Abba,
Giuseppe Cesare
Abello, Giuseppe
Acampora
Accarini, Italo
Afflitto, d'
Alagna
Aldovrandi
Alessio
Alighieri, Dante
Allegrini
Amadio
Andreotti, A.
Angiolini, Alfredo
Antonelli, Giacomo, cardinale
Aprile
Arisi
Armando, vedi Cafiero, Carlo
Armirotti
Ashurst, Emilia
Asproni, Giorgio
Assing, Ludmilla
Astengo, Gerolamo
Atanasio
Ayassa
Bagnagatti
Bagnasco, Rosario
Bargoni, Angelo
Barilari, Domenico
Battaglia
Bavetti
Bazzoni, Guido
Bebel, August Friedrich
Becker, Johann-Philipp
Beghelli
Bellasio
Bellerio
Bernasconi, Francesco
Bernstein, Eduard
Bertagnoni, Luigi
Bertani, Agostino
Bertarelli, Achille
Berti-Calura
Bertolini
Besso
Bezza, R.
Bezzi, Egisto
Bianchi, Giuseppe
Bignami, Enrica
Bignami, Enrico
Billia, Antonio
Bismarck-Schönhausen, Otto,
principe di
Bizzoni, Achille
Blanc,
Jean-Joseph-Charles-Louis
Boccardo
Bodio, L.
Boldrini, Stefano
Boldrini, Vincenzo
Bolis
Bonghi, Ruggiero
Bora
Borbone, famiglia reale
Bottero, M.
Bovio, Gennaro
Bramante, Giuseppe
Bresca, G. N.
Brocchi
Broglio
Bruno T.
Büchner, Ludwig
Burbero, vedi Pezza, Vincenzo.
Cabrini
Cadorna, Raffaele
Cafiero, Carlo
Cagiati
Calfapetra
Cambray-Digny, Luigi Guglielmo, conte
di
Campanella, Federico
Cannonieri
Cantelli, Girolamo
Cantú, C.
Caporusso, Stefano
Caratti
Carducci, Giosue
Carpi, Leone
Casaccia, Felice
Casalini
Castellazzo, Luigi
Castelli
Cattaneo, Carlo
Cavallotti, Felice
Cavour, Camillo Benso, conte di
Cerretti, Celso
Cesare, de
Cesarini
Charletty
Chiala, Luigi
Chiapparo, Luigi
Chiesi, G.
Ciampoli
Cienio, Calogero
Ciminino
Cirma
Cironi, Piero
Codignola, Arturo
Cognetti de Martiis, Salvatore
Coletti, Francesco
Condurelli, Natale
Conte, Angelo
Contento
Corbetta
Corradini, C.
Cossa
Costa, Andrea
Covelli, Emilio
Cozzi, Giuseppe
Cremer, William Randal
Crispi, Francesco
Cuno, Theodor
Dagnino, Felice
D'Amico
Dassi
De Boni, Filippo
De Gubernatis, Angelo
De Luca
Depretis, Agostino
Di Lucca, Sebastiano
Diotajuti
Di Serio
Dolfi, Giuseppe
Domanico, G.
Donati
Dragomanov, M.
Dramis
Dupont, Eugène
Dutton
Eandi, Giuseppe
Ellena, V.
Engels, Friedrich
Fanelli, Giuseppe
Fano, Enrico
Fava, Siro
Fenicia, S.
Ferrari, Giuseppe
Feuerbach, Ludwig Andreas
Fichte, Johann Gottlieb
Filipperi, B.
Filopanti, Quirico
Fontana, F.
Fontanelli
Fontenelle, Bernard Le Bovier de
Forte, Francesco
Franceschi
Francesco V d'Austria-Este, duca di
Modena e Reggio
Franchetti, Leopoldo
Franchi, Ausonio
Franchini, Francesco
Frapolli, Lodovico
Fratti, Antonio
Friscia, Saverio
Gabelli, Aristide
Gambuzzi, Carlo
Gandolfi, M.
Garelli, Alessandro
Garibaldi, Giuseppe
Garibaldi, Ricciotti
Geimonat, Paolo
Geisser
Giannelli, Andrea
Giannini
Giarelli, F.
Gioberti, Vincenzo
Giorgina
Giuliozzi
Giustiniani
Gnocchi-Viani, Osvaldo
Grassi, Gaetano
Grilenzoni
Grispigni, F.
Guerrazzi, Francesco Domenico (recte
Temistocle)
Guesde, Mathieu Basile,
detto Jules
Guillaume, James
Hegel, Georg Wilhelm
Friedrich,
Heng
Herzen,
Aleksandr Ivanovič
Howell, George
Hugo, Victor-Marie
Irani
Jacini, Stefano
Johannard, Jules
Joukovskij, vedi
Žukovskij
Jung
Lafargue, Paul
Lama
Lanza, Giovanni
Laplace, Carlo
Lassalle, Ferdinand
Laveleye, de
Le Lubez
Lemmi, Adriano
Leoncavallo, Leone
Leroux, Pierre
Lessona, Michele
Levi, Alessandro
Locle
Lombroso, Cesare
Lo Savio, Nicolò
Lovari, Oreste
Luigi Napoleone, vedi Napoleone
III.
Luzio, Alessandro
Luzzatti, Luigi
Macchi, Mauro
Magrini
Maineri
Malatesta, Errico
Malon, Benoît
Manes-Rossi
Manfredi, F.
Manganelli
Mangoni
Manini, fratelli
Manini, Angelo
Manna, Giovanni
Marcora, Giuseppe
Marescotti
Mariano
Marini, Ludovico
Mario, Alberto
Mario, Jessie Meriton White
Marius
Marselli, Nicola
Martello, Tullio
Martinati, Antonio
Martinelli
Martino, de
Martuscelli, Enrico (Elvio)
Marx, Karl
Masi, M.
Mazzatinti, G.
Mazzoni, Giuseppe
Mayer
Michels, Roberto
Mileti, R.
Minghetti, Marco
Minuti, Luigi
Mistrali
Moleschott, Jakob
Molmenti, P. G.
Moneta, Alcibiade
Montanari
Montanelli, Giuseppe
Montel, de
Mora, Francisco
Morelli
Morpurgo
Mosto
Mrozkowski
Murat, Luciano
Nabruzzi, Lodovico
Napoleone III, imperatore dei Francesi
Narratone, Domenico
Nathan, Ernesto
Nathan, G.
Natta, Francesco
Nettlau, Max
Niccoli
Nusperli
Odger, George
Ogarëv, Nikolaj Platonovič
Olivieri
Omnis, Vincenzo Brusco
Orilla
Orsini, Angelo
Orsini, Felice
Paini
Pais-Serra, Francesco
Palladino, Carmelo
Pallavicino, Giorgio
Panciatichi, Pompeo
Panizza
Pantaleo
Pantano, E.
Parola, Luigi
Passano, da
Péchard, vedi Regis V.
Pedretti
Perelli, Gaetano
Perino
Perla, P.
Peruzzi, Ubaldino
Pescatori, Erminio
Pestalozza, A.
Petroni, Giuseppe
Petruccelli della Gattina
Pezza, Vincenzo
Piazzesi
Piccardo
Piccini, Francesco
Piccinini, Francesco
Piccio, G.
Piccioli-Poggiali, Lorenzo
Pigorini
Pisacane, Carlo
Piscopo
Pomelli, Giuseppe
Potter, George
Pozzi
Préaudeau, M. de
Prina, Giuseppe
Procaccini
Proudhon, Pierre-Joseph
Quadrio, Maurizio
Rabbeno
Rae
Raimondi, Giacomo
Rangoni, Luigi
Rattazzi, Urbano
Ravà
Ravizza
Regis, V.
Resta
Restelli, F.
Revel
Ricasoli, Bettino
Ricci, Filippo
Ricciardi, Giuseppe
Richard, Albert
Richards
Riggio
Robecchi, Levino
Romagnosi, Gian Domenico
Romanelli, A.
Rossetti
Rossi, Carlo
Rossi, vedi Marius.
Rota, Pietro
Rotondi, P.
Ruffo di Bagnara, Fabrizio
Rusconi, Carlo
Sacchi, G.
Saffi, Aurelio
Saffi, G.
Salvatella
Sanguinetti, Paolo
Sanmito, Mario Aldisio
Sartirana
Savi, Filippo Bartolomeo
Savonarola, Girolamo
Sbarbaro, Pietro
Schettino
Schiff, Ugo
Schultze-Delitzsch,
Hermann
Sebastiano
Sella, Quintino
Setacci
Siccoli
Silva
Silvani, Silvano
Sineo
Socci, Ettore
Solustra
Sonnino, Sidney
Sorge, Friedrich Albert
Spadoni, A.
Stampa, Gaspare
Stansfeld
Statuti, Michelangelo
Stefanoni, Luigi
Steffenone, Vincenzo
Suzzara-Verdi, Paride
Tallinucci
Tamagno
Tanari
Tavassi, Francesco
Terzaghi, Carlo
Thiers,
Marie-Joseph-Louis-Adolphe
Tivaroni, Carlo
Tivoli, Giuseppe
Tommasi, Salvatore
Torrigiani
Traini
Trevellini, L.
Trezza
Tucci
Tucci, Cristiano
Tucci, Giuseppe
Turchi, P.
Tuveri
Valentini
Valzania, Eugenio
Vannucci
Venturi, Carlo
Venturi, Emilia
Verratti
Viganò
Villari, Pasquale
Virgilio, Jacopo
Visconti, ditta
Vittorio Emanuele II, re d'Italia
Wolff, Luigi
Ximenes
Zamperini
Zanardelli, Tito
Zannoni
Zoccoli, E.
Žukovskij
Zuppetta, Luigi
Statistica del Regno
d'Italia. Popolazione. Parte I: Censimento generale (31 dicembre
1861), per cura della Direzione della statistica generale del
regno, Firenze 1867 [d'ora in poi Censimento generale, 31 dicembre
1861].
MORPURGO, La statistica
e le scienze sociali, Firenze 1872, pp. 268 sg.
Potrei qui citare alcuni
di quegli studi regionali sull'agricoltura, pubblicati fra il 1860 e
il 1875, dei quali mi son valso per farmi una idea meno imprecisa
della questione. Ma è piú semplice rimandare il lettore
al volume del NICCOLI, Saggio storico e bibliografico
dell'agricoltura italiana dalle origini al 1900, Torino 1902, che
tutti li elenca.
Roma 1876.
Ad Agostino
Bertani va il merito di avere, tra i primi in Italia, additato
l'importanza e la gravità della questione sociale nelle
campagne. Ecco quanto scriveva sul primo numero della «Riforma»,
da lui fondata (1866): «Se l'operaio delle città ha
saputo in gran parte redimersi dalle antiche miserie e farsi valere
per sua propria virtú, non aspettiamo indifferenti che i
contadini, schiavi della fame e del lavoro, ci chieggano severo conto
dell'abbandono in cui, dopo tante innovazioni, furono lasciati.
Bisogna una volta uscire da codesto egoismo borghese, che ha già
sconvolto altre Nazioni, e, quel che piú monta, ha soffocato
nel sangue i reclami del popolo, a volta a volta blandito e tradito.
La questione sociale se non venga posta come dovere, verrà
imposta come necessità».
Parole profetiche quando si pensi a
quel che avvenne in Italia, poco piú di due anni dopo, nel
1869. La discussione alla Camera sul progetto Bertani per la
inchiesta agraria – firmato da una cinquantina di deputati –
si svolse il 7 giugno 1872. Il progetto venne approvato. Ma i lavori
dell'inchiesta si iniziarono solo nel 1876. Se ne raccolsero i
risultati in ventidue grossi volumi, dedicati allo studio delle
singole regioni. L'ultimo volume contiene un prezioso Indice
sinottico-analitico (Roma 1881-86). Il senatore Jacini,
presidente della commissione, dettò una Relazione finale,
pregevolissima, della quale deve assolutamente tener conto anche oggi
chi voglia capire il nostro problema agricolo.
Editi in uno stesso volume
a Firenze, 1875.
Torino 1874.
Ecco, in
riassunto, i dati forniti dal Garelli solo per alcune regioni
italiane e solo per alcune categorie di lavoratori agricoli.
PIEMONTE: a) bovari
(salariati fissi cui è affidata la coltivazione d'un
podere), L. 320-350 annuali (parte in viveri, parte in denaro) piú
alloggio e altri piccoli diritti; b) servi di campagna
(braccianti assunti a giornata), L. 0,75-0,85 al giorno, d'inverno;
L. 1,00-1,50 nelle altre stagioni; servi di campagna, assunti
per un anno, L. 50-130 piú alloggio e vitto; c) risaiuoli,
salario annuo massimo L. 400 di cui L. 60 in denaro.
LOMBARDIA (territorio
della bassa Lombardia): a) famigli, circa L. 160 all'anno piú
il vitto; b) garzoni, L. 60 piú vitto e alloggio; o L.
100 senza alloggio; c) giornalieri fissi, L. 0,40 al giorno
d'inverno, 0,60-0,70 d'estate, piú il vitto; d) giornalieri
avventizi, guadagnano d'estate fino a L. 3,00 il giorno, ma
restano lungamente disoccupati.
VENETO: braccianti,
da L. 0,65 a L. 0,75 il giorno, d'inverno e L. 1,00, d'estate.
AGRO ROMANO: a) pecorai,
L. 7,50-10,00 al mese; b) contadini (contratto annuale, vivono
nelle tenute nei mesi salubri), L. 50 al mese, d'estate e L. 40 nei
mesi d'inverno.
ABRUZZI, MOLISE, PUGLIE,
BASILICATA, CALABRIE: a) braccianti delle regioni montuose, L.
0,50 al giorno piú il vitto; b) bifolchi (contratto
annuale), circa L. 300, parte in natura e parte in denaro; pecorai,
circa L. 260 annue in generi diversi.
AGRO DI BRINDISI: L.
0,83-1,27 al giorno.
CAPITANATA: a) massari
(cui è affidato il bestiame), L. 1,00 al giorno; b)
giornalieri (lavorano circa 60 giorni all'anno), L. 2,00 al
giorno.
SARDEGNA: braccianti,
L. 2,00-2,42 al giorno (soffrono lunghi periodi di disoccupazione).
Anche tenendo conto della
svalutazione avvenuta nella moneta in questi ultimi cinquant'anni, e
specialmente dopo la guerra, è evidente che con quei salari il
livello di vita dei lavoratori agricoli doveva essere disastroso.
Qualche dato sui salari dei braccianti
lombardi, prima del 1860, si può trovare in una memoria
pubblicata da P. ROTA in «Annali di Statistica», 1885,
vol. XIV.
Il Lanza,
presidente del Consiglio, avanzò qualche riserva su questo
quadro cosí pessimista; certe miserie, certe ingiustizie sono
inerenti all'assetto della società e «farebbe cosa
imprudente colui, e massime l'uomo di Stato, il quale affermasse a
priori di poter rimediare. Dar siffatte lusinghe ai sofferenti è
un voler esacerbarne anziché lenirne i dolori... Il modo piú
efficace per migliorare le condizioni della classe proletaria è
quello di favorire, quant'è possibile, il progresso della
ricchezza e del lavoro».
Forse Bertani esagerava nel suo
pessimismo; ma il suo pessimismo lo portava alla sensazione che
bisognasse ad ogni costo provvedere ad alleviare i mali del
proletariato agricolo. L'ottimistica rassegnazione portava invece il
Lanza a disinteressarsi, in pratica, del problema. Rendiconti del
Parlamento italiano, Discussioni, Sessione del 1871-72, vol. III,
pp. 2640 sg.
Relazione finale sui
risultati della Inchiesta agricola, Roma 1884, pagine 18-28.
Nel 1913: 872598.
Leone Carpi, che fu dei
primi a volgere la sua attenzione di studioso al fenomeno
dell'emigrazione, scriveva nel 1874: «Dopo il 1862 il contadino
napoletano riconobbe quanto meschina fosse la vita che gli era
concessa dalla ordinaria mercede di cinquanta o sessanta centesimi al
giorno. Egli senti piú vivamente tutte le sofferenze del
proprio stato, e, venutagli meno l'usata rassegnazione, non esitò
ad abbandonare questa Italia matrigna per correr dietro al fantasma
di una sorte migliore» (Atti del Comitato della Inchiesta
industriale. Riassunti delle deposizioni orali e scritte, Firenze
1874, al paragrafo Quesiti generali – Emigrazione, p. 21
[d'ora in poi Inchiesta industriale, 1874]). Dello stesso
CARPI, cfr. Della emigrazione italiana all'estero, Firenze
1871, e Delle colonie e dell'emigrazione degl'italiani all'estero,
Milano 1874. Cfr. anche il classico lavoro di F. COLETTI, Della
emigrazione italiana, in Cinquant'anni di vita italiana,
Milano 1911, vol. III, pp. 1-284.
Statistica del Regno
d'Italia. Società di mutuo soccorso. Anno 1862, per cura
del ministro di Agricoltura Industria e Commercio, Torino 1864.
Tolgo le
cifre riguardanti la istruzione, dal Censimento generale, 31
dicembre 1861 cit.; Statistica del Regno d'Italia. Istruzione
elementare pubblica per Comuni. Anno scolastico 1862-1863, Modena
1864.
Cfr. inoltre L. BODIO, Di alcuni
indici misuratori del movimento economico in Italia, 2a
ed., Roma 1891, pp. 16-19; M. MASI, Istruzione pubblica e privata,
in Cinquant'anni di storia italiana, per cura della Reale
Accademia dei Lincei, Milano 1911, vol. II, pp. 1-78; L'Istruzione
primaria e popolare in Italia, relazione presentata al ministro
della Pubblica Istruzione da C. CORRADINI, Milano 1910.
Nel 1911, gli abitanti
che sapevano leggere erano 18322866 su una popolazione totale di
34671377. La proporzione degli analfabeti, in cinquant'anni, calava
dai quattro quinti a meno della metà della popolazione.
(Censimento al 10 giugno 1911, Roma 1914, vol. III).
Al 1° gennaio 1908,
le sole scuole elementari diurne pubbliche erano 63618; 22 per kmq.
Nel 1908 questa
condizione di cose era molto mutata: il Piemonte aveva 2,64 scuole
per ogni 1000 abitanti; la Sicilia 1,55; la Sardegna 1,80; la
Calabria 1,47.
Nel 1908 il Piemonte
saliva a 422 scuole ogni 1000 kmq, ma la Sicilia a 222, la Sardegna a
57, l'Umbria a 164.
Il principio
dell'istruzione obbligatoria allora non era a tutti bene accetto. Il
CANTÚ, per esempio, nel suo Portafoglio d'un operaio,
Milano 1872, scriveva: Voi [operai] vorreste «obbligare il
Governo a dare scuole a tutti, e tutti obbligare a mandarvi i loro
figliuoli... Dio vi scampi da questa tirannia che varrebbe a
soffocare i grandi talenti, a ridurre tutti a non sapere che le
medesime cose» (p. 105). Idee analoghe espresse il deputato
Martinelli: «Con l'istruzione obbligatoria si toglie ai
genitori il conforto del merito e della riconoscenza, s'indebolisce
il sentimento del loro dovere e il prestigio della loro autorità,
si cade nell'odioso, nel vessatorio, nell'impossibile»
(Dell'istruzione popolare, Torino 1864, p. 373).
Ciò si rileva da
tutte le fonti che verrò via via citando e specialmente dagli
otto volumi di Inchiesta industriale, 1872-74; inchiesta che,
nonostante la incompiutezza delle indagini eseguite e dei resultati
raggiunti, rimane pur sempre un saggio di buona volontà e
costituisce una preziosa raccolta di materiale. Cfr. anche GEISSER e
MAGRINI, Contribuzione alla storia e statistica dei salari
industriali nella seconda metà del secolo XIX, in «Riforma
sociale», novembre 1904, pp. 705 sg.
Il 30 luglio
1860 i muratori di Torino dichiarano lo sciopero per ottenere una
diminuzione nell'orario di lavoro. Intervenuta l'autorità, si
stabilisce il seguente accordo: in estate, massimo di 12 ore, nelle
altre stagioni, lavoro dal sorger del sole al calar della notte («La
Gazzetta di Torino», 31 luglio 1860. GEISSER, op. cit.,
p. 875).
Ai primi di ottobre del 1861, i falegnami e stipettai
genovesi si agitano per la conquista delle 10 ore («La
Nazione», 11 ottobre 1861). Nel novembre dello stesso anno, e
sempre a Genova, i lavoranti fornai chiedono le 13 ore di lavoro
(«L'Unità italiana», 15 novembre 1861).
Sulla fine di gennaio del
1863, gli ebanisti, falegnami e muratori di Torino si mettono in
isciopero per ottenere un aumento nei salari. Questo vien loro
concesso, ma l'orario di lavoro vien portato a 14 ore giornaliere
(«L'Unità italiana», 30 giugno 1863).
Nel gennaio 1864 gli operai
vermicellai di Nervi, che lavorano 14 ore al giorno, inviano una
circolare ai proprietari di fabbriche per ottenere le 10 ore («Il
Giornale degli Operai», Genova, 24 gennaio 1864). Potrei citare
molti altri esempi.
Non posso qui riprodurre
tutte le notizie che ho pazientemente raccolto sui salari operai. Né
posso rimandare il lettore a qualche studio completo sull'argomento,
che non esiste. Si vedano tuttavia, oltre l'opera citata del Geisser
e l'articolo del Rota, i volumi della Inchiesta industriale
(piú utili però per gli anni posteriori al 1870), il
lavoro di G. NATHAN, La rimunerazione del lavoro delle donne in
Italia, Neuchâtel 1877, quello di V. ELLENA, La
statistica di alcune industrie italiane, 2a ed., Roma
1880, alcuni dati raccolti in «Annali di Statistica»,
serie IV, vol. XXVI, Roma 1888. In queste opere si trovano citati
altri lavori di carattere piú speciale. Molte notizie si
trovano consultando le collezioni dei giornali operai o dedicati agli
operai, che citerò via via. Si possono anche utilmente
consultare le relazioni sulla attività di qualche nucleo
operaio (cappellai, tipografi, sarti, ecc.) che verranno anch'esse
citate nel corso di questo lavoro.
Seguo per questa ricerca
il già citato Geisser. Un tentativo analogo, ma per gli anni
seguenti al 1871, era già stato fatto in «Annali Stat.
it.», Roma 1904, p. 360.
Dalle cifre che ho
sott'occhio ricavo appunto questo approssimativo salario medio per i
tessili dell'alta Italia.
Ann.
Stat. it.», 1900, p. 551.
