmense puniva l'accordo pacifico fra operai se tendeva a sospendere, impedire o rincarare i lavori senza ragionevole causa; e fra padroni se ingiustamente ed abusivamente costringevano gli operai ad una diminuzione di salario, sempreché l'accordo fosse stato seguito da un principio di esecuzione. Quello toscano colpiva di sanzione penale il solo sciopero violento e non contemplava gli accordi fra datori di lavoro per ribassare il salario.

In Francia, con la legge 27 novembre 1849 si pareggiavano nella pena le coalizioni operaie e quelle padronali. Con la legge 25 maggio 1864 si proclamò la legittimità dello sciopero punendo il solo mezzo violento o fraudolento usato per provocare ribasso o rialzo nei salari o portare attentato al libero esercizio dell'industria o del lavoro.

In Inghilterra, fin dal 1824 si riconosceva la legittimità delle coalizioni. Cfr, Enciclopedia giuridica italiana, Milano 1905, vol. XV, parte I, cap. Sciopero (A. ANDREOTTI).

RABBENO, Manuale dell'emigrazione, Firenze 1901.

Sulla legislazione sociale del tempo, Cfr. CONTENTO, La legislazione operaia, Torino 1901; CABRINI, La legislazione sociale, Roma 1913.

La Statistica del 1880 registra una società sorta nel Napoletano e in Sicilia nel 1860. Evidentemente il compilatore della prima Statistica non aveva potuto raccogliere tutti i dati necessari.

cessò di promuoverne negli anni successivi, come si rileva dai suoi bilanci. Nel 1859-61 le uscite per gli scioperi ammontarono a L. 603; nel 1862 a L. 63; nel 1863 a L. 100; nel 1864 a L. 84; nel 1865 a L. 167 (Origini, vicende e conquiste delle organizzazioni operaie aderenti alla Camera del lavoro di Milano, Milano 1909, p. 257; Unione nazionale mutua miglioramenti d'ambo i sessi [sic] fra i lavoratori in nastri ed affini, Milano, p. 5).

Nel febbraio i tipografi avevano presentato ai proprietari alcune proposte di miglioramenti; in seguito al loro rifiuto di esaminarle, avevano dichiarato lo sciopero (in numero di seicento). L'autorità se n'era vivamente preoccupata, temendo che l'agitazione celasse intenti reazionari; poi, tranquillizzatasi, aveva designato due arbitri per dirimere la controversia. Gli operai intanto costituirono la Società degli artisti tipografi (28 marzo) e, con la promessa da parte dei proprietari di esaminare le proposte, tornarono al lavoro. I proprietari presentarono delle controproposte, che vennero accettate, e che portavano a un piccolo miglioramento di salario; ma poco a poco – profittando della debolezza degli operai – si tornò all'osservanza delle vecchie tariffe. Origini, vicende ecc. cit., p. 129; FEDERAZIONE ITALIANA DEI LAVORATORI DEL LIBRO, Relazione stor. mor. fin. sulla sezione impress. di Milano, Milano 1903, pp. 9 sg.

Il lavoro notturno dei panettieri in Milano, Milano 1907, pp. 27 sg. L'idea non cadde. Negli anni seguenti leghe di questo genere vennero fondate in varie città d'Italia, con lo scopo di garantire un minimum di lavoro a tutti i soci, imponendo i turni di lavoro.

La Gazzetta di Torino», 31 luglio 1860.

Ibid., 21, 29 luglio 1860. Nel quadro di questa vasta agitazione trova posto lo sciopero dei muratori torinesi, anch'esso promosso per ottenere una diminuzione nell'orario di lavoro. Dopo lunghe trattative, i proprietari e gli appaltatori concedono le 12 ore in estate, il lavoro dal far del giorno al calar della notte nelle altre stagioni nonché un piccolo aumento di salario. La statistica e la storia degli scioperi operai scoppiati fra il 1860 e il 1872 non sono mai state fatte. L'«Annuario italiano di statistica» del 1895 (Roma 1906, p. 489) si limita a informarci che essi furono 132 dal 1860 al 1869 e poi 25 nel 1870, 26 nel 1871, 31 nel 1872. Sono precise queste notizie? Non lo sappiamo. Né riusciamo a spiegarci perché mai lo scrittore dell'«Annuario», che per stabilire questi numeri dovette certo eseguire molte e accurate ricerche, abbia trascurato di informarci un poco piú diffusamente su questi scioperi: dove si verificarono? chi li promosse? quale esito ebbero? Io ho compiuto accurate ricerche soprattutto nei giornali del periodo 1860-72 e ho raccolto notizie di oltre cento scioperi. Le pubblicherò in uno studio a parte; limitandomi in questo lavoro ad accennare solo a qualche sciopero piú importante o piú caratteristico.

Per il 1860 ho trovato notizia di 5 scioperi, dei quali 3 a Milano, 1 a Torino e 1 a Livorno.

Quarantasei anni di vita sociale (1860-1906) dell'Associazione generale di mutuo soccorso degli operai di Milano, relazione presentata alla Esposizione internazionale di Milano, 1906, p. 20.

Statistica del 1862 cit.

Questo congresso e i successivi del 1861, '63, '64 sono stati completamente dimenticati dagli studiosi del movimento operaio. Per questo motivo ho creduto opportuno di parlarne un po' diffusamente.

La proposta viene respinta.

Anche questa proposta (formulata nel senso di associar gli operai agli utili e alle perdite dell'azienda) viene respinta, dopo che vari delegati (tra i quali i componenti la Commissione permanente, Geimonat e Astengo di Genova; Vincenzo Boldrini e Mistrali di Milano) han fatto rilevare che, mentre i capitalisti saprebbero sempre celare la cifra effettiva degli utili, gli operai, per la esiguità del loro guadagno, non sarebbero in grado di superare eventuali periodi di crisi dell'azienda. Gli stessi delegati caldeggiano invece l'istituzione dei collegi arbitrali per dirimer le controversie tra capitale e lavoro – o di premi agli operai piú redditizi.

Non restan notizie di questa discussione.

Si discute in particolar modo sul cosiddetto sciopero del lunedí, allora assai diffuso: molti operai, costretti a lavorare anche parte della domenica, prendono il lunedí come giorno di riposo. Il quesito che propone di infligger loro una multa viene respinto: la multa è immorale. Molti delegati fidano nell'istruzione progressivamente diffusa che varrà a persuader gli operai del loro torto; altri invece – fra i quali alcuni operairilevano che non son tanto da biasimare gli operai quanto i padroni che prolungano eccessivamente il lavoro. L'ordine del giorno votato si limita a censurare tale sciopero e a formular voti per la sua cessazione.

Anche di questa discussione non restano notizie.

È l'idea di Mazzini, ma ne discorre un moderato, il Boldrini.

La discussione su questo soggetto è animatissima. Se si chiede l'istruzione obbligatoria ci si preoccupa anche delle condizioni dei padri di famiglia piú miseri che, costretti a mandare a scuola piuttosto che al lavoro i figli, vedrebbero in questa innovazione un lucro cessante. La legge deve provvedere a soccorrerli.

Si delibera anche l'istituzione di un premio di 500 lire destinato al miglior lavoro che verrà presentato sul tema durata del lavoro.

Sono i delegati delle società operaie di Torino, Asti, Biella, Alessandria, Tromello, Sale, Mortara, Meda, Chiasso, Como, Salò e dei tipografi di Milano.

Tolgo le notizie su questo congresso, oltre che dal citato lavoro del Macchi, da alcuni giornali del tempo. E, soprattutto, dai milanesi «L'Unità italiana», «L'Eco dell'operaio», «La Lombardia» nei giorni seguenti alle sedute. Non ho potuto consultare il resoconto ufficiale.

Stampati per la prima volta nell'«Apostolato popolare» di Londra fra il 1840 e il 1843.

La nuova redazione dei Doveri vien pubblicata sull'«Unità italiana» in vari numeri fra il gennaio e il marzo 1860. Ripubblicata in opuscolo a Londra nello stesso anno, viene largamente diffusa in Italia.

Notizie ricavate dalla Statistica del 1862 cit., e quindi incomplete,

La cooperazione di consumo, che già è stata tentata con successo negli anni precedenti, si diffonde gradatamente. Qua e si aprono spacci cooperativi, le società di mutuo soccorso studiano la possibilità di moltiplicarli. Nessuna statistica, però, ci permette di seguire attentamente nei primi suoi passi questo movimento che troveremo fiorente due o tre anni piú tardi.

La Nuova Europa», Firenze, 23 novembre 1861.

L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze della Fratellanza artigiana d'Italia. Cenni storici, Firenze 1911, pp. 35-36.

Il 5 luglio 1861 essa si rivolge per aiuti al Bertani, poiché «componendosi... la detta Società di quasi tutti poveri operai, non possono distrarsi i fondi destinati al mutuo soccorso». Bertani risponde il 10 luglio, avvertendo che le strettezze finanziarie difficilmente potranno permettere la pubblicazione di un giornale. Ad ogni modo spedisce 100 lire a mo' d'incoraggiamento, «nella persuasione che siete voi e che sono io che si fonda cosa ottima promovendo la coltura degli operai». Archivio Bertani, cart. 50, Milano, Museo del Risorgimento. L'iniziativa non ebbe poi seguito. Nell'agosto, invece, iniziò le pubblicazioni, a Milano, la «Gazzetta degli Operai italiani», organo delle società di mutuo soccorso.

A Livorno nell'agosto 1861 e a Lucca nel settembre sorgono due altri Comuni della Fratellanza.

Non pretendo davvero di averne dato un elenco completo.

Il 18 giugno, infatti, benevolmente commentando l'arresto di alcuni fornai scioperanti effettuato a Firenze, scriveva: «Il paese non vuole disordini... Il tempo degli arbitrii e delle violenze è finito per il governo e per la piazza. E arbitrii e violenze di piazza sarebbero questi che si vanno eccitando, sotto insussistenti pretesti, onde scomporre la quiete pubblica... Questi giovani operai non debbono dimenticare che il codice penale provvede severamente a simili licenze».

Statistica del 1862 cit., p. VII.

L'11 marzo si congratula con gli operai livornesi perché hanno protestato contro quanti affermano essere ad essi vietato occuparsi «di politica e di religione, quasi l'operaio non fosse uomo e cittadino, bensí un semplice strumento di produzione» (Lettere di Giuseppe Mazzini alle società operaie d'Italia, scritte nel decennio 1861-1871, Genova 1873, pp. 1-2). L'11 agosto rivolge lo stesso elogio agli operai di Napoli (ibid., p. 2).

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli, 4 fascicoli, Prato 1888-92, p. 178.

Scrive infatti il Giannelli, a mo' di commento alla citata lettera di Mazzini, lamentando che nella Fratellanza siano prevalsi elementi democratici non mazziniani: «Si preferí a noi il Montanelli, il quale era notoriamente un fautore della politica di Luigi Napoleone in Italia!» In effetti, il Montanelli aveva (tra l'altro) parteggiato per la cessione del trono di Napoli a Luciano Murat.

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., p. 180.

Il 14 agosto ha scritto alla Società di Bologna che, qualora il congresso sancisse l'unione di tutte le società, «la potenza dell'elemento operaio sarebbe costituita. La lega del popolo sarebbe fondata». E piú oltre: «Se Dio mi vita oltre il riscatto di Venezia e di Roma, essa sarà tutta consacrata allo sviluppo degli interessi vostri, che sono gli interessi d'Italia. S'ei me la toglie prima, ricordatevi con un po' d'affetto d'un uomo che v'ha sinceramente amati e che ha sperato molto in voi, per la patria, quando nessuno si occupava di voi, della vostra emancipazione e del vostro avvenire» («La Nuova Europa», 31 agosto 1861).

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli, cit. p. 183.

La percentuale dei soci onorari era piuttosto elevata; ma lo era anche – vedremo – in seno alle singole società.

Cfr. elenco completo in «La Nuova Europa», 26 settembre 1861.

Guerrazzi era rappresentante del Comune livornese della Fratellanza artigiana; al cui presidente, ringraziandolo per tale nomina, scriveva sul cadere d'agosto del 1861: «Come voi zelatore della causa e degli interessi del popolo, mi è riuscito di non mediocre consolazione vedere com'egli non mi abbia messo in oblio accogliendomi nel suo seno e confidandomi il carico onorevole di rappresentarlo al Congresso di Firenze» («La Nuova Europa», settembre 1861).

Dieci fra i quesiti politici riproponevano la questione del suffragio universale; l'altro riguardava l'eventualità di una cessione della Sardegna alla Francia e il conseguente atteggiamento da assumersi dalle società operaie.

Caratteristico nella sua ingenuità il quesito presentato dalla Società operaia di Pinerolo: «Dare un ricorso al ministro di Commercio acciocché provveda a che tutti i principali aumentino le paghe agli operai in proporzione del loro guadagno del 20%».

La serie completa dei quesiti venne stampata su «La Nuova Europa», 22 settembre 1861.

L'Unità italiana», Milano, 29 settembre 1861. In generale per la storia del Congresso ho seguito, oltre all'«Unità italiana», «La Nuova Europa» e «La Nazione», e soprattutto gli Atti del IX Congresso degli artigiani d'Italia [Firenze 27, 28, 29 settembre 1861], Firenze 1861.

Nella lettera già citata al presidente della Fratellanza artigiana di Livorno, scriveva: «Voi sapete come sia gelosa cura del governo che le società operaie non assumano nessun carattere politico. Io veramente credo che precipuo loro scopo abbia ad essere procurare lavori, agevolarli, soccorrersi, istruirsi, migliorarsi, provvedere alle disgrazie, alla vecchiezza ed altre necessità: tuttavia, le società operaie non possono né devono essere estranee alla politica».

Lo Sbarbaro mantenne sempre questa sua opinione. Il 27 dicembre 1870 scriveva a Boldrini: «Io ho costantemente sconsigliato alle società di mutuo soccorso di confondersi nelle miserabili contenzioni civili... ho sempre sconsigliato alle nascenti società di mutuo soccorso di mettersi sotto la bandiera politica di Mazzini» («La Roma del Popolo», 15 marzo 1871).

È impossibile – egli dicescindere l'operaio dal cittadino; se a quest'ultimo tutti riconoscono il diritto anzi il dovere di occuparsi delle vicende del proprio paese, come si potrà contrastarlo all'operaio? Ma si dice: libero l'operaio di aderire a quel partito che piú gli aggrada; gli si chiede soltanto di non far della politica nelle associazioni di mestiere (e quindi nei congressi di tali associazioni); ma il povero non ha troppo tempo da spendere; il tempo è moneta per tutti; pel popolo è il solo patrimonio; se gli togliete di favellare di politica nella sola ora di riposo che ha, significa a un dipresso costituirlo vescovo in partibus della politica». La questione economica e la politica non possono scindersi: «se l'operaio si occupa solo delle faccende materiali in economia, si formerà idee assolute astrattamente buone, pessime, anzi sovversive nell'applicazione. A mo' d'esempio piacerà al popolo il comunismo, anco Cristo lo predicò, dunque è buono; chi vorrà impedirlo? È solo lo studio delle cose politiche che gl'insegnerà altro essere un sodalizio di alcuni apostoli, altro un consorzio sociale e gli farà toccare con mano che i suoi desideri e le pretensioni sue è forza che restringa, e sottoponga alla necessità politica. Allontanato il popolo dallo studio della politica, ci tornerà con passione... E tornerà alla politica eccessivo, e talora erroneo, e assurdo e feroce. I nostri avversari seminano la rivoluzione. , vi dico, la seminano, e giorni amari per loro, e per la patria; noi se potessimo giovarci del nome "moderati"».

Non si vuole interdire all'operaio di occuparsi di politica, se ciò gli sembri opportuno, ma alle società di mutuo soccorso, egli dice, affinché non si riducano come in Francia dove, col mescolarsi di politica «andarono in rovina, porsero al governo imperiale un pretesto d'intervenire nelle loro faccende ed ora languono all'ombra della protezione governativa». «Se si vuole educare alla vita politica le plebi, o perché non si opera a formare dei comitati e dei ritrovi a questo proposito

Fa eccezione il solo discorso di un certo Manganelli, socio onorario, di Perugia, il quale vorrebbe si raccomandasse ai capitalisti di essere umani e caritatevoli, agli operai di mantenersi laboriosi e sobrii, al re di favorire le industrie.

È appunto il Guerrazzi, che ricorda i molti scioperi avvenuti, e dichiara che bisogna ad ogni costo evitarne la ripetizione, affrontando virilmente il problema dei salari.

Il Pedretti è vicepresidente della società La rigenerazione proletaria, di Torino. Egli sostiene che l'emancipazione ha da esser conquistata dagli operai con loro sacrificio personale; non si facciano illusioni sulla collaborazione delle altre classi: filantropi non ce ne sono, vano è lo sperare dai governi, piú vano che mai sperare che gli industriali rialzino spontaneamente i salari, quando possono sempre trovare operai disposti, per fame, ad accettar lavoro a qualunque prezzo. Ma, a sua volta, il Pedretti non è immune dalla illusione, classica in Italia, delle terre incolte. Vorrebbe impiegare le braccia inoperose nell'agricoltura, la quale è la vera ricchezza italiana: essa, a differenza dell'industria, non richiede che si spendano milioni all'estero per l'acquisto delle materie prime. Nel dissodamento delle terre incolte troverebbero lavoro migliaia di lavoratori, ciò che provocherebbe un aumento di benessere degli operai manifatturieri. Il Pedretti fa noto che La rigenerazione proletaria intende appunto costituire una società per la compra, la coltura e la vendita delle terre incolte.

Garibaldi, Montanelli, Dolfi, Savi, Franchini, Guerrazzi, Geimonat, Bianchi, Casaccia (Genova), Parola (Cuneo), Silvani (Tortona), Da Passano (Spezia) e Allegrini (Lucca).

Si allude alla proposta avanzata nel congresso di escludere dai lavori pubblici gli operai non italiani.

L'accusa a Mazzini di aver sabotato il '48 correva sulla bocca di molti. Lo stesso Garibaldi ebbe a lanciarla contro colui nel quale, si voglia o non si voglia, egli vedeva il suo grande antagonista. Cfr. lettera a Petroni, 21 ottobre 1871, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi, Milano 1882-85, vol. II, p. 385.

La Nuova Europa», 9 ottobre 1861.

Ibid., 3 ottobre 1861. Controbatte questa tesi, sulla «Nuova Europa» del 19 novembre 1861, un operaio fiorentino, certo Piazzesi; non riesce a capire perché mai, se gli operai privi di diritti politici intendono conquistarseli, si debba accusarli di essere «arruffapopoli, repubblicani e mazziniani»; perché si gridi: «costoro vogliono rovinare l'Italia, vogliono il disordine».

Si allude al Dolfi e al Piccini, fornaio l'uno, l'altro calzolaio, che rivestivano importanti cariche nella Fratellanza artigiana e avevano organizzato il congresso.

Credo interessante riprodurre un brano di quell'articolo per mostrare quanta animosità si ponesse in tali contese e come in realtà l'interessamento per il movimento operaio coprisse, un po' da tutte e due le parti, intenti politici: «"Per giungere al culmine dei nostri desideri, – diceva a un nostro amico un soldato del profeta, – abbiamo bisogno di un'altra notte". "Non intendo, – rispondeva l'altro. – Qui ci bisognano nuovamente gli austriaci, e il disordine universale, poi verremo noi"». Ed ecco, riassunte, le direttive degli uomini di sinistra: 1) far chiasso contro i francesi perché, provocati, si ostinino a non lasciar Roma; 2) attaccarli con qualunque mezzo; 3) provocare la guerra contro l'Austria; 4) sorprendere la buona fede di Garibaldi; 5) ridurre le società operaie a tante società giacobine, sul modello dell'89; 6) fomentare disordini nel Parlamento; 7) profittare della corruzione sparsa dai Borboni nel Mezzogiorno per alimentare incessantemente lotte fraterne.

ottobre 1861.

18 ottobre 1861.

La Nuova Europa», 21 novembre 1861.

Guerrazzi scrive sulla «Nuova Europa», 15 dicembre 1861, che le ragioni dell'atteggiamento di Mauro Macchi devono ricercarsi nel fatto che «il fu Minghetti (ministro nel gabinetto Ricasoli) gli negava il passo gratuito in terza classe su le ferrovie di Stato agli operai, laddove non si fossero astenuti da trattare di negozi politici al IX Congresso».

GUERRAZZI, Il Macchi accusa, Genova 1861; P. SBARBARO, Le società operaie e la politica, Firenze 1861; S. BOLDRINI, Brevi cenni sul Congresso IX, in Firenze ecc., Vigevano 1861; GRILENZONI, Gli operai e la politica, Milano 1861.

Il Grilenzoni, bella figura di mazziniano oggi ingiustamente dimenticata, mette in guardia gli operai contro il troppo affettuoso interessamento degli uomini di destra. «Il segnale è stato dato su tutta la linea, e dalle sfere superiori è disceso l'ordine di fare in modo che dalle società operaie venga esclusa la politica... Se la cosa fosse possibile, i detentori dell'autorità li pareggierebbero [i proletari] a uno stuolo di capponi o ad un parco di montoni all'ingrasso». È interessante conoscere il giudizio che del Congresso di Firenze , nel 1868, un moderato intelligente, il de Cesare. «Gli operai nostri – egli scrive nel suo volume su Le classi operaie in Italia, Napoli 1868 – sono stati fin qui dei facili comodini in mano di pochi figuri, venuti su a dozzina nei casi italiani ed europei del 1848 e del 1860. Costoro, non avendo nulla da perdere e tutto da guadagnare, andavano per le città nostre piú importanti promuovendo congressi operai, i quali, formati sempre degli stessi individui, si mutarono in teatri gratuiti di buffonerie tribunizie. Il Congresso di Firenze è stato ancora peggio di quello di Milano del '60 per le molte sciocchezze ed esagerazioni che si declamarono dai gran capoccia dell'assemblea, e in particolar modo dal Dolfi, dal Guerrazzi e dal Montanelli i quali proclamarono addirittura il diritto che si avea dagli operai di occuparsi di questioni politiche in pubbliche assemblee». Il de Cesare propone che «a toglier di mezzo pretesti di scandalo», ogni statuto di società operaia contenga il principio che il primo il quale venga a parlar di politica, ne sia irremissibilmente espulso, poiché non bisogna dimenticare che la questione operaia «è economica e la politica è un pretesto di cattivo genere» (pp. 30, 43)

E qualche mese piú tardi (aprile 1862), atteggiandosi a mestizia: «Mi duole di dovervi dire che la causa del Mazzini va guadagnando ogni giorno, perché i rivoluzionari non amano le vie di mezzo, e chi ha seguito il conte di Cavour fino a questo punto, non vuol fermarsi, ma procedere innanzi alacremente».

La Nazione», 9 ottobre 1861.

L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze ecc. cit., p. 37, nota.

Statuto della Società degli artigiani muratori di Livorno, Livorno 1861.

La Nazione», 10 ottobre 1861.

Lettera di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit., pp. 8-9.

La Nuova Europa», 20 novembre 1861.

Agli operai sardi scrive, nel novembre: voi riuscirete a provare «a quelli che vorrebbero confinarvi nello studio dei vostri interessi economici, che nell'amore della Patria, nel curarne il Progresso, voi attingete una potenza d'azione nel progresso vostro ch'essi smembrando la vita, non possono avere». Lettere di G. Mazzini alle Società operaie ecc. cit., pagine 6-7.

La lettera a Savi, Mazzoni e Franchini e l'abbozzo di statuto sono stati pubblicati da A. CODIGNOLA, nel suo interessante articolo su G. Mazzini e gli albori del movimento operaio italiano comparso in X Marzo, numero unico, a cura del Comitato genovese per le onoranze a Giuseppe Mazzini nel 50° anniversario della sua morte, Genova, 10 marzo 1922. Prima di questa pubblicazione si attribuiva, , la paternità dell'Atto di fratellanza al Mazzini, ma soltanto sulla fede del Saffi o del Giannelli. Il testo mazziniano s'inizia con una serie di convincimenti religiosi e morali, che successivamente, come vedremo, vennero aboliti o modificati. Le concessioni che Mazzini o i suoi dovettero fare, nella redazione definitiva dello statuto, alle tendenze razionalistiche predominanti fra i democratici e al desiderio di concretezza di questi e di molti fra i piú intelligenti elementi operai, furono abbastanza importanti in sé; e rivestono, com'è superfluo notare, un non disprezzabile interesse storico: espressioni che passavano inosservate nel 1861 stonavano già intollerabilmente due o tre anni piú tardi.

Lettere di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit. Lettera 25 dicembre 1861 alla Società operaia di Belgioioso, pp. 12-13.

La Nuova Europa», 12 gennaio 1862.

All'indomani della costituzione della Società emancipatrice, Garibaldi riuní a Quarto i membri della Commissione permanente eletta a Firenze e li persuase a tentare la conciliazione, incitando tutte le frazioni della classe lavoratrice a cooperare al bene della patria comune («L'Unità italiana», 19 luglio 1862).

E precisamente nel luglio. Le due commissioni permanenti, di Firenze e di Asti, dichiararono che gl'incresciosi fatti del '61 eran dovuti piú a un equivoco che a una differenza reale di principî; e infatti a Firenze s'era ammessa la trattazione delle questioni politiche «non in un modo assoluto, ma solo ogni qualvolta si riferissero all'esistenza e al consolidamento delle società artigiane»; e il Congresso d'Asti non aveva inteso «escludere la politica in modo assoluto e non poteva non ammetterla quando si trattasse d'interessi vitali per le classi popolari». La formola proposta dal Montanelli a Firenze veniva accettata di comune accordo come norma pel futuro («L'Unità italiana», 19 luglio 1862).

Cosí per esempio la Fratellanza artigiana di Firenze, le Società operaie di Reggio Emilia, di Genova, di Milano, di Chiavenna. Cfr. «L'Unità italiana», «La Nazione», e altri giornali d'estrema sinistra, o d'estrema destra, agosto-settembre 1862.

L'Unità italiana», 27 ottobre 1862.

Ibid., 18 ottobre 1862.

Vennero comprese nella Statistica solo quelle società che avevano dato notizia di sé al compilatore; ora è evidente che molte, non godendo di alcun riconoscimento speciale da parte delle autorità, essendo anzi appena tollerate, tralasciarono di fornire notizie sulla propria attività. Specialmente interessate a non farsi troppo conoscere erano da un lato quelle che aderivano al partito d'azione, consideratepiú né meno come associazioni sovversive; dall'altro quelle che promuovevano scioperi e fondavano casse di resistenza. Il compilatore della Statistica lamentò infatti (p. 45) che alcune società genovesi si fossero rifiutate di fornire dati sulla propria attività: «Le risposte che la maggior parte di tali società ha date alla Prefettura mostrano pur troppo quale sia il loro stato di ignoranza e di anarchia». Erano tutte società che avevano subito le recenti persecuzioni politiche della estate 1862. Anche otto società napoletane si erano rifiutate di mandare informazioni al ministero.

La Statistica ufficiale cercò di stabilire in che modo si era formato questo capitale e compilò la seguente divisione, riguardante il patrimonio di quelle società che avevano dato notizie piú precise:

Capitale generale

L.

1411392

Per sovvenzioni, lasciti, ecc.

»

204865,75

Per contributo di soci onorari

»

73081,44

Per contributo di soci effettivi

»

887501,59

Per tasse d'ammissione

»

83969,91

Per interessi di capitale

»

112164,22

Per cespiti diversi

»

49809,20

Dove si vede che circa un quinto di questo capitale si doveva alla beneficenza. Anche il governo sovvenzionava qualche società; nel 1862, per esempio, spese, a questo titolo, L. 5600. Qualche aiuto ricevettero alcune società anche dai municipi. Cfr. E. MARTUSCELLI, Le società di mutuo soccorso e cooperative, Firenze 1876.

La Società operaia di Caselle (Piemonte) aveva nominato socio onorario l'appaltatore delle gabelle, che l'aveva esentata dal dazio sul vino. Atti del IX Congresso degli artigiani ecc. cit., pp. 72-81.

RAVà, Storia delle associazioni di mutuo soccorso e cooperative nelle province dell'Emilia, Bologna 1873. La Società di mutuo soccorso di Scandiano (Reggio Emilia) contro 132 soci effettivi contava, nel 1870, nientedimeno che 84 onorari!

16 in Piemonte, 31 in Lombardia, 10 in Liguria, 30 in Emilia, 12 in Toscana, 5 nelle Marche, 4 in Umbria, 1 nelle Puglie, 8 a Napoli, 3 in Sicilia, 1 in Sardegna.

E. FANO, Della carità preventiva e dell'ordinamento delle società di mutuo soccorso in Italia, Milano 1869, pp. 190-91.

Cenni storici della pia istituzione dei lavoratori cappellai di Milano, Milano 1880.

Statistica del 1862 cit. È interessante vedere come una organizzazione di questo genere, che noi oggi consideriamo perfettamente legale e anzi benefica, venisse giudicata a quel tempo, in certi ambienti. Il BOLIS (che fu questore del regno) in un suo grosso libro su La polizia e le classi pericolose della società (dove si vuol notare che per classi pericolose s'intendono i delinquenti nelle loro varie categorie e gli operai) definisce camorristica la Società dei garzoni prestinai di Palermo, la quale – son parole sue – è cosí congegnata: «chi è impiegato deve contribuire al mantenimento di chi vive oziando: i proventi si dividono una volta alla settimana, fatta prima larga porzione ai capi. Da questi i padroni ricevono d'ordinario i lavoranti: fissata è la mercede: chi si attentasse alterare gli usi, diminuire i prezzi, sottrarsi alla supremazia della società pagherebbe di persona». Dove il lettore di buon senso non fatica a rilevare quelle che sono le aggiunte e le amplificazioni dovute alla fantasia dell'autore.

Alcune inviarono i resoconti della loro attività all'Esposizione di Parigi del 1862. Vi ricevettero una menzione speciale le Società operaie di Cremona, Perugia e Torino perché si ritenne avessero esercitato una benefica influenza sulle condizioni dei lavoratori in Italia (BOLIS, La polizia ecc. cit., p. 419, «Il Diritto», 17 marzo 1868).

Statistica del 1862 cit.

Fede e Avvenire», Milano, 2 maggio 1863. Statistica del 1862 cit., p. 53.

Nel 1862 gli scioperi dovettero essere assai pochi. Io non ho trovato notizia che di due scioperi di tipografi e uno di scalpellini, a Milano. A proposito di agitazioni operaie e di partecipazione degli operai alla vita politica, non è priva d'interesse questa notizia data dalla «Gazzetta di Torino», 2 settembre 1862: «La società dei facchini (di Genova) ha protestato contro le dimostrazioni, perché sono causa di arenamento negli affari». Erano i giorni nei quali in tutte le città d'Italia i democratici inscenavano dimostrazioni di protesta per Aspromonte.

L'adunanza dei cappellai ad Intra della quale ho detto piú sopra era stata convocata soprattutto per deliberare in qual modo si potesse fronteggiare l'introduzione delle macchine; i convenuti s'impegnarono a non eseguire nessun lavoro a macchina e a soccorrersi vicendevolmente per poter vincere le imposizioni dei proprietari.

Su questo argomento cfr. le opere citate di Fontanelli e di Revel. Assai istruttivo per rendersi conto del genere di propaganda svolta dai reazionari è quanto scrive La Italia disfatta cit., p. 10: «Chiameremo progresso e civilizzazione l'abbandono quasi totale dei pacifici studi, delle utili arti, dell'agricoltura, logorandosi invece gli umani ingegni per inventar macchine da render inerti le braccia degli operai?» Cfr. anche Agli operai una parola d'un amico, s. d. (ma credo 1862).

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 201 sg.

21 febbraio: «La lotta esiste e prosegue, ma, mano mano che la civiltà avanza, il cozzo sociale si fa meno violento, la conciliazione possibile».

4 aprile: quelle teorie sono erronee «essendoché non prendono mai l'uomo tal quale l'ha fatto natura, coi suoi istinti, colle sue passioni, colla sua varia sensibilità, ma richiederebbero uomini fatti a bella posta tutti di uno stampo». No, gli operai non devono «atterrare il privilegio dei pochi, attualmente organizzato», per poi invocare a favore delle masse, quasi per risarcirle dei mali patiti, «un altro genere di privilegio, che si nasconde sotto il nome di diritto al lavoro, di gratuito capitale, di diritto alla proprietà del terreno e via via» (9 maggio); ma tendere alla definitiva distruzione di tutti i privilegi.

21 aprile: «Un antagonismo pericoloso sorge fra i due motori dell'industria, capitalisti e lavoratori; l'operaio offeso e nella dignità e nell'interesse si accende a sinistre idee contro l'intraprenditore; obbligato dalla sua inflessibilità a perdurare nello sciopero, stretto dal bisogno che rincrudisce a misura che il guadagno manca, guarda con rancore agli agi delle altre classi sociali, perde ogni suo sano concetto d'ordine, ogni amore al lavoro». Riconosce però (13 giugno) che «gli scioperi hanno la loro ragione d'essere nelle condizioni non di una parte soltanto ma di tutta generalmente la classe operaia».

21 febbraio: «Oggi la legge vi impone doveri da compiere, e col pretesto della vostra immoralità e della vostra ignoranza vi impedisce l'esercizio di molti diritti; domani, soppressa la causa, cesseranno gli effetti».

2 maggio: non ritiene che «attualmente l'educazione economica in Italia sia abbastanza inoltrata da permettere tosto l'applicazione di codesti trovati preziosissimi dell'associazione; noi dubitiamo in massima, che all'inesperienza delle leggi che debbono governare un istituto industriale in tutti i suoi rapporti, susseguirebbe immediata una pratica infelice, la quale scorando le masse degli operai e facendole paurose di ardite ed utili iniziative, ritarderebbe il loro moto ascendente progressivo». Qua e , discorrendo di questioni economiche, «Fede e Avvenire» prova di una curiosa ingenuità, che certo non poteva imputarsi a Mazzini. Il quale non credo avrebbe sottoscritto, per esempio, questa esortazione rivolta agli operai, il 7 febbraio: «Abbandonate dunque il dannoso sistema di applicare a lavoro i vostri figlioletti, con l'ingiusta esigenza che vi venga guadagno dalle loro deboli membra, dalle incolte loro intelligenze; non li consegnate come bestie da soma ad un padrone; il padrone si tramuti in maestro, in scuola l'officina», Esortazione che si chiudeva con l'invito ai padri di famiglia operai di sborsare una quota affinché i loro figli venissero assunti come apprendisti!

La Nazione», 3 ottobre 1863.

L'Unità italiana», 15 ottobre 1863: «Il partito moderato, come sempre, come in ogni buona cosa, s'adoperò colle solite armi... a impedire prima, quindi a suscitare il disordine e la confusione, e finalmente a screditare ciò che non aveva potuto impedire». Cfr. anche «Il Dovere», Genova, 17 ottobre 1863.

Il delegato Silva propose si dichiarasse «per amore di concordia fra tutte le Società operaie, che i quesiti politici non verranno piú accettatiposti in discussioneora né mai». Accortosi d'aver contro di sé la maggioranza del congresso, preferí ritirarsi.

Il delegato della Fratellanza suggeriva «che all'operaio mancante di lavoro in un luogo fosse data abilità di potersi trasferire in un altro a spese delle società rispettive, a fine di procacciarselo»; ma la proposta non venne neanche messa in discussione.

Venne votato un ordine del giorno, col quale il congresso faceva voti che «l'istruzione profusa valga a combattere l'influenza del clero». Alla discussione prese parte il famoso fra Pantaleo, seguace di Garibaldi nella spedizione di Sicilia, che, prossimo a gettar la tonaca alle ortiche, prese vivacemente partito contro la preponderante influenza del clero nelle campagne.

Scrisse poi ai giornali che, poiché «il X Congresso, nel suo complesso, non corrisponde allo scopo ch'egli si prefisse nella creazione dei congressi degli operai italiani, anche colla conciliazione, ritiene suo dovere di non intervenire ad ulteriori trattazioni» («La Nazione», novembre 1863). Tra i dissidenti del congresso erano anche i delegati dell'Associazione operaia di Milano; i quali, nella relazione ai soci, affermarono che «dai veri amici delle società operaie si è con fondamento dubitato, e si dubita che ad altri intenti e ad altre mire, che non il benessere degli operai, fossero e sieno rivolte le aspirazioni di coloro che si fecero autori e propugnatori di questo concetto di federazione» («Il Giornale degli Operai», Genova, 12 dicembre 1863).

Il quale, per altro, non partecipava al congresso.

Che fu composta di tre mazziniani (Savi, Astengo e Cannonieri), un garibaldino (Asproni), piú Mauro Macchi e Valentini. Anche sull'elezione di questa commissione aveva influito il Mazzini, come si comprende da una sua lettera a Dagnino del 24 settembre 1863 (conservata nel Museo del Risorgimento di Genova), nella quale molti consigli sul modo di condurre il congresso. «Bisognerebbe che la commissione fosse in Genova. Ma è cosa da maneggiarsi cautamente per non irritare suscettibilità locali». La sede della commissione fu infatti stabilita in Genova.

Garibaldi aveva inviato una lettera al presidente del congresso (Olivieri), nella quale prendeva posizione per la tesi mazziniana sulla politicità. «Lasciate le vane questioni di parole, ma pensate che l'uomo non si dimezza, e che tutti, senza eccezione, abbiamo gli stessi doveri verso di noi, verso la patria e verso l'umanità».

Mentre l'indirizzo a Garibaldi venne votato per acclamazione e senza riserve, per l'indirizzo a Mazzini il presidente ritenne prudente avvertire che esso non si rivolgeva «all'uomo politico, ma all'operaio del pensiero, all'amoroso padre del popolo».

Non son riuscito a trovare gli Atti che pur furono stampati. Si veda il resoconto sui giornali parmensi del tempo («La Gazzetta di Parma» e «Il Patriota») nonché sulla «Nazione» e sull'«Unità italiana».

L'Unità italiana», 28 novembre 1863.

Il giornale seguitò le sue pubblicazioni (settimanali) fino al 25 luglio 1866, salvo una interruzione dal 24 dicembre 1864 al 9 agosto 1865. Abbastanza agile, variato, accuratissimo nel riportar notizie riguardanti la vita delle società operaie, discretamente informato sulle vicende del movimento operaio all'estero, pronto a discutere e ad accogliere con simpatia ogni nuova iniziativa nel campo del lavoro, meritava un piú felice successo. Savi e gli altri membri della commissione lamentarono spesso l'indifferenza con la quale venne accolto dalla grande maggioranza delle società operaie.

L'Unità italiana», 16 aprile 1864. E il 21 giugno alla Fratellanza artigiana di Lugo: «voi non lascerete che il decreto del Congresso di Parma rimanga, con discredito di tutti voi, lettera morta, deliberazione ineseguita...» (ibid., 16 luglio 1864).

Lettera a Martinati, 19 febbraio 1864 (Scritti politici ed epistolario, Barbera, Firenze 1901, vol. III, pp. 23 sg.).

Era questo il numero di soci che secondo quello statuto era necessario raccogliere per dar vita alla grande Fratellanza degli operai italiani.

Ribadiva questo concetto in una lettera a Bertani del 24 febbraio 1864. «Una grande associazione d'operai sarà sempre una forza politica; ma lo sarà tanto meno quanto piú professerà di volerlo essere. In ciò ha ragione Macchi. Intorno a questo pettegolezzo sarebbe da provvedere che non si rinnovasse ogni anno» (Scritti politici ecc. cit., vol. III, pp. 34-35).

Assieme al complesso statuto della Fratellanza, Cattaneo, conformemente all'incarico ricevuto dai congressisti di Parma, aveva preso in esame un piano da essa elaborato per la fondazione di una Banca operaia. Il lettore curioso troverà riprodotte le sue giustissime osservazioni critiche nel III volume dei suoi Scritti politici ecc. cit, (pp. 29 sg.). Il Martinati, a nome della Fratellanza, gli rispose il 5 marzo con queste righe significative se pur molto cortesi: «Le sue considerazioni se non frutteranno ora, frutteranno certamente in un non lontano avvenire, quando i nostri buoni operai si saranno, a colpi di sventura, formato un piú giusto concetto della libertà e del loro proprio bene». Cattaneo capí l'antifona. «La risposta del signor Martinatiscrisse il 6 maggio allo Stampa – ... mi diede gentilmente a capire che de' miei suggerimenti non si farebbe alcun uso» (ibid., p. 51). La risposta del Martinati riguardava tanto le osservazioni sulla Banca operaia quanto quelle sullo Statuto della fratellanza.

Non intendo che ne facciate menzione al Congresso o altrimenti come di cosa mia, volendo io, anche per l'angustia del tempo, astenermi da ogni successiva ingerenza in questi affari» (Lettera citata a Stampa, 6 maggio 1864).

Lettera citata a Stampa.

Anche un confronto piú minuto riuscirebbe interessante; Mazzini per esempio vuol che s'infonda nella massa operaia «un sempre piú giusto e profondo e attivo concetto della Fede nazionale», che si promuovano contatti fraterni fra gli operai italiani e quelli d'altri paesi. Cattaneo ne tace: ma è giusto osservare che mentre egli si è limitato a buttar giú una bozza di regolamento tutt'altro che definitiva, Mazzini ha redatto un progetto completo, che vorrebbe s'adottasse tal quale. Varie differenze di minor conto si posson notare nell'enumerazione dei mezzi pratici che condurranno all'emancipazione operaia. Cattaneo, per esempio, non nomina le cooperative di produzione.

E di imporlo non soltanto agli operai italiani. L'unificazione delle società di mutuo soccorso strette nel riconoscimento del suo statuto dovrebbe, egli scrive, «costituire una iniziativa tra le classi operaie europee» (Lettera citata a Savi, Mazzoni, Franchini, 29 novembre 1861).

Le associazioni affratellate si ritengono d'or innanzi come una sola famiglia interessata a promuovere in tutti i modi possibili insieme col proprio benessere, la grandezza e la prosperità della patria, e l'educazione del popolo».

Questa redazione dell'Atto di fratellanza venne pubblicata sul «Giornale delle Associazioni operaie», Genova, 3 luglio 1864.

Tra gli altri: Savi, Zuppetta, Gambuzzi, Fanelli, Olivieri, Filopanti, Asproni, Morelli, Martinati, Stampa, Gennaro Bovio, Tavassi. Quest'ultimo venne acclamato presidente. I nomi dei rappresentanti insospettirono la polizia, che prese grandi precauzioni; la sala del congressoscrisse «Il Popolo d'Italia», Napoli, 25 ottobrepareva «in stato d'assedio».

Dapprima due indirizzi a Garibaldi e a Mazzini (il secondo proposto da Gambuzzi, che fra qualche anno troveremo fervente bakunista); poi un appello alla concordia degli operai italiani e «piú specialmente agli operai delle inclite e generose città di Roma, di Venezia e di Torino». Il delegato Morelli propose anche si emettesse un voto contrario alla Convenzione. Alle rimostranze del presidente, che lo ammoniva di non distrarre il congresso dallo svolgimento dei lavori prestabiliti e di non dimenticare che gli operai aspettavano pane, rispose: «pane dell'anima prima anche di quello del corpo». Ignoro se il congresso approvasse la sua proposta.

Presero parte alla discussione Verratti, Savi, Asproni. Si incaricò la Commissione permanente di presentare una petizione in tal senso al Consiglio dei ministri e al Parlamento.

Il congressouditi i discorsi di Quirico Filopanti, di Martinati e di Dassiaffidò alla commissione il compito di organizzare l'inchiesta.

In una lettera «ai rappresentanti dell'Internazionale in Londra», scritta alcuni anni dopo (gennaio 1872), il Bovio volle ricordare questo che egli riteneva un precedente dell'Internazionale; egli non ricordava che l'Associazione dei lavoratori rimontava al settembre 1864. Gli pareva ad ogni modo che la sua proposta al Congresso napoletano attribuisse «all'Italia un diritto che la storia le ha acquistato, quello cioè di essere stata almeno tra le prime nazioni a concorrere per l'iniziativa dell'Internazionale».

Gli rispose l'Engels il 17 aprile: «Riconosciamo volentieri che al tempo dove qui in Londra si realizzava per la prima volta una lega internazionale degli operai, voi, nella remota Puglia avete rilevato quella medesima idea... Vi ringraziamo d'averci comunicato questo fatto, perché contiene una nuova prova che l'alleanza degli operai del mondo incivilito intiero fu riconosciuta, già nel 1864, come una necessità storica anche nei paesi coi quali non potevamo allora metterci in relazioni». Nella bozza della lettera, che io ho avuto sott'occhio, si leggon di seguito queste linee che furon poi cancellate: «Senza dubbio, se le società operaie italiane... avessero rilevato la vostra idea... se avessero iniziato nello stesso tempo un movimento operaio italiano, basato sullo stato sociale del loro paese, forse s'avrebbe adesso meno di [sic] società operaie, sedicenti internazionali propugnando dottrine settarie, non italiane, ma francesi e russe. Nel movimento della classe operaia, secondo il mio parere, le vere idee nazionali, cioè corrispondenti ai fatti economici, industriali ed agricoli che reggono la rispettiva nazione, sono sempre nello stesso tempo le vere idee internazionali. L'emancipazione del contadino italiano non si adempirà sotto la stessa forma come quella dell'operaio di fabbrica inglese; ma piú che l'uno e l'altro comprenderanno la forma propria alle sue [sic] condizioni, piú... l'intenderanno nella sostanza...» Il lettore comprenderà il tono di questa lettera, che si trova manoscritta e inedita – come quella di Bovio – tra le carte di Engels, nell'Archivio del partito socialdemocratico tedesco, a Berlino, leggendo i capitoli successivi.

Nella seduta del Comitato generale dell'Internazionale tenuta il 12 ottobre 1864 a Londra, il maggiore Wolff – in quel tempo segretario di Mazzinicomunicò che intendeva partecipare al Congresso di Napoli. Venne allora incaricato di indagare se i rappresentanti delle società operaie italiane sarebbero stati disposti a entrare nell'Internazionale. Il Wolff partí per l'Italia, ma non partecipò al congresso. Nel febbraio 1865, di ritorno a Londra, raccontò che era stato imprigionato nella fortezza di Alessandria. Tolgo queste e altre notizie dai verbali delle sedute settimanali del Consiglio generale dell'Internazionale, conservati nell'originale e in copia fotografica presso l'archivio del partito socialdemocratico tedesco, a Berlino. I verbali vanno dal 5 ottobre 1864 alla fine di agosto 1872; mancano dal 21 agosto 1866 al 14 settembre 1869.

Sulla questione della banca artigiana si rinnovò alla Commissione eletta nel 1863 l'invito di presentare delle proposte precise.

Composta di Savi, Tavassi, Zuppetta, Martinati e Stampa.

Non ho veduto gli Atti del Congresso di Napoli. Il mio breve resoconto è ricavato dal «Giornale delle Associazioni operaie», 6 novembre 1864, nonché dal «Popolo d'Italia» e dalla «Nazione» nei giorni del congresso.

M. BAKUNIN, Il socialismo e Mazzini, 5a ed., Roma 1910, p. 34.

Statistica del 1873, Roma 1875, passim.

Il Giornale degli Operai», 16 luglio 1865. Il Viganò invece, nello stesso anno, ne contava quaranta (RABBENO, La cooperazione in Italia, Milano 1866, p. 15) e il GARELLI (I salari e la classe operaia, p. 290) cinquantaquattro. Una seria statistica delle cooperative non s'ebbe che in anni piú tardi.

RABBENO, La cooperazione in Italia cit., p. 13. CASALINI, Cenni di storia del movimento cooperativo in Italia cit., p. 45.

Il Giornale delle Associazioni operaie», 24 gennaio 1864.

Il Giornale degli Operai», 15 maggio 1864.

Ibid., 21 febbraio 1864.

Ibid., 28 febbraio 1864.

Fu questa una delle prime operazioni di quella banca operaia che, contro ogni consiglio di Cattaneo, la Fratellanza aveva voluto fondare e che si costituí ufficialmente qualche mese piú tardi. Cfr. «Fede e Avvenire», 28 maggio 1865; L. MINUTI, Il Comune artigiano di Firenze ecc. cit., pp. 52 sg.

L'Unità italiana», ottobre 1864. Una prova della spontaneità con la quale gli operai ricorrono all'idea della cooperativa di produzione: a Catanzaro i lavoranti sarti in numero di duecento scioperano perché non si vuol conceder loro un aumento di salario. «Il Giornale delle Associazioni operaie», 20 novembre 1864, scrive che i detti operai hanno ora l'intenzione di costituire un'associazione per lavorare per proprio conto e dividere i lucri.

Un congressino cooperativistico si tenne a Lodi nei primi mesi del 1864. Ed è curioso quanto ne scrive il Luzzatti, che cioè in esso, quando non era ancora sorta l'Internazionale e «i lavoranti pensavano piú alla patria che alla condizione economica... un ignoto ribelle osò accennare al socialismo, ma rimase isolato» (Cooperazione e credito in Italia negli ultimi trent'anni, in «Nuova Antologia», 15 ottobre 1895).

Tali banche si organizzavano sul sistema del tedesco Schultze-Delitzsch, opportunamente modificato. Ma non è qui il luogo di discorrerne diffusamente.

Nei grandi centri dove eran sorte e prosperavano numerose società operaie, questi giornali rappresentavano un bisogno e, a volte, anche un affare. Vi si dedicavano insegnanti e giornalisti di professione, piccoli borghesi intellettuali e operai semimborghesiti. Non citerò che i piú importanti: «Il Giornale degli Operai», fondato a Genova il 18 novembre 1863, sotto la direzione di un professor Iacopo Virgilio cui si associò piú tardi il Revel; contava fra i suoi collaboratori Stefano Boldrini, Pietro Sbarbaro, Michele Lessona, Girolamo Boccardo, Enrico Fano. Democratico-moderato, si schierò contro la politicità delle società operaie, caldeggiò cooperazione e credito popolare. Dopo una interruzione dal 25 dicembre 1865 al 4 febbraio 1866 e dopo aver mutato direttore (a Iacopo Virgilio e a Revel successe un certo Piccardo) cessò le pubblicazioni il 17 dicembre 1866. «L'Operaio» a Bergamo e «L'Artista» a Torino, diretto da un operaio (Tamagno), fondati sui primi del 1864; il già citato «Giornale delle Associazioni operaie»; «L'Operaio», fondato a Torino nel febbraio, direttore Caratti; «Il Manuale degli Operai», che iniziò le pubblicazioni a Palermo il 31 luglio.

T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit., p. 20; «Il Giornale degli Operai», 27 marzo 1864.

Il Giornale degli Operai», 10, 24 gennaio 1864.

Ibid., 5 novembre 1864.

Ibid., 7 febbraio 1864.

La Perseveranza», Milano, 6 gennaio 1863; «Fede e Avvenire», 21 aprile.

L'Unità italiana», 30 maggio 1863.

Il Giornale di Napoli», «L'Opinione», fra il 7 e il 12 agosto 1863.

Il Giornale degli Operai», 14 agosto. «Il Giornale delle Associazioni operaie», 28 agosto 1864.

Il Giornale delle Associazioni operaie», 24 settembre 1864.

La Perseveranza», 6 gennaio 1863, a commento d'uno sciopero di tipografi: «Noi senza farci giudici tra le pretese degli uni e le negative degli altri, e senza sopratutto incoraggiare in alcun modo questa pericolosa via delle coalizioni per ottenere un aumento di salarii, dobbiamo però far conoscere che gli operai tipografi hanno dichiarato volere astenersi da ogni violenza, e non impedire alcuno dal lavoro alle condizioni che volesse accettare».

Lo sciopero dei metallurgici di Pietrarsa (Napoli), 6 agosto 1863, terminò con un cruento conflitto fra operai e militari e col ferimento del direttore dello stabilimento. Anche in questa occasione molti giornali di destra accusarono i reazionari di non essere estranei allo sciopero. (Cfr. La Società operaia napoletana per i luttuosi fatti di Pietrarsa, Napoli 1863).

Cfr. i già citati Verbali inediti del Consiglio generale e il Briefwechsel zwischen Engels und Marx, a cura di Bebel e Bernstein, Stuttgart 1913, vol. III, passim.

Lettera di Marx a Engels, 4 novembre 1864, in Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 186 sg.

Wolff voleva centralizzazione e intendeva per associazioni operaie solo quelle di beneficenza», dichiarò Marx un anno e mezzo piú tardi, quando già l'influenza mazziniana era del tutto eliminata dall'Internazionale. Centralizzazione, , e l'abbiam visto esaminando l'Atto di fratellanza; quanto alle associazioni di beneficenza, Marx forse alludeva al fatto che Mazzini ripudiava le organizzazioni di resistenza e fondava il suo concetto di movimento operaio sul dogma della collaborazione borghese (Verbali citati, Seduta di consiglio del 13 marzo 1866). Nel 1871, quando Mazzini si scagliò apertamente contro l'Internazionale asservita a una minoranza intrigante, il Consiglio dell'associazione, in una relazione del 4 luglio, gli ricordò il progetto di statuto da lui fatto proporre; nel quale senza tanti scrupoli si affidava la direzione delle cose al Consiglio generale né si esprimeva il dubbio che quei pochi individui, investiti di tanta autorità, finissero o per non operare o per operare tirannicamente. Il progetto presentato dal Wolff «era nello stile solito di Mazzini: la democrazia borghese che offriva diritti politici agli operai, onde poter conservare i privilegi sociali delle classi medie e superiori» («Il Romagnolo», Ravenna, 9 settembre 1871).

Lettera citata, 4 novembre 1864.

Cfr. gli statuti dell'Internazionale in J. GUILLAUME, L'Internationale, Documents et souvenirs (1864-1878), Paris 1905, t. I, pp. 11-21.

C. MARX, Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale dei lavoratori, Roma 1901, p. 10.

Per via di temperamenti successivi, Marx cercò poi di far accettare alle Federazioni dell'Internazionale la dottrina della necessità preventiva per le classi operaie di conquistarsi i poteri politici. E fu proprio su questo punto che la grande associazione si scisse in due correnti antagonistiche, e quindi decadde.

Quella che si ritiene comunemente una delle differenze sostanziali tra movimento operaio mazziniano e quello marxista, la base cioè rigidamente nazionale del primo opposta all'internazionalismo del secondo, non poteva, nel 1864, apparir chiaramente. L'Internazionale, secondo il concetto dei suoi fondatori, non voleva essere che un nucleo di collegamento dei vari movimenti operai nazionali. Anzi negli statuti di Marx si affermava la necessità che i singoli movimenti serbassero, in seno all'associazione, la piú ampia autonomia. Solo attraverso gli annuali congressi, l'Internazionale mutò progressivamente la sua fisonomia fino a provocare la scomunica di Mazzini.

Il LUZIO, che fra Marx e Mazzini ha tracciato un vivace se pur poco obiettivo parallelo (ripubblicato nel volume Carlo Alberto e Mazzini, Torino 1923), si sdegna fra l'altro col Marx il quale – infiorando il suo dire con le consuete trivialitàaccusò Mazzini di aver trascurato la propaganda fra le masse contadine. Tale accusascrive a p. 449era goffamente calunniosa. Il Luzio ha perfettamente ragione per quanto riguarda le classi operaie; per quelle rurali, se pur la trascuranza di Mazzini ebbe motivi o almeno giustificazioni comprensibilissime, il rimprovero di Marx non è davvero calunnioso; affermare, com'egli affermò – alcuni anni dopo il 1848 – che i contadini italiani eran la base e il sostegno della dominazione straniera, significava enunciare una grande verità, forse da Mazzini non sufficientemente meditata.