Questo
calcolo ha un valore soltanto approssimativo. Com'è noto, in
molti luoghi d'Italia il granoturco sostituiva allora e sostituisce
oggi in parte il frumento. Il granoturco nel 1862 costava L. 19,91 al
quintale. Per quanto mi sappia, l'unico tentativo, grossolano fin che
si vuole, ma pur sempre interessante, di ricostruire il bilancio
operaio intorno al 1861 è quello che in vari numeri de
«L'Unità italiana», Milano, dicembre 1861, fece
Gaetano Perelli. Nei suoi articoli intitolati Alimenti degli
operai, il Perelli prese a base un guadagno 20 e ne calcolò
cosí l'impiego: 8 per il vitto, 3 per la pigione, 3 per
l'educazione dei figli, 3 per vestiti e spese di casa, 1 per spese
straordinarie, 1 per risparmio, 1 per passatempi. Fissò a due
lire il salario medio giornaliero degli operai, avvertendo che, in
base alle sue ricerche, gli pareva di «avere esagerato in piú».
Dunque L. 600 all'anno; delle quali L. 240 ossia L. 0,65 al giorno
venivano assorbite in spese per alimenti (e postillò:
«chiunque compera attualmente commestibili, sa quanto sia
meschino questo giornaliero stipendio per comperare un conveniente
nutrimento»). Le restanti 360 si suddividevano cosí: L.
90 per la pigione e per il vestiario; altrettante per l'educazione
dei figli; 30 per spese straordinarie, 30 per risparmi e 30 per
passatempi.
Il calcolo del Perelli, interessante
senz'altro perché compiuto da un contemporaneo, presenta
evidenti difetti; arbitraria e inverosimile è la suddivisione
delle spese nel bilancio, troppo elevato il salario assunto come
medio; nonpertanto ci dà un'idea della realtà, che se
mai pecca, a parer mio, di soverchio ottimismo.
Op. cit.; GEISSER
e MAGRINI, op. cit., pp. 806-9.
Delle statistiche
successive, pubblicate nel 1875 e nel 1880, la prima si limita a
indicarci il numero delle società sorte fra il 1848 e il 1861,
che sussistono ancora nel 1875 e non ci permette di sapere quante
sono sorte prima dell'unità nazionale e quante nel biennio
1860-61. La seconda ci dà notizie piú precise, ma è
evidente che solo la minima parte delle società anteriori al
1859 sussisteva nel 1880: essa novera 14 società fondate
anteriormente al 1850 in tutta l'Italia, escluso il Piemonte; 15 fra
il 1850 e il 1859.
Si avverta che la
Statistica riguarda anche alcune società di mutuo
soccorso fra bottegai, professionisti, e altre categorie non operaie;
le cifre che riporto si riferiscono esclusivamente alle società
operaie.
Per iniziativa
dell'operaio tipografo Vincenzo Steffenone.
Prima ancora della
costituzione della Società i tipografi torinesi avevano
stipulato una tariffa di lavoro con i proprietari, che fissava lo
stipendio minimo settimanale in L. 16. Con la tariffa del 1851, si
fissava l'orario di lavoro a dieci ore, la retribuzione a L. 0,40
l'ora (T. BRUNO, La Federazione del libro nei suoi primi
cinquant'anni di vita, Bologna 1925, pp. 22 sg.).
S. FENICIA, La
cooperazione in Piemonte, Torino 1901, pp. 8 sg.
La Statistica del
1880 concorda con quella precedente per il numero di società
fondate fino al 1849. Fra il '50 e il '53, ne registra invece solo
50.
S. FENICIA, op. cit.,
pp. 8 sg.
Questi
congressi sono stati ingiustamente dimenticati dagli studiosi del
movimento operaio. Io avrò occasione di parlarne piú
diffusamente in una piccola monografia di prossima pubblicazione.
Notizie su di essi sono difficilmente rintracciabili. Piú a
lungo di tutti ne trattò il MACCHI in uno studio su Le
associazioni operaie di mutuo soccorso, apparso nella «Rivista
contemporanea», marzo 1862. Ho consultato inoltre il Sunto
degli atti del II Congresso generale delle società degli
operai dello Stato tenutosi in Alessandria nel 1854, gli Atti
del VI Congresso generale delle società operaie tenutosi in
Vercelli, 1859, e una serie di giornali che va dall'«Italia
e Popolo», Genova, alla «Gazzetta di Genova», al
«Vessillo della libertà», Vercelli, alla «Gazzetta
piemontese», Torino, ecc.
Riassumo qui l'attività
dei singoli congressi.
Congresso di Asti
(17-19 ottobre 1853): discussioni su l'istruzione degli
operai – sulla fondazione di un giornale operaio – sul
trattamento reciproco tra i membri delle varie società di
mutuo soccorso.
Congresso di
Alessandria (ottobre 1854): discussioni sulla
opportunità di fondare una Società manifatturiera
agricola e commerciale con capitale raccolto dagli operai –
sulla istituzione dei comitati di previdenza (cooperative di consumo)
– sulla costruzione di case per le classi lavoratrici –
sull'istruzione degli operai – sul miglior mezzo per soccorrere
i soci impotenti al lavoro per malattia o per vecchiaia – su
una Esposizione industriale da aprirsi ogni anno in occasione e nella
sede del congresso.
Congresso di Genova
(23-25 novembre 1855): discussioni sul modo di
diffondere l'istruzione tra le classi operaie – sul
riconoscimento giuridico delle società di mutuo soccorso –
sulla possibilità di diffondere il mutuo soccorso operaio in
tutte le province d'Italia – sull'abolizione del titolo soci
onorari – sull'istituzione del giurí
nelle controversie fra operai e datori di lavoro.
Congresso di Vigevano
(1856): discussioni sulla convenienza di accettare
erogazioni fatte dal governo alle società di mutuo soccorso –
sull'istruzione degli operai.
Congresso di Voghera
(settembre 1857): non sono riuscito a trovare resoconti.
È rammentata soltanto una discussione sull'opportunità
di ammettere la fondazione di società operaie confessionali.
Congresso di Vercelli
(2-4 ottobre 1858): discussioni sull'opportunità
di presentare una petizione al Parlamento perché venga resa
obbligatoria l'istruzione elementare – sulla durata del lavoro
– sulla cooperazione di consumo – sulla unificazione
delle società operaie – se sia conveniente che le
società operaie si costituiscano in comitati elettorali in
occasione delle elezioni e si mettano in relazione con la Società
nazionale.
Congresso di Novi (ottobre
1859) discussioni sull'opportunità di federare le società
operaie piemontesi con le altre sorte o in via di formazione nel
resto d'Italia – sulla cooperazione di consumo – sulla
definizione giuridica del lavoro – discussioni di carattere
politico.
Sunto storico
presentato all'Esposizione Nazionale di Torino, 1884, sulle società
operaie di Torino, e S. FENICIA, op. cit.
CASALINI, Cenni di
storia del movimento cooperativo in Italia, Roma 1922, p. 47.
Non ne conosciamo il
numero perché gli studiosi del fenomeno cooperativo, non
considerando questi spacci come vere e proprie cooperative, sibbene
come una branca del mutuo soccorso, non li compresero nelle
statistiche della cooperazione.
Statistica del 1880
cit.
In realtà Savona
che però non è “provincia” tra il 1859 e il
1927 [nota per l’edizione elettronica Manuzio]
RABBENO, Le società
cooperative di produzione, Milano 1889, pagine 280 sg.
Sulle preoccupazioni
delle classi dirigenti piemontesi di fronte al lavorio dei
repubblicani per sobillare l'elemento operaio, cfr. una lettera di
Cavour ad Angelo Conte, del 4 luglio 1858 (L. CHIALA, Lettere
edite ed inedite di Cavour, Torino 1887, vol. VI, p. 2445).
Sarebbe utilissimo
raccogliere e studiare tutti i giornali operai che nacquero in
Piemonte dopo il 1848. Io ho potuto consultare tre fogli genovesi:
«Il povero», trisettimanale, sorto il 14 maggio 1851, «Il
lavoro», settimanale, dal 4 settembre 1852, «Associazione,
Lavoro», settimanale, dal marzo 1853. Qualche giornale operaio
era stato fondato anche in altre regioni d'Italia. A Milano, per
esempio, nel 1848, avevano veduto la luce «L'Operaio»,
«La Politica per il Popolo», e «L'Operaio
galantuomo».
Sul significato di
socialismo e di comunismo essi, e non soltanto essi, avevano idee
tutt'altro che chiare. Cfr. ad esempio: «La Giovane Italia»,
almanacco per il 1862, Bologna 1861, p. 25; «Il Conservatore»,
mensile, anno I, Bologna, febbraio 1863, maggio 1863; «Il
giornale degli Operai», Genova, 13 agosto 1865; CAGIATI, De'
rivolgimenti contemporanei in Italia, Roma 1867, pp. 45, 92, 104;
S. COGNETTI DE MARTIIS, Gli studi economici in Italia, Bari
1869, p. 40; FONTANELLI, Manuale popolare di economia sociale,
Firenze 1870; MAINERI, Le stragi di Parigi del 1871 ecc.,
Milano 1871, vol. III, pp. 45, 428; «L'Alleanza»,
Bologna, 3-9 dicembre 1871; REVEL, Il libro dell'operaio,
Torino 1872, p. 93; ALAGNA, Il vero diritto sociale, Roma
1872, pp. 21, 36; CANTú, Gli ultimi trent'anni, p.123.
Per citare un solo dato,
le scuole elementari, che erano, nel 1861, 28524 con 1008672 alunni,
salirono, nel 1866, a 31117 con 1217870 alunni; nel 1870 (comprese
quelle della Venezia) a 38300 con 1577654 alunni; nel 1872 a 39398
con 1745467 alunni, piú 14152 scuole serali e festive con
524532 alunni (Documenti sulla istruzione elementare nel Regno,
Firenze 1868-72, passim).
Documenti del primo
placidissimo interessamento della borghesia italiana per le classi
lavoratrici, sono i concorsi, abbastanza frequenti, che vennero
banditi su argomenti inerenti alla questione operaia. Rammenterò
i premi istituiti nel 1863 dalla Commissione centrale di beneficenza
amministratrice della lombarda Cassa di risparmio per le società
operaie meglio costituite (premi indetti poi regolarmente ogni anno
fino al 1875); il concorso Secco Comneno, bandito dal R. Istituto
lombardo di scienze e lettere nel 1865, per una pubblicazione che,
tra l'altro, suggerisca il modo «di sovvenire anche alla classe
dei semplici coloni ed agricoltori» («Annuario
scientifico ed industriale», di F. Grispigni e L. Trevellini,
anno I, Milano, p. 528); altri concorsi vengono promossi allo stesso
scopo dalla Società agraria di Lombardia nel 1865 (ibid.,
p. 510); l'Associazione italiana per l'educazione del popolo,
Firenze, bandisce nel 1867 un concorso – con premio di L. 5000
– per il miglior libro popolare il quale mostri al popolo che
l'uomo può quel che vuole («L'eco dell'Associazione
1848», 1° agosto 1867). Il premio del concorso Ravizza per
il 1868, aggiudicato nel 1869, verrà concesso al miglior libro
che studi l'ordinamento delle società operaie.
Chi conosce un poco
l'argomento e ha sfogliato alcune di quelle pubblicazioni, mi darà
atto del senso infinito di noia che prende chi legga le lunghe
tiritere sulla igiene dell'operaio, o i doveri dell'operaio
o i nobili esempi di disinteresse e di sacrificio proposti
all'operaio o certe asfissianti divulgazioni di economia politica, di
cui tali pubblicazioni sono infarcite!
Cito due o tre opere piú
caratteristiche: MARESCOTTI, Catechismo sulla economia pubblica,
Bologna 1861; MANGONI, La civiltà a pro' di tutti ecc.,
Napoli 1861; PIGORINI, Il libro dell'operaia, Milano 1870; C.
CANTú, Portafoglio d'un operaio cit. Ma c'è
un'intera biblioteca di trattatelli popolari, redatti in simil guisa,
che varrebbe la pena di elencare dal primo all'ultimo e di far
conoscere. Vi si troverebbe, non paia azzardata l'illazione, la
giustificazione del socialismo!
La Vespa»,
Firenze, 2 giugno 1864, 10 gennaio 1865. Le citazioni di questo
bisettimanale hanno una particolare importanza perché i suoi
articoli venivano allora compiacentemente riprodotti dalla stampa
reazionaria di tutt'Italia.
Il Conservatore»,
mensile, anno I, n. 5, Bologna, maggio 1863.
Ibid.,
luglio 1863.
La Giovane Italia
cit., p. 88.
La Giovane Italia
cit., p. 86. Cfr. anche «Il Conservatore», maggio 1863.
La Italia disfatta
dalla rivoluzione piemontese, Malta 1862, p. 33; La Giovane
Italia cit., p. 81. Anche «Il Conservatore», maggio
1863, scrive: «il disordine e l'anarchia saranno la conseguenza
inevitabile di una società atea». Cfr. anche «L'Ancora»,
Firenze, 30 gennaio 1869; «La Civiltà cattolica»,
6 maggio 1871.
La Vespa», 2
giugno 1864.
Ibid., 17 giugno
1864.
Ibid.,
23 agosto 1864.
Piú d'una volta,
come vedremo, negli scioperi degli operai meridionali si ebbe serio
motivo di sospettare l'istigazione dei clerico-reazionari.
La legge 20 novembre
1859, tra le altre condizioni che davano diritto al voto politico,
stabiliva quella di pagare un annuo censo di L. 40.
I partiti monarchici
in Italia, Milano 1878, pp. 40 sg.
Una prova della sordità
della Camera italiana in quel periodo di fronte alle questioni del
lavoro si ebbe nel 1863, quando l'onorevole Siccoli (garibaldino)
interpellò il ministero sulle misure di polizia prese contro
alcuni operai falegnami di Torino, che si erano macchiati del delitto
di sciopero. Il deputato, commentando il fatto, affermò che la
questione grave dell'epoca non era né quella della monarchia
né quella della repubblica, ma la questione sociale (rumori,
interruzioni). E presentò un ordine del giorno col quale
invitava il ministero a presentare un progetto di legge riguardante
la formazione di collegi arbitrali per risolvere le divergenze tra
operai e datori di lavoro: l'ordine del giorno, respinto dal ministro
Peruzzi, non raccolse nemmeno un voto favorevole! (Seduta
dell'11giugno 1863).
Era piú
democratica la legislazione austriaca che non faceva tra di essi
alcuna differenza e, sia che gli uni tentassero imporre ribassi sul
salario, licenziando gli operai, gli altri estorcere aumenti,
sospendendo il lavoro, comminava le identiche pene. Cfr. Il
regolamento sull'industria, in Raccolta di leggi ed ordinanze
della Monarchia austriaca, Innsbruck 1884, cap. VI, p. 677.
Dei codici vigenti in
Italia prima del 1859, quello parmense puniva l'accordo pacifico fra
operai se tendeva a sospendere, impedire o rincarare i lavori senza
ragionevole causa; e fra padroni se ingiustamente ed abusivamente
costringevano gli operai ad una diminuzione di salario, sempreché
l'accordo fosse stato seguito da un principio di esecuzione. Quello
toscano colpiva di sanzione penale il solo sciopero violento e non
contemplava gli accordi fra datori di lavoro per ribassare il
salario.
In Francia, con la legge 27 novembre 1849 si
pareggiavano nella pena le coalizioni operaie e quelle padronali. Con
la legge 25 maggio 1864 si proclamò la legittimità
dello sciopero punendo il solo mezzo violento o fraudolento usato per
provocare ribasso o rialzo nei salari o portare attentato al libero
esercizio dell'industria o del lavoro.
In Inghilterra, fin dal 1824 si
riconosceva la legittimità delle coalizioni. Cfr, Enciclopedia
giuridica italiana, Milano 1905, vol. XV, parte I, cap. Sciopero
(A. ANDREOTTI).
RABBENO, Manuale
dell'emigrazione, Firenze 1901.
Sulla legislazione
sociale del tempo, Cfr. CONTENTO, La legislazione operaia,
Torino 1901; CABRINI, La legislazione sociale, Roma 1913.
La Statistica del
1880 registra una società sorta nel Napoletano e in
Sicilia nel 1860. Evidentemente il compilatore della prima Statistica
non aveva potuto raccogliere tutti i dati necessari.
Né cessò di
promuoverne negli anni successivi, come si rileva dai suoi bilanci.
Nel 1859-61 le uscite per gli scioperi ammontarono a L. 603; nel 1862
a L. 63; nel 1863 a L. 100; nel 1864 a L. 84; nel 1865 a L. 167
(Origini, vicende e conquiste delle organizzazioni operaie
aderenti alla Camera del lavoro di Milano, Milano 1909, p. 257;
Unione nazionale mutua miglioramenti d'ambo i sessi [sic] fra
i lavoratori in nastri ed affini, Milano, p. 5).
Nel febbraio i tipografi avevano
presentato ai proprietari alcune proposte di miglioramenti; in
seguito al loro rifiuto di esaminarle, avevano dichiarato lo sciopero
(in numero di seicento). L'autorità se n'era vivamente
preoccupata, temendo che l'agitazione celasse intenti reazionari;
poi, tranquillizzatasi, aveva designato due arbitri per dirimere la
controversia. Gli operai intanto costituirono la Società degli
artisti tipografi (28 marzo) e, con la promessa da parte dei
proprietari di esaminare le proposte, tornarono al lavoro. I
proprietari presentarono delle controproposte, che vennero accettate,
e che portavano a un piccolo miglioramento di salario; ma poco a poco
– profittando della debolezza degli operai – si tornò
all'osservanza delle vecchie tariffe. Origini, vicende ecc.
cit., p. 129; FEDERAZIONE ITALIANA DEI LAVORATORI DEL LIBRO,
Relazione stor. mor. fin. sulla sezione impress. di Milano,
Milano 1903, pp. 9 sg.
Il lavoro notturno dei
panettieri in Milano, Milano 1907, pp. 27 sg. L'idea non cadde.
Negli anni seguenti leghe di questo genere vennero fondate in varie
città d'Italia, con lo scopo di garantire un minimum di lavoro
a tutti i soci, imponendo i turni di lavoro.
La Gazzetta di
Torino», 31 luglio 1860.
Ibid.,
21, 29 luglio 1860. Nel quadro di questa vasta agitazione trova posto
lo sciopero dei muratori torinesi, anch'esso promosso per ottenere
una diminuzione nell'orario di lavoro. Dopo lunghe trattative, i
proprietari e gli appaltatori concedono le 12 ore in estate, il
lavoro dal far del giorno al calar della notte nelle altre stagioni
nonché un piccolo aumento di salario. La statistica e la
storia degli scioperi operai scoppiati fra il 1860 e il 1872 non sono
mai state fatte. L'«Annuario italiano di statistica» del
1895 (Roma 1906, p. 489) si limita a informarci che essi furono 132
dal 1860 al 1869 e poi 25 nel 1870, 26 nel 1871, 31 nel 1872. Sono
precise queste notizie? Non lo sappiamo. Né riusciamo a
spiegarci perché mai lo scrittore dell'«Annuario»,
che per stabilire questi numeri dovette certo eseguire molte e
accurate ricerche, abbia trascurato di informarci un poco piú
diffusamente su questi scioperi: dove si verificarono? chi li
promosse? quale esito ebbero? Io ho compiuto accurate ricerche
soprattutto nei giornali del periodo 1860-72 e ho raccolto notizie di
oltre cento scioperi. Le pubblicherò in uno studio a parte;
limitandomi in questo lavoro ad accennare solo a qualche sciopero piú
importante o piú caratteristico.
Per il 1860 ho trovato notizia di 5
scioperi, dei quali 3 a Milano, 1 a Torino e 1 a Livorno.
Quarantasei anni di
vita sociale (1860-1906) dell'Associazione generale di mutuo soccorso
degli operai di Milano, relazione presentata alla Esposizione
internazionale di Milano, 1906, p. 20.
Statistica del 1862
cit.
Questo congresso e i
successivi del 1861, '63, '64 sono stati completamente dimenticati
dagli studiosi del movimento operaio. Per questo motivo ho creduto
opportuno di parlarne un po' diffusamente.
La proposta viene
respinta.
Anche questa proposta
(formulata nel senso di associar gli operai agli utili e alle
perdite dell'azienda) viene respinta, dopo che vari delegati
(tra i quali i componenti la Commissione permanente, Geimonat e
Astengo di Genova; Vincenzo Boldrini e Mistrali di Milano) han fatto
rilevare che, mentre i capitalisti saprebbero sempre celare la cifra
effettiva degli utili, gli operai, per la esiguità del loro
guadagno, non sarebbero in grado di superare eventuali periodi di
crisi dell'azienda. Gli stessi delegati caldeggiano invece
l'istituzione dei collegi arbitrali per dirimer le controversie tra
capitale e lavoro – o di premi agli operai piú
redditizi.
Non restan notizie di
questa discussione.
Si discute in particolar
modo sul cosiddetto sciopero del lunedí, allora assai
diffuso: molti operai, costretti a lavorare anche parte della
domenica, prendono il lunedí come giorno di riposo. Il quesito
che propone di infligger loro una multa viene respinto: la multa è
immorale. Molti delegati fidano nell'istruzione progressivamente
diffusa che varrà a persuader gli operai del loro torto; altri
invece – fra i quali alcuni operai – rilevano che non son
tanto da biasimare gli operai quanto i padroni che prolungano
eccessivamente il lavoro. L'ordine del giorno votato si limita a
censurare tale sciopero e a formular voti per la sua
cessazione.
Anche di questa
discussione non restano notizie.
È l'idea di
Mazzini, ma ne discorre un moderato, il Boldrini.
La discussione su questo
soggetto è animatissima. Se si chiede l'istruzione
obbligatoria ci si preoccupa anche delle condizioni dei padri di
famiglia piú miseri che, costretti a mandare a scuola
piuttosto che al lavoro i figli, vedrebbero in questa innovazione un
lucro cessante. La legge deve provvedere a soccorrerli.
Si delibera anche
l'istituzione di un premio di 500 lire destinato al miglior lavoro
che verrà presentato sul tema durata del lavoro.
Sono i delegati delle
società operaie di Torino, Asti, Biella, Alessandria,
Tromello, Sale, Mortara, Meda, Chiasso, Como, Salò e dei
tipografi di Milano.
Tolgo le notizie su
questo congresso, oltre che dal citato lavoro del Macchi, da alcuni
giornali del tempo. E, soprattutto, dai milanesi «L'Unità
italiana», «L'Eco dell'operaio», «La
Lombardia» nei giorni seguenti alle sedute. Non ho potuto
consultare il resoconto ufficiale.
Stampati per la prima
volta nell'«Apostolato popolare» di Londra fra il 1840 e
il 1843.
La nuova redazione dei
Doveri vien pubblicata sull'«Unità italiana»
in vari numeri fra il gennaio e il marzo 1860. Ripubblicata in
opuscolo a Londra nello stesso anno, viene largamente diffusa in
Italia.