Anima dell'Internazionale «è Carlo Marx, tedesco, uomo d'ingegno acuto ma, come quello di Proudhon, dissolvente; di tempra dominatrice, geloso dell'altrui influenza, senza forti credenze filosofiche o religiose e, temo, con piú elemento d'ira, s'anche giusta, che non d'amore nel cuore» (Agli operai italiani, in G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, 18 voll., Milano-Roma 1861-91, vol. XVII, p. 53 [edizione che d'ora innanzi indicherò con la sigla SEI]).

G. MAZZINI, L'Internazionale. Cenno storico, in SEI cit., vol. XVII, p. 109.

L'Internazionale. Cenno storico cit.

Briefwechsel cit., vol. III, p. 192.

Ibid., p. 194.

Verbali citati. Il manifesto fu letto nella seduta del 3 gennaio 1865 e conteneva espressioni di questo genere: I membri della Società operaia «dànno la loro piena approvazione ai vostri scopi e metodo... s'impegnano al pieno compimento dei doveri ivi [nello statuto] contenuti. Un nodo d'unione è stato già stabilito nel recente Congresso operaio a Napoli tra la maggioranza delle associazioni operaie italiane. Vi è stata eletta una direzione centrale e noi non dubitiamo che quel che noi facciamo, sarà fatto tra non molto da quella direzione centrale... per stabilire una pratica fratellanza generale, una generale unità d'intenti fra gli operai di tutte le nazioni». Altri passi di questo manifesto rivelano una diretta influenza di Mazzini, per esempio laddove si additano gli scopi dell'Internazionale nella elevazione morale, intellettuale ed economica della classe operaia, nella lotta per la conquista dei diritti politici, nella diffusione della cooperazione e di istituzioni educative e si definiscono questi punti come «un grande fine morale e veramente religioso» instauratore di una nuova era la quale «cancellerà iniquità, compressione, ignoranza, l'attuale sistema dei salari», sostituendovi «uguali doveri e diritti per tutti, vera educazione nazionale, e il sistema dell'associazione per la produzione e il consumo».

Briefwechsel cit., vol. III, p. 233.

Verbali citati e Briefwechsel cit., vol. III, p. 248. Nella seduta di consiglio del 25 aprile 1865 viene eletto consigliere un italiano: Salvatella. Ignoro se fosse in relazione con Mazzini.

A. SAFFI, Cenni biografici e storici a proemio del testo, in G. MAZZINI, SEI cit., vol. XVII, p. XII. La lettera è datata soltanto 26 aprile; il Saffi la attribuisce al 1865 e certamente con ragione.

Briefwechsel cit., vol. III, p. 248.

Qualche dato biografico: nasce nel 1814 a Priamukino, fra Mosca e Pietroburgo. Percorre una breve carriera d'ufficiale che è sufficiente però a disgustarlo dalle armi. Datosi a studi filosofici, passa in Germania, dove segue assiduamente lezioni e pubblica qualche saggio. Preferisce Fichte e Hegel; quest'ultimo esercita su di lui una decisiva influenza. Dal '44 al '47 è a Parigi (vi conosce Proudhon e Marx). Espulso di Francia, ripara nel Belgio. Scoppiata in Francia la rivoluzione di febbraio, vi torna e lavora instancabilmente a prolungare lo stato rivoluzionario. Piú tardi, nel giugno, è in Germania dove partecipa alla insurrezione di Praga. Nel '49 è a Lipsia; quindi, a Dresda, capeggia l'insurrezione del maggio. Arrestato, consegnato all'Austria, condannato a morte, consegnato alla Russia (1851), la fortezza lo ospita fino al '57. Dalla Siberia dove vien deportato riesce a evadere nel '61 e sulla fine dell'anno, dopo un mezzo giro del mondo, approda a Londra. La sua attività si centuplica nella terra classica della libertà: il problema slavo lo assorbe completamente. Vorrebbe rovesciare il governo russo ed espropriare i proprietari, perciò si tiene in contatto coi rivoluzionari russi. Nel '62 lo troviamo fervido animatore dell'insurrezione polacca, nel '63 crede prossima la sollevazione dei contadini in Russia e – compiendo un viaggio in Isveziacerca di far propaganda. Deluso per non avervi trovato quella febbre d'entusiasmo che lo divora torna a Londra. Ai primi del '64 si dirige in Italia. Con quest'anno, Bakunin si tutto alla causa del socialismo rivoluzionario. Rivoluzionario egli era sempre stato, fin dal tempo della sua studiosa giovinezza; ma non sempre il problema sociale era stato in cima dei suoi pensieri né sempre lo aveva considerato – come dal '64 in poi – al di fuori e al di sopra dei singoli problemi nazionali. Fino al '67 l'attività socialista del russo si svolge piú o meno segretamente: chiara e palese, invece, dal '67 alla morte (1876).

M. BAKUNIN, Œuvres, 6 voll., Paris 1907-13.

La massima parte delle opere di Bakunin nacque in forma di lettere ad amici: egli teneva con innumerevoli amici una colossale corrispondenza che esauriva quasi la sua attività letteraria. Sovente accadeva che, prendendo egli lo spunto da un meschinissimo fatto contingente, e ponendosi a scrivere una lettera di carattere informativo, la fluidità della penna e la vasta se non profonda coltura gli prendessero la mano; la lettera si estendeva, s'ingigantiva, dal fatto contingente passava ad altri piú generali, e ai problemi teorici, ed ai sommi principî. S'intende che, a questo modo, finiva per varare uno scritto senza proporzioni, inorganico, nel quale ad alcuni punti rigorosamente sviluppati e chiariti si contrapponevano altri, appena appena accennati. Bastava poi che sopraggiungesse o un'idea nuova nel suo cervello o la necessità di passare all'azione pratica, perché Bakunin troncasse affatto il lavoro iniziato per darsi tutto al nuovo, con fretta febbrile, o per precipitarsi dove si figurava ci fosse bisogno di lui.

Préambule pour la 2e livraison de l'empire knouto-germanique (1871), in Œuvres cit., vol. IV, p. 247. E altrove: bisogna fare in modo che «tutti questi milioni di poveri esseri umani, ingannati, asserviti, tormentati, sfruttati, liberatisi alfine di tutti i loro direttori e benefattori ufficiali e ufficiosi, associazioni e individui, respirino in una completa libertà» (M. BAKUNIN, Programma e oggetto dell'organizzazione rivoluzionaria dei Fratelli internazionali pubblicati in C. MARX L'Alleanza della democrazia socialista e l'Associazione internazionale dei lavoratori (1873), Roma 1901, p. 110).

Di Saffi Bakunin ha una pessima opinione. In una lettera a Celso Cerretti, del marzo 1872 (in «Société nouvelle», Bruxelles, febbraio 1896), che avrò occasione di citare piú di una volta, cosí lo definisce: «... una specie di sapiente mancato, un dottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una religione nata-morta» (M. NETTLAU, Michael Bakunin, eine Biographie, 3 voll., 1896-1900, I, p. 169. Di questa pregevole opera, alla quale farò continuamente ricorso, non sono state tirate che cinquanta copie a poligrafo di sul manoscritto originale).

M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., e ID., Bakunin und die Internationale in Italien bis zum Herbst 1872, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung», t. II, fasc. 2-3, p. 281.

Cfr. un elogio di lui, non scevro di critiche, nella lettera citata a Cerretti. Al Bertani lo presentava Saffi, dipingendolo come un eroico patriota. Bertani è pregato di fargli conoscere gli amici di Genova, di Livorno, di Firenze (A. LEVI, La filosofia politica di G. Mazzini, Bologna 1917, pp. 207 sg.). Bertani contava molte relazioni nel mondo democratico socialista internazionale. Di sue relazioni con Lassalle restano tracce nell'Archivio Bertani (plico A, cart. 48; plico XXVIII bis, cart. 19) che si conserva nella Biblioteca del Risorgimento a Milano.

Di questa gita non son riuscito a trovare altra notizia. Quel che è certo è che con Garibaldi fino a tutto il 1865 Bakunin mantenne ottime relazioni. Garibaldi stesso gli procurò conoscenze e a Firenze e a Napoli.

M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, pp. 166 sg.

Lettera a Nettlau, 30 luglio 1895, in M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., nota 1166.

M. DRAGOMANOV, Correspondance de M. Bakounine. Lettres à Herzen et à Ogareff, Paris 1898, p. 194.

Il progetto si trova riassunto in G. DOMANICO, L'Internazionale, Firenze 1911, appendice II, pp. 180-83. Cfr. anche E. ZOCCOLI, L'anarchia, Torino 1907, pp. 97 sg.

G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 182.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc, cit., p. 208.

Fibra, pagine di ricordi, Roma 1900, p. 222.

Lettera citata a Nettlau.

Michael Bakunin ecc. cit., p. 200.

Che la Sinistra in genere e la frazione mazziniana in ispecie contassero tra i loro membri una larghissima percentuale di fratelli, alcuni dei quali pervenuti alle cariche piú elevate dell'ordine, è un fatto cosí notorio e documentato che davvero non merita conto di fermarcisi sopra piú che tanto. La posizione di Mazzini di fronte alla massoneria risulta evidentissima dalla lettura del suo epistolario: non entrò mai nell'ordine, ma nutríspecie dal '60 in poi – ottime relazioni con i suoi dirigenti. Non solo tollerò che moltissimi fra i suoi seguaci si facessero massoni, ma a ciò li spinse, in piú casi, esplicitamente; e non v'è dubbio che, per quanto non massone, influí spesso assai potentemente sull'indirizzo pratico dell'associazione. Tutto ciò viene ora nuovamente discusso e messo in dubbio dal LUZIO nel suo ampio studio su La massoneria e il Risorgimento italiano, 2 voll., Bologna 1925. Ma che l'illustre storico sia riuscito con questa sua recente fatica a persuadere il lettore obiettivo della nessuna o presso che nessuna parte avuta dalla massoneria nel nostro Risorgimento, nonché del disprezzo che per essa quasi sempre avrebbe ostentato il Mazzini, non oserei asserire; i suoi volumi sono un documentato testo di accusa contro le malefatte della testè scomparsa associazione; invano vi si cercherebbe notizia di certe sue pur minime, ma innegabili benemerenze. Nel novero delle quali non esito a porre il notevole impulso dato al primo movimento operaio italiano. Sul quale argomento molto si potrebbe discorrere, se lo permettesse l'indole di questo lavoro; ma il lettore coscienzioso se ne convincerà sol che si fermi un istante a considerare i nomi di due terzi fra i promotori di quel movimento, nomi che ho avuto o avrò in seguito occasione di rammentare.

Fra le molte notizie interessanti dateci dal Luzio v'è quella che «Bakunin figurava tra' primi massoni di Loggie fiorentine» (II, 222); di questa notizia però egli, di solito cosí esatto, non cita la fonte.

Molte notizie sulla loro attività si trovano consultando la collezione del «Libero Pensiero».

Scrive il Giannelli nella lettera citata a Nettlau: (Bakunin) «incominciò la sua propaganda nichilista, che certo nulla aveva di comune colle nostre teorie, tanto piú che il Bakunin attaccava di continuo le dottrine di Giuseppe Mazzini, che egli non comprendendone razionalmente la formola – "Dio e il popolo" – chiamava prete!... Qui a Firenze riuscí a trarre a sé qualche gregario del partito mazziniano, amante di novità...»

M. NETTLAU, Errico Malatesta. Vita e pensieri, New York 1922.

Lettera del 12 novembre 1864 (Lettere di Giuseppe Mazzini a Federico Campanella, pubblicate da G. Mazzatinti, in «Rivista d'Italia», giugno 1905, pp. 10-11 dell'estratto).

M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 28.

Sviluppo storico dell'Internazionale, in J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 76-79. Nel 1864 Mazzini non aveva ancora fondato l'Alleanza repubblicana. Bakunin la confondeva qui, probabilmente, con la Falange sacra, organizzata a Genova nel 1863 da Quadrio e Castelli, con l'assenso di Mazzini, al fine di concentrare segretamente le forze repubblicane. Falange che, diffusasi soprattutto nell'Italia centrale e meridionale, nel 1866 fu assorbita dall'Alleanza repubblicana: lavorava soprattutto per l'emancipazione di Roma e Venezia. Interessante vedere come Mazzini cercasse di spingervi dentro elementi operai. Lettera a Zannoni, 6 febbraio 1865: «A voi tocca osservare attento i migliori dell'Associazione Op[eraia] e indurli tacitamente nella F[alange] S[acra] che ha centro in Genova e colla quale dovete essere già in relazione» (Lettere a Zannoni, p. 21).

M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 45.

E. ZOCCOLI, L'anarchia cit., p. 112.

A. DE GUBERNATIS, Fibra ecc. cit., p. 227. Cfr. anche la sua prefazione autobiografica al Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, pp. XXI-XXV.

Dizionario ecc. cit., p. XXI.

Cosí, due anni dopo, Bakunin giudicava De Gubernatis, per il cui ingegno aveva provato dapprima una vivissima ammirazione: «È una ben povera testa, è vero, incapace di discernimento e di critica, un po' disorientata dalla posizione falsa che il suo entusiasmo ardente, impotente, vanitoso e inquieto gli ha fatto prendere fra tutti i partiti, ma dopo tutto è un ragazzo onesto» (Lettera a Fanelli, 29 maggio 1867; M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, pp. 182 sg.).

Lettera citata a Nettlau. E fu cosí intima l'amicizia tra i due che passarono assieme le vacanze estive del 1864 e del 1865, ad Antignano e a Sorrento.

Gli abbonamenti al «Proletario» si ricevevano «al mezzanino del signor Giuseppe Dolfi».

A. ANGIOLINI, Socialismo e socialisti in Italia, Firenze 1919, p. 61; G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 94.

E. ZOCCOLI, L'anarchia cit., p. 110.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., p. 212. Lettera del 19 luglio 1866.

Lettre aux citoyens rédacteurs du «Réveil» (ottobre 1869), in Œuvres cit., t. V, p. 286. In questa lettera Bakunin riassume le sue impressioni sull'Italia.

Lettera citata a Nettlau.

Fanelli è noto soprattutto per la parte sfortunata che prese nella sfortunatissima impresa di Carlo Pisacane. Carattere incerto, entusiasta e pur timido di responsabilità, si trovò disgraziatamente a coprire un posto che richiedeva energia, prontezza, franchezza. Dopo il '60, usciti i superstiti di Sapri dalle galere borboniche, il Fanelli fu fatto segno ad accuse violentissime per il suo operato; pochi lo difesero. Ne rimase sconvolto finché la sua intelligenza naufragò nella pazzia.

Di Fanelli e Friscia cosí parla O. GNOCCHI-VIANI, Ricordi di un internazionalista, Milano 1910, p. 121: «Ricordo pure benissimo... le figure simpaticissime di Fanelli e di Friscia... i quali... si erano consacrati alla propaganda socialista e precisamente alla propaganda della scuola bakuniniana, seguendo il metodo – del resto il solo possibile in quegli inizi – della propaganda individuale orale. Parlatore facondo e immaginoso il Fanelli, dicitore sobrio e calmo il Friscia; entrambi manifestanti una convinzione cosí sincera, cosí profonda, cosí comunicativa, che faceva in noi l'effetto di raffiche che investivano e cacciavano le nubi che ancora ingannavano tanti giovani cervelli, per lasciar intravedere cieli e orizzonti nuovi, piú limpidi e piú belli». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale cit., pp. 114-20.

Sposò piú tardi la vedova di Bakunin.

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, p. 77; G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 94; M. NETTLAU, Michael Bakunin cit., pp. 180 sg. Scrive il Saffi nei citati Cenni a proemio del vol. XVII di SEI (pagina XXXIII): Bakunin «prese stanza a Napoli, fondandovi un gruppo di giovani seguaci delle sue dottrine in antagonismo colle dottrine di Giuseppe Mazzini, ch'egli fece segno sovente a polemiche acerbe e talvolta scurrili».

Per il quale e per Gambuzzi Bakunin aveva una raccomandazione di Garibaldi stesso (M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 284).

Lettera citata a Nettlau. Gli articoli, credo, furon pubblicati anonimi perché, secondo una ricerca, che però non ho potuto compiere personalmente, il nome di Bakunin non ricorre mai sul «Popolo d'Italia». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale cit., appendice IV, p. 190, secondo il quale uno dei redattori del «Popolo d'Italia» sarebbe stato il già nominato R. Mileti.

M. BAKOUNINE, Lettres à un français sur la crise actuelle, in Œuvres, t. IV, pp. 34-35.

Ibid.

Ibid., pp. 32-34.

M. BAKUNIN, Il socialismo e Mazzini cit., p. 55.

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 11.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 208-11.

Manifesto o lettera che non son riuscito a rintracciare.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 212-41.

È del luglio 1866 ed è stata pubblicata dal NETTLAU (Bakunin und die Internationale cit., pp. 287-88), col titolo «Ultima lettera di F[ratelli] di Palermo che si sciolgono dagl'impegni presi». Pare fossero sorti dei dissensi in occasione della guerra italo-austriaca: «FF .˙. In nome del C[omitato] C[entrale] della Soc[ietà] Int[ernazionale] R[ivoluzionaria] D[emocratica] S[ociale] noi vi dichiariamo sciolti da qualunque impegno e da qualunque giuramento fatto. Dichiariamo illegale ed immorale qualunque corpo che nulla curante la presente ingiunzione volesse proseguire a vivere e lasciamo tutto a lui la responsabilità e le conseguenze. Forse non tarderà molto faremo appello alla vostra operosità umanitaria-sociale-democratica-italiana. In nome intanto di questo S[tato] M[aggiore] residente in Palermo, vi dichiariamo benemeriti per la vostra mostrata operosità».

Bulletin» (del Giura), 16 luglio 1876.

Questo giornaletto è introvabile e anzi si è a lungo perfino dubitato che sia mai esistito; ma la sua esistenza è provata da una lettera di Bakunin del 7 maggio 1867 (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 248-253; M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale cit., p. 289).

M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale cit., p. 289.

I primi dubbi sulla sua serietà di democratico si presentano nel marzo '66. «Ho paurascrive Bakunin il 23 di quel mese, in una lettera ai soliti amici – che Garibaldi si lasci sedurre per la decima volta e diventi, nelle mani di chi voi sapete, uno strumento per gabbare i popoli» (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 208-11).

Lettera citata, pp. 14-15.

Statistica del 1875.

Società dei falegnami a Bologna, dei calzolai e degli orefici a Genova, dei muratori e d'un'altra categoria d'operai a Milano, una cooperativa fra tipografi a Bologna e una fra operaie a Napoli (VIGANò, Il movimento cooperativo e le banche popolari tedesche e italiane e loro confederazione, Milano 1873; T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit.).

Tutte fra tipografi, a Milano, a Lodi, a Genova (MARTINELLI, Dell'istruzione popolare cit.).

L'Avvenire», Firenze, 9 maggio 1865.

Ibid., 25 maggio 1865.

Ibid., 8 giugno 1865.

Cenni storici ecc. cit.

Gli scioperi sono all'ordine del giorno nel Regno d'Italiascriveva «L'Avvenire», 8 giugno 1865.

Di questi e d'altri tumulti contadineschi si trovan notizie sui principali giornali del tempo.

Veramente il I Congresso doveva tenersi a Bruxelles nel 1865; ma fu rimandato, essendo ancora troppo scarso il numero degli affiliati. Si riuní in sua vece a Londra una conferenza (25-28 settembre 1865) alla quale parteciparono delegati tedeschi, francesi, belgi, polacchi, spagnuoli, inglesi e svizzeri, oltre a un rappresentante l'Italia, il cui nome non ricorre mai nei verbali (in verità molto succinti) della conferenza. Il DE LAVELEYE, Le Socialisme contemporain, 2a ed., Paris 1883, p. 176, afferma che egli era il Wolff; e aggiunge che, esaminandosi la situazione dell'Internazionale in Europa, si disse che in Italia nuoceva la ostilità dei mazziniani. Ma il Wolff, è evidente, non poteva avere questa opinione. Forse alla conferenza giunse qualche notizia sull'Italia da parte di Bakunin.

Avverto il lettore che, riassumendo i progressi dell'Internazionale, non darò che pochi cenni indispensabili riguardanti lo sviluppo dell'associazione nei vari paesi. Cercherò invece di documentarne con quelle notizie che sono a mia cognizione la progressiva infiltrazione in Italia.

T. MARTELLO, Storia della Internazionale, Padova 1873, p. 39.

La lettera è riportata da M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 278.

Verbali citati ad diem. Marx rimase assai impressionato della protesta di Wolff e piú del fatto che la maggioranza del consiglio intendeva dargli ragione. E si figurò che Mazzini, d'accordo con alcuni membri del consiglio, complottasse per impadronirsi della direzione dell'Internazionale. Scriveva infatti ad Engels, il 24 marzo 1866: «Nella seduta del 6 marzo s'è svolta una scena già bell'e preparata: apparve improvvisamente il maggiore Wolff in persona e tenne un solenne discorso in nome suo e di Mazzini e della Società italiana... Egli attaccò Jung e (implicitamente) anche me, molto violentemente. Il vecchio mazziniano di Odger, Howell, Cremer si fece avanti. Le Lubez aprí il fuoco e, at all events, fu presa una risoluzione che piú o meno conteneva un'ammenda onorevole per Mazzini, Wolff ecc. Come vedi la cosa è seria». E piú oltre: «Sarebbe un colpo abilissimo di Mazzini quello di lasciarmi portare avanti l'associazione e poi appropriarsene. Con l'aiuto degli inglesi, egli desiderava diventare il capo riconosciuto della democrazia continentale, come se i signori inglesi avessero nominato a capi noialtri!» «Si concluse che, ad ogni modo, martedí (13) io mi sarei mostrato in Consiglio e avrei protestato... contro quel modo d'agire. Io dovevo inoltre chiarire i rapporti di Mazzini sia con la nostra associazione sia col partito continentale dei lavoratori» (Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 301-3).

Verbali citati ad diem. Orsini si pentí poi di avere cosí crudamente attaccato Mazzini. E mandò a dire, nella seduta successiva, che non s'interpretasse male quel che egli aveva detto, poiché «nutriva il piú grande rispetto per Mazzini». Siccome partiva in quei giorni per l'America, accettò l'incarico di far propaganda internazionalista nei paesi che avrebbe visitato e lasciò numerosi indirizzi di elementi socialisti a lui noti, in Italia e altrove.

Raccomandato da Orsini. Verbali del 20 marzo 1866.

La seduta del 20 giugno fu quasi tutta dedicata a Mazzini e Garibaldi e a muover critiche al loro atteggiamento. Uno dei consiglieri [il Dutton], dichiarò che gli operai di tutti i paesi potevano raggiungere la loro indipendenza sociale e politica pur senza combattere per il trionfo del principio di nazionalità. Si finí col votare un indirizzo agli operai europei, invitandoli ad unirsi per rovesciare i tiranni ed esprimendo agli italiani in particolare la speranza che essi avrebbero liberato la Venezia, senza lasciarsi trascinare in una deplorevole alleanza con la Prussia.

Le prevenzioni di Marx contro Mazzini erano in quel tempo cosí accentuate che quando quest'ultimo ebbe a lanciare, nel 1866 stesso, la sua Alleanza repubblicana, Marx non esitò a interpretarla come una manovra contro l'Internazionale. Scrisse infatti all'Engels, 17 maggio 1866, annunciandogli che «il signor Mazzini non ha avuto pace finché non ha formato contro di noi un Comitato repubblicano internazionale» (Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 320-21).

Giornale delle Associazioni operaie», 6 maggio 1866. Di questa lettera si trova cenno anche nei Verbali citati, 8 maggio 1866. Allo Stampa rispose il Becker, rappresentante dell'Internazionale a Ginevra, compiacendosi che gli operai italiani si fossero «uniti alla salda società del raggiungimento dell'emancipazione economica e politica» («Giornale delle Associazioni operaie», 6 maggio 1866).

Verbali citati, 8 maggio 1866.

MAZZINI, SEI cit., vol. XVII, p. 112.

Pubblicato dal NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., pp. 37 sg. È firmato da Friscia, Gambuzzi, Fanelli, Mileti, De Luca, Caporusso, Dramis, Piscopo, Ciminino, Calfapetra, Di Serio, De Martino, Manes-Rossi, Mayer.

G. DOMANICO, L'Internazionale cit., appendice.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., p. 263.

Probabilmente si riferisce alla «Libertà e Giustizia» il «programma di un nuovo giornale, che uscirà presto a Napoli», del quale parla Bakunin in una lettera a Herzen dell'8 aprile 1867 (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, p. 180). Marx scriveva ad Engels, 4 settembre 1867: «Ho ricevuto da Napoli i due primi numeri di un giornale: "Libertà e Giustizia"... Il numero 2, che ti manderò, contiene un buon assalto contro Mazzini. Credo che Bakounine c'entri per qualche cosa» (ID., Bibliographie de l'anarchie, Bruxelles 1897). Lo stesso Nettlau (Errico Malatesta ecc. cit., p. 39) un elenco di persone cui il giornale era inviato: oltre a vari stranieri, lo ricevevano Garibaldi, Berti-Calura, Mazzoni, Ludmilla Assing, Asproni, Alberto Mario, Stampa, ecc. Il giornale si spediva gratis a richiesta e si sosteneva con oblazioni. Secondo Osvaldo Gnocchi-Viani sarebbe stato soppresso dal governoRévue socialiste», Paris, 20 gennaio 1880). Benedetto Malon scrisse che fu proprio la «Libertà e Giustizia» a «mettere il movimento socialista italiano nelle mani di Bakunin» (L'Internationale, in «Nouvelle Révue», 15 febbraio 1884, pp. 751 sg.). Nel che era qualche esagerazione.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 240 sg.

Ibid., pp. 263 sg.

Lettre aux citoyens ecc. cit., pp. 289 sg.

Oltre all'interesse per il Congresso di Ginevra può aver contribuito ad allontanare Bakunin dall'Italia una calunnia, che gli fu lanciata contro con insistenza e che gli procurò non poche noie: quella di fabbricare monete false. La calunnia era stata messa in giro da alcuni giornali russi. In Italia, secondo Bakunin, venne diffusa dal prefetto di Napoli (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 254-58 e 267-73).

E. ZOCCOLI, L'anarchie cit., p. 133. Lo Zoccoli non riporta la data di questo scritto.

G. MAZZINI, L'Internazionale ecc. cit., pp. 111-12.

T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 40; CESARINI, Requisitoria pronunciata al processo di Firenze contro gli internazionalisti (1875), in BOTTERO, Dibattimento nel processo per cospirazione e internazionalismo innanzi alle Assise di Firenze, Roma 1875, pp. 302-59.

Lo Stampa dichiarò al congresso che vi erano in Italia «almeno seicento società operaie rappresentanti piú di un milione di membri». Il congresso verificò le cifre e trovò che il delegato italiano «pel decoro dell'associazione potrebbe essere un po' piú esatto» (T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 40 nota). Il numero delle società non era esagerato; lo era bensí, e non di poco, quello dei soci.

Secondo il MARTELLO, Storia della Internazionale cit., pp. 48-49, nella votazione seguita alle proposte del belga, lo Stampa avrebbe votato a favore.

Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 405 sg.

G. MAZZINI, SEI cit., vol. XV, pp. 6 sg.

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 47-48.

Racconta la scena J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, p. 54.

M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., pp. 291-92.

RICHARDS, op. cit., III, p. 178. Lettera del 12 o 13 settembre 1867.

M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 39.

Le società di mutuo soccorso erano, nel 1867, 573 (Statistica del 1873 cit., passim). Le società operaie di mutuo soccorso di Cremona, Perugia, Torino ricevettero una speciale menzione all'Esposizione di Parigi per aver esercitato una lodevole influenza sul benessere delle classi lavoratrici. La Società operaia di Bologna vinse un premio bandito dalla locale Cassa di risparmio fra le società meglio ordinate (RAvà, Storia delle associazioni ecc. cit., p. 48; «L'Eco dell'Operaio», 13 luglio 1867).

Con la collaborazione del Fano, del Corbetta, del Cossa (RABBENO, p. 13).

Vennero cosí sequestrati i numeri del 13 aprile e dell'8 giugno 1867. Il motto del giornale era il seguente: «Pane e lavoro all'operaioLibertàAssociazioneLibero pensiero».

Per tutto il 1867 le maestranze operaie, gli artigiani e i contadini in moltissime località dettero segni di inquietudine e trascesero a dimostrazioni e tumulti, spesso gravi, in segno di protesta contro l'alto prezzo del pane.

Alcuni operai di Napoli e di Bologna visitarono ad esempio, nel 1867, l'Esposizione di Parigi (DE CESARE, op. cit., p. 132).

Lo Zenzero primo», Firenze, 24 giugno 1867.

L'imposta sul macinato venne presentata per la prima volta alla Camera da Quintino Sella, il 13 dicembre 1865. Colpendo modestamente l'universalità dei cittadini, essa assicurava il piú largo gettito. Il Sella, che ne conosceva tutta la gravità, la propose «non senza esitanza e con grande rincrescimento» (Rendiconti del Parlamento, Sessione del 1865-1866, vol. I, p. 344). Respinta, ripresa da altri ministri, discussa appassionatamente sulla stampa periodica e in pubblicazioni speciali, ripresentata piú volte alle due Camere, essa procurò al Sella non poche amarezze. L'onorevole Asproni, per esempio, nel giugno 1867, lo accusò di essere un accanito nemico dei poveri. Al che ribatté il Sella: «Certo è mio triste officio proporre balzelli. Però li ho proposti e credo abbiano fatto molto male coloro che li hanno respinti per l'odio di un nome, prima forse di averli esaminati. Credo amar piú la classe povera, la classe che soffre, proponendo imposte che valgano a migliorare le condizioni economiche del paese, di quel che l'amino coloro che contro simili proposte continuamente declamano».

Rendiconti del Parlamento, Sessione del 1867, vol. VIII, p. 8966.

Ibid., vol. V, p. 5008.

Questo giornale usava sempre un linguaggio molto violento contro le classi dirigenti. Il numero del 26 gennaio 1868 fu sequestrato per un articolo, La fame e la diplomazia, che – secondo la motivazione del sequestroconteneva «espressioni le quali costituiscono un voto di distruzione dell'ordine monarchico costituzionale ed offesa alle leggi dello Stato, non che provocazione alle varie classi sociali ed alla rivolta». Cfr. il numero del 2 febbraio 1868.

Lo Zenzero primo» era un «giornale politico popolare», fondato il 16 giugno 1867. Anticlericale, garibaldino, semisatirico.

Ecco un brano del suo programma: «La costituzione ci mezzi sufficienti per agitarci: noi vogliamo approfittarne. Purché il popolo voglia, anche senz'armi può alzare la testa, far impallidire i prepotenti della terra ed acquistare i suoi diritti legittimi». La società fonda subito un giornale dello stesso nome, dedicato esclusivamente agli operai («L'Avvenire dell'Operaio», 2 febbraio 1868).

All'associazione democratica Fede e Lavoro di Palermo (Lettere di G. Mazzini alle società operaie ecc. cit., p. 58).

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., p. 379, 31 marzo 1868. Queste sue dichiarazioni pubbliche e private sono cosí esplicite che possiamo togliere qualsiasi valore alle pretese rivelazioni della «Unità cattolica», 21 marzo 1868, la quale afferma che «molti fra i deputati di questo partito (la Sinistra) vanno persuasi che la sanzione suprema, data all'imposta del macinato, non possa che ridondare a vantaggio della repubblica, e però s'astengono, non volendo approvarla, ma col vivo desiderio ch'essa sia messa in attuazione. Si vuole da taluno che Mazzini sia a Lugano, e che colà abbia avuti segreti colloqui con parecchi dei suoi affigliati, ed anche, debbo dirlo?, con Garibaldi, giuntovi in incognito da Caprera, e che l'apostolo di Londra abbia date grandi speranze a tutti intorno a prossimi eventi».

Secondo il regolamento sancito dalla Camera, che fu applicato nel 1869, ogni quintale di grano doveva pagare 2 lire di tassa, 1 lira ogni quintale di granturco e di segala, 1,20 ogni quintale di avena e 0,50 ogni quintale di legumi secchi e castagne.

Lo sciopero viene risolto rapidamente, dietro promessa del prefetto di sospendere l'esazione della tassa («La Nazione», 4, 5 aprile 1868). «L'Avvenire dell'Operaio», 4 aprile, scrive che esso fu la «dolorosa espressione di un popolo spinto all'ultima prova di pazienza... Si ricordi il governo che un popolo già troppo angosciato dalla miseria, quando si ferisce ancora nella sua piccola paga, diventa terribile. Basta una scintilla per dar fuoco ad un incendio vastissimo, funestissimo». Il foglio vien sequestrato per aver espresso concetti diretti ad eccitare gli operai alla ribellione. Nel maggio gli operai che hanno capeggiato lo sciopero vengono licenziati dal lavoro. I compagni fondano una Cassa di soccorso per sussidiarli («L'Avvenire dell'Operaio», 30 maggio, 6 giugno 1868).

Termina con arresti e scioglimento di associazioni politiche e operaie. Gli operai promuovono una sottoscrizione per soccorrere gli arrestati. Particolare interessante: fra le altre categorie, han dichiarato lo sciopero anche i tipografi, eccettuati però quelli che lavorano per il giornale democratico «L'Amico del Popolo» (diretto da Francesco Pais-Serra), che viene additato in un pubblico manifesto come «l'unica arma potente che ancora sia rimasta (al popolo) per propria difesa». Cfr. «La Nazione», nei giorni seguenti all'agitazione.

L'Avvenire dell'Operaio», 12 gennaio 1868. Lo sciopero si verifica fra gli operai lanieri, ai quali si vorrebbe imporre un ribasso di salario.

Lo Zenzero primo», Firenze, 7 marzo 1868.

L'Italia», Firenze, 31 luglio 1868.

RAVÀ, Storia delle associazioni ecc. cit., p. 44.

Un operaio tipografo di Verona lancia la proposta di fondare una Federazione delle società fra lavoranti tipografi. Nello stesso anno 1868 la Società di mutuo soccorso fra i compositori tipografi, a Bologna, apre una tipografia cooperativa, che negli anni seguenti darà ottimi risultati. RAVÀ, Storia delle associazioni ecc. cit., pp. 58 sg.

BROCCHI, L'organizzazione di resistenza in Italia, Macerata 1907, p. XIX.

L'Unità cristiana» (foglio democratico torinese) scrive il 16 maggio 1868: «La malattia che oggi travaglia il popolo italiano è il malcontento. E da questo succedono scioperi e tumulti, tumulti e scioperi, in una parola disperazione generale. La povera plebe, quella che vive alla giornata, si vede tutti i giorni diminuire il lavoro, e mancarle il pane». Se il governo e le classi dominanti non trovano un rimedio «lanceranno l'Italia sopra una via sdrucciola di agitazioni, di lotte funeste, di repressioni senza fine».

T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 51.

Friscia giunse a Bruxelles troppo tardi per poter partecipare al Congresso.

Che tali relazioni esistessero, prova una lettera dello stesso Dupont a un suo anonimo corrispondente napoletano, 20 gennaio 1869: «Dal Congresso di Bruxelles in poi non abbiamo ricevuto nessuna lettera dall'Italia. Il che ci stupisce...» (M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 296).

T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 51.

Il Bignami, nato nel '47, dopo una breve parentesi di misticismo cristiano, era passato al mazzinianismo; divenuto poi ufficiale garibaldino (campagne del '66-67), aveva assorbito quello spirito materialistico e quella indeterminata tendenza al socialismo, che parevano divisa di molti seguaci di Garibaldi. I piú tra questi se ne contentavano: Bignami volle farsi una cultura specifica e uscire dall'ambito delle aspirazioni generiche e dell'umanitarismo di maniera. Nacque «La Plebe», che è documento del suo travaglio interiore. Questo giornale è oggi di difficilissima consultazione; ritengo anzi che una collezione completa non esista piú. La prima annata, che ho veduto, mi è stata favorita dalla cortesia della vedova del fondatore, signora Enrica Bignami.

Nel primo numero (4 luglio), i redattori cosí espongono il loro pensiero: «Repubblicani, noi non abbiamo fede che nella iniziativa del popolo; altra meta che la sua sovranità. Lotteremo quindi ad oltranza contro tutte le istituzioni che loro si oppongono, le fuorviano, ritardano. Razionalisti, non ingiuriamo il nome di uomo alcuno; amiamo la verità; ma non ammettiamo altri veri che quelli dimostrati dalla ragione. Socialisti, parteggiamo però per quel socialismo, che tende a livellare piú presto inalzando che deprimendo. Nel motto tutti per uno e uno per tutti, sta per noi la soluzione di tutti i problemi sociali». Linguaggio, come si vede, assai misurato.

Quando, nella «Plebe», si parla del proletariato, il tono non è sostanzialmente diverso da quello usato dal «Dovere» o dall'«Unità italiana». che appare davvero esagerato il sospetto grandissimo nel quale le Autorità tennero il modesto settimanale lodigiano; gli si affibbiò una nomea di rivoluzionario, di sovversivo assai poco corrispondente alla realtà; ché una certa vivacità di linguaggio di fronte alla monarchia non era nuova davvero negli annali della stampa repubblicana. La motivazione del primo sequestro (14 luglio 1868) s'iniziava cosí: «Ritenendo che il numero 4 del periodico "La Plebe"... nel suo primo articolo intitolato: La gratitudine monarchica e la plebe, contenga concetti e frasi le quali suonano provocazione all'odio fra le varie condizioni sociali...» Io non ho potuto vedere il numero incriminato; si potrebbe ritenere che contenesse alcunché di profondamente diverso da tutti gli altri numeri, se non ci illuminasse la motivazione del sequestro successivo (8 settembre 1868), che fa carico al giornale di aver stampato un articolo contenente un «aperto invito alla insurrezione ed alla guerra civile». Si tratta nientedimeno che del famoso scritto di G. MAZZINI, Ai giovani, ricordi (1848), che era stato perfino ripubblicato tra le sue opere! (SEI, vol. VI, pp. 331 sg.).

Il giornale fu a volta a volta bisettimanale, settimanale, quotidiano (nel 1875-76) e si pubblicò prima a Lodi, poi a Milano. Nella sua non breve vita (cessò le pubblicazioni nel 1883) ebbe a subire un'ottantina di sequestri. Tra i collaboratori dal 1868 al 1870 vanno ricordati P. Perla, R. Bezza, F. Piccinini, Carlo Rossi. Nel 1872 iniziarono la loro collaborazione Osvaldo Gnocchi-Viani e Benedetto Malon.

L'Internazionale ecc. cit., pp. 144 sg.

Del Congresso di Bruxelles dette l'annuncio e qualche resoconto, in Italia, «L'Avvenire dell'Operaio» di Torino, 11 luglio, 19 settembre, 31 ottobre 1868.

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 19. Mazzini, tutto preso dalle cure politiche, intuiva a volte che il suo disinteressamento dal movimento operaio italiano poteva portare a dolorose conseguenze; avrebbe voluto rompere il silenzio, ma non ignorava che il suo nome era ormai segnacolo di discordia tra gli operai. «Pensai al come dell'appello alle società operaiescriveva al Giannelli il 28 dicembre 1868. – Vorrei essere io centro; ma ciò forse allontanerebbe delle società» (Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit.).

M. DE PRÉAUDEAU, M. Bakounine, le collectivisme dans l'Internationale, Paris 1911, pp. 126 sg.

Il programma della rivoluzione, discorsi al Congresso di Berna, in La Comune e lo Stato, 1a ed. italiana, Milano 1912, pp. 51 sg.

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 132 sg.

Fanelli era partito per un giro di propaganda alleanzista in Ispagna. Cfr. M. NETTLAU, M. Bakunin, la Internacional y la Alianza en España (1868-1873), Buenos Aires 1925.

Mazzini stupirà poi di trovarlo socialista!

Il 7 novembre, per esempio, gli scriveva: «... Studia bene il regolamento, sia quello intimo che quello ostensibile, e non te ne allontanare, ti prego. Si tratta di una cosa seria... Costituite un ufficio a Napoli, composto di te, di Saverio e di Raffaele, se Atanasio preferisce restare in una vergognosa passività. Organizzate i gruppi provinciali... L'assenza di Beppe sotto questo rapporto è fatale. Ma tu devi supplirlo con la tua energia e attività...» (M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., pagine 293-94).

Il 12 dicembre cosí scriveva a Gambuzzi il segretario dell'ufficio centrale dell'Alleanza (stabilito a Ginevra): «Noi speriamo che non tarderete e fondare in tutte le città d'Italia nelle quali sarà possibile degli uffici provinciali dell'Alleanza, e vi preghiamo soprattutto di non dimenticare che la nostra Alleanza non sarà veramente utile altro che quando sarà realmente fusa nell'Associazione internazionale dei lavoratori; che di conseguenza il suo scopo principale, la sua ragion d'essere, per cosí dire, è di propagare e di diffondere ogni dove questa grande e salutare associazione...» (ibid., pp. 294-95).

Gambuzzi e Tucci promisero di collaborare per l'Italia al nuovo giornale «L'Egalité», che si fondava a Ginevra, portavoce di Bakunin. Sulle sue colonne troviamo infatti frequenti notizie sullo sviluppo del socialismo in Italia. Cfr. numeri del 20 e 27 febbraio 1869, del 13 marzo, del 3, 10 e 17 luglio.

In un diario manoscritto, che si conserva nella Biblioteca di Forlí, cui un anonimo pavido conservatore, tutt'altro che propenso a esagerare le tristi condizioni del proletariato, confidava le sue impressioni e i suoi timori, si leggono, per il 1871, e precisamente a 22 giugno, le seguenti notizie: «Oggi stesso vari mietitori venuti per trovar lavoro dalla montagna, non hanno trovato come occuparsi, e i piú si sono contentati di prendere centesimi 20, cioè 4 soldi al giorno! prezzo che non s'era mai fatto...» E a 24 giugno: «Il maggior prezzo a cui siano salite le opere per mietere in questi giorni è di centesimi 60, cioè 12 soldi al giorno»; l'epoca della mietitura era l'epoca grassa per i braccianti; l'epoca nella quale i proprietari, costretti a far molto in poco tempo, largheggiavano. Queste notizie si riferiscono al 1871, è vero, ma niente fa supporre che le cose andassero meglio negli anni immediatamente precedenti: tutt'altro.

Venne letto alla Camera nella seduta del 21 gennaio 1869.

Cfr. «La Nazione», gennaio 1869.

Ibid., 4 gennaio 1869.

Ibid., 5 gennaio 1869.

Il foglio è conservato nella Raccolta di Achille Bertarelli, Milano (ora donata al locale Museo del Risorgimento), al quale, per la cortesia dimostratami mettendo a mia disposizione l'ingente materiale magistralmente ordinato, esprimo qui tutta la mia gratitudine.

La Perseveranza», 7 gennaio 1869.

Ibid., 9 gennaio 1869.

Ibid., dall'8 al 19 gennaio.

Ibid.

La Nazione», dall'8 al 19 gennaio.

Dal rapporto del prefetto di Bologna al ministro dell'Interno, 18 gennaio 1869, ibid., 23 gennaio 1869.

La Nazione», dall'8 al 19 gennaio.

Patriotti e soldati del Risorgimento. Note storiche e aneddotiche, Reggio Emilia 1915. Ristampato, con qualche variante, col titolo: Aspromonte-Mentana e le bande repubblicane in Italia nella primavera del 1870, Milano 1923. Nel libro non son citate le date precise di questi episodi.

Aspromonte-Mentana ecc. cit., p. 140.

Cfr. anche «Il Monitore di Bologna», 16, 17 febbraio 1869.

Mauro Macchi, per esempio, nel suo Almanacco istorico per il 1870 (pp. 18, 19), cita la banda emiliana per dimostrare il progresso compiuto dalle idee repubblicane in Italia.

Relazione della Commissione d'inchiesta sui casi dell'Emilia pel macinato, in «Il Monitore di Bologna», 20 settembre 1869.

L'Ancora», Bologna, 16 gennaio 1869.

Il Monitore di Bologna», 20 settembre 1869.

Rendiconti cit., pp. 8953-54.

Il prefetto di Parma nel suo Rapporto al generale Cadorna, 7 gennaio 1869 («La Nazione», 24 gennaio), scrive: «Noto il fatto, nuovo per questi tempi, del levarsi in massa, dell'affratellarsi in bande, del muoversi concertati, del percorrere lungo cammino onde trovarsi a determinata mèta. Noto questo fatto specialmente perché s'è compiuto con insolita rapidità e, ciò che piú monta, si è organizzato senza lasciarsi accorgere».

Acutamente lo stesso prefetto di Parma fa notare come i contadini della sua provincia fossero blanditi e tenuti buoni dal cessato governo, costretto a lottare con la classe intelligente e tenuti a freno dai parroci, allora conservatori. Questi ultimi, dopo il '60, a tutto hanno pensato fuor che a calmarli e a inculcare la rassegnata osservanza delle leggi.

Dal Rapporto del prefetto di Reggio Emilia al ministero dell'Interno, 10 gennaio 1869; «La Nazione», 26 gennaio.

La Gazzetta dell'Emilia», 12 gennaio 1869.

Non mi sono diffuso a parlare di questa rivolta, poiché la si deve considerare come un vero e proprio tentativo di restaurazione borbonica o di autonomismo, malamente truccato coi colori della rivolta sociale.

Il Corriere italiano» di Firenze, in un articoletto che ha l'aria di un comunicato ufficioso afferma, il 4 gennaio, che il governo ha acquistato la prova essere le agitazioni opera del partito repubblicano.

Il PETRUCCELLI DELLA GATTINA, Storia d'Italia dal 1866 al 1880, Napoli 1882, p. 54, parlando dei repubblicani, scrive: «Si provocarono i contadini ad insorgere contro la tassa del macinato in alcune province».

Rapporto del prefetto di Reggio ecc. cit.

Eccone un campione («Il Presente», Parma, 3 gennaio 1869): «E qual legge potevano proporre piú ingiusta, piú iniqua, piú contraria allo Statuto?... Cambray-Digny e i suoi consorti la proposero, la votarono perché su di essi non fassi sentire. Non di pane solo essi vivono; è il povero popolo, il proletariato, il contadino cui restano pochi soldi per sfamarsi, che di solo pane vive, che quindi la maggior parte della tassa deve pagare. Chi meno possiede paghi di piú!... Ma che importa se ridestansi tumulti? abbiamo soldati, abbiamo cavalli, cannoni, baionette; se non volete morir di fame morirete di piombo... Tutto questo mentre ferve in piazza la rivolta, mentre le masse contadine percorrono imponenti e furibonde la provincia».

Aspromonte-Mentana ecc. cit., p. 139.

Il fatto che i moti non si sono estesi alle città basterebbe di per sé, com'è evidente, a escludere ogni partecipazione del partito repubblicano.

Cfr. il discorso dell'onorevole Donati alla Camera, 25 gennaio 1869; Rendiconti cit., p. 8970.

21 gennaio 1869.

Seduta del 21 gennaio 1869, Rendiconti cit., p. 8845.

Scrive «L'Ancora», Bologna, 30 gennaio 1869, in un articolo intitolato La paura del socialismo alla Camera dei deputati: «L'onorevole Torrigiani ha ben ragione di essere spaventato di questo nuovo sintomo; che alla fine contro le masse furibonde e sospinte dalla disperazione e dalla fame, mal reggono le baionette ed i cannoni... Un gelido orrore invade le ossa alla parola socialismo: ma quale provvedimento hanno preso o vanno prendendo i rigeneratori d'Italia per salvarla da questa catastrofe?» Di chi la colpa? di voi «che dieci anni sono non facevate che aizzare quelle masse medesime contro il papa e tutti gli altri sovrani d'Italia; voi che chiamavate sante le rivoluzioni, le disobbedienze alle leggi». Inutile sperare di poter ristabilire il principio d'autorità: «Sforzi inutili! Voi avete gettato le basi del piú spaventevole socialismo e le avete gittate confiscando le proprietà della Chiesa, le proprietà dei poveri, asciugando senza misericordia le tasche dei contribuenti... O governanti! ritirate le leggi, che faceste a danno della Chiesa, della santità del matrimonio; rimettete in onore quella religione che finora insultaste... Allora, ma allora solo, non tremerete piú del socialismo».

Nel '69 Bakunin era fuori d'Italia; non poté quindi rendersi conto di tante circostanze che rendono inesatta la qualifica «affatto spontaneo». Del resto egli era sempre felice quando poteva dimostrare essere le masse agricole all'avanguardia della rivoluzione.

Lettres à un français ecc. cit.

Interessante la lettera di un amico della «Nazione», che, dopo aver descritto i tumulti nella provincia di Parma, prorompe in disperate domande: «A che gli asili d'infanzia; a che tante scuole; a che le case di lavoro; a che tanto benefizio versato sulla classe operaia? La nostra generazione ha lavorato assai, ha speso non poco a pro' dei figli del popolo; ma quale frutto di riconoscenza e d'amore?» («La Nazione», 11 gennaio 1869).

Statistica del 1873 cit.; e «L'Avvenire dell'Operaio», Torino, 5, 12, 19 gennaio 1868.

BESSO, La previdenza sociale nel Risorgimento, in Cinquant'anni di vita italiana cit., pp. 1-34.

E. FANO, Della carità preventiva ecc. cit., p. 177.

Composta di P. Rotondi, F. Manfredi, A. Pestalozza, G. Sacchi, F. Restelli e Cesare Cantú.

E. MARTUSCELLI, Le società di mutuo soccorso ecc. cit., pp. IV-V.

Ibid., p. III.

Importante lo sciopero degli arsenalotti di Napoli, nel dicembre, promosso dalla locale sezione dell'Internazionale. Ma di ciò cfr. piú oltre.

REVEL, Il libro dell'operaio cit., p. 43; FRANCESCHI, op. cit., p. 13.

L'Avvenire dell'Operaio», 27 giugno 1868.

Garibaldi, informato del radunarsi del congresso, inviò una letterina di plauso e di incoraggiamento, definendo i tipografi «campioni della dignità umana». Giosuè Carducci, che partecipava al congresso in rappresentanza dei tipografi senesi, rispose: «Congresso tipografico italiano, adunato a Bologna, accoglie fra plausi vostra lettera, superbo che lo spirito del capitano della libertà aleggi in adunanza degli operai del progresso». T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit., pp. 17, 216; Unione nazionale ecc. cit. Il III Congresso si riuní a Napoli nel 1871, ma, come in quello successivo del 1872 a Venezia, non vi si poté discutere della federazione, per la opposizione dei proprietari tipografi, che vi partecipavano. La classe tipografica poté realizzare la sua aspirazione solo in un convegno tenuto a Roma nel dicembre 1872.

E. FANO, Della carità preventiva ecc. cit., p. 638.

VIGANò, Il movimento cooperativo ecc. cit., p. 33.

Origini, vicende ecc. cit., p. 257.

RABBENO, Le Società cooperative di produzione cit., pp. 280-304. Su cinquantadue cooperative di produzione esistenti nel 1888, esaminate dal Rabbeno solo una ventina, le piú vecchie, contavano da quattro a quindici anni di vita; tutte cioè, salvo quella già nominata di Altare, erano posteriori al 1873.

VIGANÒ, Il movimento cooperativo ecc. cit., p. 34.

de CESARE, op. cit., p. 60.

Della sua esiguità dava testimonianza autorevole il ministro delle Finanze che accennando alla Camera, nella seduta del 25 marzo 1868, alle condizioni degli operai, uscí in queste parole: «... in Italia vi sono circa cinque milioni di operai manuali, e, valutando la mano d'opera in media a una lira al giorno, che è una cifra molto bassa e inferiore al vero...» Tuttavia assumeva quella media a base dei suoi calcoli («La Nazione», 31 marzo 1868).

Nel dettaglio: operai addetti ai trasporti di terra: 1,14; ai lavori in muratura: 1,14; alle miniere: 1,22; alle costruzioni navali mercantili: 1,25; alla lavorazione della seta: 1,10; del cotone: 1,23; della lana: 1,05; della canapa e del lino: 1,15; calzolai: 1,14; fabbri: 1,25; falegnami: 1,25. Da una Relazione sulla circolazione cartacea stesa da A. ROMANELLI e presentata alla Camera il 15 marzo 1875.

Media grossolana dell'aumento dei salari, che ricavo dai dati raccolti.

È interessante una lettera scritta da un calzolaio alla «Nazione», 11 gennaio 1869. Egli vuol dimostrare quanto grave sia per lui il nuovo balzello sul macinato: «Io guadagno di ragguagliato 2 franchi al giorno, ho otto figli minori d'età, e consumo al giorno 18 libbre di pane (perché altro non ci entra). Riviene in un mese libbre 940. Ora con l'aumento dato al dazio consumi e al macinato, pago e mi rincara 2 centesimi la libbra – in un mese sono lire 10,80 – in un anno vengono franchi 129,60; come volete che poveri come me, si possa pagare la tassa

Le camere di commercio, nelle deposizioni rese in occasione dell'Inchiesta industriale, affermarono tutte che i salari erano «modici», «limitati», «bassi».

La polizia ecc. cit., p. 398.

I partiti anarchici cit., pp. 35-36.

L'articolo è riportato dalla «Giovine Friuli», Udine, 28 marzo 1869. Prosegue, dichiarando che il «sistema mazziniano non contiene una parola sui grandi problemi sociali: esso invece rigetta come un pericolo, come un ostacolo i diritti del proletariato, la cui semplice discussione si rinvia ai secoli avvenire. Perciò, in breve, la grande repubblica mazziniana non differisce dal regno costituzionale che per l'assenza del re... Giuseppe Mazzini ed il suo programma hanno compiuto l'opera loro». «L'Italia nuova» non risparmia neppure Garibaldi: «L'istoria dirà di lui che, nato dal popolo, nol comprese, né pugnò per lui; visse di vita immensamente gloriosa, ma fatua, morí consunto dalla tabe dei partiti: l'incapacità e l'utopia».

Lettera citata di Eugenio Dupont. Segretario per l'Italia nel Consiglio dell'Internazionale era allora un francese, certo Jules Johannard. M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, nota 1764, e Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 296.

T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 92.

Fra le carte di Engels, che ho potuto consultate a Berlino, ho trovato una Relazione sulla sezione napoletana dell'Associazione internazionale dei lavoratori, completamente inedita, che fu compilata da CARMELO PALLADINO per il Consiglio generale, in data 13 novembre 1871. Questa Relazione cosí accenna alla fondazione della sezione: «Lo stato della classe operaia napoletana era deplorevolissimo. La sua indole, per quanto viva e capace di grandi propositi, per tanto inchinevole a una specie di noncuranza ed oblio di se stesso; gli innumerevoli disinganni sofferti ogni volta che per compiersi un politico rivolgimento si faceva appello al suo braccio, con le piú larghe ed eccitanti promesse tradite poscia infamemente il del conseguito trionfo; il sorgere e sparire di numerose associazioni operaie, che nate rachitiche, finivano nella dilapidazione dei fondi e nella camorra, e mille e mille altre ragioni, che sarebbe lungo noverare, avevano gettato l'operaio napoletano in una completa e disperata atonia. Spettava all'Internazionale il richiamarlo in vita, e ridestarne la sopita attività. Di fatti: fondata in gennaio 1869 la sezione napoletana della vastissima associazione... assunse in breve insperate proporzioni».