Notizie
ricavate dalla Statistica del 1862 cit., e quindi incomplete,
La cooperazione di consumo, che già
è stata tentata con successo negli anni precedenti, si
diffonde gradatamente. Qua e là si aprono spacci cooperativi,
le società di mutuo soccorso studiano la possibilità di
moltiplicarli. Nessuna statistica, però, ci permette di
seguire attentamente nei primi suoi passi questo movimento che
troveremo fiorente due o tre anni piú tardi.
La Nuova Europa»,
Firenze, 23 novembre 1861.
L. MINUTI, Il Comune
artigiano di Firenze della Fratellanza artigiana d'Italia. Cenni
storici, Firenze 1911, pp. 35-36.
Il 5 luglio 1861 essa si
rivolge per aiuti al Bertani, poiché «componendosi... la
detta Società di quasi tutti poveri operai, non possono
distrarsi i fondi destinati al mutuo soccorso». Bertani
risponde il 10 luglio, avvertendo che le strettezze finanziarie
difficilmente potranno permettere la pubblicazione di un giornale. Ad
ogni modo spedisce 100 lire a mo' d'incoraggiamento, «nella
persuasione che siete voi e che sono io che si fonda cosa ottima
promovendo la coltura degli operai». Archivio Bertani,
cart. 50, Milano, Museo del Risorgimento. L'iniziativa non ebbe poi
seguito. Nell'agosto, invece, iniziò le pubblicazioni, a
Milano, la «Gazzetta degli Operai italiani», organo delle
società di mutuo soccorso.
A Livorno nell'agosto
1861 e a Lucca nel settembre sorgono due altri Comuni della
Fratellanza.
Non pretendo davvero di
averne dato un elenco completo.
Il 18 giugno, infatti,
benevolmente commentando l'arresto di alcuni fornai scioperanti
effettuato a Firenze, scriveva: «Il paese non vuole
disordini... Il tempo degli arbitrii e delle violenze è finito
per il governo e per la piazza. E arbitrii e violenze di piazza
sarebbero questi che si vanno eccitando, sotto insussistenti
pretesti, onde scomporre la quiete pubblica... Questi giovani operai
non debbono dimenticare che il codice penale provvede severamente a
simili licenze».
Statistica del 1862
cit., p. VII.
L'11 marzo si congratula
con gli operai livornesi perché hanno protestato contro quanti
affermano essere ad essi vietato occuparsi «di politica e di
religione, quasi l'operaio non fosse uomo e cittadino, bensí
un semplice strumento di produzione» (Lettere di Giuseppe
Mazzini alle società operaie d'Italia, scritte nel decennio
1861-1871, Genova 1873, pp. 1-2). L'11 agosto rivolge lo stesso
elogio agli operai di Napoli (ibid., p. 2).
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli, 4 fascicoli, Prato 1888-92, p. 178.
Scrive infatti il
Giannelli, a mo' di commento alla citata lettera di Mazzini,
lamentando che nella Fratellanza siano prevalsi elementi democratici
non mazziniani: «Si preferí a noi il Montanelli, il
quale era notoriamente un fautore della politica di Luigi Napoleone
in Italia!» In effetti, il Montanelli aveva (tra l'altro)
parteggiato per la cessione del trono di Napoli a Luciano Murat.
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit., p. 180.
Il 14 agosto ha scritto
alla Società di Bologna che, qualora il congresso sancisse
l'unione di tutte le società, «la potenza dell'elemento
operaio sarebbe costituita. La lega del popolo sarebbe fondata».
E piú oltre: «Se Dio mi dà vita oltre il riscatto
di Venezia e di Roma, essa sarà tutta consacrata allo sviluppo
degli interessi vostri, che sono gli interessi d'Italia. S'ei me la
toglie prima, ricordatevi con un po' d'affetto d'un uomo che v'ha
sinceramente amati e che ha sperato molto in voi, per la patria,
quando nessuno si occupava di voi, della vostra emancipazione e del
vostro avvenire» («La Nuova Europa», 31 agosto
1861).
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli, cit. p. 183.
La percentuale dei soci
onorari era piuttosto elevata; ma lo era anche – vedremo –
in seno alle singole società.
Cfr. elenco completo in
«La Nuova Europa», 26 settembre 1861.
Guerrazzi era
rappresentante del Comune livornese della Fratellanza artigiana; al
cui presidente, ringraziandolo per tale nomina, scriveva sul cadere
d'agosto del 1861: «Come voi zelatore della causa e degli
interessi del popolo, mi è riuscito di non mediocre
consolazione vedere com'egli non mi abbia messo in oblio
accogliendomi nel suo seno e confidandomi il carico onorevole di
rappresentarlo al Congresso di Firenze» («La Nuova
Europa», 1° settembre 1861).
Dieci fra i quesiti
politici riproponevano la questione del suffragio universale; l'altro
riguardava l'eventualità di una cessione della Sardegna alla
Francia e il conseguente atteggiamento da assumersi dalle società
operaie.
Caratteristico nella sua
ingenuità il quesito presentato dalla Società operaia
di Pinerolo: «Dare un ricorso al ministro di Commercio
acciocché provveda a che tutti i principali aumentino le paghe
agli operai in proporzione del loro guadagno del 20%».
La serie completa dei
quesiti venne stampata su «La Nuova Europa», 22 settembre
1861.
L'Unità
italiana», Milano, 29 settembre 1861. In generale per la storia
del Congresso ho seguito, oltre all'«Unità italiana»,
«La Nuova Europa» e «La Nazione», e
soprattutto gli Atti del IX Congresso degli artigiani d'Italia
[Firenze 27, 28, 29 settembre 1861], Firenze 1861.
Nella lettera già
citata al presidente della Fratellanza artigiana di Livorno,
scriveva: «Voi sapete come sia gelosa cura del governo che le
società operaie non assumano nessun carattere politico. Io
veramente credo che precipuo loro scopo abbia ad essere procurare
lavori, agevolarli, soccorrersi, istruirsi, migliorarsi, provvedere
alle disgrazie, alla vecchiezza ed altre necessità: tuttavia,
le società operaie non possono né devono essere
estranee alla politica».
Lo Sbarbaro mantenne
sempre questa sua opinione. Il 27 dicembre 1870 scriveva a Boldrini:
«Io ho costantemente sconsigliato alle società di mutuo
soccorso di confondersi nelle miserabili contenzioni civili... ho
sempre sconsigliato alle nascenti società di mutuo soccorso di
mettersi sotto la bandiera politica di Mazzini» («La Roma
del Popolo», 15 marzo 1871).
È
impossibile – egli dice – scindere l'operaio dal
cittadino; se a quest'ultimo tutti riconoscono il diritto anzi il
dovere di occuparsi delle vicende del proprio paese, come si potrà
contrastarlo all'operaio? Ma si dice: libero l'operaio di aderire a
quel partito che piú gli aggrada; gli si chiede soltanto di
non far della politica nelle associazioni di mestiere (e quindi nei
congressi di tali associazioni); ma il povero non ha troppo tempo da
spendere; il tempo è moneta per tutti; pel popolo è il
solo patrimonio; se gli togliete di favellare di politica nella sola
ora di riposo che ha, significa a un dipresso costituirlo vescovo in
partibus della politica». La questione economica e la
politica non possono scindersi: «se l'operaio si occupa solo
delle faccende materiali in economia, si formerà idee assolute
astrattamente buone, pessime, anzi sovversive nell'applicazione. A
mo' d'esempio piacerà al popolo il comunismo, anco Cristo lo
predicò, dunque è buono; chi vorrà impedirlo? È
solo lo studio delle cose politiche che gl'insegnerà altro
essere un sodalizio di alcuni apostoli, altro un consorzio sociale e
gli farà toccare con mano che i suoi desideri e le pretensioni
sue è forza che restringa, e sottoponga alla necessità
politica. Allontanato il popolo dallo studio della politica, ci
tornerà con passione... E tornerà alla politica
eccessivo, e talora erroneo, e assurdo e feroce. I nostri avversari
seminano la rivoluzione. Sí, vi dico, la seminano, e giorni
amari per loro, e per la patria; noi se potessimo giovarci del nome
"moderati"».
Non si vuole interdire
all'operaio di occuparsi di politica, se ciò gli sembri
opportuno, ma sí alle società di mutuo soccorso, egli
dice, affinché non si riducano come in Francia dove, col
mescolarsi di politica «andarono in rovina, porsero al governo
imperiale un pretesto d'intervenire nelle loro faccende ed ora
languono all'ombra della protezione governativa». «Se si
vuole educare alla vita politica le plebi, o perché non si dà
opera a formare dei comitati e dei ritrovi a questo proposito?»
Fa eccezione il solo
discorso di un certo Manganelli, socio onorario, di Perugia, il quale
vorrebbe si raccomandasse ai capitalisti di essere umani e
caritatevoli, agli operai di mantenersi laboriosi e sobrii, al re di
favorire le industrie.
È appunto il
Guerrazzi, che ricorda i molti scioperi avvenuti, e dichiara che
bisogna ad ogni costo evitarne la ripetizione, affrontando virilmente
il problema dei salari.
Il Pedretti è
vicepresidente della società La rigenerazione proletaria, di
Torino. Egli sostiene che l'emancipazione ha da esser conquistata
dagli operai con loro sacrificio personale; non si facciano illusioni
sulla collaborazione delle altre classi: filantropi non ce ne sono,
vano è lo sperare dai governi, piú vano che mai sperare
che gli industriali rialzino spontaneamente i salari, quando possono
sempre trovare operai disposti, per fame, ad accettar lavoro a
qualunque prezzo. Ma, a sua volta, il Pedretti non è immune
dalla illusione, classica in Italia, delle terre incolte. Vorrebbe
impiegare le braccia inoperose nell'agricoltura, la quale è la
vera ricchezza italiana: essa, a differenza dell'industria, non
richiede che si spendano milioni all'estero per l'acquisto delle
materie prime. Nel dissodamento delle terre incolte troverebbero
lavoro migliaia di lavoratori, ciò che provocherebbe un
aumento di benessere degli operai manifatturieri. Il Pedretti fa noto
che La rigenerazione proletaria intende appunto costituire una
società per la compra, la coltura e la vendita delle terre
incolte.
Garibaldi, Montanelli,
Dolfi, Savi, Franchini, Guerrazzi, Geimonat, Bianchi, Casaccia
(Genova), Parola (Cuneo), Silvani (Tortona), Da Passano (Spezia) e
Allegrini (Lucca).
Si allude alla proposta
avanzata nel congresso di escludere dai lavori pubblici gli operai
non italiani.
L'accusa a Mazzini di
aver sabotato il '48 correva sulla bocca di molti. Lo stesso
Garibaldi ebbe a lanciarla contro colui nel quale, si voglia o non si
voglia, egli vedeva il suo grande antagonista. Cfr. lettera a
Petroni, 21 ottobre 1871, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi,
Milano 1882-85, vol. II, p. 385.
La Nuova Europa»,
9 ottobre 1861.
Ibid., 3 ottobre
1861. Controbatte questa tesi, sulla «Nuova Europa» del
19 novembre 1861, un operaio fiorentino, certo Piazzesi; non riesce a
capire perché mai, se gli operai privi di diritti politici
intendono conquistarseli, si debba accusarli di essere
«arruffapopoli, repubblicani e mazziniani»; perché
si gridi: «costoro vogliono rovinare l'Italia, vogliono il
disordine».
Si allude al Dolfi e al
Piccini, fornaio l'uno, l'altro calzolaio, che rivestivano importanti
cariche nella Fratellanza artigiana e avevano organizzato il
congresso.
Credo interessante
riprodurre un brano di quell'articolo per mostrare quanta animosità
si ponesse in tali contese e come in realtà l'interessamento
per il movimento operaio coprisse, un po' da tutte e due le parti,
intenti politici: «"Per giungere al culmine dei nostri
desideri, – diceva a un nostro amico un soldato del profeta, –
abbiamo bisogno di un'altra notte". "Non intendo, –
rispondeva l'altro. – Qui ci bisognano nuovamente gli
austriaci, e il disordine universale, poi verremo noi"».
Ed ecco, riassunte, le direttive degli uomini di sinistra: 1) far
chiasso contro i francesi perché, provocati, si ostinino a non
lasciar Roma; 2) attaccarli con qualunque mezzo; 3) provocare la
guerra contro l'Austria; 4) sorprendere la buona fede di Garibaldi;
5) ridurre le società operaie a tante società
giacobine, sul modello dell'89; 6) fomentare disordini nel
Parlamento; 7) profittare della corruzione sparsa dai Borboni nel
Mezzogiorno per alimentare incessantemente lotte fraterne.
1° ottobre 1861.
18 ottobre 1861.
La Nuova Europa»,
21 novembre 1861.
Guerrazzi scrive sulla
«Nuova Europa», 15 dicembre 1861, che le ragioni
dell'atteggiamento di Mauro Macchi devono ricercarsi nel fatto che
«il fu Minghetti (ministro nel gabinetto Ricasoli) gli negava
il passo gratuito in terza classe su le ferrovie di Stato agli
operai, laddove non si fossero astenuti da trattare di negozi
politici al IX Congresso».
GUERRAZZI,
Il Macchi accusa, Genova 1861; P. SBARBARO, Le società
operaie e la politica, Firenze 1861; S. BOLDRINI, Brevi cenni
sul Congresso IX, in Firenze ecc., Vigevano 1861; GRILENZONI, Gli
operai e la politica, Milano 1861.
Il Grilenzoni, bella figura di
mazziniano oggi ingiustamente dimenticata, mette in guardia gli
operai contro il troppo affettuoso interessamento degli uomini di
destra. «Il segnale è stato dato su tutta la linea, e
dalle sfere superiori è disceso l'ordine di fare in modo che
dalle società operaie venga esclusa la politica... Se la cosa
fosse possibile, i detentori dell'autorità li pareggierebbero
[i proletari] a uno stuolo di capponi o ad un parco di montoni
all'ingrasso». È interessante conoscere il giudizio che
del Congresso di Firenze dà, nel 1868, un moderato
intelligente, il de Cesare. «Gli operai nostri – egli
scrive nel suo volume su Le classi operaie in Italia, Napoli
1868 – sono stati fin qui dei facili comodini in mano di pochi
figuri, venuti su a dozzina nei casi italiani ed europei del 1848 e
del 1860. Costoro, non avendo nulla da perdere e tutto da guadagnare,
andavano per le città nostre piú importanti promuovendo
congressi operai, i quali, formati sempre degli stessi individui, si
mutarono in teatri gratuiti di buffonerie tribunizie. Il Congresso di
Firenze è stato ancora peggio di quello di Milano del '60 per
le molte sciocchezze ed esagerazioni che si declamarono dai gran
capoccia dell'assemblea, e in particolar modo dal Dolfi, dal
Guerrazzi e dal Montanelli i quali proclamarono addirittura il
diritto che si avea dagli operai di occuparsi di questioni politiche
in pubbliche assemblee». Il de Cesare propone che «a
toglier di mezzo pretesti di scandalo», ogni statuto di società
operaia contenga il principio che il primo il quale venga a parlar di
politica, ne sia irremissibilmente espulso, poiché non bisogna
dimenticare che la questione operaia «è economica e la
politica è un pretesto di cattivo genere» (pp. 30, 43)
E qualche mese piú
tardi (aprile 1862), atteggiandosi a mestizia: «Mi duole di
dovervi dire che la causa del Mazzini va guadagnando ogni giorno,
perché i rivoluzionari non amano le vie di mezzo, e chi ha
seguito il conte di Cavour fino a questo punto, non vuol fermarsi, ma
procedere innanzi alacremente».
La Nazione»,
9 ottobre 1861.
L. MINUTI, Il Comune
artigiano di Firenze ecc. cit., p. 37, nota.
Statuto della Società
degli artigiani muratori di Livorno, Livorno 1861.
La Nazione»,
10 ottobre 1861.
Lettera di G. Mazzini
alle società operaie ecc. cit., pp. 8-9.
La Nuova Europa»,
20 novembre 1861.
Agli operai sardi
scrive, nel novembre: voi riuscirete a provare «a quelli che
vorrebbero confinarvi nello studio dei vostri interessi economici,
che nell'amore della Patria, nel curarne il Progresso, voi attingete
una potenza d'azione nel progresso vostro ch'essi smembrando la vita,
non possono avere». Lettere di G. Mazzini alle Società
operaie ecc. cit., pagine 6-7.
La lettera a Savi,
Mazzoni e Franchini e l'abbozzo di statuto sono stati pubblicati da
A. CODIGNOLA, nel suo interessante articolo su G. Mazzini e gli
albori del movimento operaio italiano comparso in X Marzo,
numero unico, a cura del Comitato genovese per le onoranze a Giuseppe
Mazzini nel 50° anniversario della sua morte, Genova, 10
marzo 1922. Prima di questa pubblicazione si attribuiva, sí,
la paternità dell'Atto di fratellanza al Mazzini, ma
soltanto sulla fede del Saffi o del Giannelli. Il testo mazziniano
s'inizia con una serie di convincimenti religiosi e morali,
che successivamente, come vedremo, vennero aboliti o modificati. Le
concessioni che Mazzini o i suoi dovettero fare, nella redazione
definitiva dello statuto, alle tendenze razionalistiche predominanti
fra i democratici e al desiderio di concretezza di questi e di molti
fra i piú intelligenti elementi operai, furono abbastanza
importanti in sé; e rivestono, com'è superfluo notare,
un non disprezzabile interesse storico: espressioni che passavano
inosservate nel 1861 stonavano già intollerabilmente due o tre
anni piú tardi.
Lettere di G. Mazzini
alle società operaie ecc. cit. Lettera 25 dicembre 1861
alla Società operaia di Belgioioso, pp. 12-13.
La Nuova Europa»,
12 gennaio 1862.
All'indomani della
costituzione della Società emancipatrice, Garibaldi riuní
a Quarto i membri della Commissione permanente eletta a Firenze e li
persuase a tentare la conciliazione, incitando tutte le frazioni
della classe lavoratrice a cooperare al bene della patria comune
(«L'Unità italiana», 19 luglio 1862).
E precisamente nel
luglio. Le due commissioni permanenti, di Firenze e di Asti,
dichiararono che gl'incresciosi fatti del '61 eran dovuti piú
a un equivoco che a una differenza reale di principî; e infatti
a Firenze s'era ammessa la trattazione delle questioni politiche «non
in un modo assoluto, ma solo ogni qualvolta si riferissero
all'esistenza e al consolidamento delle società artigiane»;
e il Congresso d'Asti non aveva inteso «escludere la politica
in modo assoluto e non poteva non ammetterla quando si trattasse
d'interessi vitali per le classi popolari». La formola proposta
dal Montanelli a Firenze veniva accettata di comune accordo come
norma pel futuro («L'Unità italiana», 19 luglio
1862).
Cosí per esempio
la Fratellanza artigiana di Firenze, le Società operaie di
Reggio Emilia, di Genova, di Milano, di Chiavenna. Cfr. «L'Unità
italiana», «La Nazione», e altri giornali d'estrema
sinistra, o d'estrema destra, agosto-settembre 1862.
L'Unità
italiana», 27 ottobre 1862.
Ibid., 18 ottobre
1862.
Vennero comprese nella
Statistica solo quelle società che avevano dato notizia
di sé al compilatore; ora è evidente che molte, non
godendo di alcun riconoscimento speciale da parte delle autorità,
essendo anzi appena tollerate, tralasciarono di fornire notizie sulla
propria attività. Specialmente interessate a non farsi troppo
conoscere erano da un lato quelle che aderivano al partito d'azione,
considerate né piú né meno come associazioni
sovversive; dall'altro quelle che promuovevano scioperi e fondavano
casse di resistenza. Il compilatore della Statistica lamentò
infatti (p. 45) che alcune società genovesi si fossero
rifiutate di fornire dati sulla propria attività: «Le
risposte che la maggior parte di tali società ha date alla
Prefettura mostrano pur troppo quale sia il loro stato di ignoranza e
di anarchia». Erano tutte società che avevano subito le
recenti persecuzioni politiche della estate 1862. Anche otto società
napoletane si erano rifiutate di mandare informazioni al ministero.
La Statistica ufficiale cercò
di stabilire in che modo si era formato questo capitale e compilò
la seguente divisione, riguardante il patrimonio di quelle società
che avevano dato notizie piú precise:
Dove si vede che circa un quinto di
questo capitale si doveva alla beneficenza. Anche il governo
sovvenzionava qualche società; nel 1862, per esempio, spese, a
questo titolo, L. 5600. Qualche aiuto ricevettero alcune società
anche dai municipi. Cfr. E. MARTUSCELLI, Le società di
mutuo soccorso e cooperative, Firenze 1876.
La Società
operaia di Caselle (Piemonte) aveva nominato socio onorario
l'appaltatore delle gabelle, che l'aveva esentata dal dazio sul vino.
Atti del IX Congresso degli artigiani ecc. cit., pp. 72-81.
RAVà, Storia
delle associazioni di mutuo soccorso e cooperative nelle province
dell'Emilia, Bologna 1873. La Società di mutuo soccorso di
Scandiano (Reggio Emilia) contro 132 soci effettivi contava, nel
1870, nientedimeno che 84 onorari!
16 in Piemonte, 31 in
Lombardia, 10 in Liguria, 30 in Emilia, 12 in Toscana, 5 nelle
Marche, 4 in Umbria, 1 nelle Puglie, 8 a Napoli, 3 in Sicilia, 1 in
Sardegna.
E. FANO, Della carità
preventiva e dell'ordinamento delle società di mutuo soccorso
in Italia, Milano 1869, pp. 190-91.
Cenni storici della
pia istituzione dei lavoratori cappellai di Milano, Milano 1880.
Statistica del 1862
cit. È interessante vedere come una organizzazione di questo
genere, che noi oggi consideriamo perfettamente legale e anzi
benefica, venisse giudicata a quel tempo, in certi ambienti. Il BOLIS
(che fu questore del regno) in un suo grosso libro su La polizia e
le classi pericolose della società (dove si vuol notare
che per classi pericolose s'intendono i delinquenti nelle loro varie
categorie e gli operai) definisce camorristica la Società
dei garzoni prestinai di Palermo, la quale – son parole sue –
è cosí congegnata: «chi è impiegato deve
contribuire al mantenimento di chi vive oziando: i proventi si
dividono una volta alla settimana, fatta prima larga porzione ai
capi. Da questi i padroni ricevono d'ordinario i lavoranti: fissata è
la mercede: chi si attentasse alterare gli usi, diminuire i prezzi,
sottrarsi alla supremazia della società pagherebbe di
persona». Dove il lettore di buon senso non fatica a rilevare
quelle che sono le aggiunte e le amplificazioni dovute alla fantasia
dell'autore.