Il processo verbale della seduta costitutiva è pubblicato in «Egalité», Ginevra, 27 febbraio 1869. Cfr. anche «Il Monitore di Bologna», 11settebre 1871. Il Caporusso si occupava da anni del movimento operaio. Nel 1865, presidente della Associazione umanitaria degli operai di Napoli, aveva diretto un indirizzo all'esule Mazzini, assicurandolo che «il popolo sta con voi» («L'Unità italiana», 26 marzo 1865). Nella citata Relazione si trova che egli «si era guadagnato le simpatie della classe operaia, che scorgeva in lui un intrepido campione dei suoi diritti», mercè la «opposizione da lui fatta alle mire poliziesche del presidente della Società centrale operaia di Napoli, ispirata, protetta e soccorsa pecuniariamente dal governo». Vicepresidente della sezione napoletana era il falegname Tucci, segretario il falegname Cirma.

Il numero di milleduecento è evidentemente esagerato. Nel rapporto ufficiale presentato al Congresso di Basilea (settembre), si annunciava che seicento operai erano già iscritti alla sezione di Napoli.

MARIUS, L'Internazionale, dedicato all'operaio italiano, Roma 1871, pp. 98, 99. Cfr. anche «L'Egalité», 22 maggio 1869.

M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 419.

Questa faccenda dell'Alleanza, disciolta, ma che seguita a funzionare segretamente, è molto imbrogliata. Bakunin negò sempre che si fosse costituita un'Alleanza segreta; solo ammise (quando scoppiò il dissidio tra lui e Marx) che l'Ufficio centrale dell'Alleanza, a Ginevra, aveva tenuto delle riunioni segrete anche dopo la fusione con l'Internazionale per non compromettere alcuni suoi membri italiani e francesi i quali, facendo una propaganda sovversiva, rischiavano di venir perseguitati (Rapport sur l'Alliance [1871], in Œuvres cit., t. VI, pp. 186-89). Marx cercò invece di dimostrare, al Congresso dell'Internazionale tenutosi all'Aja nel 1872, l'esistenza di un'Alleanza segreta. Secondo i documenti da lui raccolti (L'Alleanza della Democrazia socialista e l'Associazione internazionale dei lavoratori, Roma 1901), ne avrebbero fatto parte: Fratelli internazionali (ossia lo stato maggiore rivoluzionario di tutta l'Europa); Fratelli nazionali (lo stato maggiore in ogni nazione); membri locali dei gruppi dell'Alleanza. Tutti insieme essi avrebbero avuto il compito di formare «un reticolato invisibile di rivoluzionari devoti». Nessuno ha mai impugnato seriamente l'autenticità dei documenti che Marx presentò all'Aja per aver modo di espellere Bakunin e i suoi dall'Internazionale; e le smentite del russo sono poco probanti perché ci resta sempre il dubbio, piú che fondato, che egli si credesse legato dai vincoli della società segreta a non rivelarne l'esistenza. Si può dunque tenere per certo che i membri della disciolta Fratellanza, ossia gli amici personali di Bakunin, iscrivendosi nell'Internazionale, serbarono i loro vincoli segreti, formando – agli occhi del russo – una vera e propria avanguardia rivoluzionaria in tutta Europa.

Tra le liste della sezione ginevrina dell'Alleanza, si trovano alcuni nomi di membri italiani. Sono: Fanelli, Gambuzzi, Friscia, Calogero Cienio, siciliano, Caporusso, Luigi Chiapparo, impiegato municipale a Napoli, Mileti, Dramis, Giuseppe Tivoli, Palladino, avvocato napoletano, Giuseppe Bramante, studente napoletano, Tucci, Zamperini e Rossetti, questi ultimi due viventi a Ginevra. M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 293. Lo stesso Nettlau riporta altrove (Michael Bakunin ecc. cit., II, pp. 307 sg.) un'altra lista, del luglio 1869, che contiene oltre a questi i nomi di Paolo Sanguinetti e Francesco Bernasconi. Altri nomi di amici italiani di Bakunin troviamo in una sua lettera a J. Guillaume, nella quale egli suggerisce di mandare «Le Progrès», giornale alleanzista di Locle, al deputato Orilla, a Berti-Calura, a Giuseppe Mazzoni, a P. G. Molmenti, redattore del «Tribuno del Popolo», Bologna, che si sarebbero probabilmente abbonati. J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit.

Molto interessante è la discussione svoltasi sul problema del diritto di eredità; essa risente dell'urto fra due tendenze opposte: quella che fa capo a Marx, il quale sostiene essere tale diritto inerente all'attuale costituzione della società, esser quindi vano il proporne l'abolizione immediata: scomparirà automaticamente nel crollo della società borghese; l'altra, che fa capo a Bakunin, il quale vorrebbe s'iniziasse senz'altro una campagna per l'abolizione del diritto di eredità. I congressisti rimasero incerti fra le due tendenze e rimandarono ogni conclusione all'anno di poi.

Verhandlungen des IV. Kongresses des Internationalen Arbeiterbundes in Basel, Basel 1869, pp. 30-31.

Ibid., p. 65.

Bollettino operaio» contenuto nel primo numero dell'«Eguaglianza», citato da MICHELS, Proletariato e borghesia nel movimento socialista italiano, Torino 1908, p. 24. Questa curiosa statistica si legge nei Verhandlungen ecc. cit., p. 65, ma con qualche variazione: 150000 lazzaroni, 100000 speculatori, 150000 usurai e bottegai; 200000 vittime di questi usurai.

Verhandlungen ecc. cit., p. 65.

Verhandlungen ecc. cit.

L'Internazionale. Cenno storico cit.

Forse errore per Basilea?

Quadrio.

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 417 sg. Il Giannelli cosí postilla la lettera: «Non potemmo catechizzarlo... perché non passò da Lugano». Secondo la Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit., il Congresso di Basilea dette alla testa a Caporusso: «Poiché invece di attingervi ferma convinzione, che nell'ordinamento internazionale non vi ha chi comanda e chi serve... se ne ritornò con certe strane idee, e pretese del tutto opposte ai principî della nostra associazione. Quindi cominciò... a spacciar poteri, che non aveva...; a dire che il Consiglio generale in lui unicamente aveva fiducia, e che avevagli dato facoltà, ove la sezione non procedesse secondo i suoi voleri, di scioglierla e ricomporne una nuova, e mille altre stramberie».

Di MICHELANGELO STATUTI resta un curioso volume: La soluzione del problema sociale in rapporto all'Internazionale ed ai moderni socialisti, Napoli 1871, nel quale l'autore rompe una lancia in pro' dell'emancipazione della classe operaia, pur dichiarandosi convinto della necessità di rispettare le basi fondamentali della attuale costituzione sociale. Di lui, un ex prete, parla Carlo Cafiero in una lettera a Engels, da Napoli, 12 luglio 1871, nella quale racconta che il Caporusso lo aveva costituito «professore dell'Associazione [operaia]... ed i poveri operai erano condannati a dovere apprendere dalla bocca di questo impostore il rispetto della proprietà individuale, e tante altre auree teoriche della pretesa economia politica». La lettera si conserva nel già citato Archivio del partito socialdemocratico, a Berlino.

Nel dicembre, tuttavia, «L'Eguaglianza» promuove uno sciopero degli arsenalotti.

Tolgo queste notizie sull'«Eguaglianza» dal volume citato di MICHELS, Proletariato e borghesia, pp. 30-32. Io non sono riuscito a trovar copia di questo giornale, che cessò le pubblicazioni nel febbraio 1870. Il NETTLAU (Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 297) ne ha veduti alcuni numeri che dichiara di nessuna importanza.

Il MAINERI, Le stragi di Parigi ecc. cit., vol. III, pp. 39-42, cita alcuni articoli comparsi nel 1869-70 su un giornale «L'Uguaglianza». Non si tratta di quella di Napoli. Forse è «L'Uguaglianza» di Girgenti (diretta dall'avvocato Riggio), del quale non conosco la data di fondazione. Ecco un cenno su tre di questi articoli.

12 giugno 1869. Articolo su l'eredità, che è definita «la catena della schiavitú dei popoli». Essa è la «fonte di querele, di litigi, è la California dei tribunali, la rovina delle famiglie e degli individui. A ben esaminarla, si vede tosto il brutto mostro dell'egoismo essere figlio carnale di lei».

27 novembre 1869. Articolo sull'assesto postrivoluzionario. È ispirato alla dottrina di Bakunin: gli odierni borghesi lavoreranno nella nuova società come tutti gli altri cittadini. In caso d'incapacità al lavoro, caso facilissimo, «non avendo essi appreso a servirsi delle loro dieci dita, eh via!... rilasceremo loro polizzini per la zuppa».

23 gennaio 1870. Articolo inneggiante all'Internazionale.

Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.

Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.

L'episodio è narrato da Andrea Giannelli, nella lettera già citata al Nettlau (Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 380). Bakunin scriveva a Ogarëv, il 7 gennaio 1870: «Sembra che il vecchio [Mazzini] sia di nuovo a Lugano... Si capisce, che io ai suoi occhi sono un eretico pericoloso, che ha fatto molto male all'Italia...» Ibid., p. 380.

Ibid., p. 382. Il 22 aprile 1870, trovandosi a Milano, Bakunin scriveva a Bellerio: «... bisognerà che faccia visita a Quadrio e alla "Unità"» (ibid., III, p. 624).

Verbali del Consiglio Generale citati: M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 47.

Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.

Una di queste carte, secondo la Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit., «rivelava francamente alle classi laboriose chi erano i loro mortali nemici, e dal guardia-campestre e dal sindaco, fino al primo ministro ed al re faceva solo una filza. Allora la magistratura credette aver trovato quanto le occorreva per sterminare l'Internazionale; la stampa salariata diede fiato alle sue trombe...»

Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit. Altra causa di decadenza furono i dissensi interni che vi si manifestarono. Il Caporusso, accusato di appropriazione indebita e calunnia, venne espulso. A capo della sezione rimase il Tucci, il quale si lasciò persuadere dal prefetto a esercitare pressione sui compagni perché ripudiassero l'adesione all'Internazionale. Restano due interessanti lettere del prefetto, d'Afflitto, il quale – convinto di servir la causa dell'ordine – si adoperò per ottenere un nuovo locale per la società, che n'era rimasta priva. E si rivolse all'uopo alle autorità cittadine. La prima lettera è del 2 aprile 1870: «La S. V. saprà certamente che da qualche anno era costituita in questa città la cosidetta Associazione internazionale degli operai, la quale, presieduta da Stefano Caporusso, ed influenzata da persone di dubbia fede politica, minacciava di divenire uno strumento potente in mano agli agitatori politici per turbare l'ordine pubblico e creare imbarazzi al governo. Saprà pure, che avendo i capi della medesima nel febbraio ultimo provocato uno sciopero di operai pellettieri, furono arrestati e processati. Avviene ora che gli operai associati, i quali, in sostanza, sono alieni dalle cose politiche, avendo compreso e riprovato gli intendimenti sovversivi del Caporusso, abbiano deliberato di deporlo dalla presidenza, e di ricostituire l'associazione, modificandone gli statuti, e limitandola al solo scopo di mutuo soccorso... Ed è perciò che io mi rivolgo alla S. V., pregandola di conceder l'uso di qualche sala...» La seconda del 5 maggio, nella quale prega di concedere il refettorio dell'ex convento di San Severo «alla detta associazione e per essa all'artigiano Cristiano Tucci, che la rappresenta, e che mira a riformarla, riportandola a sani propositi... Mi auguro che Ella voglia accogliere la mia preghiera... penetrandosi dell'altissimo interesse che ho, onde il Tucci sia accontentato». Ottenuto cosí per interposizione prefettizia il locale, gli internazionalistinient'affatto disposti a rinunciare alle loro ideeguidati dal Gambuzzi, smascherarono il Tucci che, con grave delusione dell'autorità, fu costretto a lasciare l'associazione; e la sezione «potette riprendere il penoso lavoro della sua organizzazione» (Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.).

Il Monitore di Bologna», 11 settembre 1871.

MARIUS, L'Internazionale ecc. cit., pp. 98 sg.

Verbali citati.

Lettera di Bakunin a Joukovski, 5 maggio 1870 (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 421).

ID., Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 300.

Di una sezione dell'Internazionale ad Abbiategrasso in quegli anni non ho trovato nessuna notizia.

M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 300.

Lettera di Gambuzzi, 30 maggio 1870. Ibid., p. 299.

M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 421.

M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit.

Albert Richard, in «Revue de Paris», settembre 1896. Bakunin «contava molto – scrive il Richard – sugli italiani che gli presentavano come tesa la situazione del loro paese».

M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 421.

Ibid., p. 301.

L'Unità italiana», 27 ottobre 1870.

MAINERI, Le stragi di Parigi ecc. cit., vol. III, pp. 10-11. Sulle riviste si comincia a parlare dell'Internazionale. ITALO ACCARINI stampa nella «Rivista europea», ottobre 1870, un articolo su L'Associazione internazionale operaia, nella quale critica le tendenze prevalse negli ultimi congressi, si dichiara contrario agli scioperi e addita la via della cooperazione come l'unica che può condurre a un progressivo e pacifico scioglimento della questione sociale.

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 39.

L'Unità italiana», settembre 1870.

Statistica del 1870.

RAVà, Storia delle associazioni ecc. cit., p. 44.

Ibid., p. 45.

Ann. Stat. it.», 1895, pp. 489 sg. Siamo in periodo di reazione; il governo è deciso a non tollerare piú oltre le manifestazioni piú clamorose della resistenza e della volontà di emancipazione degli operai – e, come ha arrestato i capi dell'Internazionale a Napoli, cosí, nel dicembre, fa arrestare il presidente della Società tra i filatori in seta, perché responsabile di uno sciopero proclamato dai suoi organizzati; lo sottopone a processo, lo fa condannare a tre mesi di carcere; la Corte di appello riduce poi la pena a quindici giorni («L'Unità italiana», dicembre 1870).

MAURO MACCHI, Almanacco istorico per il 1870; «L'Unità italiana», nell'agosto 1870.

La Comune vuole «la terra al contadino, l'utensile all'operaio, il lavoro per tutti. Non piú ricchi e poveri» (Manifesto ai lavoratori delle campagne). Vuole anche «l'autonomia assoluta della Comune estesa a tutte le località della Francia»; non piú «centralizzazione dispotica, inintelligente, arbitraria e onerosa»; vuole assicurare a ogni francese «il pieno esercizio delle sue facoltà e delle sue attitudini come uomo cittadino e lavoratore» (Dichiarazione al popolo francese, 19 aprile 1871). Questo in teoria. In pratica, i provvedimenti piú audaci presi dalla Comune furono i seguenti: abolizione della coscrizionecondono provvisorio degli affittiespropriazione degli opifici abbandonati, previo indennizzo ai proprietarideterminazione del massimo degli stipendi in seimila franchi annuirestituzione gratuita dei pegni depositati al Monte di pietà fino a un valore di venticinque franchi.

Il 29 febbraio 1871, per iniziativa di Mazzini, si fonda a Roma «La Roma del Popolo», «pubblicazione settimanale di filosofia religiosa, politica, letteratura». La dirige Giuseppe Petroni con l'aiuto di Ernesto Nathan; vi collaborano, tra gli altri, Campanella, Lemmi, Pantano, Quadrio, Saffi, Tuveri, Bresca. Dalle colonne di questo giornale, che morirà con lui (ultimo numero il 21 marzo 1872), Mazzini combatte le sue ultime battaglie contro la Comune di Parigi e l'Associazione internazionale.

Il Comune di Francia, in «La Roma del popolo», 26 aprile 1871 (SEI, vol. XVII, pp. 9-10). L'articolo comparve anche in estratto sotto il titolo di La Roma del popolo agli operai.

Sul manifesto del Comune di Parigi, in «La Roma del Popolo», 3 maggio 1871 (SEI, vol. XVII, p. 13).

Ibid., pp. 13-14.

Il Comune e l'Assemblea, in «La Roma del Popolo», 15, 21, 28 giugno 1871 (SEI, vol. XVII, p. 24).

Il Comune di Francia cit., p. 6.

Altrove (Sul manifesto del Comune di Parigi cit., p. 15): «Ordinamento siffatto è a un dipresso... l'ordinamento dei Galli anteriore ai benefici della conquista romana».

Il Comune di Francia cit., p. 7.

Ibid.

Il Comune di Francia cit., p. 4. Su sette numeri della «Roma del Popolo» (dal 10 maggio al 30 luglio 1871) Mazzini – con la serie di articoli Sulla Rivoluzione francese del 1789tentò altresí, riprendendo un vecchio pensiero da lui già esposto nel 1835, di negare l'importanza della Rivoluzione francese come iniziatrice di una nuova epoca e di dimostrare che ormai il progresso dei popoli risiedeva nella emancipazione dalla influenza francese.

Il Comune di Francia cit., p. 2.

Lettera del maggio 1871; RICHARDS, op. cit., III, p. 276.

Il Gazzettino rosa», fondato a Milano nel 1867 come foglio umoristico, si era trasformato in giornale politico nel 1870; diretto da Achille Bizzoni, garibaldino, nel 1871 era diventato uno dei quotidiani piú diffusi tra i democratici, anche fuori di Lombardia. Tra i suoi collaboratori van rammentati Burbero (Vincenzo Pezza), che influí molto sul suo progressivo orientarsi a sinistra (verso l'Internazionale), Antonio Billia, Giacomo Raimondi, Carlo Tivaroni, Egisto Bezzi e il Cavallotti. È interessante quel che del «Gazzettino rosa» scrive F. GIARELLI in un volume su Felice Cavallotti nella vita e nelle opere, che, con la collaborazione di molti, si stampò a Milano, presso la Società editrice lombarda, nel 1898 (pp. 34-35): «Al "Gazzettino", faceva capo la scuola repubblicana dei romantici in camicia rossa. Una squadra volante di pionieri, che avendo dimezzata la celebre formola Dio e popolo, ne aveva serbata per proprio uso e consumo solamente la seconda parte; e quanto alla prima, se ne disinteressava completamente». Il «Gazzettino» cessò le pubblicazioni nel 1873.

Settimanale fondato il 26 settembre 1868.

Settimanale fondato il 24 aprile 1869, diretto da Carlo Venturi. Cessò le pubblicazioni il 13 maggio 1871, e fu continuato dal «Satana».

Settimanale redatto da Mario Aldisio Sanmito; successe al «Barbiere di Messina» e iniziò le pubblicazioni il aprile 1871.

Ricordi di un internazionalista cit., p. 119.

Bagliori di socialismo. Cenni storici, Firenze 1900.

Lettera del 2 maggio 1871, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p. 376.

Lettera a Petroni, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit.

Lettera a Bizzoni, 22 giugno 1873, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. II, pp. 44 sg.

Dimandate a Mazziniscriveva Garibaldi a Petroni il 21 ottobre 1871 (lettera citata) – se l'origine delle nostre discordie non sia: aver io nel '48 osservato a lui che faceva male a trattenere la gioventú a Milano sotto un pretesto o sotto l'altro mentre l'esercito nostro combatteva lo straniero sul Mincio. E Mazzini è uomo che non perdona a chi tocca all'infallibilità sua».

Nel 1869, per esempio, Mazzini è à bout de forces; scrive il 22 dicembre 1869: «Avesse egli [Garibaldi] almeno un'ombra di ragione! Ma egli crederà sempre a ogni uomo fuorché a chi ama davvero profondamente il paese. Quanto a me, ho finito con lui: ho tentato quant'uomo può» (Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 425 sg.).

Il timore di perdere il comando delle schiere democratiche, frazionantesi nel campo politico e in quello sociale in tante correnti diverse e in qualche caso affatto inconciliabili, spingeva Garibaldi a seguirle tutte, anche nelle loro estreme deviazioni, animato sempre dalla speranza di ricomporre in un corpo solo le sparsissime membra. Si dichiarava pubblicamente pacifista, federalista, razionalista, socialista, repubblicano; incoraggiava Associazioni per la preparazione di giovani all'uso delle armi; accettava invariabilmente la presidenza di qualunque Società operaia, a qualsivoglia tendenza aderisse; plaudiva sinceramente a tutti i giornali democratici che gli venivano inviati, senza accorgersi, spesso, che gli uni sorgevano in netto contrasto con gli altri. Nel novembre '71 fu, con Mazzini, presidente onorario di quel Congresso di Roma, convocato, in sostanza, allo scopo di promuovere una dimostrazione anti-internazionalista; a poche settimane di distanza accettò la presidenza di congressi internazionalisti, convocati per intensificare la lotta contro i mazziniani. Pochi dividevano il suo desiderio di ravvicinare correnti tanto dissimili ed egli intanto si lasciava trascinare da tutte in opposte direzioni.

Vedremo appresso dilagare le conseguenze del dissidio nella stampa democratica tutta. Fautori di Garibaldi e fautori di Mazzini si scagliano senza ritegno e con acrimonia gli uni contro gli altri.

pp. 73-74. Di questo volumetto cosí parla Cafiero, in una lettera inedita a Engels, del 29 novembre 1871: «Per quel libretto di Marius, l'è proprio come voi dite, e l'autore di esso è un povero diavolo che l'ha messo fuori per speculazione; un giovinetto che dice di aver militato sotto la Comune, mentre la pubblicazione non ha avuto alcuna importanza» (Carteggio di Engels cit).

MAINERI, Le stragi di Parigi ecc. cit., III, p. 28, un'idea dello spavento che incute l'Internazionale. «Oggidí appena odesi uno sciopero, ecco subito il timore del suo grande potere occulto e della possibile contemporanea diffusione di quello in molte città o primari opifici industriali». C. CANTÚ, Gli ultimi trent'anni ecc. cit., p. 124, scrive che i dirigenti l'Internazionale, oltre a decretare scioperi, «vollero forzare i loro membri a conformarsi alle decisioni d'un comitato direttivo, sin colla violenza, collo spruzzare in faccia acido solforico, col mescolare spilli ai tessuti, polvere fulminante alle macchine, uccidere le bestie da fatica, infrangere gli utensili, assassinare». Cfr. anche C. RUSCONI, Gli internazionalisti e la questione monetaria, Roma 1877, p. 3.

Gli dedica un articoletto Mazzini (All'«Internazionale» di Napoli, pubblicato su «La Roma del Popolo», 24 maggio 1871), citandone un numero del maggio; ma da un passo (in cui Mazzini dice che quel giornale gli «è capitato troppo raramente sott'occhio») si capisce che «L'Internazionale» doveva pubblicarsi già da tempo. Io non sono riuscito a trovarne neanche un esemplare.

Giornale politico-periodico. Dedicato ai figli del popolo». Bisettimanale, è diretto da Carlo Terzaghi. Cessa le pubblicazioni il 14 settembre dello stesso anno.

Interessante un articolo da esso pubblicato su Carlo Max [sic] (il nome è ripetuto piú volte in questa forma) il quale è «l'uomo piú temuto da tutti i tiranni dell'Europa settentrionale... tuttogiorno egli sfida le insidie, ed elude la vigilanza delle polizie europee. Cento volte il telegrafo ha annunciata la di lui carcerazione, ma sempre inutilmente». Le proteste di molti abbonati del «Romagnolo» per l'atteggiamento filocomunardo e filointernazionalista del giornale sono compiacentemente accolte dall'«Unità italiana», di cui cfr. ad es. il numero del 5 luglio 1871.

Cfr. «Il Romagnolo», Ravenna, 13 agosto 1871. L'articolo dell'«Apostolato» (diretto da Natale Condurelli) – che contiene un vivace attacco contro Mazzinidesta l'ira della società I figli del lavoro di Catania, già sezione dell'Internazionale, ora di nuovo mazziniana ortodossa; in una protesta da essa pubblicata sulla «Roma del popolo» del 3 agosto 1871 vengono attaccati e l'Internazionale, che con «lo specioso pretesto di emancipare le classi operaie... cerca illudere quanto meglio possibile per giganteggiare», i cui principî «sono tali che bisogna metterci in guardia e respingerli», e «L'Apostolato» che ha diretto contro Mazzini un «insulto inverecondo, pazzo, rabbioso», «tale da meritare piú che lo sputo del disprezzo». Lo stesso articolo provoca anche una deliberazione della Unione tipografica di Catania con la quale tutti i componenti l'Unione vengono impegnati «a non piú prestarsi alla pubblicazione di articoli, che in qualunque modo attaccando la reputazione dei cittadini sono di pubblico scandalo per il paese» («La Roma del popolo», 3 agosto 1871).

Settimanale fondato nel 1866; diretto prima da Paride Suzzara-Verdi, poi da Alcibiade Moneta.

All'«Internazionale» di Napoli cit.

Nel luglio; cercò allora di attenuare l'importanza scrivendo: «Se v'è città, fra le nostre, nella quale l'Internazionale abbia trovato aderenti, è quella – non la nomino, ma v'è notadove l'elemento operaio è piú muto, piú ritroso ad ogni vitalità di progresso». Agli operai italiani cit., p. 60.

Vedine lo Statuto. Firenze, 8 novembre 1870.

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit.

M. MACCHI, Almanacco per il 1872, pp. 62 sg.

Castellazzo andò poi sempre piú allontanandosi dal mazzinianismo. Nel 1873 aderí pubblicamente all'Internazionale, definendola «la scienza, la luce, la verità... il progresso sociale, il diventare continuo; l'anarchia sublime del grande ideale umanitario... in una parola l'ortopedia della natura» («Il Risveglio», Siena, 19 ottobre 1873).

M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 53; J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit.

Il Nettlau (Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 303) cita lettere di Bakunin a Berti-Calura dell'aprile e del giugno.

Carlo Cafiero nacque a Barletta nel 1846 da famiglia agiata; laureatosi in legge, entrò in carriera diplomatica, ma la lasciò nel 1865; appassionato per gli studi sociali, fu a Parigi e a Londra dove ebbe occasione di incontrare Marx ed Engels, sotto la cui influenza si orientò decisamente al socialismo e si ascrisse all'Internazionale. Il Consiglio generale faceva molto assegnamento su questo giovane intelligente, entusiasta, energico, ricco per la diffusione dell'Internazionale in Italia. A mezzo il '71 Cafiero iniziò appunto un suo giro di orientamento e di propaganda in Italia. Marx ed Engels s'illudevano di averlo definitivamente guadagnato alla loro concezione e ai loro metodi, in opposizione a quelli, allora prevalenti in Italia, di Bakunin. Il carteggio che si svolse tra Engels e Cafiero nella seconda metà del 1871 e nei primi mesi del 1872 è di grande interesse. Le lettere di Cafiero (a tutt'oggi inedite) si conservano presso l'Archivio del partito socialdemocratico, a Berlino, dove io ho potuto trascriverle.

Ricavo queste notizie da una lunga lettera di Cafiero a Engels, da Barletta, 12 giugno 1871. Castellazzo è, secondo Cafiero, «ateo in religione e repubblicano-socialista in politica»; egli riuscirà senza dubbio «a stabilire in Italia una importante sezione della nostra associazione».

Comunicazione della adunanza del Consiglio generale, 17 ottobre 1871 («Il Motto d'ordine», 10 novembre 1871). La Società democratica internazionale si estese anche fuori di Firenze. Il 7 gennaio 1872 Engels riceveva una comunicazione della sezione pisana, che si riteneva di diritto faciente parte dell'Internazionale dei lavoratori.

Il Gazzettino rosa», 28 giugno 1871; «Il Motto d'ordine», 10 novembre 1871.

Il Gazzettino rosa», 17 agosto 1871; «Il Monitore di Bologna», 22 agosto 1871.

La Perseveranza», Milano, 17 luglio 1871, in un articolo L'Internazionale a Milano, afferma che gli affiliati all'associazione ammontano, nella sola Milano, a 2543.

CESARINI, Requisitoria ecc. cit.

Non sembra che le autorità napoletane mettessero le mani su importanti documenti. Il «Roma», 21 agosto, scrive che ne furono sequestrati alcuni, ma che «altri molti furono trafugati o distrutti». «Il Giornale di Napoli», della stessa data, che «i documenti sequestrati presso il signor Carlo Cafiero, quasi tutti in inglese, furono affidati a un traduttore». La Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit., riferisce che in casa Cafiero furon rinvenute «due o tre lettere che il segretario corrispondente per l'Italia, presso il Consiglio generale, scriveva a Cafiero e che, solo perché scritte in inglese... furono reputate contenere il finimondo».

M. NETTLAU (Errico Malatesta ecc. cit., p. 47) afferma che nel 1870 essa contava tremila soci, numero che andò poi diminuendo. Le notizie contemporanee sono contraddittorie; il «Roma» di Napoli, 21 agosto 1871, scrive che essi sono un migliaio; «La Riforma» di Torino, approvando il gesto del governo (perché l'Internazionale «ha il peccato fondamentale di essere incompatibile con le esigenze e le necessità logiche del principio di nazionalità»), il 24 agosto, sostiene invece che, a Napoli, è «stata molto piú paura che realtà». Il corrispondente da Napoli dell'«Alleanza», giornale mazziniano di Bologna, il 23 dicembre, cerca di giustificare il fatto della «momentanea aberrazione che spingeva qualche mese indietro circa cinquemila operai ad aderire all'Internazionale» con l'esporre le tristi condizioni del popolo napoletano. «Ma ben tostoaggiunge – le fila dell'Internazionale napoletana si diradarono e quasi poi totalmente si sciolsero. Oggi se non fossero pochi declamatori e qualche centinaio di seguaci, essa sarebbe affatto inesistente». E «L'Alleanza» non ha davvero l'interesse di esagerare l'importanza dell'Internazionale; che anzi il corrispondente confessa: «è con l'anima ulcerata che io vi espongo tali dure verità».

A proposito dello scioglimento della sezione napoletana, è curioso quanto scrive il CANTú (Gli ultimi trent'anni ecc. cit., p. 311): «Nel '71, la questura di Napoli scoperse l'Internazionale, legata col centro di Londra, creato dai gran tentatori Garibaldi, Mazzini, Max [sic], Lasalle [sic], Baconina [sic] [†1876]».

Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.

Il Romagnolo», 9 settembre 1871.

Carteggio di Engels cit. Simili affermazioni contiene la citata Relazione. In una lettera precedente diretta allo stesso Engels, 10 settembre, dipingendo la inanità delle persecuzioni governative, Cafiero scriveva: «Qui il governo è in piena reazione, ed i malcontenti si aumentano di giorno in giorno con proporzione geometrica, allargandosi la piaga della miseria del proletariato in modo spaventevole in mezzo alla ignorante noncuranza dei gaudenti che, a mio vedere, stanno preparando con la loro opera la piú terribile rivoluzione sociale in Italia».

Il 16 settembre Bakunin riceve una prima lettera dell'avvocato Palladino che, con Cafiero, il giovanissimo Malatesta ed altri, si adopra attivamente a quello scopo.

Il Romagnolo», 27 agosto 1871.

L'Unità italiana», settembre 1871.

Carteggio di Engels cit.

Ibid., 12 settembre.

Il Motto d'ordine», 8 novembre 1871. L'11settembre 1871 un certo Charletty scrive da Torino ad Engels: «Vorrei con alcuni amici far parte dell'Internazionale e occuparci per farne trionfare i principî, sono in grado di formar qui a Torino una sezione abbastanza numerosa composta di operai sarti, falegnami ed ebanisti». Engels annotò in calce: «Is a Mouchard». Aveva avuto questa notizia dal Terzaghi, suo corrispondente da Torino, il quale era un mouchard per davvero, come vedremo.

Il Romagnolo», 17 settembre 1871. Di Marx si occupa anche «L'Unità italiana» del 9 settembre, dando notizia che è ammalato; e aggiungendo: «Nel caso che Karl Marx dovesse soccombere, dicesi che il russo Bakunin... diverrebbe capo della famosa società».

Il Romagnolo», ottobre 1871.

Il Monitore di Bologna», 27 settembre 1871. «Il Martello», foglio bolognese diretto da Andrea Costa, afferma, il 27 gennaio 1877, che anche a Imola fin dal settembre 1871 il programma dell'Internazionale aveva incontrato un grande successo.

Il Monitore di Bologna», 3-4 ottobre 1871.

Ibid., 12 ottobre 1871. È sintomatico che tale costituzione segue una ventina di giorni dopo che Bakunin (18 settembre) ha fatto la conoscenza del torinese Terzaghi, direttore del «Proletario italiano». In una lettera del Terzaghi al presidente della sezione dell'Internazionale di Bruxelles (10 ottobre), si domandano consigli e aiuti affinché «la Federazione degli operai sia una sezione internazionale di fatto e non di nome» (Carteggio di Engels cit.).

Il Romagnolo», 16 ottobre 1871.

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 227.

Carteggio di Engels cit. Due giorni dopo anche Cafiero scrive ad Engels press'a poco nello stesso tono: «L'Internazionale si è impossessata dell'Italia intiera, dall'Alpi all'estremo scoglio della Sicilia, a Torino come a Catania sventola il nostro glorioso vessillo... L'Internazionale ha messo profonde radici in Italia, e non vi sarà forza che potrà mai piú sradicarla. E dell'esattezza di questa mia asserzione io mi dichiaro innanzi a voi ed innanzi a tutto il Consiglio generale assolutamente garante».

Lo fece notare Bakunin in un documento riprodotto dal NETTLAU (Errico Malatesta ecc. cit., p. 41) attribuendone ogni merito «all'azione energica ed instancabile dei membri di questa Alleanza di socialisti rivoluzionari, ai quali egli [Marx] ed i suoi amici hanno dichiarato una guerra spietata. A parte ciò è doveroso riconoscere che la Rivoluzione della Comune di Parigi ha contribuito molto piú di questa propaganda dell'Alleanza a destare il proletariato italiano dal suo letargo secolare». Ricordo che se ufficialmente l'Alleanza di Bakunin si era sciolta, in realtà essa continuava ad esistere e a costituire – agli occhi e nelle intenzioni del russo – una specie di avanguardia in seno all'Internazionale. Insomma, i capi dell'Internazionale italiana, quelli che si mantenevano in diretto contatto con Bakunin, erano tutti affiliati all'Alleanza. Lo attesta Errico Malatesta: «tutti noi eravamo prima di ogni altra cosa membri dell'Alleanza segreta e come tali fondammo sezioni dell'Internazionale allo scopo di creare un centro di lavoro per le idee e gli scopi dell'Alleanza» (M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 89).

MICHELS, Storia del marxismo in Italia, Roma 1909.

Le relazioni tra «La Plebe» e il Consiglio generale di Londra ci sono attestate da un numeroso gruppo di lettere, che fanno parte del citato Carteggio di Engels.

Alludeva al «Ciceruacchio», al «Diavolo rosa»? Ma non erano quotidiani.

Il Gazzettino rosa».

Il Proletario italiano».

Il Romagnolo».

La Plebe».

La Libertà».

L'Eguaglianza».

L'Apostolato».

Era questa una manovra della spia Terzaghi per attirarsi le simpatie degli internazionalisti.

Il Motto d'ordine», Napoli, 18 novembre 1871.

Verbali del Consiglio generale citati ad diem. La redazione dell'indirizzo venne però sospesa: si volle attendere il risultato del XII Congresso operaio di Roma (ibid., 31 ottobre 1871).

XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p. 380.

Il Romagnolo», 9 settembre 1871.

MICHELS, Proletariato e borghesia ecc. cit., p. 40. Vedi una confutazione della lettera di Garibaldi nell'opuscolo di M. QUADRIO, Della lettera del generale Garibaldi a G. Petroni, Genova 1872.

Su questo argomento molto è già stato scritto e piú si potrebbe scrivere. Ma basta scorrere l'epistolario di Garibaldi per farsi un'idea piú che sufficiente della questione. Si può ritenere, in sostanza, che Garibaldi aderí all'Internazionale 1) perché essa soddisfaceva le sue aspirazioni umanitarie; 2) perché la considerava come una potente alleata nell'aspra lotta da lui condotta contro il cattolicismo e l'organizzazione clericale; 3) perché se non avesse aderito non avrebbe piú potuto dominare tutte le frazioni della democrazia italiana; 4) per reazione a Mazzini. Ma non si può non deplorare che il vecchio generale non abbia seguito i consigli del suo amico Pallavicino il quale, conoscendolo bene, e preoccupato delle sue stupefacenti dichiarazioni d'internazionalismo, gli domandò: «Ma la conosci tu... l'associazione di cui prendi la difesa?... non potresti per avventura esserti ingannato, foggiandoti un'Internazionale a imagine e similitudine tua?» e lo invitò a riflettere seriamente prima di darle il suo nome. Quale idea Garibaldi si facesse dell'Internazionale appar chiaro da questo episodio. Nel 1875 si svolse a Firenze un processo contro alcuni internazionalisti; Garibaldi, testimone, fece le seguenti dichiarazioni, riferendosi all'Associazione dei lavoratori e per scagionare gli imputati: «Io sono internazionale e... credo lo saranno anche loro [i mazziniani] e mi spiego; che differenza fanno loro fra un americano e un italiano? sono gli stessi uomini e moralmente devono essere fratelli...» (BOTTERO, Dibattimento ecc. cit.).

Comunicazione della riunione settimanale del Consiglio generale dell'Internazionale, Londra, 17 ottobre 1871; «Il Motto d'ordine», 18 novembre 1871. La lettera cui si allude è quella a Petroni.

Scrivendo al «Rubicone», 3 gennaio 1872, Bakunin rende omaggio al «largo istinto della causa popolare» di cui sempre prova Garibaldi, ma aggiunge: «Lasciate che ve lo dica francamente, tutto quel che Garibaldi ha scritto sull'Internazionale prova che egli non la comprende o non la conosce affatto... egli è con noi per il fatto, contro di noi per l'idea... Tutte le sue idee politiche – ed egli è troppo vecchio e ostinato per mutarle – tutte le sue abitudini politiche lo incatenano al vecchio mondo, a quel che noi vogliamo distruggere... Amici miei, lasciatemelo dire..., se avete avuto la disgrazia di seguire la direzione politica e socialista di Garibaldi vi lascerete égarer in un dedalo di contradizioni impossibili...» S'affretta però a raccomandare ai suoi amici di considerare come strettamente riservate queste sue osservazioni. M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, pp. 50-51

Fra Garibaldi e Bakunin si stabilirono anche relazioni dirette, attraverso Celso Cerretti, da Mirandola. Bakunin scriveva al Cerretti, 11 febbraio 1872: «Lascio alla vostra discrezione di discernere quali delle mie lettere devono essere spedite al generale Garibaldi e quali no... ci son certe cose che è inutile dirgli...» Ma cordialità di rapporti, fra i due, non ci fu mai. Anzi Garibaldi scrisse a Cerretti, il 20 febbraio: «Le informazioni sulla moralità di Silvio [Bakunin] non buone. Desidero siano inesatte. Comunque dobbiamo diffidare...» M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, pp. 51-58.

Diversi giornali internazionalisti stampano lettere d'incoraggiamento pervenute da Garibaldi. Cosí «Il Proletario italiano», 23 luglio 1871; «Il Romagnolo», 29 agosto 1871.

SEI, vol. XVII, p. 51.

Ibid., pp. 52-63.

Com'è noto, l'Internazionale non professava ufficialmente alcuna opinione sul problema religioso: ma quasi tutti i suoi capi erano dichiaratamente atei. Mazzini arbitrariamente elevava a dottrina ufficiale quel che non era che libera convinzione d'individui.

Anche in seno al Consiglio generale dell'Internazionale furono notati e controbattuti gli attacchi di Mazzini. Ma questi contrattacchi non furono per allora conosciuti in Italia. Nella seduta del 6 giugno parlò in proposito Carlo Marx. «Il fatto non era noto come avrebbe dovuto essere, ma Mazzini era sempre stato un oppositore del movimento operaio. Denunciò gli insorti del giugno 1848 quando Louis Blanc, che allora avea piú coraggio che oggi, gli rispose. Quando Pierre Leroux – che aveva una numerosa famigliaottenne un impiego a Londra, Mazzini fu l'uomo che lo denunciò [?]. In sostanza Mazzini, col suo repubblicanismo antiquato, non sapeva nulla e non faceva nulla. In Italia avea creato un dispotismo militare col suo grido per la nazionalità. Per lui lo Stato, cosa imaginaria, era tutto, e la società – che era una realtà – nulla. Piú presto il popolo avesse ripudiato un tal uomo tanto meglio». Il verbale della seduta può essere incompleto ed inesatto: ne risulta tuttavia l'acre animosità del Marx, che non si peritava, a fini polemici, di sfigurare addirittura il suo grande avversario. Nella seduta del 25 luglio Engels rispose punto per punto alle accuse lanciate da Mazzini contro l'Internazionale, ricordando come egli non ne avesse mai fatto parte, ma tentato di mutarla «in to a tool of his ower». Verbali citati ad diem.

Un asterisco del 12 agosto 1871 annunciava cosí la pubblicazione dello scritto di Bakunin: «Coloro che vogliono sapere cosa sia realmente questo babau ch'è l'Internazionale che tanto sui nervi ai puri mazziniani, faranno bene a leggere la risposta del Bakunin, almeno quello non scomunica nessuno, nessuno mette all'interdetto, e non vuole a nessuno imporrepena l'infernocredenze metafisiche astruse come la quadratura del circolo». Mentre lo si pubblicava in Italia, lo scritto di Bakunin veniva stampato in francese (su «La Liberté», di Bruxelles, 18, 19 agosto) e diffuso tra i democratici di tutta Europa.

Del rinnovamento civile in Italia, Torino 1851, vol. I, pp. 339-50.

Memorie politiche scritte da lui stesso, Milano 1857, pp. 206-11.

Si riferisce al periodo nel quale egli era esiliato in Siberia.

L'articolo era già stato stampato dall'«Uguaglianza» di Girgenti.

Da paragonarsi, per esempio, coll'internazionalismo di Bakunin i seguenti concetti espressi dal «Ficcanaso» di Torino, a proposito della Federazione operaia di Torino. «Se desidera la Federazione averci fra gli accoliti, disdica ancora quei matti da catena che vogliono abolire la proprietà, l'eredità. E noi ci terremo onorati di proclamarci internazionali senza riserve» (riportato da «Il Motto d'ordine», 2 novembre 1871).

10, 17, 24, 31 agosto 1871 (SEI, vol. XVII, pp. 64 sg.).

L'amarezza di Mazzini, che vede assottigliarsi ogni giorno di piú le fila dei suoi seguaci, fraintese e svisate le sue intenzioni e la sua dottrina, nell'imperversare del materialismo, si rivela tutta in una lettera da lui diretta all'Emilia Venturi, il 29 agosto: «Felice operaia, voi che vedete il vostro lavoro progredire! Io non vedo che la dissoluzione progredire intorno a me. La mia guerra al materialismo e all'Internazionale ha suscitato una conflagrazione nel partito... Io sono ora un apostata, un prete, un reazionario, l'istigatore degli uomini di Versailles, l'ambizione ha infine preso l'anima mia; la vecchiaia m'ha fatto superstizioso, e cosí via. È una tristissima contesa, ma bisognava impegnarla e io non mi pento d'averla iniziata» (RICHARDS, op. cit., III, p. 285).

Brusco Omnis aveva fra l'altro rimproverato Bakunin per aver posto e non dimostrato la tesi antidivina; Bakunin spiega che ha preferito occuparsi innanzi tutto dell'Internazionale «che è un essere reale e vivente, la questione divina, non essendo il buon Dio... che una cosa immaginaria, un essere fittizio» poteva invece aspettare.

La Risposta all'«Unità italiana» fu pubblicata nel «Gazzettino rosa» del 10, 11, 12 ottobre 1871 (BAKUNIN, Œuvres, t. VI, pp. 289-302). Bakunin non poteva per allora sferrare il definitivo attacco contro Mazzini perché – come scrisse ai redattori della «Liberté» di Bruxelles il 29 agosto – non aveva sottomano le opere di Mazzini; anzi li pregava di rivolgersi a Marx, perché gli procurasse il materiale necessario: «l'odio di Marx ha sempre buona memoria e, certamente, egli si ricorda di tutto ciò che può danneggiare Mazzini... Tutto questo affareconcludeva – è assai piú importante di quanto potreste pensare: perché, per quanto Mazzini abbia cessato di essere una potenza politica, gode ancora nell'opinione, nelle abitudini mentali della gioventú italiana, d'un prestigio immenso e, per combatterlo con successo, bisogna aver sempre i fatti alla mano» (J. GUILLAUME, Avant-propos alla Risposta ecc. cit., in BAKUNIN, Œuvres, t. VI, pp. 283-86).

L'Unità italiana», 6 settembre 1871; «La Roma del Popolo», 14 settembre 1871.

L'Unità italiana», «La Roma del Popolo», 28 settembre 1871.

Il Romagnolo», 3 settembre 1871.

Ibid.

La Roma del Popolo», 28 settembre 1871.

Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 391 sg., lettera del 16 gennaio 1869: Gnocchi-Viani «è a un dipresso come lo dite; ma è buono in fondo...» Giannelli ne aveva scritto al Mazzini, informandolo delle sue tendenze socialiste.

L'Unità italiana», 19 agosto 1871.

GNOCCHI-VIANI, Dal mazzinianismo al socialismo, Colle 1893.

E. MALATESTA, Cenni autobiografici, stampati in «La Questione sociale», Firenze, gennaio 1884; riprodotti in parte da M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., pp. 14-19.

Indirizzo della Associazione umanitaria degli operai di Napoli a Mazzini, 14 marzo 1865 («L'Unità italiana», 26 marzo 1865).

Mazzini e l'Internazionale, p. 135.

Cfr. lettera all'Alleanza di Bologna del 12 gennaio '72. Bakunin si rivolge a lui per la prima volta il 15 dicembre 1871 (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 649).

Cfr. la sua deposizione al processo di Firenze del 1875 (M. BOTTERO, Dibattimento ecc. cit., p. 46.

BOTTERO, Dibattimento ecc. cit., p. 83.

A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 78.

Dal mazzinianismo al socialismo cit. Cfr. anche G. CHIESI, La democrazia fossile e il Congresso repubblicano, Genova 1878.

Rispettose osservazioni di questo genere si trovano in un volumetto pubblicato molti anni piú tardi da G. Bovio, Rivendichiamo Mazzini. Lettere autografe e documenti dell'apostolo a Gennaro Bovio, Napoli 1904. «Fin dai primi numeri di quella pubblicazionescrive il Bovio accennando alla "Roma del Popolo" e alla campagna anticomunarda condottavi da Mazzini – non fu possibile serbare l'accordo perfetto fra noi sul modo di vedere il Comune di Parigi». A bene giudicarlo, bisognava non guardare «agli eccessi in cui poteva essere trasceso questo moto per colpa precisamente di coloro che avevano il dovere, per il prestigio del nome loro, d'illuminarlo e dirigerlo, mentre restarono spettatori trepidi e muti; ma occorreva guardare alle origini legittime, ai fini retti, agli atti buoni compiuti... Oh! se quel principio e quegli uomini – che qualunque sieno... furono i soli e i primi a bandirlo nel mondo attonito – fossero stati illuminati e diretti, piuttosto che fulminati, dal genio di Mazzini e di V. Hugo per i primi!!!» (pp. 17 sg.).

Vincenzo Pezza.

Il 30 giugno, spiegando come materialismo e spiritualismo siano due scuole rispettabilissime, ma che non hanno niente a che fare con la questione politica: «Mazzini invece vuole imporci una nuova religione, ci comanda di accettare delle astruserie che ripugnano alla nostra ragione, e non rilascia patente di repubblicano se non a chi ha ricevuto il battesimo della sua dottrina... Non siamo noi che lo abbandoniamo, è lui che ci condanna».

Cfr. anche il numero del 29 luglio.

Del «Proletario italiano» era direttore Carlo Terzaghi, piú tardi scoperto per spia della questura. Spacciandosi per democratico estremista, questo figuro cominciò a farsi noto aizzando abilmente quell'amarissimo dissidio Mazzini-Garibaldi che si era inasprito in modo funesto nell'ultimo anno di vita del genovese. Appoggiando Garibaldi, se ne cattivò tutta la fiducia; poi, buttatosi nel movimento internazionalista italiano, ne divenne uno dei piú attivi propagandisti. Non è difficile intendere a che scopo egli mirasse: l'opera sua volgeva sempre a provocar dissidi, creando o incoraggiando correnti contrarie a quella dominante, la quale, se indisturbata, avrebbe potuto acquistar vera potenza. Inoltre egli forniva un prezioso servizio di informazioni alla polizia. Nel luglio '71 fondò il nominato «Proletario italiano» nel quale, diffamando e schernendo il partito mazziniano, levando alle stelle l'Internazionale, tese a scindere l'unità – del resto, anche senza di lui, compromessa – della democrazia italiana.

Il Presente», a mezzo il '71, era ritenuto un vero e proprio organo dell'Internazionale (cfr. MARIUS, L'Internazionale ecc. cit., p. 62). Tanto piú amaro doveva riuscire al Mazzini il contegno di questo giornale, un tempo a lui devoto, in quanto Garibaldi invece dichiarava pubblicamente di apprezzarlo. «Ho letto l'assennato articolo sul "Presente" del 22 – scriveva infatti il 3 settembre all'avvocato Arisi, che lo dirigeva (si rammenti che l'articolo contro Mazzini era del giorno prima)... – e ve ne sono ben grato, leggendo sempre con molto interesse il vostro giornale» (XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. II, p. 18).

Il «Gazzettino», nel primo periodo della crisi mazziniana ossia fino al Congresso di Roma (novembre 1871), è tra i piú risoluti contro Mazzini. Il che si spiega quando si pensi che era sempre stato un foglio democratico di tinta garibaldina; il direttore, Bizzoni, era un soldato e un devoto di Garibaldi. Al risentimento antimazziniano dell'internazionalista o almeno del filocomunardo si aggiunge quello del garibaldino. Al «Gazzettino» cosí allude Mazzini (Lettera a Domenico Narratone, 8 settembre 1871): «Gli inni sui trionfi prossimi dell'Internazionale inseriti nel "Gazzettino" e in altri piccoli giornali mi fanno salire i rossori sul viso: non sono che inni ad una apparenza di forza straniera, l'antica piaga che credevamo guarita. Dovevamo un tempo essere salvati dalla Francia: oggi saremo salvati dall'Internazionale» («Il Risorgimento italiano», settembre-ottobre 1914, p. 698).

Un'imagine simile aveva usata Cafiero in una lettera ad Engels del 12 giugno 1871: «Il povero vecchio [Mazzini] non vuole comprendere che egli ha fatto il suo tempo, che il suo concetto di unità e libertà nazionalegrande al suo tempoimpallidisce ora come la luce di una candela innanzi alla luce del sole, venendo paragonato al sublimissimo concetto dell'unità, o meglio unione di tutti i popoli nella nuova organizzazione sociale che avrà per base l'eguaglianza...» (Carteggio di Engels cit.).

Settimanale «periodico opuscolo dell'avvenire», «Il Satana» era stato fondato l'8 luglio 1871 da Eugenio Valzania, in continuazione del cessato «Il Rubicone», con intenti soprattutto anticlericali. Nel numero del 22 luglio dedicava al popolo i seguenti versi: «Popolo, t'ergi, che in letargo infame / Dormi il sonno del vinto, e fissa altero / L'addobbato oppressor, superbo e fiero / Della tua fame. / ...Son dessi, che di fame intra l'orrore / A morte traggon dura il proletario, / Poi convertongli il figlio in vil sicario / Dell'oppressore. / Ti sfrena alfin, e con tremenda voce, / Popol gigante, a quella rea bugiarda / D'avi gloriosa prole empia e bastarda / Grida la croce».

Anche «Lo Staffile», Bologna, 19 agosto, ritiene che il dissenso fondamentale verta sulla questione religiosa. «È ben veroscrive – che di tal febbre religiosa si mostra troppo infetto lo stesso Mazzini», ma il suo Dio non è davvero simile a quello delle religioni ufficiali; «egli vuole un Dio sbracato, un Dio in camicia e berretto frigio». «Lo Staffile», settimanale satirico fondato il luglio 1871, era diretto da A. Spadoni.

Nonché disposta a posare a mazziniana, ora che Mazzini è diventato un elemento di conservazione. Il 3 ottobre «La Nazione» riporta una lettera diretta da Adriano Lemmi al direttore della «Roma del Popolo» (28 settembre 1871), in cui è affrontata con molta moderazione la questione del lavoro (che è definita una questione interna della classe operaia, questione tra capi fabbrica, imprenditori e operai, dipendente da male ordinate relazioni tra capi officina e giornalieri), trattata con molto ottimismo la questione agricola (soluzione: l'estensione a tutta l'Italia del contratto di mezzadria); ma in cui è pur detto che è necessario e urgente garantire agli operai una partecipazione agli utili delle aziende e impedire risolutamente l'intervento governativo nelle questioni operaie. Questo linguaggio che ancora qualche mese addietro i giornali conservatori avrebbero definito per lo meno «sovvertitore», è invece altamente apprezzato dalla «Nazione», ora che l'Internazionale fa in Italia passi da gigante. La lettera di Lemmi, essa commenta, «tocca assai opportunamente tutti i lati principali della questione; e se se ne tolgono alcune frasi che parranno a molti, come a noi, soverchiamente vive, ci pare contengano idee sane, moderate e prudenti». Nello stesso numero del 3 ottobre si legge che «le opinioni del Mazzini sono, come piú volte notammo, moderatissime in fatto di riforma sociale, ed alienissime dalle intemperanze dell'Internazionale e di tutta la scuola comunista».

Degna di ricordo è una lettera che – negli stessi giorni – la redazione del «Romagnolo» (Nabruzzi, Montanari, Resta) dirige ai membri del Consiglio generale dell'Internazionale. Contiene notizie sullo sviluppo del movimento in Romagna, esortazioni a inviare in Italia un rappresentante autorizzato del Consiglio; e poi i seguenti passi sul mazzinianismo: fino a poco tempo innanzi il popolo italiano era stato «educato dai repubblicani borghesi ad una scuola esclusivistica, inconseguente ed assurda. Oggi le intelligenze piú chiuse si aprono e la ragione tende a regnare sovrana... Possiamo adunque assicurarvi che il principio dell'Internazionale nella nostra Ravenna prevale, non cosí nel resto di Romagna dove i Mazziniani destatisi ad un tratto dal loro sonno ci contrastano il terreno palmo a palmo...» (Carteggio di Engels cit.).

RICHARDS, op. cit., vol. II, pp. 288 sg.

Cenni biografici ecc. cit., a proemio del volume XVII di SEI, pp. CXI.

RICHARDS, op. cit., VOI. III.

SEI, vol. XVI, pp. LXXXIX sg.

Ibid., p. XC. Lettera a Felice Dagnino.

Lettera datata lunedí, settembre 1871, in Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 46; e SEI, vol. XVI, pp. 225 sg.

Il Moto delle classi artigiane e il Congresso, in «La Roma del Popolo», 7 settembre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 212).

Ai rappresentanti gli artigiani nel Congresso di Roma, in «La Roma del Popolo», 12 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, pp. 217-18).

Ai rappresentanti gli artigiani ecc. cit.

La Roma del Popolo», 5 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 215).

Serietà quanta è possibile nel congresso e non appiglio a intervenire agli agenti governativiscrive Mazzini nelle Avvertenze pel Congresso, accluse ad una lettera per Dagnino di martedí, ottobre '71. – Riservare un po’ piú d’espressione alle simpatie politiche al pranzo di congedo... Il primo brindisi del pranzo sia a Roma e alla speranza che dalla città salvatrice dell'onore d'Italia nel 1849 venga la scintilla iniziatrice della nuova vita italiana» (Cenni biografici ecc. cit., a proemio del volume XVI di SEI, p. XCVII).