Alcune inviarono i
resoconti della loro attività all'Esposizione di Parigi del
1862. Vi ricevettero una menzione speciale le Società operaie
di Cremona, Perugia e Torino perché si ritenne avessero
esercitato una benefica influenza sulle condizioni dei lavoratori in
Italia (BOLIS, La polizia ecc. cit., p. 419, «Il
Diritto», 17 marzo 1868).
Statistica del 1862
cit.
Fede e Avvenire»,
Milano, 2 maggio 1863. Statistica del 1862 cit., p. 53.
Nel 1862 gli scioperi
dovettero essere assai pochi. Io non ho trovato notizia che di due
scioperi di tipografi e uno di scalpellini, a Milano. A proposito di
agitazioni operaie e di partecipazione degli operai alla vita
politica, non è priva d'interesse questa notizia data dalla
«Gazzetta di Torino», 2 settembre 1862: «La società
dei facchini (di Genova) ha protestato contro le dimostrazioni,
perché sono causa di arenamento negli affari». Erano i
giorni nei quali in tutte le città d'Italia i democratici
inscenavano dimostrazioni di protesta per Aspromonte.
L'adunanza
dei cappellai ad Intra della quale ho detto piú sopra era
stata convocata soprattutto per deliberare in qual modo si potesse
fronteggiare l'introduzione delle macchine; i convenuti s'impegnarono
a non eseguire nessun lavoro a macchina e a soccorrersi
vicendevolmente per poter vincere le imposizioni dei proprietari.
Su questo argomento cfr. le opere
citate di Fontanelli e di Revel. Assai istruttivo per rendersi conto
del genere di propaganda svolta dai reazionari è quanto scrive
La Italia disfatta cit., p. 10: «Chiameremo
progresso e civilizzazione l'abbandono quasi totale dei pacifici
studi, delle utili arti, dell'agricoltura, logorandosi invece gli
umani ingegni per inventar macchine da render inerti le braccia
degli operai?» Cfr. anche Agli operai una parola d'un
amico, s. d. (ma credo 1862).
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit., pp. 201 sg.
21 febbraio: «La
lotta esiste e prosegue, ma, mano mano che la civiltà avanza,
il cozzo sociale si fa meno violento, la conciliazione possibile».
4 aprile: quelle teorie
sono erronee «essendoché non prendono mai l'uomo tal
quale l'ha fatto natura, coi suoi istinti, colle sue passioni, colla
sua varia sensibilità, ma richiederebbero uomini fatti a bella
posta tutti di uno stampo». No, gli operai non devono
«atterrare il privilegio dei pochi, attualmente organizzato»,
per poi invocare a favore delle masse, quasi per risarcirle dei mali
patiti, «un altro genere di privilegio, che si nasconde sotto
il nome di diritto al lavoro, di gratuito capitale, di diritto alla
proprietà del terreno e via via» (9 maggio); ma tendere
alla definitiva distruzione di tutti i privilegi.
21 aprile: «Un
antagonismo pericoloso sorge fra i due motori dell'industria,
capitalisti e lavoratori; l'operaio offeso e nella dignità e
nell'interesse si accende a sinistre idee contro l'intraprenditore;
obbligato dalla sua inflessibilità a perdurare nello sciopero,
stretto dal bisogno che rincrudisce a misura che il guadagno manca,
guarda con rancore agli agi delle altre classi sociali, perde ogni
suo sano concetto d'ordine, ogni amore al lavoro». Riconosce
però (13 giugno) che «gli scioperi hanno la loro ragione
d'essere nelle condizioni non di una parte soltanto ma di tutta
generalmente la classe operaia».
21 febbraio: «Oggi
la legge vi impone doveri da compiere, e col pretesto della vostra
immoralità e della vostra ignoranza vi impedisce l'esercizio
di molti diritti; domani, soppressa la causa, cesseranno gli
effetti».
2 maggio: non ritiene
che «attualmente l'educazione economica in Italia sia
abbastanza inoltrata da permettere sí tosto l'applicazione di
codesti trovati preziosissimi dell'associazione; noi dubitiamo in
massima, che all'inesperienza delle leggi che debbono governare un
istituto industriale in tutti i suoi rapporti, susseguirebbe
immediata una pratica infelice, la quale scorando le masse degli
operai e facendole paurose di ardite ed utili iniziative,
ritarderebbe il loro moto ascendente progressivo». Qua e là,
discorrendo di questioni economiche, «Fede e Avvenire» dà
prova di una curiosa ingenuità, che certo non poteva imputarsi
a Mazzini. Il quale non credo avrebbe sottoscritto, per esempio,
questa esortazione rivolta agli operai, il 7 febbraio: «Abbandonate
dunque il dannoso sistema di applicare a lavoro i vostri figlioletti,
con l'ingiusta esigenza che vi venga guadagno dalle loro
deboli membra, dalle incolte loro intelligenze; non li consegnate
come bestie da soma ad un padrone; il padrone si tramuti in maestro,
in scuola l'officina», Esortazione che si chiudeva con l'invito
ai padri di famiglia operai di sborsare una quota affinché
i loro figli venissero assunti come apprendisti!
La Nazione»,
3 ottobre 1863.
L'Unità
italiana», 15 ottobre 1863: «Il partito moderato, come
sempre, come in ogni buona cosa, s'adoperò colle solite
armi... a impedire prima, quindi a suscitare il disordine e la
confusione, e finalmente a screditare ciò che non aveva potuto
impedire». Cfr. anche «Il Dovere», Genova, 17
ottobre 1863.
Il delegato Silva
propose si dichiarasse «per amore di concordia fra tutte le
Società operaie, che i quesiti politici non verranno piú
accettati né posti in discussione né ora né
mai». Accortosi d'aver contro di sé la maggioranza del
congresso, preferí ritirarsi.
Il delegato della
Fratellanza suggeriva «che all'operaio mancante di lavoro in un
luogo fosse data abilità di potersi trasferire in un altro a
spese delle società rispettive, a fine di procacciarselo»;
ma la proposta non venne neanche messa in discussione.
Venne votato un ordine
del giorno, col quale il congresso faceva voti che «l'istruzione
profusa valga a combattere l'influenza del clero». Alla
discussione prese parte il famoso fra Pantaleo, seguace di Garibaldi
nella spedizione di Sicilia, che, prossimo a gettar la tonaca alle
ortiche, prese vivacemente partito contro la preponderante influenza
del clero nelle campagne.
Scrisse poi ai giornali
che, poiché «il X Congresso, nel suo complesso, non
corrisponde allo scopo ch'egli si prefisse nella creazione dei
congressi degli operai italiani, anche colla conciliazione, ritiene
suo dovere di non intervenire ad ulteriori trattazioni» («La
Nazione», 1° novembre 1863). Tra i dissidenti del congresso
erano anche i delegati dell'Associazione operaia di Milano; i quali,
nella relazione ai soci, affermarono che «dai veri amici delle
società operaie si è con fondamento dubitato, e si
dubita che ad altri intenti e ad altre mire, che non il benessere
degli operai, fossero e sieno rivolte le aspirazioni di coloro che si
fecero autori e propugnatori di questo concetto di federazione»
(«Il Giornale degli Operai», Genova, 12 dicembre 1863).
Il quale, per altro, non
partecipava al congresso.
Che fu composta di tre
mazziniani (Savi, Astengo e Cannonieri), un garibaldino (Asproni),
piú Mauro Macchi e Valentini. Anche sull'elezione di questa
commissione aveva influito il Mazzini, come si comprende da una sua
lettera a Dagnino del 24 settembre 1863 (conservata nel Museo del
Risorgimento di Genova), nella quale dà molti consigli sul
modo di condurre il congresso. «Bisognerebbe che la commissione
fosse in Genova. Ma è cosa da maneggiarsi cautamente per non
irritare suscettibilità locali». La sede della
commissione fu infatti stabilita in Genova.
Garibaldi aveva inviato
una lettera al presidente del congresso (Olivieri), nella quale
prendeva posizione per la tesi mazziniana sulla politicità.
«Lasciate le vane questioni di parole, ma pensate che l'uomo
non si dimezza, e che tutti, senza eccezione, abbiamo gli stessi
doveri verso di noi, verso la patria e verso l'umanità».
Mentre l'indirizzo a
Garibaldi venne votato per acclamazione e senza riserve, per
l'indirizzo a Mazzini il presidente ritenne prudente avvertire che
esso non si rivolgeva «all'uomo politico, ma all'operaio del
pensiero, all'amoroso padre del popolo».
Non son riuscito a
trovare gli Atti che pur furono stampati. Si veda il resoconto
sui giornali parmensi del tempo («La Gazzetta di Parma» e
«Il Patriota») nonché sulla «Nazione»
e sull'«Unità italiana».
L'Unità
italiana», 28 novembre 1863.
Il giornale seguitò
le sue pubblicazioni (settimanali) fino al 25 luglio 1866, salvo una
interruzione dal 24 dicembre 1864 al 9 agosto 1865. Abbastanza agile,
variato, accuratissimo nel riportar notizie riguardanti la vita delle
società operaie, discretamente informato sulle vicende del
movimento operaio all'estero, pronto a discutere e ad accogliere con
simpatia ogni nuova iniziativa nel campo del lavoro, meritava un piú
felice successo. Savi e gli altri membri della commissione
lamentarono spesso l'indifferenza con la quale venne accolto dalla
grande maggioranza delle società operaie.
L'Unità
italiana», 16 aprile 1864. E il 21 giugno alla Fratellanza
artigiana di Lugo: «voi non lascerete che il decreto del
Congresso di Parma rimanga, con discredito di tutti voi, lettera
morta, deliberazione ineseguita...» (ibid., 16 luglio
1864).
Lettera a Martinati, 19
febbraio 1864 (Scritti politici ed epistolario, Barbera,
Firenze 1901, vol. III, pp. 23 sg.).
Era questo il numero di
soci che secondo quello statuto era necessario raccogliere per dar
vita alla grande Fratellanza degli operai italiani.
Ribadiva questo concetto
in una lettera a Bertani del 24 febbraio 1864. «Una grande
associazione d'operai sarà sempre una forza politica; ma lo
sarà tanto meno quanto piú professerà di volerlo
essere. In ciò ha ragione Macchi. Intorno a questo
pettegolezzo sarebbe da provvedere che non si rinnovasse ogni anno»
(Scritti politici ecc. cit., vol. III, pp. 34-35).
Assieme al complesso
statuto della Fratellanza, Cattaneo, conformemente all'incarico
ricevuto dai congressisti di Parma, aveva preso in esame un piano da
essa elaborato per la fondazione di una Banca operaia. Il lettore
curioso troverà riprodotte le sue giustissime osservazioni
critiche nel III volume dei suoi Scritti politici ecc. cit,
(pp. 29 sg.). Il Martinati, a nome della Fratellanza, gli rispose il
5 marzo con queste righe significative se pur molto cortesi: «Le
sue considerazioni se non frutteranno ora, frutteranno certamente in
un non lontano avvenire, quando i nostri buoni operai si saranno, a
colpi di sventura, formato un piú giusto concetto della
libertà e del loro proprio bene». Cattaneo capí
l'antifona. «La risposta del signor Martinati – scrisse
il 6 maggio allo Stampa – ... mi diede gentilmente a capire che
de' miei suggerimenti non si farebbe alcun uso» (ibid.,
p. 51). La risposta del Martinati riguardava tanto le osservazioni
sulla Banca operaia quanto quelle sullo Statuto della fratellanza.
Non intendo
che ne facciate menzione al Congresso o altrimenti come di cosa mia,
volendo io, anche per l'angustia del tempo, astenermi da ogni
successiva ingerenza in questi affari» (Lettera citata a
Stampa, 6 maggio 1864).
Lettera citata a Stampa.
Anche un confronto piú
minuto riuscirebbe interessante; Mazzini per esempio vuol che
s'infonda nella massa operaia «un sempre piú giusto e
profondo e attivo concetto della Fede nazionale», che si
promuovano contatti fraterni fra gli operai italiani e quelli d'altri
paesi. Cattaneo ne tace: ma è giusto osservare che mentre egli
si è limitato a buttar giú una bozza di regolamento
tutt'altro che definitiva, Mazzini ha redatto un progetto completo,
che vorrebbe s'adottasse tal quale. Varie differenze di minor conto
si posson notare nell'enumerazione dei mezzi pratici che condurranno
all'emancipazione operaia. Cattaneo, per esempio, non nomina le
cooperative di produzione.
E di imporlo non
soltanto agli operai italiani. L'unificazione delle società di
mutuo soccorso strette nel riconoscimento del suo statuto dovrebbe,
egli scrive, «costituire una iniziativa tra le classi operaie
europee» (Lettera citata a Savi, Mazzoni, Franchini, 29
novembre 1861).
Le associazioni
affratellate si ritengono d'or innanzi come una sola famiglia
interessata a promuovere in tutti i modi possibili insieme col
proprio benessere, la grandezza e la prosperità della patria,
e l'educazione del popolo».
Questa redazione
dell'Atto di fratellanza venne pubblicata sul «Giornale
delle Associazioni operaie», Genova, 3 luglio 1864.
Tra gli altri: Savi,
Zuppetta, Gambuzzi, Fanelli, Olivieri, Filopanti, Asproni, Morelli,
Martinati, Stampa, Gennaro Bovio, Tavassi. Quest'ultimo venne
acclamato presidente. I nomi dei rappresentanti insospettirono la
polizia, che prese grandi precauzioni; la sala del congresso –
scrisse «Il Popolo d'Italia», Napoli, 25 ottobre –
pareva «in stato d'assedio».
Dapprima due indirizzi a
Garibaldi e a Mazzini (il secondo proposto da Gambuzzi, che fra
qualche anno troveremo fervente bakunista); poi un appello alla
concordia degli operai italiani e «piú specialmente agli
operai delle inclite e generose città di Roma, di Venezia e di
Torino». Il delegato Morelli propose anche si emettesse un voto
contrario alla Convenzione. Alle rimostranze del presidente,
che lo ammoniva di non distrarre il congresso dallo svolgimento dei
lavori prestabiliti e di non dimenticare che gli operai aspettavano
pane, rispose: «pane dell'anima prima anche di quello del
corpo». Ignoro se il congresso approvasse la sua proposta.
Presero parte alla
discussione Verratti, Savi, Asproni. Si incaricò la
Commissione permanente di presentare una petizione in tal senso al
Consiglio dei ministri e al Parlamento.
Il congresso –
uditi i discorsi di Quirico Filopanti, di Martinati e di Dassi –
affidò alla commissione il compito di organizzare l'inchiesta.
In una
lettera «ai rappresentanti dell'Internazionale in Londra»,
scritta alcuni anni dopo (gennaio 1872), il Bovio volle ricordare
questo che egli riteneva un precedente dell'Internazionale; egli non
ricordava che l'Associazione dei lavoratori rimontava al settembre
1864. Gli pareva ad ogni modo che la sua proposta al Congresso
napoletano attribuisse «all'Italia un diritto che la storia le
ha acquistato, quello cioè di essere stata almeno tra le prime
nazioni a concorrere per l'iniziativa dell'Internazionale».
Gli rispose l'Engels il 17 aprile:
«Riconosciamo volentieri che al tempo dove qui in Londra si
realizzava per la prima volta una lega internazionale degli operai,
voi, nella remota Puglia avete rilevato quella medesima idea... Vi
ringraziamo d'averci comunicato questo fatto, perché contiene
una nuova prova che l'alleanza degli operai del mondo incivilito
intiero fu riconosciuta, già nel 1864, come una necessità
storica anche nei paesi coi quali non potevamo allora metterci in
relazioni». Nella bozza della lettera, che io ho avuto
sott'occhio, si leggon di seguito queste linee che furon poi
cancellate: «Senza dubbio, se le società operaie
italiane... avessero rilevato la vostra idea... se avessero iniziato
nello stesso tempo un movimento operaio italiano, basato sullo stato
sociale del loro paese, forse s'avrebbe adesso meno di [sic]
società operaie, sedicenti internazionali propugnando dottrine
settarie, non italiane, ma francesi e russe. Nel movimento della
classe operaia, secondo il mio parere, le vere idee nazionali,
cioè corrispondenti ai fatti economici, industriali ed
agricoli che reggono la rispettiva nazione, sono sempre nello stesso
tempo le vere idee internazionali. L'emancipazione del
contadino italiano non si adempirà sotto la stessa forma come
quella dell'operaio di fabbrica inglese; ma piú che l'uno e
l'altro comprenderanno la forma propria alle sue [sic]
condizioni, piú... l'intenderanno nella sostanza...» Il
lettore comprenderà il tono di questa lettera, che si trova
manoscritta e inedita – come quella di Bovio – tra le
carte di Engels, nell'Archivio del partito socialdemocratico tedesco,
a Berlino, leggendo i capitoli successivi.
Nella seduta del
Comitato generale dell'Internazionale tenuta il 12 ottobre 1864 a
Londra, il maggiore Wolff – in quel tempo segretario di Mazzini
– comunicò che intendeva partecipare al Congresso di
Napoli. Venne allora incaricato di indagare se i rappresentanti delle
società operaie italiane sarebbero stati disposti a entrare
nell'Internazionale. Il Wolff partí per l'Italia, ma non
partecipò al congresso. Nel febbraio 1865, di ritorno a
Londra, raccontò che era stato imprigionato nella fortezza di
Alessandria. Tolgo queste e altre notizie dai verbali delle sedute
settimanali del Consiglio generale dell'Internazionale, conservati
nell'originale e in copia fotografica presso l'archivio del partito
socialdemocratico tedesco, a Berlino. I verbali vanno dal 5 ottobre
1864 alla fine di agosto 1872; mancano dal 21 agosto 1866 al 14
settembre 1869.
Sulla questione della
banca artigiana si rinnovò alla Commissione eletta nel 1863
l'invito di presentare delle proposte precise.
Composta di Savi,
Tavassi, Zuppetta, Martinati e Stampa.
Non ho veduto gli Atti
del Congresso di Napoli. Il mio breve resoconto è ricavato dal
«Giornale delle Associazioni operaie», 6 novembre 1864,
nonché dal «Popolo d'Italia» e dalla «Nazione»
nei giorni del congresso.
M. BAKUNIN, Il
socialismo e Mazzini, 5a ed., Roma 1910, p. 34.
Statistica del 1873,
Roma 1875, passim.
Il Giornale degli
Operai», 16 luglio 1865. Il Viganò invece, nello stesso
anno, ne contava quaranta (RABBENO, La cooperazione in Italia,
Milano 1866, p. 15) e il GARELLI (I salari e la classe operaia,
p. 290) cinquantaquattro. Una seria statistica delle cooperative non
s'ebbe che in anni piú tardi.
RABBENO, La
cooperazione in Italia cit., p. 13. CASALINI, Cenni di storia
del movimento cooperativo in Italia cit., p. 45.
Il Giornale delle
Associazioni operaie», 24 gennaio 1864.
Il Giornale degli
Operai», 15 maggio 1864.
Ibid., 21
febbraio 1864.
Ibid., 28
febbraio 1864.
Fu questa una delle
prime operazioni di quella banca operaia che, contro ogni consiglio
di Cattaneo, la Fratellanza aveva voluto fondare e che si costituí
ufficialmente qualche mese piú tardi. Cfr. «Fede e
Avvenire», 28 maggio 1865; L. MINUTI, Il Comune artigiano di
Firenze ecc. cit., pp. 52 sg.
L'Unità
italiana», 1° ottobre 1864. Una prova della spontaneità
con la quale gli operai ricorrono all'idea della cooperativa di
produzione: a Catanzaro i lavoranti sarti in numero di duecento
scioperano perché non si vuol conceder loro un aumento di
salario. «Il Giornale delle Associazioni operaie», 20
novembre 1864, scrive che i detti operai hanno ora l'intenzione di
costituire un'associazione per lavorare per proprio conto e dividere
i lucri.
Un congressino
cooperativistico si tenne a Lodi nei primi mesi del 1864. Ed è
curioso quanto ne scrive il Luzzatti, che cioè in esso, quando
non era ancora sorta l'Internazionale e «i lavoranti pensavano
piú alla patria che alla condizione economica... un ignoto
ribelle osò accennare al socialismo, ma rimase isolato»
(Cooperazione e credito in Italia negli ultimi trent'anni, in
«Nuova Antologia», 15 ottobre 1895).
Tali banche si
organizzavano sul sistema del tedesco Schultze-Delitzsch,
opportunamente modificato. Ma non è qui il luogo di
discorrerne diffusamente.
Nei grandi centri dove
eran sorte e prosperavano numerose società operaie, questi
giornali rappresentavano un bisogno e, a volte, anche un affare. Vi
si dedicavano insegnanti e giornalisti di professione, piccoli
borghesi intellettuali e operai semimborghesiti. Non citerò
che i piú importanti: «Il Giornale degli Operai»,
fondato a Genova il 18 novembre 1863, sotto la direzione di un
professor Iacopo Virgilio cui si associò piú tardi il
Revel; contava fra i suoi collaboratori Stefano Boldrini, Pietro
Sbarbaro, Michele Lessona, Girolamo Boccardo, Enrico Fano.
Democratico-moderato, si schierò contro la politicità
delle società operaie, caldeggiò cooperazione e credito
popolare. Dopo una interruzione dal 25 dicembre 1865 al 4 febbraio
1866 e dopo aver mutato direttore (a Iacopo Virgilio e a Revel
successe un certo Piccardo) cessò le pubblicazioni il 17
dicembre 1866. «L'Operaio» a Bergamo e «L'Artista»
a Torino, diretto da un operaio (Tamagno), fondati sui primi del
1864; il già citato «Giornale delle Associazioni
operaie»; «L'Operaio», fondato a Torino nel
febbraio, direttore Caratti; «Il Manuale degli Operai»,
che iniziò le pubblicazioni a Palermo il 31 luglio.
T. BRUNO, La
Federazione del libro ecc. cit., p. 20; «Il Giornale
degli Operai», 27 marzo 1864.
Il Giornale degli
Operai», 10, 24 gennaio 1864.
Ibid., 5 novembre
1864.
Ibid., 7 febbraio
1864.
La Perseveranza»,
Milano, 6 gennaio 1863; «Fede e Avvenire», 21 aprile.
L'Unità
italiana», 30 maggio 1863.
Il Giornale di
Napoli», «L'Opinione», fra il 7 e il 12 agosto
1863.
Il Giornale degli
Operai», 14 agosto. «Il Giornale delle Associazioni
operaie», 28 agosto 1864.
Il Giornale delle
Associazioni operaie», 24 settembre 1864.