Ai rappresentanti gli artigiani ecc. cit.

Foglio repubblicano diretto da Domenico Barilari.

Ciò che è confermato dal corrispondente romano della «Nazione», novembre 1871, che raccoglie i «si dice» sulla probabile tranquillità e moderatezza del congresso. «Se però accadesse il contrario, posso garantirvi che è già stato formulato e deciso dal governo di non tollerare il piú piccolo eccesso».

La Roma del Popolo», 28 settembre 1871.

Il Monitore di Bologna», 24 ottobre 1871.

Tale la Società operaia Principe Umberto di Roma e la Società generale di mutuo soccorso fra gli operai in Milano («Il Monitore di Bologna», 26 ottobre, 2 novembre 1871).

L'Internazionale svizzera; L'Internazionale, in «La Roma del Popolo», 14, 21, 28 settembre 1871 (SEI, vol. XVII, pp. 97-122).

Forse l'idea di rispondere a Mazzini gli venne suggerita da Vincenzo Pezza, che il 15 ottobre si recò presso di lui.

Cfr. il diario di Bakunin dal 18 al 28 ottobre pubblicato dal GUILLAUME in Avant-propos alla Circolare (M. BAKOUNINE, (Œuvres, t. VI, pp, 305-422). La pubblicazione integrale di questo scritto non si ebbe che quattordici anni piú tardi, sulle colonne di due giornali anarchici: «Il Piccone», di Napoli e «Il Paria», di Ancona (1885); in seguito fu ristampato come opuscolo, ed è conosciuto per lo piú sotto il titolo di Il Socialismo e Mazzini. Non son riuscito a procurarmi l'opuscoletto Agli operai delegati al Congresso di Roma, firmato da un gruppo di internazionalisti e stampato a Napoli, che conteneva appunto il citato riassunto. Ma l'intero manoscritto di Bakunin, anche se non stampato, poté esercitare non poca influenza, in quanto che lo si fece circolare fra gli internazionalisti, intermediari Carmelo Palladino a Napoli, Vincenzo Pezza a Milano.

Quando Engels, a Londra, ricevette copia dell'opuscolo riassunto, lo credette opera di Cafiero, allora concorde col Consiglio generale dell'Internazionale; e lo lodò incondizionatamente, dichiarando che avrebbe potuto sottoscriverlo in ogni sua parte. Né dovette rimaner troppo compiaciuto quando il Cafiero, con lettera in data 29 novembre, lo avvertí: «Ma egli è con Bakunin che voi dovreste congratularvi e non con me...» (Carteggio di Engels cit.).

È interessante constatare come l'opuscolo e il manoscritto stesso vennero subito utilizzati dalla stampa internazionalista italiana. La società operaia L'emancipazione del proletario inviò un manifesto agli artigiani del Piemonte (senza data; pubblicato da «L'Unità italiana e Dovere», dicembre 1871) invitandoli a non lasciarsi trarre in inganno dai mestatori. «Sapete a che mira la mazziniana autorità direttrice centrale di Roma? A riunire nelle mani di cinque o sei politicanti le forze di cui dispongono gli operai italiani, per servirsene in tentativi di sostituire al sistema, che oggi governa l'Italia, il regno della borghesia. Vogliono separarvi dai vostri fratelli di Francia, d'Inghilterra, di Spagna, di Germania, di Russia e d'America; vogliono fare dell'Italia una specie di Cina, difesa da una muraglia teologica; vogliono isolarvi per dominarvi a loro voglia!... Vi vogliono ingarbugliare! Pane e lavoro sia il vostro grido. In guardia!» L'imagine piuttosto peregrina della muraglia teologica è evidentemente suggerita da un passo di Il Socialismo e Mazzini in cui Bakunin accusa il suo avversario di voler innalzare intorno all'Italia «un muro non cinese ma teologico, per isolarla da tutto il mondo» (Il Socialismo e Mazzini cit., p. 10).

Bakunin sapeva benissimo che questa insinuazione, giustificatissima riguardo alla borghesia italiana in genere, era, riguardo a Mazzini, non altro che una stolta calunnia.

Anche Cafiero, allora in comunicazione col Consiglio generale di Londra, era d'opinione che bisognasse concentrare a Roma tutte le forze internazionaliste, per fronteggiare l'offensiva mazziniana (Lettera a Engels, 18 ottobre 1871, in Carteggio di Engels cit.).

Atti del XII Congresso generale delle società operaie italiane tenutosi in Romagna, novembre 1871, Roma 1871.

Il Monitore di Bologna», 27 ottobre 1871. Il 2 novembre però duecento operai si riuniscono per protestare contro i loro dirigenti, che non hanno creduto di aderire al congresso. «Siamo operai e come tali vogliamo essere solidali coi nostri fratelli italiani del mondo... I tempi del feudalismo sono irremissibilmente passati. Oggi, consci dei nostri diritti e dei nostri doveri; per dovere vogliamo essere uniti ai nostri fratelli, e per diritto biasimiamo gli uomini che ce lo vietano, che altro non possono essere che nostri nemici» (Atti del XII Congresso ecc. cit.).

Ignoro il motivo pel quale le altre sezioni dell'Internazionale non mandaron delegati.

Ritengo interessante riprodurli per intero poiché non v'è nulla che valga a farci seguire e apprezzare la storia del movimento operaio come l'esposizione dei desiderata della classe lavoratrice organizzata, desiderata nella cui evoluzione quanto al contenuto e anche quanto alla forma si concreta e si palesa l'assiduo, oscuro e non facilmente documentabile sforzo compiuto dagli operai, sia individualmente che collettivamente, verso la propria emancipazione.

Interessanti i commenti della «Nazione» – la quale oscilla tra la lode e il biasimo ai democratici moderati, secondo l'opportunità del momento – a questa deliberazione del congresso: «La tirannia dei padroni, l'usura dei principali, le imagini del capitale che succhia il sangue del lavoro, sono tutti fiori o pruni di rettorica tribunizia che ormai hanno fatto il loro tempo e specialmente a Roma non producono altro effetto, se non quello di destar l'ilarità delle cose nuove e il disgusto delle fiabe troppo ripetute» (4 novembre 1871).

Riprodusse il Patto «L'Emancipazione», Roma, febbraio 1872.

Ebbe vita assai breve. Cfr. il discorso pronunciato dal Saffi al XVI Congresso operaio di Firenze (1886), in SEI, vol. XVI, p. CCXXIV.

Che poco dopo andò a dirigere, a Bologna, il giornale «L'Alleanza», mazziniano ortodosso.

Il discorso di Tucci e il suo ordine del giorno non sono riportati nel resoconto ufficiale. Li traggo da un resoconto del Congresso operaio di Roma che, manoscritto, Tucci e Cafiero fecero pervenire alle sezioni internazionali di Napoli e di Girgenti e al Consiglio generale di Londra e che ho rintracciato nel Carteggio di Engels.

Tuttavia è sintomatico che d'ora innanzi lo troviamo fra i simpatizzanti internazionalisti. Il suo atteggiamento rassomiglia molto a quello di Giuseppe Garibaldi: magnifica i progressi dell'Internazionale in Italia, critica Mazzini per il suo contegno di fronte alla Comune di Parigi, invita gli uomini di buona volontà a «emendare i difetti che, per caso, ci fossero nel programma dell'Internazionale, mirando a migliorare l'istituzione» (Almanacco istorico per il 1873; T. MARTELLO, Storia della Internazionale ecc. cit., appendice, pp. 503-4).

Oltre al riassunto dell'opuscolo bakunista e al gesto dei tre delegati internazionalisti, i congressisti di Roma ebbero due altre prove dell'attività dell'Internazionale: un indirizzo della Federazione romanda di quell'associazione, invitante all'adesione e all'abbandono di Mazzini («Il Motto d'Ordine», 29 novembre) e una lettera filointernazionalista di Gaspare Stampa (M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 308).

Ricordi di un internazionalista cit., p. 126. Qualche tempo dopo il suo nome comparve fra quelli dei collaboratori di un giornale internazionale che avrebbe dovuto uscire a Roma; ciò gli valse la radiazione dalla Consociazione mazziniana di Genova, di cui era socio. Da quel giorno militò liberamente nell'Internazionale.

RICHARDS, op. cit., III, pp. 290 sg.

Lettera a Saffi, 8 novembre, in SEI, vol. XVI, p. CXVI. Eran stati chiamati a farne parte Petroni, Filipperi, Panizza, Battaglia, Fava.

Petroni, che aveva presieduto il congresso, si disse invece molto soddisfatto del suo esito; e scrivendone sulla «Roma del Popolo», il 4 gennaio 1872, adirato per certi attacchi delle gazzette conservatrici, si compiacque affermare aver esso «scongiurato i flagelli che sovrastano al consorzio civile per colpa vostra (dei conservatori)... In piú ha condannato le tendenze comuniste, le quali sono una reazione troppo naturale, per non dir necessaria, contro il vostro egoismo, come le tendenze materialistiche sono una reazione troppo naturale, per non dir necessaria, contro le superstizioni che fin qui dominarono».

A. GIANNELLI, Aneddoti ignorati ed importanti. Brevi ricordi mazziniani dal 1848 al 1872, Firenze 1905.

SEI, vol. XVI, p. CXVI.

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 47, lettera del 16 novembre 1871.

Lettera citata a Saffi, 8 novembre 1871.

Ai rappresentanti gli artigiani ecc. cit.

Lettera citata, ottobre '71 (martedí).

Aurelio Saffi nel discorso inaugurale pronunciato al XVI Congresso operaio di Firenze (1886), ripensando alla via percorsa, affermava che la Fratellanza delle società operaie fondata a Roma nel '71 era stata «nella sua virtualità, la manifestazione piú vasta e piú promettente dello spirito d'associazione nel nostro paese... E il fatto che nella nostra Fratellanza s'accolgono, in armonia di affetti, d'intenti e d'opere, sodalizi misti di uomini d'ogni classe, è documento della legge storica che conduce la società italiana verso la mèta di una grande e feconda eguaglianza civile...» Il Patto si era dimostrato secondo lui «il piú efficace correttivo delle tendenze men sane del socialismo odierno nei nostri paesi» (SEI, vol. XVI, pp. CCXXV sg.). Ma la realtà era assai piú modesta delle sue molto ottimistiche impressioni.

Il Motto d'Ordine», 18 novembre 1871. Il 13 novembre Engels scriveva al tedesco Cuno, allora stabilito a Milano: «Ho veduto stamattina, da Marx, Ricciotti Garibaldi; è un giovanotto assai intelligente, molto tranquillo, ma piú un soldato che un pensatore. Può però diventare assai utile. Proprio come il vecchio [Giuseppe Garibaldi] egli mostra nelle sue teorie piú buona volontà che chiarezza, e non pertanto la sua ultima lettera a Petroni è per noi d'un valore infinito... Ci può ella procurare un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di fare avere con sicurezza le nostre cose a Caprera, e Ricciotti dice che molto viene intercettato» (Carteggio di Engels).

J. W. MARIO, Vita di Garibaldi, 2a ed., Milano 1882, vol. II, pagine 270 sg.

Lettera a Tallinucci (XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p. 392).

BERTOLINI, prefazione citata a RAE, op. cit., p. XVI.

Briefe und Auszüge Briefen, von Becker, Dietzgen, Engels, Marx u. A. an Sorge u. A., Stuttgart 1905, p. 34. Nella seduta del 14 novembre Engels dette un resoconto del Congresso di Roma; il quale si era risolto, disse, in «un fallimento completo» (Verbali citati ad diem).

Durante il 1871 non si era potuto riunire il solito congresso dell'Internazionale: il Consiglio generale aveva convocato in sua vece una conferenza amichevole a Londra (17-23 settembre 1871) cui avevan partecipato una ventina di persone (Engels rappresentava l'Italia). Questa conferenza prese varie deliberazioni che, secondo gli statuti, solo il congresso era autorizzato a prendere, offrendo cosí a Bakunin il destro per rinfocolare la sua lotta contro il Consiglio generale. Il 12 novembre, dietro sua ispirazione, si riuní infatti a Sonvillier un Congresso dissidente nel quale venne costituita la Federazione dissidente del Giura, libertaria e antiautoritaria del Bakunin. Il congresso con una circolare inviata a tutte le sezioni dell'Internazionale nei vari paesi, accusò il Consiglio generale di abuso di potere e propose la riunione di un congresso straordinario.

T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 423.

Ne spediscono l'Associazione cooperativa fra gli operai di Spezia (23 novembre); gli operai di Castel Bolognese (30 novembre); la Società di mutuo soccorso di Fano (11 dicembre); la Società della fratellanza di Ravenna (13 dicembre); i democratici romagnoli e marchigiani (dicembre) riempiono i giornali dei loro ordini del giorno.

Silvio era lo pseudonimo che Bakunin aveva assunto in Italia (M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 64). Garibaldi è dunque informatissimo delle piú intime faccende dell'internazionalismo italiano.

XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, pp. 394-95.

La Roma del Popolo», 7 marzo 1872.

La proposta è di Garibaldi; e vien rilevata e pubblicata sui giornali di Sanmito, Stefanoni, Battaglia, Cerretti, Castellazzo («La Roma del Popolo», febbraio 1872).

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 48.

La Roma del Popolo», febbraio 1872.

E continua a incoraggiare i giornali internazionalisti. Cfr. «La Lega rossa», Milano, 18 febbraio 1872.

Lettera al direttore dell'«Unità italiana», 29 febbraio («La Roma del Popolo», 7 marzo 1872).

Lettera a Sanmito, 6 marzo 1872 (CIAMPOLI, op. cit.).

Altri inviti all'accordo vengono spediti a Garibaldi e a Mazzini dall'Associazione democratica di Viareggio, dalla Consociazione repubblicana forlivese, dalla Consociazione operaia di Rimini, dalla Società operaia di Bologna, ecc.

Pompeo Panciatichi nell'«Alleanza», 17 febbraio. La Consociazione repubblicana romagnola spedisce a Garibaldi il seguente telegramma: «Interesse patrio esige vostro accordo Mazzini. Con esso sui campi principî politici morali. Con voi sui campi battaglia conquista vera libertà».

Bisettimanale, fondato il 13 settembre 1871. Nel primo numero il giornale si dichiara liberale e antigovernativo. Nel n. 6 (30 settembre) socialista, rivoluzionario e razionalista, ma anticomunardo e antinternazionalista. Col 10 novembre diventa quotidiano e apertamente internazionalista, sotto la direzione di Leone Leoncavallo; uno dei redattori principali è Tito Zanardelli. Il 6 dicembre il giornale, in seguito a mutamenti redazionali, riprende la vecchia fisionomia.

Settimanale fondato il 7 gennaio 1872. La testata reca il motto: «Nessun diritto senza dovere – nessun dovere senza diritto». Lo dirige Giuseppe Tucci; vi collaborano Gambuzzi, Palladino, Cafiero, Covelli, Malatesta.

Ecco un'altra prova della convinzione sincera che anima gli internazionalisti non rappresentare l'Internazionale che lo sviluppo logico del sistema mazziniano. È la Società dei lavoratori ferraresiSezione dell'Internazionale – che scrive all'«Alleanza», il 4 febbraio 1872: «Ecco, cittadino, le idee caotiche che deplorate, e che ci sembrano invece quelle stesse apprese dal comune maestro Mazzini, riformate naturalmente secondo le inesorabili leggi del progresso».

Qualche anno piú tardi, sulle colonne della «Cronaca», Celso Cerretti, tracciando una breve storia del Socialismo in Italia, cosí giudica il dissidio fra Mazzini e gl'internazionalisti del '71-72. «Mazzini pur troppo nol volle comprendere [il socialismo]. Disgrazia per noi giacché egli avrebbe influito a far trionfare i nostri principî tanto tempo prima che non saranno in fatto... Ma insomma che voleva Mazzini? Che per mezzo secolo continuassero a valere le medesime idee? Se egli in tanti anni di apostolato non si mosse mai dalla sua linea di condotta, si dovea pur sempre militare con lui? e il progresso? Chi è che possa negare che l'ideale di Mazzini – fatta astrazione d'una differenza di governo – non si sia interamente raggiunto?» (20 febbraio 1876). Sono le stesse idee espresse nella lettera citata nel testo.

Il 18 febbraio insiste sulla profonda diversità fra il concetto nazionale di Mazzini e quello dei socialisti: «Patria pei mazziniani è un principio da attuarsi violentemente dall'alto al basso... L'unità nostra, pigliando le mosse dall'individuo, dai suoi bisogni e diritti riconosce la libertà piena delle collettività locali, questa federa inevitabilmente fra loro fino a creare sotto altra forma e con altro concetto la medesima unità»; e, dopo aver dichiarato che gli operai sono oggi tutti instradati verso il socialismo: «Al profeta non avanza che piangere sull'umana corruzione; cosí il mazzinianismo avrà avuto anche il suo Geremia»!

Settimanale fondato il gennaio 1872: diretto da Giuseppe Eandi. Cessò le pubblicazioni il 12 maggio dello stesso anno. Dal primo numero: «In guardia, o Popolo / Solleva gli occhi / Perdi quel debole / ch'ai nei ginocchi... / Fin che t'umilî / Fin che stai prono / Come puoi scorgere / Chi siede in trono? / In piedi... Rizzati! / Bada, per Cristo / Non senti il soffio dell'Anticristo

Nel dicembre 1871 appare sul «Journal des Débats» un articolo scritto da un «autorevole corrispondente italiano» nel quale si dice che Mazzini «avrebbe recentemente proposto al partito dell'Internazionale di unirsi, almeno momentaneamente, con lui, contro il loro comune nemico, la Casa Savoia... Mazzini non sarebbe stato lontano dal comprendere tutto il pericolo dallo scisma prodottosi e la necessità di mettervi un termine. Uno dei suoi piú caldi partigiani, un avvocato milanese, sarebbe stato incaricato... di proporre agli antichi capi del partito d'azione, schierati da poco sotto la bandiera dell'Internazionale, una specie di tregua durante la quale si sarebbe lavorato in comune, senza tener conto delle tendenze particolari di ognuno, ad abbattere la monarchia... Mazzini insiste soprattutto sulla necessità di risolvere la questione politica prima della questione sociale. Egli dichiara che, quanto a lui, non approva il programma materialista e socialista dell'Internazionale, ma egli non crede giunto il momento di abbandonarsi a questo proposito...» Secondo l'articolo del «Journal des Débats», Mazzini proporrebbe di sollevare la Sicilia e le Calabrie, per attirare in quel punto tutte le forze militari del paese, di provocar poi una rivolta nelle Romagne, a Genova e a Milano e infine a Roma dove «rimarrebbe pochissimo a farsi per rovesciare la monarchia». Questo articolo, che venne largamente riprodotto dalla stampa italiana, sdegnò gli scrittori della «Roma del Popolo», 11 gennaio 1872. «Non sappiamo – fu il loro commento –, signori giornalisti conservatori di Francia e d'Italia, se dobbiamo chiamarvi ridicoli o miserabili!!!»

A parte queste fantasticherie, è certo che di accomodamenti piú o meno provvisori fra le due ali della democrazia si parlò, allora e in seguito, con insistenza. Qualche tentativo d'approccio vi fu senza dubbio.

Settimanale fondato il 28 gennaio 1872; direttore Giuseppe Cozzi. Nel programma la «Lega rossa» si definisce «il foglietto degli operai che appartengono al partito repubblicano, e che sono affigliati per convinzione e per sentimento allo scopo dell'Internazionale».

Quotidiano fondato il 27 dicembre 1871; diretto da Erminio Pescatori. Cessò le pubblicazioni il 6 giugno 1872. Di questo giornale è interessante seguire attraverso un curioso particolare il progressivo «svincolarsi» dalla tutela e dalla tradizione morale mazziniana. Quando esce il primo numero del giornale – il quale non rivela che piú tardi la sua tinta internazionalista – la testata reca, ai lati, le parole: AssociazioneLavoroLibertàUguaglianzaFraternitàEmancipazioneSolidarietàVeritàGiustiziaMorale. Questa complessa formola regge fino all'ottavo numero in cui AssociazioneLavoroFraternitàEmancipazione vengono soppresse a beneficio di una formola internazionalista: «Nessun dovere senza diritti – nessun diritto senza doveri». Col tredicesimo numero scompaiono anche la Libertà, l'Uguaglianza ecc.

Sull'«Unità italiana e Dovere», Genova, 18 aprile 1872, Armirotti stigmatizza severamente tutta questa campagna di stampa contro Mazzini: «Non intendo... di voler giudicare né gli uni né gli altri (i fatti di Parigi e gli Internazionalisti), cosa troppo ardua per me: ma intendo semplicemente di accennare ad un fatto, ed è il linguaggio che tengono certi giornali... che, dichiaratisi sul loro nascere repubblicani, cominciarono la loro gloriosa carriera, col chiamare Mazzini un retrogrado, un prete, mettendolo in un fascio coi re, coi principi spodestati, preti, sgherri e simile brodaglia, fra i nemici dell'umano progresso, dicendosi ora apertamente anarchici, e ripetono ogni giorno: vogliamo la guerra civile, vogliamo l'anarchia, ed è da queste soltanto che sorgerà la vera libertà; non vogliamo governo di sorta, e perciò nemmeno la repubblica, perché l'uomo deve esser libero...»

Parole – in verità molto trasparentiomesse nel testo.

L'Internazionale ha già otto anni di vita, argomenta l'«Unità italiana e Dovere», 18 novembre 1871, e «questo periodo di tempo è breve certamente se si guarda all'altissima meta da raggiungere; ma se lo si confronta al nulla che sinora l'Internazionale ha operato sulla via di conseguirla, non è piú tale, e giustifica la convinzione nostra circa la radicale impotenza della chiassosa associazione... Se noi guardiamo fuori d'Italiadentro, grazie a Dio, l'Internazionale non è che una parola; una parola piú o meno incompresa, piú o meno amata e temuta ma nient'altro che una parola – non scorgiamo ancora indizio dei suoi benefici effetti». Ma era l'ottimismo di chi non guarda o di chi, guardando, non vuol vedere, quello dell'organo repubblicano.

La notizia – come vedremoera esatta. Emissari dell'Internazionale si recarono, in quei mesi, a Torino, a Milano, a Firenze, a Napoli.

Il 27 novembre Cafiero scriveva ad Engels che al «Motto d'Ordine» «si fa una guerra fierissima dalla coalizione di quanto v'ha di piú sozzo in genere di borghesia, sbirraglia governativa, nobilume e pretume. Il povero giornale minaccia di morire, o di sfuggirci dalle mani...» E il 28: «Voi forse osserverete che il "Motto d'Ordine" non è sempre uguale nei suoi articoli; ma sapeste come si compone la redazione di quel giornale! In ogni modo è bene sappiate che non è un affare che ci appartiene pienamente, noi ci entriamo di sbieco e cerchiamo di rendercelo utile per quanto è possibile...» E il 19 dicembre: «..."Il Motto d'Ordine" morí per noi, e pochi giorni dopo morí completamente... Comprendete bene che non era piacevole di scrivere in un giornale del quale mentre non ci si voleva dare la direzione, si accettavano articoli del primo venuto, e che articoli!» (Carteggio di Engels cit.).

Lettera di Cafiero a Engels, 29 novembre 1871 (Carteggio di Engels cit.).

O meglio Pezza e Cuno riuscirono a guadagnare alla causa dell'Internazionale (senza per allora insistere sull'indirizzo bakunista o marxista da darsi al nuovo raggruppamento) una forte minoranza di soci della mazziniana Società operaia di mutuo soccorso morale e di istruzione. L'epistolario tra Cuno ed Engels (fino ad oggi inedito) è di notevole interesse. Scriveva l'Engels al Cuno, il 13 novembre, confessandogli di non conoscere nomi di internazionalisti stabiliti a Milano e invitandolo a fare un'attiva propaganda: «Milano come capitale del mazzinianismo finora e come grossa città industriale è per noi e per queste ragioni specialmente importante, perché con Milano devono cader da sé in nostre mani i distretti d'industria della seta in Lombardia...»

L'operaio Carlo Laplace; il quale – scriveva il famigerato Terzaghi ad Engels, 4 dicembre 1871 – «in seguito ad una lettera di Mazzini carica di adulazioni, cambiò idea».

Il Terzaghi e Giuseppe Abello, redattore con Terzaghi del «Proletario italiano». Inoltre venne a far parte del consiglio anche l'internazionalista G. Eandi.

Il Fascio operaio, prima della pubblicazione del giornale, avrebbe voluto lanciare un manifesto; nel quale i promotori affermavano «siamo operai e vogliamo lavorare», «rispettiamo i diritti e le proprietà altrui», «chiediamo vengano riconosciuti i nostri diritti di uomini e di cittadini», «vogliamo che il nostro lavoro non ci uccida, ma ci produca tanto che basti alla nostra esistenza fisica e morale». Ma l'affissione ne fu vietata (cfr. «Il Fascio operaio», 27 dicembre 1871).

Piú o meno copertamente Il Fascio operaio divideva le idee di Bakunin al quale il Pescatori scriveva in data 2 gennaio 1872: «Siamo con voi, non possiamo ancora prendere una risoluzione un legame definitivo...» (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 650).

Accetto con orgoglio il prezioso titolo di socio del Fascio operaio di Bologna», Caprera, 5 dicembre 1871 (Dal primo numero del «Fascio operaio»).

Il Fascio operaio», n. 1, 27 dicembre 1871.

M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 73.

Il Martello», Milano, 17 febbraio 1872. Il Fascio operaio di Firenze pubblicò il 15 marzo 1872 un manifesto di propaganda; piú tardi dette vita a un giornale dallo stesso titolo. La organizzazione fiorentina fu sciolta dal prefetto il dicembre 1872 («La Liberté», 2 dicembre 1872).

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, pp. 250 sg.

Terzaghi si trovava allora in ottima relazione con Bakunin che aveva veduto a Locarno. Il russo fidava completamente in lui; l'11 novembre gli aveva mandato perfino il «dizionario» ossia, con tutta probabilità, un cifrario segreto (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II). Il direttore del «Proletario» manteneva intanto i migliori rapporti anche col Consiglio generale di Londra. Nel marzo '72, convinto di appropriazione indebita e sospettato come confidente della questura, il ribaldo venne cacciato dalla sezione torinese. Terzaghi informò dell'accaduto il Consiglio generale, asserendo di «aver date le sue dimissioni da quella sezione di canaglie e di spie, perché era composta di agenti del governo e di mazziniani» (Lettera 10 marzo 1872). (C. MARX, L'Alleanza della democrazia socialista ecc. cit., p. 37).

Il 21 dicembre 1871 Cafiero stampa sul «Gazzettino rosa» un articolo L'Internazionale a firma Un Internazionalista in cui espone idee molto vicine a quelle del Bakunin sulla partecipazione degli operai alla vita politica. Questo articolo segna l'inizio della sua conversione al bakunismo di cui diverrà il piú attivo propagandista in Italia.

Bakunin si era molto stupito del silenzio del «Gazzettino», fino allora portavoce fedele dei suoi principî. E aveva scritto ai suoi redattori, il 23 dicembre, chiedendo spiegazioni: «Fratelli, che succede dunque di voi? Il vostro silenzio accompagnato dal silenzio ostinato del "Gazzettino rosa" mi stupisce, m'affligge, m'inquieta» (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 251).

Carteggio di Engels cit.

Lettera di Cuno a Engels, 27 dicembre 1871. Cfr. anche «Il Gazzettino rosa», 13 gennaio 1872.