La Perseveranza»,
6 gennaio 1863, a commento d'uno sciopero di tipografi: «Noi
senza farci giudici tra le pretese degli uni e le negative degli
altri, e senza sopratutto incoraggiare in alcun modo questa
pericolosa via delle coalizioni per ottenere un aumento di salarii,
dobbiamo però far conoscere che gli operai tipografi hanno
dichiarato volere astenersi da ogni violenza, e non impedire alcuno
dal lavoro alle condizioni che volesse accettare».
Lo sciopero dei
metallurgici di Pietrarsa (Napoli), 6 agosto 1863, terminò con
un cruento conflitto fra operai e militari e col ferimento del
direttore dello stabilimento. Anche in questa occasione molti
giornali di destra accusarono i reazionari di non essere estranei
allo sciopero. (Cfr. La Società operaia napoletana
per i luttuosi fatti di Pietrarsa, Napoli 1863).
Cfr. i già citati
Verbali inediti del Consiglio generale e il Briefwechsel zwischen
Engels und Marx, a cura di Bebel e Bernstein, Stuttgart 1913,
vol. III, passim.
Lettera di Marx a
Engels, 4 novembre 1864, in Briefwechsel ecc. cit., vol. III,
pp. 186 sg.
Wolff voleva
centralizzazione e intendeva per associazioni operaie solo quelle di
beneficenza», dichiarò Marx un anno e mezzo piú
tardi, quando già l'influenza mazziniana era del tutto
eliminata dall'Internazionale. Centralizzazione, sí, e
l'abbiam visto esaminando l'Atto di fratellanza; quanto alle
associazioni di beneficenza, Marx forse alludeva al fatto che Mazzini
ripudiava le organizzazioni di resistenza e fondava il suo concetto
di movimento operaio sul dogma della collaborazione borghese (Verbali
citati, Seduta di consiglio del 13 marzo 1866). Nel 1871,
quando Mazzini si scagliò apertamente contro l'Internazionale
asservita a una minoranza intrigante, il Consiglio dell'associazione,
in una relazione del 4 luglio, gli ricordò il progetto di
statuto da lui fatto proporre; nel quale senza tanti scrupoli si
affidava la direzione delle cose al Consiglio generale né si
esprimeva il dubbio che quei pochi individui, investiti di tanta
autorità, finissero o per non operare o per operare
tirannicamente. Il progetto presentato dal Wolff «era nello
stile solito di Mazzini: la democrazia borghese che offriva diritti
politici agli operai, onde poter conservare i privilegi sociali delle
classi medie e superiori» («Il Romagnolo», Ravenna,
9 settembre 1871).
Lettera citata, 4
novembre 1864.
Cfr. gli statuti
dell'Internazionale in J. GUILLAUME, L'Internationale, Documents
et souvenirs (1864-1878), Paris 1905, t. I, pp. 11-21.
C. MARX, Indirizzo
inaugurale dell'Associazione internazionale dei lavoratori, Roma
1901, p. 10.
Per via di temperamenti
successivi, Marx cercò poi di far accettare alle Federazioni
dell'Internazionale la dottrina della necessità preventiva per
le classi operaie di conquistarsi i poteri politici. E fu proprio su
questo punto che la grande associazione si scisse in due correnti
antagonistiche, e quindi decadde.
Quella che si ritiene
comunemente una delle differenze sostanziali tra movimento operaio
mazziniano e quello marxista, la base cioè rigidamente
nazionale del primo opposta all'internazionalismo del secondo, non
poteva, nel 1864, apparir chiaramente. L'Internazionale, secondo il
concetto dei suoi fondatori, non voleva essere che un nucleo di
collegamento dei vari movimenti operai nazionali. Anzi negli statuti
di Marx si affermava la necessità che i singoli movimenti
serbassero, in seno all'associazione, la piú ampia autonomia.
Solo attraverso gli annuali congressi, l'Internazionale mutò
progressivamente la sua fisonomia fino a provocare la scomunica di
Mazzini.
Il LUZIO, che fra Marx e
Mazzini ha tracciato un vivace se pur poco obiettivo parallelo
(ripubblicato nel volume Carlo Alberto e Mazzini, Torino
1923), si sdegna fra l'altro col Marx il quale – infiorando il
suo dire con le consuete trivialità – accusò
Mazzini di aver trascurato la propaganda fra le masse contadine. Tale
accusa – scrive a p. 449 – era goffamente calunniosa. Il
Luzio ha perfettamente ragione per quanto riguarda le classi operaie;
per quelle rurali, se pur la trascuranza di Mazzini ebbe motivi o
almeno giustificazioni comprensibilissime, il rimprovero di Marx non
è davvero calunnioso; affermare, com'egli affermò –
alcuni anni dopo il 1848 – che i contadini italiani eran la
base e il sostegno della dominazione straniera, significava enunciare
una grande verità, forse da Mazzini non sufficientemente
meditata.
Anima
dell'Internazionale «è Carlo Marx, tedesco, uomo
d'ingegno acuto ma, come quello di Proudhon, dissolvente; di tempra
dominatrice, geloso dell'altrui influenza, senza forti credenze
filosofiche o religiose e, temo, con piú elemento d'ira,
s'anche giusta, che non d'amore nel cuore» (Agli operai
italiani, in G. MAZZINI, Scritti editi ed inediti, 18
voll., Milano-Roma 1861-91, vol. XVII, p. 53 [edizione che d'ora
innanzi indicherò con la sigla SEI]).
G. MAZZINI,
L'Internazionale. Cenno storico, in SEI cit., vol. XVII, p.
109.
L'Internazionale.
Cenno storico cit.
Briefwechsel
cit., vol. III, p. 192.
Ibid., p. 194.
Verbali citati. Il
manifesto fu letto nella seduta del 3 gennaio 1865 e conteneva
espressioni di questo genere: I membri della Società operaia
«dànno la loro piena approvazione ai vostri scopi e
metodo... s'impegnano al pieno compimento dei doveri ivi [nello
statuto] contenuti. Un nodo d'unione è stato già
stabilito nel recente Congresso operaio a Napoli tra la maggioranza
delle associazioni operaie italiane. Vi è stata eletta una
direzione centrale e noi non dubitiamo che quel che noi facciamo,
sarà fatto tra non molto da quella direzione centrale... per
stabilire una pratica fratellanza generale, una generale unità
d'intenti fra gli operai di tutte le nazioni». Altri passi di
questo manifesto rivelano una diretta influenza di Mazzini, per
esempio laddove si additano gli scopi dell'Internazionale nella
elevazione morale, intellettuale ed economica della classe operaia,
nella lotta per la conquista dei diritti politici, nella diffusione
della cooperazione e di istituzioni educative e si definiscono questi
punti come «un grande fine morale e veramente religioso»
instauratore di una nuova era la quale «cancellerà
iniquità, compressione, ignoranza, l'attuale sistema dei
salari», sostituendovi «uguali doveri e diritti per
tutti, vera educazione nazionale, e il sistema dell'associazione per
la produzione e il consumo».
Briefwechsel
cit., vol. III, p. 233.
Verbali citati e
Briefwechsel cit., vol. III, p. 248. Nella seduta di consiglio
del 25 aprile 1865 viene eletto consigliere un italiano: Salvatella.
Ignoro se fosse in relazione con Mazzini.
A. SAFFI, Cenni
biografici e storici a proemio del testo, in G. MAZZINI, SEI
cit., vol. XVII, p. XII. La lettera è datata soltanto 26
aprile; il Saffi la attribuisce al 1865 e certamente con ragione.
Briefwechsel
cit., vol. III, p. 248.
Qualche dato biografico:
nasce nel 1814 a Priamukino, fra Mosca e Pietroburgo. Percorre una
breve carriera d'ufficiale che è sufficiente però a
disgustarlo dalle armi. Datosi a studi filosofici, passa in Germania,
dove segue assiduamente lezioni e pubblica qualche saggio. Preferisce
Fichte e Hegel; quest'ultimo esercita su di lui una decisiva
influenza. Dal '44 al '47 è a Parigi (vi conosce Proudhon e
Marx). Espulso di Francia, ripara nel Belgio. Scoppiata in Francia la
rivoluzione di febbraio, vi torna e lavora instancabilmente a
prolungare lo stato rivoluzionario. Piú tardi, nel giugno, è
in Germania dove partecipa alla insurrezione di Praga. Nel '49 è
a Lipsia; quindi, a Dresda, capeggia l'insurrezione del maggio.
Arrestato, consegnato all'Austria, condannato a morte, consegnato
alla Russia (1851), la fortezza lo ospita fino al '57. Dalla Siberia
dove vien deportato riesce a evadere nel '61 e sulla fine dell'anno,
dopo un mezzo giro del mondo, approda a Londra. La sua attività
si centuplica nella terra classica della libertà: il problema
slavo lo assorbe completamente. Vorrebbe rovesciare il governo russo
ed espropriare i proprietari, perciò si tiene in contatto coi
rivoluzionari russi. Nel '62 lo troviamo fervido animatore
dell'insurrezione polacca, nel '63 crede prossima la sollevazione dei
contadini in Russia e – compiendo un viaggio in Isvezia –
cerca di far propaganda. Deluso per non avervi trovato quella febbre
d'entusiasmo che lo divora torna a Londra. Ai primi del '64 si dirige
in Italia. Con quest'anno, Bakunin si dà tutto alla causa del
socialismo rivoluzionario. Rivoluzionario egli era sempre stato, fin
dal tempo della sua studiosa giovinezza; ma non sempre il problema
sociale era stato in cima dei suoi pensieri né sempre lo aveva
considerato – come dal '64 in poi – al di fuori e al di
sopra dei singoli problemi nazionali. Fino al '67 l'attività
socialista del russo si svolge piú o meno segretamente: chiara
e palese, invece, dal '67 alla morte (1876).
M.
BAKUNIN, Œuvres, 6 voll., Paris 1907-13.
La massima parte delle
opere di Bakunin nacque in forma di lettere ad amici: egli teneva con
innumerevoli amici una colossale corrispondenza che esauriva quasi la
sua attività letteraria. Sovente accadeva che, prendendo egli
lo spunto da un meschinissimo fatto contingente, e ponendosi a
scrivere una lettera di carattere informativo, la fluidità
della penna e la vasta se non profonda coltura gli prendessero la
mano; la lettera si estendeva, s'ingigantiva, dal fatto contingente
passava ad altri piú generali, e ai problemi teorici, ed ai
sommi principî. S'intende che, a questo modo, finiva per varare
uno scritto senza proporzioni, inorganico, nel quale ad alcuni punti
rigorosamente sviluppati e chiariti si contrapponevano altri, appena
appena accennati. Bastava poi che sopraggiungesse o un'idea nuova nel
suo cervello o la necessità di passare all'azione pratica,
perché Bakunin troncasse affatto il lavoro iniziato per darsi
tutto al nuovo, con fretta febbrile, o per precipitarsi là
dove si figurava ci fosse bisogno di lui.
Préambule
pour la 2e
livraison de l'empire knouto-germanique (1871),
in Œuvres
cit., vol. IV, p. 247. E altrove: bisogna fare in modo che
«tutti questi milioni di poveri esseri umani, ingannati,
asserviti, tormentati, sfruttati, liberatisi alfine di tutti i loro
direttori e benefattori ufficiali e ufficiosi, associazioni e
individui, respirino in una completa libertà» (M.
BAKUNIN, Programma e oggetto dell'organizzazione rivoluzionaria
dei Fratelli internazionali pubblicati in C. MARX L'Alleanza
della democrazia socialista e l'Associazione internazionale dei
lavoratori (1873), Roma 1901, p. 110).
Di Saffi Bakunin ha una
pessima opinione. In una lettera a Celso Cerretti, del marzo 1872 (in
«Société nouvelle», Bruxelles, febbraio
1896), che avrò occasione di citare piú di una volta,
cosí lo definisce: «... una specie di sapiente mancato,
un dottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una
religione nata-morta» (M. NETTLAU, Michael Bakunin, eine
Biographie, 3 voll., 1896-1900, I, p. 169. Di questa pregevole
opera, alla quale farò continuamente ricorso, non sono state
tirate che cinquanta copie a poligrafo di sul manoscritto originale).
M.
NETTLAU, Michael Bakunin ecc.
cit., e ID., Bakunin und die
Internationale in Italien bis zum Herbst 1872,
in «Archiv
für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung»,
t. II, fasc. 2-3, p. 281.
Cfr. un elogio di lui,
non scevro di critiche, nella lettera citata a Cerretti. Al Bertani
lo presentava Saffi, dipingendolo come un eroico patriota. Bertani è
pregato di fargli conoscere gli amici di Genova, di Livorno, di
Firenze (A. LEVI, La filosofia politica di G. Mazzini, Bologna
1917, pp. 207 sg.). Bertani contava molte relazioni nel mondo
democratico socialista internazionale. Di sue relazioni con Lassalle
restano tracce nell'Archivio Bertani (plico A, cart. 48; plico
XXVIII bis, cart. 19) che si conserva nella Biblioteca del
Risorgimento a Milano.
Di questa gita non son
riuscito a trovare altra notizia. Quel che è certo è
che con Garibaldi fino a tutto il 1865 Bakunin mantenne ottime
relazioni. Garibaldi stesso gli procurò conoscenze e a Firenze
e a Napoli.
M. NETTLAU, Michael
Bakunin ecc. cit., I, pp. 166 sg.
Lettera a Nettlau, 30
luglio 1895, in M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., nota
1166.
M.
DRAGOMANOV, Correspondance de M.
Bakounine. Lettres à Herzen et à Ogareff,
Paris 1898, p. 194.
Il progetto si trova
riassunto in G. DOMANICO, L'Internazionale, Firenze 1911,
appendice II, pp. 180-83. Cfr. anche E. ZOCCOLI, L'anarchia,
Torino 1907, pp. 97 sg.
G. DOMANICO,
L'Internazionale cit., p. 182.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc, cit., p. 208.
Fibra, pagine di
ricordi, Roma 1900, p. 222.
Lettera citata a
Nettlau.
Michael Bakunin ecc.
cit., p. 200.
Che la
Sinistra in genere e la frazione mazziniana in ispecie contassero tra
i loro membri una larghissima percentuale di fratelli, alcuni dei
quali pervenuti alle cariche piú elevate dell'ordine, è
un fatto cosí notorio e documentato che davvero non merita
conto di fermarcisi sopra piú che tanto. La posizione di
Mazzini di fronte alla massoneria risulta evidentissima dalla lettura
del suo epistolario: non entrò mai nell'ordine, ma nutrí
– specie dal '60 in poi – ottime relazioni con i suoi
dirigenti. Non solo tollerò che moltissimi fra i suoi seguaci
si facessero massoni, ma a ciò li spinse, in piú casi,
esplicitamente; e non v'è dubbio che, per quanto non massone,
influí spesso assai potentemente sull'indirizzo pratico
dell'associazione. Tutto ciò viene ora nuovamente discusso e
messo in dubbio dal LUZIO nel suo ampio studio su La
massoneria e il Risorgimento italiano, 2
voll., Bologna 1925. Ma che l'illustre storico sia riuscito con
questa sua recente fatica a persuadere il lettore obiettivo della
nessuna o presso che nessuna parte avuta dalla massoneria nel nostro
Risorgimento, nonché del disprezzo che per essa quasi sempre
avrebbe ostentato il Mazzini, non oserei asserire; i suoi volumi sono
un documentato testo di accusa contro le malefatte della testè
scomparsa associazione; invano vi si cercherebbe notizia di certe sue
pur minime, ma innegabili benemerenze. Nel novero delle quali non
esito a porre il notevole impulso dato al primo movimento operaio
italiano. Sul quale argomento molto si potrebbe discorrere, se lo
permettesse l'indole di questo lavoro; ma il lettore coscienzioso se
ne convincerà sol che si fermi un istante a considerare i nomi
di due terzi fra i promotori di quel movimento, nomi che ho avuto o
avrò in seguito occasione di rammentare.
Fra le molte notizie interessanti
dateci dal Luzio v'è quella che «Bakunin figurava tra'
primi massoni di Loggie fiorentine» (II, 222); di questa
notizia però egli, di solito cosí esatto, non cita la
fonte.
Molte notizie sulla loro
attività si trovano consultando la collezione del «Libero
Pensiero».
Scrive il Giannelli
nella lettera citata a Nettlau: (Bakunin) «incominciò la
sua propaganda nichilista, che certo nulla aveva di comune
colle nostre teorie, tanto piú che il Bakunin attaccava di
continuo le dottrine di Giuseppe Mazzini, che egli non comprendendone
razionalmente la formola – "Dio e il popolo" –
chiamava prete!... Qui a Firenze riuscí a trarre a sé
qualche gregario del partito mazziniano, amante di novità...»
M. NETTLAU, Errico
Malatesta. Vita e pensieri, New York 1922.
Lettera del 12 novembre
1864 (Lettere di Giuseppe Mazzini a Federico Campanella,
pubblicate da G. Mazzatinti, in «Rivista d'Italia»,
giugno 1905, pp. 10-11 dell'estratto).
M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., p. 28.
Sviluppo storico
dell'Internazionale, in J. GUILLAUME, L'Internationale ecc.
cit., vol. I, pp. 76-79. Nel 1864 Mazzini non aveva ancora fondato
l'Alleanza repubblicana. Bakunin la confondeva qui, probabilmente,
con la Falange sacra, organizzata a Genova nel 1863 da Quadrio e
Castelli, con l'assenso di Mazzini, al fine di concentrare
segretamente le forze repubblicane. Falange che, diffusasi
soprattutto nell'Italia centrale e meridionale, nel 1866 fu assorbita
dall'Alleanza repubblicana: lavorava soprattutto per l'emancipazione
di Roma e Venezia. Interessante vedere come Mazzini cercasse di
spingervi dentro elementi operai. Lettera a Zannoni, 6 febbraio 1865:
«A voi tocca osservare attento i migliori dell'Associazione
Op[eraia] e indurli tacitamente nella F[alange] S[acra] che ha centro
in Genova e colla quale dovete essere già in relazione»
(Lettere a Zannoni, p. 21).
M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., p. 45.
E. ZOCCOLI, L'anarchia
cit., p. 112.
A. DE
GUBERNATIS, Fibra ecc.
cit., p. 227. Cfr. anche la sua prefazione autobiografica al
Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze
1879, pp. XXI-XXV.
Dizionario ecc.
cit., p. XXI.
Cosí, due anni
dopo, Bakunin giudicava De Gubernatis, per il cui ingegno aveva
provato dapprima una vivissima ammirazione: «È una ben
povera testa, è vero, incapace di discernimento e di critica,
un po' disorientata dalla posizione falsa che il suo entusiasmo
ardente, impotente, vanitoso e inquieto gli ha fatto prendere fra
tutti i partiti, ma dopo tutto è un ragazzo onesto»
(Lettera a Fanelli, 29 maggio 1867; M. NETTLAU, Michael Bakunin
ecc. cit., I, pp. 182 sg.).
Lettera citata a
Nettlau. E fu cosí intima l'amicizia tra i due che passarono
assieme le vacanze estive del 1864 e del 1865, ad Antignano e a
Sorrento.
Gli abbonamenti al
«Proletario» si ricevevano «al mezzanino del signor
Giuseppe Dolfi».
A. ANGIOLINI, Socialismo
e socialisti in Italia, Firenze 1919, p. 61; G. DOMANICO,
L'Internazionale cit., p. 94.
E. ZOCCOLI, L'anarchia
cit., p. 110.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit., p. 212. Lettera
del 19 luglio 1866.
Lettre
aux citoyens rédacteurs du «Réveil»
(ottobre 1869), in Œuvres
cit., t. V, p. 286. In
questa lettera Bakunin riassume le sue
impressioni sull'Italia.
Lettera citata a
Nettlau.
Fanelli è noto
soprattutto per la parte sfortunata che prese nella sfortunatissima
impresa di Carlo Pisacane. Carattere incerto, entusiasta e pur timido
di responsabilità, si trovò disgraziatamente a coprire
un posto che richiedeva energia, prontezza, franchezza. Dopo il '60,
usciti i superstiti di Sapri dalle galere borboniche, il Fanelli fu
fatto segno ad accuse violentissime per il suo operato; pochi lo
difesero. Ne rimase sconvolto finché la sua intelligenza
naufragò nella pazzia.
Di Fanelli e Friscia
cosí parla O. GNOCCHI-VIANI, Ricordi di un
internazionalista, Milano 1910, p. 121: «Ricordo pure
benissimo... le figure simpaticissime di Fanelli e di Friscia... i
quali... si erano consacrati alla propaganda socialista e
precisamente alla propaganda della scuola bakuniniana, seguendo il
metodo – del resto il solo possibile in quegli inizi –
della propaganda individuale orale. Parlatore facondo e immaginoso il
Fanelli, dicitore sobrio e calmo il Friscia; entrambi manifestanti
una convinzione cosí sincera, cosí profonda, cosí
comunicativa, che faceva in noi l'effetto di raffiche che investivano
e cacciavano le nubi che ancora ingannavano tanti giovani cervelli,
per lasciar intravedere cieli e orizzonti nuovi, piú limpidi e
piú belli». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale
cit., pp. 114-20.
Sposò piú
tardi la vedova di Bakunin.
J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. I, p. 77; G. DOMANICO,
L'Internazionale cit., p. 94; M. NETTLAU, Michael Bakunin
cit., pp. 180 sg. Scrive il Saffi nei citati Cenni a proemio
del vol. XVII di SEI (pagina XXXIII): Bakunin «prese stanza a
Napoli, fondandovi un gruppo di giovani seguaci delle sue dottrine in
antagonismo colle dottrine di Giuseppe Mazzini, ch'egli fece segno
sovente a polemiche acerbe e talvolta scurrili».
Per il quale e per
Gambuzzi Bakunin aveva una raccomandazione di Garibaldi stesso (M.
NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p.
284).
Lettera citata a
Nettlau. Gli articoli, credo, furon pubblicati anonimi perché,
secondo una ricerca, che però non ho potuto compiere
personalmente, il nome di Bakunin non ricorre mai sul «Popolo
d'Italia». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale cit.,
appendice IV, p. 190, secondo il quale uno dei redattori del «Popolo
d'Italia» sarebbe stato il già nominato R. Mileti.
M.
BAKOUNINE, Lettres à un français
sur la crise actuelle, in Œuvres,
t. IV, pp. 34-35.
Ibid.
Ibid., pp. 32-34.
M. BAKUNIN, Il
socialismo e Mazzini cit., p. 55.
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 11.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit., pp. 208-11.
Manifesto o lettera che
non son riuscito a rintracciare.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit., pp. 212-41.
È del luglio 1866
ed è stata pubblicata dal NETTLAU (Bakunin und die
Internationale cit., pp. 287-88), col titolo «Ultima
lettera di F[ratelli] di Palermo che si sciolgono dagl'impegni
presi». Pare fossero sorti dei dissensi in occasione della
guerra italo-austriaca: «FF .˙.
In nome del C[omitato] C[entrale] della Soc[ietà]
Int[ernazionale] R[ivoluzionaria] D[emocratica] S[ociale] noi vi
dichiariamo sciolti da qualunque impegno e da qualunque giuramento
fatto. Dichiariamo illegale ed immorale qualunque corpo che nulla
curante la presente ingiunzione volesse proseguire a vivere e
lasciamo tutto a lui la responsabilità e le conseguenze. Forse
non tarderà molto faremo appello alla vostra operosità
umanitaria-sociale-democratica-italiana. In nome intanto di questo
S[tato] M[aggiore] residente in Palermo, vi dichiariamo benemeriti
per la vostra mostrata operosità».
Bulletin»
(del Giura), 16 luglio 1876.
Questo giornaletto è
introvabile e anzi si è a lungo perfino dubitato che sia mai
esistito; ma la sua esistenza è provata da una lettera di
Bakunin del 7 maggio 1867 (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc.
cit., pp. 248-253; M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale
cit., p. 289).
M.
NETTLAU, Bakunin und die Internationale
cit., p. 289.
I primi dubbi sulla sua
serietà di democratico si presentano nel marzo '66. «Ho
paura – scrive Bakunin il 23 di quel mese, in una lettera ai
soliti amici – che Garibaldi si lasci sedurre per la decima
volta e diventi, nelle mani di chi voi sapete, uno strumento per
gabbare i popoli» (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc.
cit., pp. 208-11).
Lettera citata, pp.
14-15.
Statistica del 1875.
Società dei
falegnami a Bologna, dei calzolai e degli orefici a Genova, dei
muratori e d'un'altra categoria d'operai a Milano, una cooperativa
fra tipografi a Bologna e una fra operaie a Napoli (VIGANò, Il
movimento cooperativo e le banche popolari tedesche e italiane e loro
confederazione, Milano 1873; T. BRUNO, La Federazione del
libro ecc. cit.).
Tutte fra tipografi, a
Milano, a Lodi, a Genova (MARTINELLI, Dell'istruzione popolare
cit.).
L'Avvenire»,
Firenze, 9 maggio 1865.
Ibid., 25 maggio
1865.
Ibid., 8 giugno
1865.
Cenni storici ecc.
cit.
Gli scioperi sono
all'ordine del giorno nel Regno d'Italia!» scriveva
«L'Avvenire», 8 giugno 1865.
Di questi e d'altri
tumulti contadineschi si trovan notizie sui principali giornali del
tempo.
Veramente
il I Congresso doveva tenersi a Bruxelles nel 1865; ma fu rimandato,
essendo ancora troppo scarso il numero degli affiliati. Si riuní
in sua vece a Londra una conferenza (25-28 settembre 1865) alla quale
parteciparono delegati tedeschi, francesi, belgi, polacchi,
spagnuoli, inglesi e svizzeri, oltre a un rappresentante l'Italia, il
cui nome non ricorre mai nei verbali (in verità molto
succinti) della conferenza. Il DE LAVELEYE, Le Socialisme
contemporain, 2a ed., Paris 1883, p. 176, afferma che
egli era il Wolff; e aggiunge che, esaminandosi la situazione
dell'Internazionale in Europa, si disse che in Italia nuoceva la
ostilità dei mazziniani. Ma il Wolff, è evidente, non
poteva avere questa opinione. Forse alla conferenza giunse qualche
notizia sull'Italia da parte di Bakunin.
Avverto il lettore che, riassumendo i
progressi dell'Internazionale, non darò che pochi cenni
indispensabili riguardanti lo sviluppo dell'associazione nei vari
paesi. Cercherò invece di documentarne con quelle notizie che
sono a mia cognizione la progressiva infiltrazione in Italia.
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale, Padova 1873, p. 39.
La lettera è
riportata da M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc.
cit., p. 278.
Verbali citati ad
diem. Marx rimase assai impressionato della protesta di Wolff e
piú del fatto che la maggioranza del consiglio intendeva
dargli ragione. E si figurò che Mazzini, d'accordo con alcuni
membri del consiglio, complottasse per impadronirsi della direzione
dell'Internazionale. Scriveva infatti ad Engels, il 24 marzo 1866:
«Nella seduta del 6 marzo s'è svolta una scena già
bell'e preparata: apparve improvvisamente il maggiore Wolff in
persona e tenne un solenne discorso in nome suo e di Mazzini e della
Società italiana... Egli attaccò Jung e
(implicitamente) anche me, molto violentemente. Il vecchio mazziniano
di Odger, Howell, Cremer si fece avanti. Le Lubez aprí il
fuoco e, at all events, fu presa una risoluzione che piú
o meno conteneva un'ammenda onorevole per Mazzini, Wolff ecc. Come
vedi la cosa è seria». E piú oltre: «Sarebbe
un colpo abilissimo di Mazzini quello di lasciarmi portare avanti
l'associazione e poi appropriarsene. Con l'aiuto degli inglesi, egli
desiderava diventare il capo riconosciuto della democrazia
continentale, come se i signori inglesi avessero nominato a capi
noialtri!» «Si concluse che, ad ogni modo, martedí
(13) io mi sarei mostrato in Consiglio e avrei protestato... contro
quel modo d'agire. Io dovevo inoltre chiarire i rapporti di Mazzini
sia con la nostra associazione sia col partito continentale dei
lavoratori» (Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp.
301-3).
Verbali citati ad
diem. Orsini si pentí poi di avere cosí crudamente
attaccato Mazzini. E mandò a dire, nella seduta successiva,
che non s'interpretasse male quel che egli aveva detto, poiché
«nutriva il piú grande rispetto per Mazzini».
Siccome partiva in quei giorni per l'America, accettò
l'incarico di far propaganda internazionalista nei paesi che avrebbe
visitato e lasciò numerosi indirizzi di elementi socialisti
a lui noti, in Italia e altrove.
Raccomandato da Orsini.
Verbali del 20 marzo 1866.
La seduta del 20 giugno
fu quasi tutta dedicata a Mazzini e Garibaldi e a muover critiche al
loro atteggiamento. Uno dei consiglieri [il Dutton], dichiarò
che gli operai di tutti i paesi potevano raggiungere la loro
indipendenza sociale e politica pur senza combattere per il trionfo
del principio di nazionalità. Si finí col votare un
indirizzo agli operai europei, invitandoli ad unirsi per rovesciare i
tiranni ed esprimendo agli italiani in particolare la speranza che
essi avrebbero liberato la Venezia, senza lasciarsi trascinare in una
deplorevole alleanza con la Prussia.
Le prevenzioni di Marx
contro Mazzini erano in quel tempo cosí accentuate che quando
quest'ultimo ebbe a lanciare, nel 1866 stesso, la sua Alleanza
repubblicana, Marx non esitò a interpretarla come una manovra
contro l'Internazionale. Scrisse infatti all'Engels, 17 maggio 1866,
annunciandogli che «il signor Mazzini non ha avuto pace finché
non ha formato contro di noi un Comitato repubblicano internazionale»
(Briefwechsel ecc. cit., vol. III, pp. 320-21).
Giornale delle
Associazioni operaie», 6 maggio 1866. Di questa lettera si
trova cenno anche nei Verbali citati, 8 maggio 1866. Allo Stampa
rispose il Becker, rappresentante dell'Internazionale a Ginevra,
compiacendosi che gli operai italiani si fossero «uniti alla
salda società del raggiungimento dell'emancipazione economica
e politica» («Giornale delle Associazioni operaie»,
6 maggio 1866).
Verbali citati, 8 maggio
1866.
MAZZINI, SEI cit., vol.
XVII, p. 112.
Pubblicato dal NETTLAU,
Errico Malatesta ecc. cit., pp. 37 sg. È firmato da
Friscia, Gambuzzi, Fanelli, Mileti, De Luca, Caporusso, Dramis,
Piscopo, Ciminino, Calfapetra, Di Serio, De Martino, Manes-Rossi,
Mayer.
G. DOMANICO,
L'Internazionale cit., appendice.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit., p. 263.
Probabilmente si
riferisce alla «Libertà e Giustizia» il «programma
di un nuovo giornale, che uscirà presto a Napoli», del
quale parla Bakunin in una lettera a Herzen dell'8 aprile 1867 (M.
NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, p. 180). Marx scriveva
ad Engels, 4 settembre 1867: «Ho ricevuto da Napoli i due primi
numeri di un giornale: "Libertà e Giustizia"... Il
numero 2, che ti manderò, contiene un buon assalto contro
Mazzini. Credo che Bakounine c'entri per qualche cosa» (ID.,
Bibliographie de l'anarchie, Bruxelles 1897). Lo stesso
Nettlau (Errico Malatesta ecc. cit., p. 39) dà un
elenco di persone cui il giornale era inviato: oltre a vari
stranieri, lo ricevevano Garibaldi, Berti-Calura, Mazzoni, Ludmilla
Assing, Asproni, Alberto Mario, Stampa, ecc. Il giornale si spediva
gratis a richiesta e si sosteneva con oblazioni. Secondo Osvaldo
Gnocchi-Viani sarebbe stato soppresso dal governo («Révue
socialiste», Paris, 20 gennaio 1880). Benedetto Malon scrisse
che fu proprio la «Libertà e Giustizia» a «mettere
il movimento socialista italiano nelle mani di Bakunin»
(L'Internationale, in «Nouvelle Révue», 15
febbraio 1884, pp. 751 sg.). Nel che era qualche esagerazione.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit., pp. 240 sg.
Ibid.,
pp. 263 sg.
Lettre
aux citoyens ecc. cit., pp. 289 sg.
Oltre all'interesse per
il Congresso di Ginevra può aver contribuito ad allontanare
Bakunin dall'Italia una calunnia, che gli fu lanciata contro con
insistenza e che gli procurò non poche noie: quella di
fabbricare monete false. La calunnia era stata messa in giro da
alcuni giornali russi. In Italia, secondo Bakunin, venne diffusa dal
prefetto di Napoli (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit.,
pp. 254-58 e 267-73).
E. ZOCCOLI, L'anarchie
cit., p. 133. Lo Zoccoli non riporta la data di questo scritto.
G. MAZZINI,
L'Internazionale ecc. cit., pp. 111-12.
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale cit., p. 40; CESARINI, Requisitoria
pronunciata al processo di Firenze contro gli internazionalisti
(1875), in BOTTERO, Dibattimento nel processo per cospirazione
e internazionalismo innanzi alle Assise di Firenze, Roma 1875,
pp. 302-59.
Lo Stampa dichiarò
al congresso che vi erano in Italia «almeno seicento società
operaie rappresentanti piú di un milione di membri». Il
congresso verificò le cifre e trovò che il delegato
italiano «pel decoro dell'associazione potrebbe essere un po'
piú esatto» (T. MARTELLO, Storia della Internazionale
cit., p. 40 nota). Il numero delle società non era esagerato;
lo era bensí, e non di poco, quello dei soci.
Secondo il MARTELLO,
Storia della Internazionale cit., pp. 48-49, nella votazione
seguita alle proposte del belga, lo Stampa avrebbe votato a favore.
Briefwechsel
ecc. cit., vol. III, pp. 405 sg.
G. MAZZINI, SEI cit.,
vol. XV, pp. 6 sg.
J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 47-48.
Racconta la scena J.
GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, p. 54.
M. NETTLAU, Bakunin
und die Internationale ecc. cit., pp. 291-92.
RICHARDS, op. cit.,
III, p. 178. Lettera del 12 o 13 settembre 1867.
M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., p. 39.
Le società di
mutuo soccorso erano, nel 1867, 573 (Statistica del 1873 cit.,
passim). Le società operaie di mutuo soccorso di
Cremona, Perugia, Torino ricevettero una speciale menzione
all'Esposizione di Parigi per aver esercitato una lodevole influenza
sul benessere delle classi lavoratrici. La Società operaia di
Bologna vinse un premio bandito dalla locale Cassa di risparmio fra
le società meglio ordinate (RAvà, Storia delle
associazioni ecc. cit., p. 48; «L'Eco dell'Operaio»,
13 luglio 1867).
Con la collaborazione
del Fano, del Corbetta, del Cossa (RABBENO, p. 13).
Vennero
cosí sequestrati i numeri del 13 aprile e dell'8 giugno 1867.
Il motto del giornale era il seguente: «Pane e lavoro
all'operaio – Libertà – Associazione –
Libero pensiero».
Per tutto il 1867 le maestranze
operaie, gli artigiani e i contadini in moltissime località
dettero segni di inquietudine e trascesero a dimostrazioni e tumulti,
spesso gravi, in segno di protesta contro l'alto prezzo del pane.
Alcuni operai di Napoli
e di Bologna visitarono ad esempio, nel 1867, l'Esposizione di Parigi
(DE CESARE, op. cit., p. 132).
Lo Zenzero
primo», Firenze, 24 giugno 1867.
L'imposta sul macinato
venne presentata per la prima volta alla Camera da Quintino Sella, il
13 dicembre 1865. Colpendo modestamente l'universalità dei
cittadini, essa assicurava il piú largo gettito. Il Sella, che
ne conosceva tutta la gravità, la propose «non senza
esitanza e con grande rincrescimento» (Rendiconti del
Parlamento, Sessione del 1865-1866, vol. I, p. 344). Respinta,
ripresa da altri ministri, discussa appassionatamente sulla stampa
periodica e in pubblicazioni speciali, ripresentata piú volte
alle due Camere, essa procurò al Sella non poche amarezze.
L'onorevole Asproni, per esempio, nel giugno 1867, lo accusò
di essere un accanito nemico dei poveri. Al che ribatté il
Sella: «Certo è mio triste officio proporre balzelli.
Però li ho proposti e credo abbiano fatto molto male coloro
che li hanno respinti per l'odio di un nome, prima forse di averli
esaminati. Credo amar piú la classe povera, la classe che
soffre, proponendo imposte che valgano a migliorare le condizioni
economiche del paese, di quel che l'amino coloro che contro simili
proposte continuamente declamano».
Rendiconti del
Parlamento, Sessione del 1867, vol. VIII, p.
8966.
Ibid.,
vol. V, p. 5008.
Questo giornale usava
sempre un linguaggio molto violento contro le classi dirigenti. Il
numero del 26 gennaio 1868 fu sequestrato per un articolo, La fame
e la diplomazia, che – secondo la motivazione del sequestro
– conteneva «espressioni le quali costituiscono un voto
di distruzione dell'ordine monarchico costituzionale ed offesa alle
leggi dello Stato, non che provocazione alle varie classi sociali ed
alla rivolta». Cfr. il numero del 2 febbraio 1868.
Lo Zenzero primo»
era un «giornale politico popolare», fondato il 16 giugno
1867. Anticlericale, garibaldino, semisatirico.
Ecco un brano del suo
programma: «La costituzione ci dà mezzi sufficienti per
agitarci: noi vogliamo approfittarne. Purché il popolo voglia,
anche senz'armi può alzare la testa, far impallidire i
prepotenti della terra ed acquistare i suoi diritti legittimi».
La società fonda subito un giornale dello stesso nome,
dedicato esclusivamente agli operai («L'Avvenire dell'Operaio»,
2 febbraio 1868).
All'associazione
democratica Fede e Lavoro di Palermo (Lettere di G. Mazzini alle
società operaie ecc. cit., p. 58).
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit., p. 379, 31 marzo 1868. Queste sue
dichiarazioni pubbliche e private sono cosí esplicite che
possiamo togliere qualsiasi valore alle pretese rivelazioni
della «Unità cattolica», 21 marzo 1868, la quale
afferma che «molti fra i deputati di questo partito (la
Sinistra) vanno persuasi che la sanzione suprema, data all'imposta
del macinato, non possa che ridondare a vantaggio della repubblica, e
però s'astengono, non volendo approvarla, ma col vivo
desiderio ch'essa sia messa in attuazione. Si vuole da taluno che
Mazzini sia a Lugano, e che colà abbia avuti segreti colloqui
con parecchi dei suoi affigliati, ed anche, debbo dirlo?, con
Garibaldi, giuntovi in incognito da Caprera, e che l'apostolo di
Londra abbia date grandi speranze a tutti intorno a prossimi eventi».
Secondo il regolamento
sancito dalla Camera, che fu applicato nel 1869, ogni quintale di
grano doveva pagare 2 lire di tassa, 1 lira ogni quintale di
granturco e di segala, 1,20 ogni quintale di avena e 0,50 ogni
quintale di legumi secchi e castagne.
Lo sciopero viene
risolto rapidamente, dietro promessa del prefetto di sospendere
l'esazione della tassa («La Nazione», 4, 5 aprile 1868).
«L'Avvenire dell'Operaio», 4 aprile, scrive che esso fu
la «dolorosa espressione di un popolo spinto all'ultima prova
di pazienza... Si ricordi il governo che un popolo già troppo
angosciato dalla miseria, quando si ferisce ancora nella sua piccola
paga, diventa terribile. Basta una scintilla per dar fuoco ad un
incendio vastissimo, funestissimo». Il foglio vien sequestrato
per aver espresso concetti diretti ad eccitare gli operai alla
ribellione. Nel maggio gli operai che hanno capeggiato lo sciopero
vengono licenziati dal lavoro. I compagni fondano una Cassa di
soccorso per sussidiarli («L'Avvenire dell'Operaio», 30
maggio, 6 giugno 1868).
Termina con arresti e
scioglimento di associazioni politiche e operaie. Gli operai
promuovono una sottoscrizione per soccorrere gli arrestati.
Particolare interessante: fra le altre categorie, han dichiarato lo
sciopero anche i tipografi, eccettuati però quelli che
lavorano per il giornale democratico «L'Amico del Popolo»
(diretto da Francesco Pais-Serra), che viene additato in un pubblico
manifesto come «l'unica arma potente che ancora sia rimasta (al
popolo) per propria difesa». Cfr. «La Nazione», nei
giorni seguenti all'agitazione.
L'Avvenire
dell'Operaio», 12 gennaio 1868. Lo sciopero si verifica fra gli
operai lanieri, ai quali si vorrebbe imporre un ribasso di salario.
Lo Zenzero
primo», Firenze, 7 marzo 1868.
L'Italia»,
Firenze, 31 luglio 1868.
RAVÀ, Storia
delle associazioni ecc. cit., p. 44.
Un operaio tipografo di
Verona lancia la proposta di fondare una Federazione delle società
fra lavoranti tipografi. Nello stesso anno 1868 la Società di
mutuo soccorso fra i compositori tipografi, a Bologna, apre una
tipografia cooperativa, che negli anni seguenti darà ottimi
risultati. RAVÀ, Storia delle associazioni ecc. cit.,
pp. 58 sg.
BROCCHI,
L'organizzazione di resistenza in Italia, Macerata 1907, p.
XIX.
L'Unità
cristiana» (foglio democratico torinese) scrive il 16 maggio
1868: «La malattia che oggi travaglia il popolo italiano è
il malcontento. E da questo succedono scioperi e tumulti, tumulti e
scioperi, in una parola disperazione generale. La povera plebe,
quella che vive alla giornata, si vede tutti i giorni diminuire il
lavoro, e mancarle il pane». Se il governo e le classi
dominanti non trovano un rimedio «lanceranno l'Italia sopra una
via sdrucciola di agitazioni, di lotte funeste, di repressioni senza
fine».
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale cit., p. 51.
Friscia giunse a
Bruxelles troppo tardi per poter partecipare al Congresso.
Che tali relazioni
esistessero, prova una lettera dello stesso Dupont a un suo anonimo
corrispondente napoletano, 20 gennaio 1869: «Dal Congresso di
Bruxelles in poi non abbiamo ricevuto nessuna lettera dall'Italia. Il
che ci stupisce...» (M. NETTLAU, Bakunin
und die Internationale ecc. cit., p.
296).
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale cit., p. 51.
Il Bignami,
nato nel '47, dopo una breve parentesi di misticismo cristiano, era
passato al mazzinianismo; divenuto poi ufficiale garibaldino
(campagne del '66-67), aveva assorbito quello spirito materialistico
e quella indeterminata tendenza al socialismo, che parevano divisa di
molti seguaci di Garibaldi. I piú tra questi se ne
contentavano: Bignami volle farsi una cultura specifica e uscire
dall'ambito delle aspirazioni generiche e dell'umanitarismo di
maniera. Nacque «La Plebe», che è documento del
suo travaglio interiore. Questo giornale è oggi di
difficilissima consultazione; ritengo anzi che una collezione
completa non esista piú. La prima annata, che ho veduto, mi è
stata favorita dalla cortesia della vedova del fondatore, signora
Enrica Bignami.
Nel primo numero (4 luglio), i
redattori cosí espongono il loro pensiero: «Repubblicani,
noi non abbiamo fede che nella iniziativa del popolo; altra meta che
la sua sovranità. Lotteremo quindi ad oltranza contro tutte le
istituzioni che loro si oppongono, le fuorviano, ritardano.
Razionalisti, non ingiuriamo il nome di uomo alcuno; amiamo la
verità; ma non ammettiamo altri veri che quelli dimostrati
dalla ragione. Socialisti, parteggiamo però per quel
socialismo, che tende a livellare piú presto inalzando che
deprimendo. Nel motto tutti per uno e uno per tutti, sta per
noi la soluzione di tutti i problemi sociali». Linguaggio, come
si vede, assai misurato.
Quando,
nella «Plebe», si parla del proletariato, il tono non è
sostanzialmente diverso da quello usato dal «Dovere» o
dall'«Unità italiana». Sí che appare
davvero esagerato il sospetto grandissimo nel quale le Autorità
tennero il modesto settimanale lodigiano; gli si affibbiò una
nomea di rivoluzionario, di sovversivo assai poco corrispondente alla
realtà; ché una certa vivacità di linguaggio di
fronte alla monarchia non era nuova davvero negli annali della stampa
repubblicana. La motivazione del primo sequestro (14 luglio 1868)
s'iniziava cosí: «Ritenendo che il numero 4 del
periodico "La Plebe"... nel suo primo articolo intitolato:
La gratitudine monarchica e la plebe, contenga concetti e
frasi le quali suonano provocazione all'odio fra le varie condizioni
sociali...» Io non ho potuto vedere il numero incriminato; si
potrebbe ritenere che contenesse alcunché di profondamente
diverso da tutti gli altri numeri, se non ci illuminasse la
motivazione del sequestro successivo (8 settembre 1868), che fa
carico al giornale di aver stampato un articolo contenente un «aperto
invito alla insurrezione ed alla guerra civile». Si tratta
nientedimeno che del famoso scritto di G. MAZZINI, Ai giovani,
ricordi (1848), che era stato perfino ripubblicato tra le sue
opere! (SEI, vol. VI, pp. 331 sg.).