Lettera del Consiglio del Circolo operaio a Engels, 11 gennaio 1872. È firmata da Pezza, Pozzi, Bavetti, Bellasio, Gandolfi e Cuno. Cuno venne in aprile espulso dall'Italia perché – diceva l'ordinanza della polizia – «mancante di mezzi di sussistenza». In realtà perché attivissimo nel promuovere l'organizzazione internazionalista. Engels, scrivendogli, gli promise di parlar del suo caso nei giornali inglesi e di farne parlare nella stampa socialista di tutta Europa. «Quei porci cani [la polizia] devono accorgersi che non la va piú cosí liscia e che il braccio degli internazionalisti è sempre piú lungo di quello del re d'Italia» (Cart. di Engels cit.).

ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI OPERAI, SEZIONE RAVENNATE, Patto di fratellanza, Bologna 1872.

Lettera di Terzaghi a Engels, 4 gennaio 1872. Sull'opera svolta dal Terzaghi nell'ambiente operaio torinese molto ci sarebbe da dire. Espulso dalla Emancipazione, si dette a fare del dissidentismo, offrendo i suoi servigi ora a Engels ora a Bakunin. Ma la sua parte, nonostante che tutti lo conoscessero per quel che valeva, non era ancora terminata. Nel 1873 fondò il giornale «La discussione» (che durò dal maggio al settembre) e poi «Il Proletario» (nell'ottobre), specie di libello rivolto contro mazziniani, garibaldini, internazionalisti, ossia tutti coloro che successivamente gli avevano dato credito. L'uomo non era privo d'ingegno; ma in sostanza e contro ogni sua intenzione, le sue mene giovarono piú che non nuocessero al movimento internazionalista. Certo s'elevò al disopra dei suoi pari per l'accortezza con la quale comprese qual fosse la via migliore per dividere le correnti predominanti: spinse l'internazionalismo per debellare il mazzinianismo repubblicano, fu garibaldino contro Mazzini, marxista per scindere gli internazionalisti italiani, petroliero e anarcoide per rovesciare sui compagni persecuzioni e reazione e su di sé i falsi rigori della polizia (una volta si recò a Ginevra fuggendo un autentico mandato di cattura del procuratore del re di Pesaro!) La sua colpevolezza fu irrefutabilmente provata da Cafiero al Congresso di Bologna (15 marzo 1873) – confermata ripetutamente piú tardi.

Il Martello», 17 febbraio 1872.

Partito a questo scopo da Londra e giunto a Ginevra, il Regis di sollecitava l'Engels (il 16 febbraio) perché gli desse modo di esplicare subito il suo mandato, inviandogli il denaro necessario a proseguire il viaggio. «Urge assolutamente che io parta e mi rechi in Italia, ove le cose procedono con una rapidità vertiginosa. Malon e compagni hanno moltissime relazioni, e nulla trascurano per guadagnar terreno, il che è facile avendo la piazza libera. Se piú si tarda le sezioni italiane saranno totalmente avanzate, saranno cosí sviluppate negli intrighi dei dissidenti, che sarebbe cosa vana e pressoché impossibile il tentare di distrarle».

Lo stesso Engels, del resto, non si faceva illusioni. Il 24 gennaio 1872 aveva scritto a Cuno: «La stampa bakunista afferma che venti sezioni italiane vi si sarebbero unite (alla proposta degli internazionalisti dissidenti di anticipare la convocazione del Congresso generale), io non le conosco. Ad ogni modo quasi dappertutto la direzione è nelle mani di amici e aderenti di Bakunin, che si agitano molto rumorosamente, ma se si indagasse con un po' di precisione, apparirebbe chiaro, che non molta gente sta dietro di loro, perché alla fin dei conti la grandissima maggioranza degli italiani è finora mazziniana e lo resterà fino a quando l'Internazionale si identificherà con l'astensione politica. E il 22 aprile, accennando alla propaganda da svolgersi in Italia: «Sarà necessario un lungo e paziente lavoro per strappar le masse dalle sciocchezze mazziniane» (Carteggio di Engels cit.).

Carteggio di Engels cit.

Del «Martello», settimanale, uscirono quattro numeri soltanto (l'ultimo il 3 marzo), tre dei quali vennero sequestrati. Verso la fine di marzo il Pezza fu arrestato insieme al gerente responsabile e a un altro redattore; nel maggio, processati, vennero condannati rispettivamente a mesi 6, 1 e 3 di carcere. In agosto troviamo il Pezza, forse fuggito di prigione, in Isvizzera. Intimo amico del Bakunin, le cui idee erano fedelmente rispecchiate nel «Martello», morí giovanissimo, pochi mesi dopo (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., II; M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 647).

E precisamente quelli di Ravenna, Forlí, Lugo, Madonna dell'Albero, Santo Stefano, San Bartolo, Bastia, Campiano, Carpinello, Coccolia, San Pancrazio («Il Martello», 25 febbraio 1872).

L'Anticristo», febbraio 1872.

Il Martello», 25 febbraio, 3 marzo 1872; «La Campana», 10 marzo 1872.

Uno dei sistemi che egli seguiva per la sua propaganda era quello di dirigere lunghissime lettere zeppe di consigli, d'informazioni, di spiegazioni a uno dei suoi amici italiani. Le lettere poi dovevan passare di mano in mano, secondo un itinerario da lui stabilito. Ogni amico era indicato con uno pseudonimo.

Il 12 novembre 1871 «Il Proletario italiano» di Torino ospitò sulle sue colonne una lettera di Beghelli, direttore del «Ficcanaso», in difesa del mazzinianismo. Bakunin iniziò una lunghissima risposta Ai redattori del «Proletario italiano», alcuni frammenti della quale sono riprodotti da M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, pp. 643-64. Ma non fu mai pubblicata, e forse neppure condotta a termine e inviata a destinazione.

Fu pubblicato a cura della Commission de propagande socialiste, a Neuchâtel, nella tipografia Guillaume. Io ne ho consultata la copia posseduta dalla Biblioteca centrale del Risorgimento in Roma. Si avverta che un opuscoletto con lo stesso titolo stampato a Roma nel 1910 dalla Libreria editrice libertaria non contiene che la Risposta già esaminata.

Si leggano, a prova, i giornali mazziniani: vi si sente «non so quale atmosfera soffocante, un soffio di morte e come odor di cadavere... In mezzo al movimento sociale immenso che ha invaso il mondo umano... restano , immobili isolati, stranieri a questo sviluppo di vita, e gli occhi invariabilmente fissati su Savonarola e Dante, cantano le loro vecchie litanie» (p. 47).

Salvo questo accenno a pretese responsabilità di Mazzini nel determinare i rigori governativi contro l'Internazionale, l'opuscolo bakunista non contiene alcun attacco personale contro di lui. Del quale, anzi, a p. 44, Bakunin cosí scrive: «Pochi uomini, senza dubbio, sono capaci d'amare come Mazzini. Chiunque ha avuto la fortuna di avvicinarlo personalmente ha sentito gli effluvi di quella tenerezza infinita che sembra penetrare tutto il suo essere, si è scaldato l'anima al raggio di quella bontà indulgente e delicata che brilla nel suo sguardo nello stesso tempo cosí serio e dolce, nel suo sorriso melanconico e fine». E a p. 46: «Amo Mazzini e lo venero e pertanto devo combatterlo. Devo mettermi dalla parte di Marx contro di lui».

L'Alleanza», marzo 1872.

Alla Consociazione repubblicana romagnola («L'Alleanza», 9 marzo 1872).

Con te differisco nel fine e quindi nei mezzi e nel metodo da tenersi – gli scrive Mazzini il 12 settembre 1869 –. Tu non tendi a fine pratico alcuno... Io tendo a cercar gli eventi; tendo a cogliere la prima opportunità per un'insurrezione repubblicana; e quindi la necessità di un ordinamento. Il tuo sistema conduce diritto, senza che tu vi pensi, alla sosta indefinita, all'abdicazione di ogni iniziativa» (Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 333). E a Giorgina, nel giugno '70: «Ciò ch'io persisto a rimproverare nel mio cuore ad Aurelio è il silenzio... perché non scrive contro il materialismo, il machiavellismo e tutti gli ismi che ci appestano? Che fa egli dell'ingegno che Dio gli ha dato? Manca di coraggio morale? Temo a poco a poco di convincermene. Perché mi lascia solo? Perché non combattere in due?» (ibid., p. 335).

Cfr. lettera di Mazzini a Giannelli, ricevuta il 18 ottobre 1869. Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., p. 422.

Cfr. lettera di Mazzini a Emilia Ashurst, 9 gennaio 1860 (RICHARDS, op. cit., II, 165).

Già abbiamo accennato a Mazzoni, a Castellazzo, a Socci. Piú che pencolare, precipitava addirittura verso l'internazionalismo Battaglia. Mazzini ne scriveva al Giannelli, il 16 febbraio 1872: «Se per miracolo di provvidenza. gl'italiani si destassero non a ciarle ma a fatti, o in lettiga o in piedi, finché vivo, farò il mio dovere. Fin , non posso che gridare, come tutti gli onesti dovrebbero, contro questa invasione di barbari che deturpano e rovinano il partito, senz'ombra di senno o possibilità di riescire in ciò che ciarlano di volere... Mi duole di Batta[glia]. Non intendo com'ei sia tornato quasi internazionalista dalla Sicilia» (Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli cit., p. 50).

Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 48.

Nella sua nobile coerenza, Mazzini non aveva esitato a rompere ogni rapporto non solo con i nuclei operai che avessero aderito all'Internazionale, ma anche con quelli che avessero comunque dimostrato tendenze contrarie al suo programma. Il 27 febbraio 1872, per esempio, informato che la Società operaia di Brescia aveva «deliberato darsi il bando alla politica nelle sue discussioni», le aveva scritto, per avvertirla che se il fatto era vero cancellasse il suo nome dall'Albo dei soci onorari. «Non posso appartenere alla vostra società senza aperta contraddizione a quanto è in me profondo convincimento... È un'abdicazione intellettuale e morale... errore e colpa» («L'Alleanza», Bologna, marzo 1872).

Nel maggio-giugno. Ne trovo notizia nel già citato Giornale di anonimo autore, che si conserva a Cesena.

Il Romagnolo», Ravenna, 18 giugno 1871.

L'Unità italiana», 25 agosto 1871.

La Statistica ufficialeAnn. di Stat.», cit.) conta 26 scioperi nel 1871.

L'Unità italiana e Dovere», 5 gennaio 1872.

Cosí a Milano, nel luglio, fra gli operai della Società per le ferrovie dell'alta Italia («Il Gazzettino rosa», 24 luglio 1871); a Torino, nell'agosto, fra i panattieri («Il Monitore di Bologna», 5 agosto 1871); a Milano, nell'agosto, fra i lavoranti sarti (ibid., 27 agosto). Nel settembre si verificano tumulti a Venezia. Il 15 vien trovato affisso un curioso manifesto manoscritto: «Aviso - La Società dei Congiurati Avvisa - che noi - tutti - 500 - voliamo Abaso - tutte le machine delle - Conterie - Del grano - chanevo ecc. ecc. i Batelli a vapore - e altre cose che - è danno - al Povero Popolo!! e dentro - 15 o 20 - giorni voliamo - tutte biade e le farine Ribasate oseno - Daremo fogo i Palassi - di questi Signori. Il Presidente I. S.» («Il Monitore di Bologna», 17 settembre 1871).

Una di esse, l'Associazione dei tipografi, ha nel 1871 ventisette sedi (BROCCHI, L'organizzazione ecc. cit., p. XIX). Sempre nel 1871 si tiene a Napoli il III Congresso dei tipografi per l'osservanza della tariffa (T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit.).

L'Alleanza», 6 aprile 1872. L'ignoto destinatario della lettera, pubblicandola, cosí la commentava: «La religione del dovere gli trattenne la mano, ma egli era stato ferito nel cuore e ne morí di dolore: spirò col nome di Garibaldi sulle labbra, perdonando e sperando».

TIVARONI, L'Italia degli italiani, Torino 1897, III, pp. 215 sg.

Ai primi di aprile si tenne a Macerata un comizio per commemorare Mazzini, indettoriferiva «Il Lucifero» di Ancona (cfr. «L'Unità italiana e Dovere», 9 maggio 1872) – dai «nostri amici repubblicani socialisti unitari». Uno degli oratori, Giuliozzi, alludendo agli internazionalisti, lamentò che molti avessero abbandonato la bandiera di Mazzini. Un certo Giannini interruppe: «Io pure appartengo all'Internazionale, ma non ho mai disertato la bandiera di Mazzini!» «Il Lucifero» commentava, notando che non era possibile dirsi internazionalisti senza disertare il mazzinianismo; e aggiungeva: «Il nostro maestro sul letto di morte dichiarò, che piú che le antiche delusioni, che avevano logorato il suo corpo, amareggiava l'anima sua lo stuolo d'italiani, che, leggeri come fanciulle, s'invaghirono delle straniere lusinghe

Commosse parole di avversario onesto scrisse su Mazzini anche Bakunin (a Cerretti, 19 marzo 1872): «Saremmo stati vili e traditori se non l'avessimo combattuto a oltranza. Il profondo sentimento di rispetto simpatico, di pietà che non abbiamo mai cessato di provare per il sublime e sincero retrogrado, ci aveva reso il combattimento assai doloroso, assai penoso ma non potemmo sottrarci senza tradire la nostra causa... Nuovo Giosuè, Mazzini si era sforzato di fermare il sole. Il a succombé à la tâche. La sua grande anima affaticata, torturata, ha finalmente trovato quel riposo che vivo non ha mai conosciuto. Il grande patriota mistico, l'ultimo profeta di Dio sulla terra è morto...» (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 639).

Quanto precede prova l'inesattezza dell'affermazione.

I funerali di G. Mazzini, in Cose garibaldine, Torino 1907.

Bologna, Ravenna, Rimini, Fano, Massignano, Lugo, Montelparo, San Potito, Fusignano, Forlí, Faenza, Senigallia, Sant'Arcangelo, Imola.

Mirandola, Genova, Mantova, Napoli.

In realtà con tale deliberazione il Congresso di Bologna commise un grosso errore. Il Consiglio generale di Londra, infatti, fino alla riunione del congresso deteneva regolarmente ed esclusivamente il potere e aveva un mandato precisato dagli statuti. Il Comitato federale del Giura non era, invece, che un comitato regionale, il quale aveva tutto il diritto di fare opposizione al Consiglio generale, ma non quello di sostituirglisi. L'errore di metterli su uno stesso piano era cosí evidente che il Comitato del Giura trovò necessario di sconfessare – pro forma, s'intende – la deliberazione bolognese. Carlo Marx, comunque, ritenne che gli italiani avessero con la loro leggerezza rivelato il giuoco sotterraneo di Bakunin. «Il "Fascio operaio" – scrisse infatti – aveva commesso un grosso sbaglio, scoprendo a' profani la misteriosa esistenza del centro segreto dell'Alleanza» (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 268. C. MARX, L'Alleanza democratica socialista ecc. cit.).

Celso Cerretti, ad esempio, presentò un ordine del giorno «tendente a sanzionare che caso mai i mazziniani decidessero di passare dall'apostolato all'azione, noi internazionali li avremmo seguiti» («L'Alleanza», 1872). Il Cerretti era uno dei fautori di quel Congresso democratico proposto da Garibaldi che avrebbe dovuto risolvere gli equivoci e ridare unità e vigore alla democrazia repubblicana.

Il Fascio operaio», 24 marzo 1872.

Il Gazzettino rosa», 30 marzo 1871; M. MACCHI, Almanacco per il 1873 cit., p. 33.

M. MACCHI, Almanacco per il 1873 cit.; BERTOLINI, op. cit.

Il Romagnolo», 27 agosto 1871.

Lo Staffile», Bologna, 4 maggio 1872.

L'Unità italiana e Dovere», 18 aprile 1872.

A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 79; «Lo Staffile», 23 marzo 1872.

Cfr. Diario forlivese cit., aprile 1872.

Già il 29 agosto 1871, scrivendo ai redattori della «Liberté», Bakunin dichiarava che l'Italia «è un paese nel quale la rivoluzione sociale è forse piú imminente che in Germania e certo piú prossima che in Svizzera» e poi, quasi stupito che le qualità rivoluzionarie del popolo italiano non fossero state sfruttate negli ultimi anni, nei quali il malcontento era pur cosi generalmente diffuso: «Se i mazziniani fossero stati piú vivi, piú pratici..., se, meno disseccati dal teologismo e dalla statolatria di Mazzini, avessero conservato un po' di cuore per le sofferenze reali del popolo, avrebbero potuto trarre partito in modo straordinario dal movimento quasi universale e affatto spontaneo dei contadini italiani contro la legge del macinato, circa due anni fa... Ma era un movimento troppo barbaro per dei rivoluzionari formati alla scuola di Mazzini. Lo sdegnarono» (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, pp. 624-25).

Le stesse impressioni sulla gioventú italiana riportava Benedetto Malon, profugo in Italia: «Nella vita sociale dell'Italiascriveva – vi è un fenomeno che essa ha comune soltanto con la Spagna, e sono le molte migliaia di giovani sempre disposti ad arrischiar la vita per una grande causa... Il meglio di queste giovani schiere non appaga le sue aspirazioni coll'unità d'Italia o colla repubblica, ma va piú in , fino al socialismo» (Il socialismo, suo passato, presente e avvenire, 1873).

C. MARX, L'Alleanza della democrazia socialista ecc. cit., pp. 117 sg. Anche Giulio Guesde, profugo di Francia e uno dei primi introduttori del marxismo in Italia, scriveva a Joukovski da Roma il 30 aprile 1872: «Qui ci si muove molto. Gli operai son pieni di buona volontà. Lasciate loro il tempo di dimenticare Mazzini e saranno per noi e per la rivoluzione sociale».

L'Unità italiana e Dovere», 20-21 aprile 1872. Due tipografi, delegati al congresso dalla Società dei compositori tipografi di Roma, quando videro che in maggioranza i delegati erano «nobili, senatori, deputati, avvocati e capitalisti, gl'interessi dei quali non possono non essere opposti a quelli di coloro che vivono col frutto delle proprie fatiche» si ritirarono. Osservava in proposito «La Perseveranza», aprile 1872: «In questi benedetti congressi [operai] avvengono guai, quando in luogo di persone cresciute agli studi e alla matura discussione de' propri interessi, adunano uomini, cui la necessità del lavoro manuale ha lasciato poco tempo da dedicare ai libri, e che perciò appunto non hanno la pratica necessaria delle forme, che devonsi osservare nelle numerose assemblee». I mazziniani provocarono nei giorni seguenti numerose proteste contro questo controcongresso da parte di nuclei operai aderenti al partito d'azione, riuscendo a organizzare per il 21 aprile un comizio di un due o trecento operai romani al teatro Corea: l'ordine del giorno che venne votato terminava cosí: «Noi vogliamo che tutti gli operai italiani s'uniscano tra di loro e s'uniscano cogli operai di tutta l'Europa per raggiungere l'emancipazione sociale» («L'Unità italiana e Dovere», 23-25 aprile 1872).

Del Piccinini si legge nel «Martello» del 3 marzo 1872 una lettera, in data 29 febbraio, nella quale è molto chiaramente esposta l'ineluttabile necessità della lotta di classe.

L'Unità italiana e Dovere», Genova, 8 maggio 1872. Da rammentarsi la bella epigrafe che Giosuè Carducci dettò per il Piccinini; la riporta A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 79.

Da Giuseppe Eandi: «Udita la lettura degli statuti generali della Associazione internazionale dei lavoratori; considerando che i santi principî che la informano ed i mezzi indicativi sono i piú atti ad affrettare l'emancipazione delle classi operaie e l'abolizione di ogni supremazia di classe; approva in massima tali principî, e fa voti perché le singole società studino nel loro seno la necessità di aderire all'Associazione internazionale». Cfr. anche una lettera del Consiglio della Emancipazione del proletario a Engels, del 16 maggio 1872 (Carteggio di Engels cit.).

Su proposta di Carlo Laplace. M. MACCHI, Almanacco per il 1873 cit., pp. 16 sg.; «L'Unità italiana e Dovere», 4-14 maggio 1872.

Carteggio di Engels cit.

E, precisamente, di: Torino, Mantova, Bologna, Ravenna, Rimini, Imola, Lugo, Fusignano, San Potito, Mirandola, San Giovanni in Persiceto, Fano, Sant'Arcangelo, Senigallia, Forlí, Firenze, Siena, Roma, sezioni umbre, Napoli, Sciacca.

Il Congresso era stato indetto dal Fascio operaio di Bologna con una circolare a tutte le sezioni internazionali in data 2 luglio 1872. Ogni sezione era invitata a formulare quesiti per la discussione (Carteggio di Engels cit.).

Storia della Internazionale cit., pp. 503 sg.

Precisamente, le sezioni di Milano, Lodi, Venezia, Verona, Genova, Ferrara, Modena, Faenza, Fermo, Massignano, Montelparo, Empoli, Fiesole, Pistoia, Pescia, Livorno, Macerata, Ancona, Jesi, Palermo, Messina, Girgenti, Grotte, Porto Empedocle, Menfi, Trapani.

In una bozza di Circolare contro Rimini, che si trova fra le carte di Engels e che era destinata a tutte le pretese sezioni che avevano partecipato al Congresso (ignoro se essa fu poi realmente inviata) si legge: «Importa constatare che delle 21 sezioni i cui delegati hanno firmata questa risoluzione, v'è una sola [Napoli] che appartiene all'Internazionale. Nessuna delle altre ha giammai adempita alcuna delle condizioni prescritte dai nostri statuti e regolamenti generali per la ammissione di nuove sezioni». L'affermazione di Engels era inesatta. Egli stesso aveva tenuto, nei mesi antecedenti, corrispondenza con le sezioni di Torino, Bologna, Imola, Ravenna (oltre che con altre non partecipanti al congresso). È vero invece che molte delle sezioni italiane non avevan riempito tutte le formalità prescritte per esser considerate ufficialmente tali. Engels poteva dunque anche aver ragione, ma dal puro lato formale. A noi oggi interessa sapere quanti nuclei operai esistevano allora in Italia, che si dichiaravano aderenti all'Internazionale, e non quanti avevan pagato a Londra i regolamentari dieci centesimi per socio.

Cfr. per esempio A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 84.

Insospettito dell'animosità che, nelle lettere private e non, Engels e tutto il Consiglio di Londra dimostravano contro Bakunin, influenzato dal circolo di amici di quest'ultimo al quale, in sostanza, si riduceva il movimento internazionalista in Napoli, poco soddisfatto di certe risoluzioni della Conferenza di Londra, Cafiero volle veder chiaro nella faccenda. E si recò a Locarno per conoscere Bakunin, esporgli francamente alcune accuse che si facevano circolare contro di lui, invitandolo a spiegarsi, conoscere insomma il suo modo di pensare (20 maggio 1872). Il 21 maggio il russo segnava sul suo diario: «Tutto il giorno con Fanelli e Cafiero; alleanza ben stretta»; e il 24: «Conversato con Armando (pseudonimo di Cafiero). Piano di organizzazione abbozzato». L'intesa tra Engels e Cafiero si era prolungata perché quest'ultimo equivocava sulle idee del primo. Cafiero era, per istinto, il seguace-tipo di Bakunin. Il 12 giugno spedí all'Engels una lunga lettera (rivedutapare – dal Bakunin), nella quale annunciava il suo passaggio al campo nemico. Eccone qualche passo: «Il vostro programma comunista è, per me, nella sua parte positiva una grossa assurdità reazionaria... Tutti vogliono conquistare, o meglio, rivendicare il capitale alla collettività, ed all'uopo si propongono due modi diversi. Gli uni consigliano un colpo di mano sulla rocca principale – lo statocaduta la quale in potere dei nostri, la porta del capitale sarà aperta a tutti; mentre gli altri avvisano di abbattere tutti insieme ogni ostacolo, e d'impossessarsi, di fatto, di quel capitale che si vuole assicurare per sempre proprietà collettiva. Io sono schierato coi secondi... io detesto l'autorità, e ne voglio la distruzione nelle sue piú patenti estrinsecazioni, la chiesa e lo stato... Bakunin e i dissidenti del Giura non hanno mai avuto in mente di sostituire le loro idee al programma largo dell'Internazionale, essi hanno sempre ritenuto che il gran merito dell'Internazionale sta appunto nella larghezza del suo programma... La Conferenza di Londra ha veramente introdotto delle dottrine speciali, imponendo una tattica uniforme a tutta l'Internazionale, che è quella svolta nel manifesto comunista tedesco...»

Engels andò su tutte le furie e rispose a Cafiero con una vivacissima lettera: «... non posso conchiudere che una sola cosa: che voi vi siate lasciato indurre d'intrare [sic] nella società segreta bakunista l'Allianza [sic] la quale, predicando ai profani, sotto la maschera dell'autonomia anarchica, e antiautoritarismo, la disorganizzazione dell'Internazionale, pratica cogli iniziati un autoritarismo assoluto collo scopo d'impadronirsi della direzione dell'associazione... mi dovrò congratulare con voi che avete messa a salvo a giammai la vostra preziosa autonomia...» (Carteggio di Engels cit.).

L'opera di Cafiero in pro' del bakunismo si svolse dal '72 in ; oltrepassa perciò i limiti del mio lavoro. Va ricordata di lui la traduzione e riduzione del Capitale di Marx (prima in Italia) compiuta in carcere nel '77-78 e pubblicata nel '79. Anima semplice e generosa (spese il suo considerevole patrimonio per la propaganda internazionalista), facilmente influenzabile, Cafiero esercitò una parte di primo ordine nella lotta sociale in Italia.

Nato a Imola nel '54, Costa fu uno dei tanti che subirono il fascino della Comune di Parigi (era allora studente all'Università di Bologna dove il Carducci l'aveva carissimo). Nella primavera del '72, già volto decisamente al socialismo, credendosi poco sicuro in patria, si rifugiò in Isvizzera, a Neuchâtel, dove fu compito del Guillaume rassodarlo sulle teoriche socialiste. Poco dopo, rinfrancato da notizie giuntegli dall'Italia, tornò in patria: intelligente e attivissimo, afferrò le redini del movimento sovversivo guidandolo, in conformità al suo giovanile purismo, sulle vie dell'intransigenza rivoluzionaria.

La Favilla», anno VII, n. 162 (Mantova, 8 agosto 1872). Il Congresso provvide a far pubblicare il Programma e regolamento della Federazione italiana della Associazione internazionale dei lavoratori (Rimini 1872). La copia da me consultata – che ora si conserva alla Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna – fu già in possesso di Giosuè Carducci.

«L'Unità italiana e Dovere», Milano, 13 agosto 1872, pubblicò un breve resoconto del Congresso, tra l'altro scrivendo che «non vennero discussi i principî, ma si accettarono quelli già dichiarati nei congressi antecedenti, cioè: Abolizione giuridica della famiglia (?) - Proprietà collettiva degli strumenti del lavoro e del suolo - Abolizione dello Stato, ecc.».

Si veda per esempio la lettera che un tale Filippo Ricci scriveva ai «Rappresentanti del proletariato mondiale all'Aja» (in occasione del Congresso internazionale) da Porto Maurizio, il 26 agosto, annunciando la prossima costituzione di una sezione. Vi si espongono le «miserevoli condizioni della Liguria occidentale... su di cui il soffio vitale dei principî della Società internazionale, non ha ancora potuto pervenirvi... Le mercedi degli operai sono tanto esigue, che non bastano al loro sostentamento...; che la grande Associazione internazionale rivolga uno sguardo su questa miserevole terra, e le sue dottrine si spargano fra tanta tenebria, per infondere un raggio di speranza nel cuore dei nostri sofferenti lavoratori...» (Carteggio di Engels cit.).

Nell'agosto s'iniziava il carteggio tra Engels e Gnocchi-Viani, che rimase poi sempre fedele al programma marxista. La prima lettera è del 18 agosto (Gnocchi a Engels) e si conserva nel citato Carteggio di Engels.

J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. III, pp. 21 sg.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License