Il giornale fu a volta a volta
bisettimanale, settimanale, quotidiano (nel 1875-76) e si pubblicò
prima a Lodi, poi a Milano. Nella sua non breve vita (cessò le
pubblicazioni nel 1883) ebbe a subire un'ottantina di sequestri. Tra
i collaboratori dal 1868 al 1870 vanno ricordati P. Perla, R. Bezza,
F. Piccinini, Carlo Rossi. Nel 1872 iniziarono la loro collaborazione
Osvaldo Gnocchi-Viani e Benedetto Malon.
L'Internazionale ecc.
cit., pp. 144 sg.
Del Congresso di
Bruxelles dette l'annuncio e qualche resoconto, in Italia,
«L'Avvenire dell'Operaio» di Torino, 11 luglio, 19
settembre, 31 ottobre 1868.
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 19. Mazzini, tutto preso dalle cure
politiche, intuiva a volte che il suo disinteressamento dal movimento
operaio italiano poteva portare a dolorose conseguenze; avrebbe
voluto rompere il silenzio, ma non ignorava che il suo nome era ormai
segnacolo di discordia tra gli operai. «Pensai al come
dell'appello alle società operaie – scriveva al
Giannelli il 28 dicembre 1868. – Vorrei essere io centro; ma
ciò forse allontanerebbe delle società» (Lettere
di G. Mazzini ad A. Giannelli cit.).
M. DE
PRÉAUDEAU, M. Bakounine, le
collectivisme dans l'Internationale,
Paris 1911, pp. 126 sg.
Il programma della
rivoluzione, discorsi al Congresso di Berna, in La Comune
e lo Stato, 1a ed. italiana, Milano 1912, pp. 51
sg.
J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 132 sg.
Fanelli era partito per
un giro di propaganda alleanzista in Ispagna. Cfr.
M. NETTLAU, M. Bakunin, la Internacional
y la Alianza en España (1868-1873),
Buenos Aires 1925.
Mazzini stupirà
poi di trovarlo socialista!
Il 7
novembre, per esempio, gli scriveva: «... Studia bene il
regolamento, sia quello intimo che quello ostensibile, e non te ne
allontanare, ti prego. Si tratta di una cosa seria... Costituite un
ufficio a Napoli, composto di te, di Saverio e di Raffaele, se
Atanasio preferisce restare in una vergognosa passività.
Organizzate i gruppi provinciali... L'assenza di Beppe sotto questo
rapporto è fatale. Ma tu devi supplirlo con la tua energia e
attività...» (M.
NETTLAU, Bakunin und
die Internationale
ecc.
cit., pagine 293-94).
Il 12 dicembre cosí
scriveva a Gambuzzi il segretario dell'ufficio centrale dell'Alleanza
(stabilito a Ginevra): «Noi speriamo che non tarderete e
fondare in tutte le città d'Italia nelle quali sarà
possibile degli uffici provinciali dell'Alleanza, e vi preghiamo
soprattutto di non dimenticare che la nostra Alleanza non sarà
veramente utile altro che quando sarà realmente fusa
nell'Associazione internazionale dei lavoratori; che di conseguenza
il suo scopo principale, la sua ragion d'essere, per cosí
dire, è di propagare e di diffondere ogni dove questa grande e
salutare associazione...» (ibid., pp. 294-95).
Gambuzzi e Tucci promisero di
collaborare per l'Italia al nuovo giornale «L'Egalité»,
che si fondava a Ginevra, portavoce di Bakunin. Sulle sue colonne
troviamo infatti frequenti notizie sullo sviluppo del socialismo in
Italia. Cfr. numeri del 20 e 27 febbraio 1869, del 13 marzo, del 3,
10 e 17 luglio.
In un diario
manoscritto, che si conserva nella Biblioteca di Forlí, cui un
anonimo pavido conservatore, tutt'altro che propenso a esagerare le
tristi condizioni del proletariato, confidava le sue impressioni e i
suoi timori, si leggono, per il 1871, e precisamente a dí 22
giugno, le seguenti notizie: «Oggi stesso vari mietitori venuti
per trovar lavoro dalla montagna, non hanno trovato come occuparsi, e
i piú si sono contentati di prendere centesimi 20, cioè
4 soldi al giorno! prezzo che non s'era mai fatto...» E a dí
24 giugno: «Il maggior prezzo a cui siano salite le opere per
mietere in questi giorni è di centesimi 60, cioè 12
soldi al giorno»; l'epoca della mietitura era l'epoca grassa
per i braccianti; l'epoca nella quale i proprietari, costretti a far
molto in poco tempo, largheggiavano. Queste notizie si riferiscono al
1871, è vero, ma niente fa supporre che le cose andassero
meglio negli anni immediatamente precedenti: tutt'altro.
Venne letto alla Camera
nella seduta del 21 gennaio 1869.
Cfr. «La Nazione»,
gennaio 1869.
Ibid., 4 gennaio
1869.
Ibid., 5 gennaio 1869.
Il foglio è
conservato nella Raccolta di Achille Bertarelli, Milano (ora
donata al locale Museo del Risorgimento), al quale, per la cortesia
dimostratami mettendo a mia disposizione l'ingente materiale
magistralmente ordinato, esprimo qui tutta la mia gratitudine.
La Perseveranza»,
7 gennaio 1869.
Ibid., 9 gennaio
1869.
Ibid., dall'8 al
19 gennaio.
Ibid.
La Nazione»,
dall'8 al 19 gennaio.
Dal rapporto del
prefetto di Bologna al ministro dell'Interno, 18 gennaio 1869, ibid.,
23 gennaio 1869.
La Nazione»,
dall'8 al 19 gennaio.
Patriotti e soldati
del Risorgimento. Note storiche e aneddotiche, Reggio Emilia
1915. Ristampato, con qualche variante, col titolo:
Aspromonte-Mentana e le bande repubblicane in Italia nella
primavera del 1870, Milano 1923. Nel libro non son citate le date
precise di questi episodi.
Aspromonte-Mentana
ecc. cit., p. 140.
Cfr. anche «Il
Monitore di Bologna», 16, 17 febbraio 1869.
Mauro Macchi, per
esempio, nel suo Almanacco istorico per il 1870 (pp. 18, 19),
cita la banda emiliana per dimostrare il progresso compiuto dalle
idee repubblicane in Italia.
Relazione della
Commissione d'inchiesta sui casi dell'Emilia pel macinato, in «Il
Monitore di Bologna», 20 settembre 1869.
L'Ancora»,
Bologna, 16 gennaio 1869.
Il Monitore di
Bologna», 20 settembre 1869.
Rendiconti cit.,
pp. 8953-54.
Il prefetto di Parma nel
suo Rapporto al generale Cadorna, 7 gennaio 1869 («La
Nazione», 24 gennaio), scrive: «Noto il fatto, nuovo per
questi tempi, del levarsi in massa, dell'affratellarsi in bande, del
muoversi concertati, del percorrere lungo cammino onde trovarsi a
determinata mèta. Noto questo fatto specialmente perché
s'è compiuto con insolita rapidità e, ciò che
piú monta, si è organizzato senza lasciarsi accorgere».
Acutamente lo stesso
prefetto di Parma fa notare come i contadini della sua provincia
fossero blanditi e tenuti buoni dal cessato governo, costretto a
lottare con la classe intelligente e tenuti a freno dai parroci,
allora conservatori. Questi ultimi, dopo il '60, a tutto hanno
pensato fuor che a calmarli e a inculcare la rassegnata osservanza
delle leggi.
Dal Rapporto del
prefetto di Reggio Emilia al ministero dell'Interno, 10 gennaio
1869; «La Nazione», 26 gennaio.
La Gazzetta
dell'Emilia», 12 gennaio 1869.
Non mi sono diffuso a
parlare di questa rivolta, poiché la si deve considerare come
un vero e proprio tentativo di restaurazione borbonica o di
autonomismo, malamente truccato coi colori della rivolta sociale.
Il Corriere
italiano» di Firenze, in un articoletto che ha l'aria di un
comunicato ufficioso afferma, il 4 gennaio, che il governo ha
acquistato la prova essere le agitazioni opera del partito
repubblicano.
Il PETRUCCELLI DELLA GATTINA, Storia
d'Italia dal 1866 al 1880, Napoli 1882, p. 54, parlando dei
repubblicani, scrive: «Si provocarono i contadini ad insorgere
contro la tassa del macinato in alcune province».
Rapporto del prefetto
di Reggio ecc. cit.
Eccone un campione («Il
Presente», Parma, 3 gennaio 1869): «E qual legge potevano
proporre piú ingiusta, piú iniqua, piú contraria
allo Statuto?... Cambray-Digny e i suoi consorti la proposero, la
votarono perché su di essi non fassi sentire. Non di pane solo
essi vivono; è il povero popolo, il proletariato, il contadino
cui restano pochi soldi per sfamarsi, che di solo pane vive, che
quindi la maggior parte della tassa deve pagare. Chi meno possiede
paghi di piú!... Ma che importa se ridestansi tumulti? abbiamo
soldati, abbiamo cavalli, cannoni, baionette; se non volete morir
di fame morirete di piombo... Tutto questo mentre ferve in piazza
la rivolta, mentre le masse contadine percorrono imponenti e
furibonde la provincia».
Aspromonte-Mentana
ecc. cit., p. 139.
Il fatto che i moti non
si sono estesi alle città basterebbe di per sé, com'è
evidente, a escludere ogni partecipazione del partito repubblicano.
Cfr. il discorso
dell'onorevole Donati alla Camera, 25 gennaio 1869; Rendiconti
cit., p. 8970.
21 gennaio 1869.
Seduta del 21 gennaio
1869, Rendiconti cit., p. 8845.
Scrive «L'Ancora»,
Bologna, 30 gennaio 1869, in un articolo intitolato La paura del
socialismo alla Camera dei deputati: «L'onorevole
Torrigiani ha ben ragione di essere spaventato di questo nuovo
sintomo; che alla fine contro le masse furibonde e sospinte dalla
disperazione e dalla fame, mal reggono le baionette ed i cannoni...
Un gelido orrore invade le ossa alla parola socialismo: ma quale
provvedimento hanno preso o vanno prendendo i rigeneratori d'Italia
per salvarla da questa catastrofe?» Di chi la colpa? di voi
«che dieci anni sono non facevate che aizzare quelle masse
medesime contro il papa e tutti gli altri sovrani d'Italia; voi che
chiamavate sante le rivoluzioni, le disobbedienze alle leggi».
Inutile sperare di poter ristabilire il principio d'autorità:
«Sforzi inutili! Voi avete gettato le basi del piú
spaventevole socialismo e le avete gittate confiscando le proprietà
della Chiesa, le proprietà dei poveri, asciugando senza
misericordia le tasche dei contribuenti... O governanti! ritirate le
leggi, che faceste a danno della Chiesa, della santità
del matrimonio; rimettete in onore quella religione che finora
insultaste... Allora, ma allora solo, non tremerete piú del
socialismo».
Nel '69 Bakunin era
fuori d'Italia; non poté quindi rendersi conto di tante
circostanze che rendono inesatta la qualifica «affatto
spontaneo». Del resto egli era sempre felice quando poteva
dimostrare essere le masse agricole all'avanguardia della
rivoluzione.
Lettres
à un français ecc. cit.
Interessante la lettera
di un amico della «Nazione», che, dopo aver descritto i
tumulti nella provincia di Parma, prorompe in disperate domande: «A
che gli asili d'infanzia; a che tante scuole; a che le case di
lavoro; a che tanto benefizio versato sulla classe operaia? La nostra
generazione ha lavorato assai, ha speso non poco a pro' dei figli del
popolo; ma quale frutto di riconoscenza e d'amore?» («La
Nazione», 11 gennaio 1869).
Statistica del 1873
cit.; e «L'Avvenire dell'Operaio», Torino, 5, 12, 19
gennaio 1868.
BESSO, La previdenza
sociale nel Risorgimento, in Cinquant'anni di vita italiana
cit., pp. 1-34.
E. FANO, Della carità
preventiva ecc. cit., p. 177.
Composta di P. Rotondi,
F. Manfredi, A. Pestalozza, G. Sacchi, F. Restelli e Cesare Cantú.
E. MARTUSCELLI, Le
società di mutuo soccorso ecc. cit., pp. IV-V.
Ibid.,
p. III.
Importante lo sciopero
degli arsenalotti di Napoli, nel dicembre, promosso dalla locale
sezione dell'Internazionale. Ma di ciò cfr. piú oltre.
REVEL, Il libro
dell'operaio cit., p. 43; FRANCESCHI, op. cit., p. 13.
L'Avvenire
dell'Operaio», 27 giugno 1868.
Garibaldi, informato del
radunarsi del congresso, inviò una letterina di plauso e di
incoraggiamento, definendo i tipografi «campioni della dignità
umana». Giosuè Carducci, che partecipava al congresso in
rappresentanza dei tipografi senesi, rispose: «Congresso
tipografico italiano, adunato a Bologna, accoglie fra plausi vostra
lettera, superbo che lo spirito del capitano della libertà
aleggi in adunanza degli operai del progresso». T. BRUNO, La
Federazione del libro ecc. cit., pp. 17, 216;
Unione nazionale ecc. cit. Il III Congresso si riuní a
Napoli nel 1871, ma, come in quello successivo del 1872 a Venezia,
non vi si poté discutere della federazione, per la opposizione
dei proprietari tipografi, che vi partecipavano. La classe
tipografica poté realizzare la sua aspirazione solo in un
convegno tenuto a Roma nel dicembre 1872.
E. FANO, Della carità
preventiva ecc. cit., p. 638.
VIGANò, Il
movimento cooperativo ecc. cit., p. 33.
Origini, vicende ecc.
cit., p. 257.
RABBENO, Le Società
cooperative di produzione cit., pp. 280-304. Su cinquantadue
cooperative di produzione esistenti nel 1888, esaminate dal Rabbeno
solo una ventina, le piú vecchie, contavano da quattro a
quindici anni di vita; tutte cioè, salvo quella già
nominata di Altare, erano posteriori al 1873.
VIGANÒ, Il
movimento cooperativo ecc. cit., p. 34.
de CESARE, op. cit.,
p. 60.
Della sua esiguità
dava testimonianza autorevole il ministro delle Finanze che
accennando alla Camera, nella seduta del 25 marzo 1868, alle
condizioni degli operai, uscí in queste parole: «... in
Italia vi sono circa cinque milioni di operai manuali, e, valutando
la mano d'opera in media a una lira al giorno, che è una cifra
molto bassa e inferiore al vero...» Tuttavia assumeva quella
media a base dei suoi calcoli («La Nazione», 31 marzo
1868).
Nel dettaglio: operai
addetti ai trasporti di terra: 1,14; ai lavori in muratura: 1,14;
alle miniere: 1,22; alle costruzioni navali mercantili: 1,25; alla
lavorazione della seta: 1,10; del cotone: 1,23; della lana: 1,05;
della canapa e del lino: 1,15; calzolai: 1,14; fabbri: 1,25;
falegnami: 1,25. Da una Relazione sulla circolazione cartacea
stesa da A. ROMANELLI e presentata alla Camera il 15 marzo 1875.
Media grossolana
dell'aumento dei salari, che ricavo dai dati raccolti.
È interessante
una lettera scritta da un calzolaio alla «Nazione», 11
gennaio 1869. Egli vuol dimostrare quanto grave sia per lui il nuovo
balzello sul macinato: «Io guadagno di ragguagliato 2 franchi
al giorno, ho otto figli minori d'età, e consumo al giorno 18
libbre di pane (perché altro non ci entra). Riviene in un mese
libbre 940. Ora con l'aumento dato al dazio consumi e al macinato,
pago e mi rincara 2 centesimi la libbra – in un mese sono lire
10,80 – in un anno vengono franchi 129,60; come volete che
poveri come me, si possa pagare la tassa?»
Le camere di commercio,
nelle deposizioni rese in occasione dell'Inchiesta industriale,
affermarono tutte che i salari erano «modici»,
«limitati», «bassi».
La polizia ecc.
cit., p. 398.
I partiti anarchici
cit., pp. 35-36.
L'articolo è
riportato dalla «Giovine Friuli», Udine, 28 marzo 1869.
Prosegue, dichiarando che il «sistema mazziniano non contiene
una parola sui grandi problemi sociali: esso invece rigetta come un
pericolo, come un ostacolo i diritti del proletariato, la cui
semplice discussione si rinvia ai secoli avvenire. Perciò, in
breve, la grande repubblica mazziniana non differisce dal
regno costituzionale che per l'assenza del re... Giuseppe
Mazzini ed il suo programma hanno compiuto l'opera loro».
«L'Italia nuova» non risparmia neppure Garibaldi:
«L'istoria dirà di lui che, nato dal popolo, nol
comprese, né pugnò per lui; visse di vita immensamente
gloriosa, ma fatua, morí consunto dalla tabe dei partiti:
l'incapacità e l'utopia».
Lettera citata di
Eugenio Dupont. Segretario per l'Italia nel Consiglio
dell'Internazionale era allora un francese, certo Jules Johannard. M.
NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., II, nota 1764, e Bakunin
und die Internationale ecc. cit., p. 296.
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale cit., p. 92.
Fra le
carte di Engels, che ho potuto consultate a Berlino, ho trovato una
Relazione sulla sezione napoletana
dell'Associazione internazionale dei lavoratori,
completamente inedita, che fu compilata da CARMELO PALLADINO per il
Consiglio generale, in data 13 novembre 1871. Questa Relazione cosí
accenna alla fondazione della sezione: «Lo stato della classe
operaia napoletana era deplorevolissimo. La sua indole, per quanto
viva e capace di grandi propositi, per tanto inchinevole a una specie
di noncuranza ed oblio di se stesso; gli innumerevoli disinganni
sofferti ogni volta che per compiersi un politico rivolgimento si
faceva appello al suo braccio, con le piú larghe ed eccitanti
promesse tradite poscia infamemente il dí del conseguito
trionfo; il sorgere e sparire di numerose associazioni operaie, che
nate rachitiche, finivano nella dilapidazione dei fondi e nella
camorra, e mille e mille altre ragioni, che sarebbe lungo noverare,
avevano gettato l'operaio napoletano in una completa e disperata
atonia. Spettava all'Internazionale il richiamarlo in vita, e
ridestarne la sopita attività. Di fatti: fondata in gennaio
1869 la sezione napoletana della vastissima associazione... assunse
in breve insperate proporzioni».
Il processo verbale della seduta
costitutiva è pubblicato in «Egalité»,
Ginevra, 27 febbraio 1869. Cfr. anche «Il Monitore di Bologna»,
11settebre 1871. Il Caporusso si occupava da anni del movimento
operaio. Nel 1865, presidente della Associazione umanitaria degli
operai di Napoli, aveva diretto un indirizzo all'esule
Mazzini, assicurandolo che «il popolo sta con voi»
(«L'Unità italiana», 26 marzo 1865). Nella citata
Relazione si trova che egli «si era guadagnato le
simpatie della classe operaia, che scorgeva in lui un intrepido
campione dei suoi diritti», mercè la «opposizione
da lui fatta alle mire poliziesche del presidente della Società
centrale operaia di Napoli, ispirata, protetta e soccorsa
pecuniariamente dal governo». Vicepresidente della sezione
napoletana era il falegname Tucci, segretario il falegname Cirma.
Il numero di
milleduecento è evidentemente esagerato. Nel rapporto
ufficiale presentato al Congresso di Basilea (settembre), si
annunciava che seicento operai erano già iscritti alla sezione
di Napoli.
MARIUS,
L'Internazionale, dedicato all'operaio italiano, Roma 1871,
pp. 98, 99. Cfr. anche «L'Egalité», 22 maggio
1869.
M. NETTLAU, Michael
Bakunin ecc. cit., II, p. 419.
Questa faccenda
dell'Alleanza, disciolta, ma che seguita a funzionare segretamente, è
molto imbrogliata. Bakunin negò sempre che si fosse costituita
un'Alleanza segreta; solo ammise (quando scoppiò il dissidio
tra lui e Marx) che l'Ufficio centrale dell'Alleanza, a Ginevra,
aveva tenuto delle riunioni segrete anche dopo la fusione con
l'Internazionale per non compromettere alcuni suoi membri italiani e
francesi i quali, facendo una propaganda sovversiva, rischiavano di
venir perseguitati (Rapport sur l'Alliance [1871], in Œuvres
cit., t. VI, pp. 186-89). Marx cercò invece di dimostrare, al
Congresso dell'Internazionale tenutosi all'Aja nel 1872, l'esistenza
di un'Alleanza segreta. Secondo i documenti da lui raccolti
(L'Alleanza della Democrazia socialista e l'Associazione
internazionale dei lavoratori, Roma 1901), ne avrebbero fatto
parte: Fratelli internazionali (ossia lo stato maggiore
rivoluzionario di tutta l'Europa); Fratelli nazionali (lo stato
maggiore in ogni nazione); membri locali dei gruppi dell'Alleanza.
Tutti insieme essi avrebbero avuto il compito di formare «un
reticolato invisibile di rivoluzionari devoti». Nessuno ha mai
impugnato seriamente l'autenticità dei documenti che Marx
presentò all'Aja per aver modo di espellere Bakunin e i suoi
dall'Internazionale; e le smentite del russo sono poco probanti
perché ci resta sempre il dubbio, piú che fondato, che
egli si credesse legato dai vincoli della società segreta a
non rivelarne l'esistenza. Si può dunque tenere per certo che
i membri della disciolta Fratellanza, ossia gli amici personali di
Bakunin, iscrivendosi nell'Internazionale, serbarono i loro vincoli
segreti, formando – agli occhi del russo – una vera e
propria avanguardia rivoluzionaria in tutta Europa.
Tra le liste della
sezione ginevrina dell'Alleanza, si trovano alcuni nomi di membri
italiani. Sono: Fanelli, Gambuzzi, Friscia, Calogero Cienio,
siciliano, Caporusso, Luigi Chiapparo, impiegato municipale a Napoli,
Mileti, Dramis, Giuseppe Tivoli, Palladino, avvocato napoletano,
Giuseppe Bramante, studente napoletano, Tucci, Zamperini e Rossetti,
questi ultimi due viventi a Ginevra. M. NETTLAU,
Bakunin und die Internationale ecc.
cit., p. 293. Lo stesso Nettlau riporta altrove (Michael
Bakunin ecc. cit., II, pp. 307 sg.) un'altra lista, del luglio
1869, che contiene oltre a questi i nomi di Paolo Sanguinetti e
Francesco Bernasconi. Altri nomi di amici italiani di Bakunin
troviamo in una sua lettera a J. Guillaume, nella quale egli
suggerisce di mandare «Le Progrès», giornale
alleanzista di Locle, al deputato Orilla, a Berti-Calura, a
Giuseppe Mazzoni, a P. G. Molmenti, redattore del «Tribuno del
Popolo», Bologna, che si sarebbero probabilmente abbonati. J.
GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit.
Molto interessante è
la discussione svoltasi sul problema del diritto di eredità;
essa risente dell'urto fra due tendenze opposte: quella che fa capo a
Marx, il quale sostiene essere tale diritto inerente all'attuale
costituzione della società, esser quindi vano il proporne
l'abolizione immediata: scomparirà automaticamente nel crollo
della società borghese; l'altra, che fa capo a Bakunin, il
quale vorrebbe s'iniziasse senz'altro una campagna per l'abolizione
del diritto di eredità. I congressisti rimasero incerti fra le
due tendenze e rimandarono ogni conclusione all'anno di poi.
Verhandlungen
des IV. Kongresses des Internationalen Arbeiterbundes in Basel,
Basel 1869, pp. 30-31.
Ibid., p. 65.
Bollettino
operaio» contenuto nel primo numero dell'«Eguaglianza»,
citato da MICHELS, Proletariato e borghesia nel movimento
socialista italiano, Torino 1908, p. 24. Questa curiosa
statistica si legge nei Verhandlungen ecc. cit., p. 65,
ma con qualche variazione: 150000 lazzaroni, 100000 speculatori,
150000 usurai e bottegai; 200000 vittime di questi usurai.
Verhandlungen
ecc. cit., p. 65.
Verhandlungen
ecc. cit.
L'Internazionale.
Cenno storico cit.
Forse errore per
Basilea?
Quadrio.
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit., pp. 417 sg. Il Giannelli cosí
postilla la lettera: «Non potemmo catechizzarlo... perché
non passò da Lugano». Secondo la Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit., il Congresso di Basilea
dette alla testa a Caporusso: «Poiché invece di
attingervi ferma convinzione, che nell'ordinamento internazionale non
vi ha chi comanda e chi serve... se ne ritornò con certe
strane idee, e pretese del tutto opposte ai principî della
nostra associazione. Quindi cominciò... a spacciar poteri, che
non aveva...; a dire che il Consiglio generale in lui unicamente
aveva fiducia, e che avevagli dato facoltà, ove la sezione non
procedesse secondo i suoi voleri, di scioglierla e ricomporne una
nuova, e mille altre stramberie».
Di MICHELANGELO STATUTI
resta un curioso volume: La soluzione del problema sociale in
rapporto all'Internazionale ed ai moderni socialisti, Napoli
1871, nel quale l'autore rompe una lancia in pro' dell'emancipazione
della classe operaia, pur dichiarandosi convinto della necessità
di rispettare le basi fondamentali della attuale costituzione
sociale. Di lui, un ex prete, parla Carlo Cafiero in una lettera a
Engels, da Napoli, 12 luglio 1871, nella quale racconta che il
Caporusso lo aveva costituito «professore dell'Associazione
[operaia]... ed i poveri operai erano condannati a dovere apprendere
dalla bocca di questo impostore il rispetto della proprietà
individuale, e tante altre auree teoriche della pretesa economia
politica». La lettera si conserva nel già citato
Archivio del partito socialdemocratico, a Berlino.
Nel
dicembre, tuttavia, «L'Eguaglianza» promuove uno sciopero
degli arsenalotti.
Tolgo queste notizie
sull'«Eguaglianza» dal volume citato di MICHELS,
Proletariato e borghesia, pp. 30-32. Io non sono riuscito a
trovar copia di questo giornale, che cessò le pubblicazioni
nel febbraio 1870. Il NETTLAU (Bakunin und die Internationale ecc.
cit., p. 297) ne ha veduti alcuni numeri che dichiara di nessuna
importanza.
Il MAINERI, Le stragi
di Parigi ecc. cit., vol. III, pp. 39-42, cita alcuni articoli
comparsi nel 1869-70 su un giornale «L'Uguaglianza». Non
si tratta di quella di Napoli. Forse è «L'Uguaglianza»
di Girgenti (diretta dall'avvocato Riggio), del quale non conosco la
data di fondazione. Ecco un cenno su tre di questi articoli.
12 giugno 1869.
Articolo su l'eredità, che è definita «la catena
della schiavitú dei popoli». Essa è la «fonte
di querele, di litigi, è la California dei tribunali, la
rovina delle famiglie e degli individui. A ben esaminarla, si vede
tosto il brutto mostro dell'egoismo essere figlio carnale di lei».
27 novembre 1869. Articolo
sull'assesto postrivoluzionario. È ispirato alla dottrina di
Bakunin: gli odierni borghesi lavoreranno nella nuova società
come tutti gli altri cittadini. In caso d'incapacità al
lavoro, caso facilissimo, «non avendo essi appreso a servirsi
delle loro dieci dita, eh via!... rilasceremo loro polizzini per la
zuppa».
23 gennaio 1870. Articolo
inneggiante all'Internazionale.
Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit.
Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit.
L'episodio è
narrato da Andrea Giannelli, nella lettera già citata al
Nettlau (Michael Bakunin ecc. cit., II, p. 380). Bakunin
scriveva a Ogarëv, il 7 gennaio 1870: «Sembra che il
vecchio [Mazzini] sia di nuovo a Lugano... Si capisce, che io ai suoi
occhi sono un eretico pericoloso, che ha fatto molto male
all'Italia...» Ibid., p. 380.
Ibid., p. 382. Il
22 aprile 1870, trovandosi a Milano, Bakunin scriveva a Bellerio:
«... bisognerà che faccia visita a Quadrio e alla
"Unità"» (ibid., III, p. 624).
Verbali del Consiglio
Generale citati: M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit.,
p. 47.
Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit.
Una di queste carte,
secondo la Relazione sulla sezione napoletana ecc.
cit., «rivelava francamente alle classi laboriose chi erano i
loro mortali nemici, e dal guardia-campestre e dal sindaco, fino al
primo ministro ed al re faceva solo una filza. Allora la magistratura
credette aver trovato quanto le occorreva per sterminare
l'Internazionale; la stampa salariata diede fiato alle sue trombe...»
Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit. Altra causa di decadenza furono i
dissensi interni che vi si manifestarono. Il Caporusso, accusato di
appropriazione indebita e calunnia, venne espulso. A capo della
sezione rimase il Tucci, il quale si lasciò persuadere dal
prefetto a esercitare pressione sui compagni perché
ripudiassero l'adesione all'Internazionale. Restano due interessanti
lettere del prefetto, d'Afflitto, il quale – convinto di servir
la causa dell'ordine – si adoperò per ottenere un nuovo
locale per la società, che n'era rimasta priva. E si rivolse
all'uopo alle autorità cittadine. La prima lettera è
del 2 aprile 1870: «La S. V. saprà certamente che da
qualche anno era costituita in questa città la cosidetta
Associazione internazionale degli operai, la quale, presieduta da
Stefano Caporusso, ed influenzata da persone di dubbia fede politica,
minacciava di divenire uno strumento potente in mano agli agitatori
politici per turbare l'ordine pubblico e creare imbarazzi al governo.
Saprà pure, che avendo i capi della medesima nel febbraio
ultimo provocato uno sciopero di operai pellettieri, furono arrestati
e processati. Avviene ora che gli operai associati, i quali, in
sostanza, sono alieni dalle cose politiche, avendo compreso e
riprovato gli intendimenti sovversivi del Caporusso, abbiano
deliberato di deporlo dalla presidenza, e di ricostituire
l'associazione, modificandone gli statuti, e limitandola al solo
scopo di mutuo soccorso... Ed è perciò che io mi
rivolgo alla S. V., pregandola di conceder l'uso di qualche sala...»
La seconda del 5 maggio, nella quale prega di concedere il refettorio
dell'ex convento di San Severo «alla detta associazione e per
essa all'artigiano Cristiano Tucci, che la rappresenta, e che mira a
riformarla, riportandola a sani propositi... Mi auguro che Ella
voglia accogliere la mia preghiera... penetrandosi dell'altissimo
interesse che ho, onde il Tucci sia accontentato». Ottenuto
cosí per interposizione prefettizia il locale, gli
internazionalisti – nient'affatto disposti a rinunciare alle
loro idee – guidati dal Gambuzzi, smascherarono il Tucci che,
con grave delusione dell'autorità, fu costretto a lasciare
l'associazione; e la sezione «potette riprendere il penoso
lavoro della sua organizzazione» (Relazione sulla sezione
napoletana ecc. cit.).
Il Monitore di
Bologna», 11 settembre 1871.
MARIUS,
L'Internazionale ecc. cit., pp. 98 sg.
Verbali citati.
Lettera di Bakunin a
Joukovski, 5 maggio 1870 (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc.
cit., II, p. 421).
ID.,
Bakunin und die Internationale ecc.
cit., p. 300.
Di una sezione
dell'Internazionale ad Abbiategrasso in quegli anni non ho trovato
nessuna notizia.
M.
NETTLAU, Bakunin und die Internationale
ecc. cit., p. 300.
Lettera di Gambuzzi, 30
maggio 1870. Ibid.,
p. 299.
M.
NETTLAU, Michael Bakunin ecc.
cit., II, p. 421.
M. DRAGOMANOV,
Correspondance ecc. cit.
Albert
Richard, in «Revue de Paris», settembre 1896. Bakunin
«contava molto – scrive il Richard – sugli italiani
che gli presentavano come tesa la situazione del loro paese».
M. NETTLAU, Michael
Bakunin ecc. cit., II, p. 421.
Ibid., p. 301.
L'Unità
italiana», 27 ottobre 1870.
MAINERI, Le stragi di
Parigi ecc. cit., vol. III, pp. 10-11. Sulle riviste si comincia
a parlare dell'Internazionale. ITALO ACCARINI stampa nella «Rivista
europea», 1° ottobre 1870, un articolo su L'Associazione
internazionale operaia, nella quale critica le tendenze prevalse
negli ultimi congressi, si dichiara contrario agli scioperi e addita
la via della cooperazione come l'unica che può condurre a un
progressivo e pacifico scioglimento della questione sociale.
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 39.
L'Unità
italiana», settembre 1870.
Statistica del 1870.
RAVà, Storia
delle associazioni ecc. cit., p. 44.
Ibid.,
p. 45.
Ann.
Stat. it.», 1895, pp. 489 sg. Siamo in periodo di
reazione; il governo è deciso a non tollerare piú oltre
le manifestazioni piú clamorose della resistenza e della
volontà di emancipazione degli operai – e, come ha
arrestato i capi dell'Internazionale a Napoli, cosí, nel
dicembre, fa arrestare il presidente della Società tra i
filatori in seta, perché responsabile di uno sciopero
proclamato dai suoi organizzati; lo sottopone a processo, lo fa
condannare a tre mesi di carcere; la Corte di appello riduce poi la
pena a quindici giorni («L'Unità italiana»,
dicembre 1870).
MAURO MACCHI, Almanacco
istorico per il 1870; «L'Unità italiana»,
nell'agosto 1870.
La Comune vuole «la
terra al contadino, l'utensile all'operaio, il lavoro per tutti. Non
piú ricchi e poveri» (Manifesto ai lavoratori delle
campagne). Vuole anche «l'autonomia assoluta della Comune
estesa a tutte le località della Francia»; non piú
«centralizzazione dispotica, inintelligente, arbitraria e
onerosa»; vuole assicurare a ogni francese «il pieno
esercizio delle sue facoltà e delle sue attitudini come uomo
cittadino e lavoratore» (Dichiarazione al popolo francese,
19 aprile 1871). Questo in teoria. In pratica, i provvedimenti piú
audaci presi dalla Comune furono i seguenti: abolizione della
coscrizione – condono provvisorio degli affitti –
espropriazione degli opifici abbandonati, previo indennizzo ai
proprietari – determinazione del massimo degli stipendi in
seimila franchi annui – restituzione gratuita dei pegni
depositati al Monte di pietà fino a un valore di venticinque
franchi.
Il 29 febbraio 1871, per
iniziativa di Mazzini, si fonda a Roma «La Roma del Popolo»,
«pubblicazione settimanale di filosofia religiosa, politica,
letteratura». La dirige Giuseppe Petroni con l'aiuto di Ernesto
Nathan; vi collaborano, tra gli altri, Campanella, Lemmi, Pantano,
Quadrio, Saffi, Tuveri, Bresca. Dalle colonne di questo giornale, che
morirà con lui (ultimo numero il 21 marzo 1872), Mazzini
combatte le sue ultime battaglie contro la Comune di Parigi e
l'Associazione internazionale.
Il Comune di Francia,
in «La Roma del popolo», 26 aprile 1871 (SEI, vol. XVII,
pp. 9-10). L'articolo comparve anche in estratto sotto il titolo di
La Roma del popolo agli operai.
Sul manifesto del
Comune di Parigi, in «La Roma del Popolo», 3 maggio
1871 (SEI, vol. XVII, p. 13).
Ibid., pp. 13-14.
Il Comune e
l'Assemblea, in «La Roma del Popolo», 15, 21, 28
giugno 1871 (SEI, vol. XVII, p. 24).
Il Comune di Francia
cit., p. 6.
Altrove (Sul
manifesto del Comune di Parigi cit., p. 15): «Ordinamento
siffatto è a un dipresso... l'ordinamento dei Galli anteriore
ai benefici della conquista romana».
Il Comune di Francia
cit., p. 7.
Ibid.
Il Comune di Francia
cit., p. 4. Su sette numeri della «Roma del Popolo» (dal
10 maggio al 30 luglio 1871) Mazzini – con la serie di articoli
Sulla Rivoluzione francese del 1789 – tentò
altresí, riprendendo un vecchio pensiero da lui già
esposto nel 1835, di negare l'importanza della Rivoluzione francese
come iniziatrice di una nuova epoca e di dimostrare che ormai il
progresso dei popoli risiedeva nella emancipazione dalla influenza
francese.
Il Comune di Francia
cit., p. 2.
Lettera del maggio 1871;
RICHARDS, op. cit., III, p. 276.
Il Gazzettino
rosa», fondato a Milano nel 1867 come foglio umoristico, si era
trasformato in giornale politico nel 1870; diretto da Achille
Bizzoni, garibaldino, nel 1871 era diventato uno dei quotidiani piú
diffusi tra i democratici, anche fuori di Lombardia. Tra i suoi
collaboratori van rammentati Burbero (Vincenzo Pezza), che influí
molto sul suo progressivo orientarsi a sinistra (verso
l'Internazionale), Antonio Billia, Giacomo Raimondi, Carlo Tivaroni,
Egisto Bezzi e il Cavallotti. È interessante quel che del
«Gazzettino rosa» scrive F. GIARELLI in un volume su
Felice Cavallotti nella vita e nelle opere, che, con la
collaborazione di molti, si stampò a Milano, presso la Società
editrice lombarda, nel 1898 (pp. 34-35): «Al "Gazzettino",
faceva capo la scuola repubblicana dei romantici in camicia rossa.
Una squadra volante di pionieri, che avendo dimezzata la celebre
formola Dio e popolo, ne aveva serbata per proprio uso e
consumo solamente la seconda parte; e quanto alla prima, se ne
disinteressava completamente». Il «Gazzettino»
cessò le pubblicazioni nel 1873.
Settimanale fondato il
26 settembre 1868.
Settimanale fondato il
24 aprile 1869, diretto da Carlo Venturi. Cessò le
pubblicazioni il 13 maggio 1871, e fu continuato dal «Satana».
Settimanale redatto da
Mario Aldisio Sanmito; successe al «Barbiere di Messina»
e iniziò le pubblicazioni il 1° aprile 1871.
Ricordi di un
internazionalista cit., p. 119.
Bagliori di
socialismo. Cenni storici, Firenze 1900.
Lettera del 2 maggio
1871, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p.
376.
Lettera a Petroni, in
XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit.
Lettera a Bizzoni, 22
giugno 1873, in XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol.
II, pp. 44 sg.
Dimandate a
Mazzini – scriveva Garibaldi a Petroni il 21 ottobre 1871
(lettera citata) – se l'origine delle nostre discordie non sia:
aver io nel '48 osservato a lui che faceva male a trattenere la
gioventú a Milano sotto un pretesto o sotto l'altro mentre
l'esercito nostro combatteva lo straniero sul Mincio. E Mazzini è
uomo che non perdona a chi tocca all'infallibilità sua».
Nel 1869, per esempio,
Mazzini è à bout de forces; scrive il 22
dicembre 1869: «Avesse egli [Garibaldi] almeno un'ombra di
ragione! Ma egli crederà sempre a ogni uomo fuorché a
chi ama davvero profondamente il paese. Quanto a me, ho finito con
lui: ho tentato quant'uomo può» (Lettere di G.
Mazzini ad A. Giannelli cit., pp. 425 sg.).
Il timore di perdere il
comando delle schiere democratiche, frazionantesi nel campo politico
e in quello sociale in tante correnti diverse e in qualche caso
affatto inconciliabili, spingeva Garibaldi a seguirle tutte, anche
nelle loro estreme deviazioni, animato sempre dalla speranza di
ricomporre in un corpo solo le sparsissime membra. Si dichiarava
pubblicamente pacifista, federalista, razionalista, socialista,
repubblicano; incoraggiava Associazioni per la preparazione di
giovani all'uso delle armi; accettava invariabilmente la presidenza
di qualunque Società operaia, a qualsivoglia tendenza
aderisse; plaudiva sinceramente a tutti i giornali democratici che
gli venivano inviati, senza accorgersi, spesso, che gli uni sorgevano
in netto contrasto con gli altri. Nel novembre '71 fu, con Mazzini,
presidente onorario di quel Congresso di Roma, convocato, in
sostanza, allo scopo di promuovere una dimostrazione
anti-internazionalista; a poche settimane di distanza accettò
la presidenza di congressi internazionalisti, convocati per
intensificare la lotta contro i mazziniani. Pochi dividevano il suo
desiderio di ravvicinare correnti tanto dissimili ed egli intanto si
lasciava trascinare da tutte in opposte direzioni.
Vedremo appresso
dilagare le conseguenze del dissidio nella stampa democratica tutta.
Fautori di Garibaldi e fautori di Mazzini si scagliano senza ritegno
e con acrimonia gli uni contro gli altri.
pp. 73-74. Di questo
volumetto cosí parla Cafiero, in una lettera inedita a Engels,
del 29 novembre 1871: «Per quel libretto di Marius, l'è
proprio come voi dite, e l'autore di esso è un povero diavolo
che l'ha messo fuori per speculazione; un giovinetto che dice di aver
militato sotto la Comune, mentre la pubblicazione non ha avuto alcuna
importanza» (Carteggio di Engels cit).
MAINERI, Le stragi di
Parigi ecc. cit., III, p. 28, dà un'idea dello
spavento che incute l'Internazionale. «Oggidí appena
odesi uno sciopero, ecco subito il timore del suo grande potere
occulto e della possibile contemporanea diffusione di quello in molte
città o primari opifici industriali». C. CANTÚ,
Gli ultimi trent'anni ecc. cit., p. 124, scrive che i
dirigenti l'Internazionale, oltre a decretare scioperi, «vollero
forzare i loro membri a conformarsi alle decisioni d'un comitato
direttivo, sin colla violenza, collo spruzzare in faccia acido
solforico, col mescolare spilli ai tessuti, polvere fulminante alle
macchine, uccidere le bestie da fatica, infrangere gli utensili,
assassinare». Cfr. anche C. RUSCONI, Gli internazionalisti e
la questione monetaria, Roma 1877, p. 3.
Gli dedica un
articoletto Mazzini (All'«Internazionale» di Napoli,
pubblicato su «La Roma del Popolo», 24 maggio 1871),
citandone un numero del 1° maggio; ma da un passo (in cui Mazzini
dice che quel giornale gli «è capitato troppo raramente
sott'occhio») si capisce che «L'Internazionale»
doveva pubblicarsi già da tempo. Io non sono riuscito a
trovarne neanche un esemplare.
Giornale
politico-periodico. Dedicato ai figli del popolo».
Bisettimanale, è diretto da Carlo Terzaghi. Cessa le
pubblicazioni il 14 settembre dello stesso anno.
Interessante un articolo
da esso pubblicato su Carlo Max [sic] (il nome è
ripetuto piú volte in questa forma) il quale è «l'uomo
piú temuto da tutti i tiranni dell'Europa settentrionale...
tuttogiorno egli sfida le insidie, ed elude la vigilanza delle
polizie europee. Cento volte il telegrafo ha annunciata la di lui
carcerazione, ma sempre inutilmente». Le proteste di molti
abbonati del «Romagnolo» per l'atteggiamento
filocomunardo e filointernazionalista del giornale sono
compiacentemente accolte dall'«Unità italiana», di
cui cfr. ad es. il numero del 5 luglio 1871.
Cfr. «Il
Romagnolo», Ravenna, 13 agosto 1871. L'articolo
dell'«Apostolato» (diretto da Natale Condurelli) –
che contiene un vivace attacco contro Mazzini – desta l'ira
della società I figli del lavoro di Catania, già
sezione dell'Internazionale, ora di nuovo mazziniana ortodossa; in
una protesta da essa pubblicata sulla «Roma del popolo»
del 3 agosto 1871 vengono attaccati e l'Internazionale, che con «lo
specioso pretesto di emancipare le classi operaie... cerca illudere
quanto meglio possibile per giganteggiare», i cui principî
«sono tali che bisogna metterci in guardia e respingerli»,
e «L'Apostolato» che ha diretto contro Mazzini un
«insulto inverecondo, pazzo, rabbioso», «tale da
meritare piú che lo sputo del disprezzo». Lo stesso
articolo provoca anche una deliberazione della Unione tipografica di
Catania con la quale tutti i componenti l'Unione vengono impegnati «a
non piú prestarsi alla pubblicazione di articoli, che in
qualunque modo attaccando la reputazione dei cittadini sono di
pubblico scandalo per il paese» («La Roma del popolo»,
3 agosto 1871).
Settimanale fondato nel
1866; diretto prima da Paride Suzzara-Verdi, poi da Alcibiade Moneta.
All'«Internazionale»
di Napoli cit.
Nel luglio; cercò
allora di attenuare l'importanza scrivendo: «Se v'è
città, fra le nostre, nella quale l'Internazionale abbia
trovato aderenti, è quella – non la nomino, ma v'è
nota – dove l'elemento operaio è piú muto, piú
ritroso ad ogni vitalità di progresso». Agli operai
italiani cit., p. 60.
Vedine lo Statuto.
Firenze, 8 novembre 1870.
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit.
M. MACCHI, Almanacco
per il 1872, pp. 62 sg.
Castellazzo andò
poi sempre piú allontanandosi dal mazzinianismo. Nel 1873
aderí pubblicamente all'Internazionale, definendola «la
scienza, la luce, la verità... il progresso sociale, il
diventare continuo; l'anarchia sublime del grande ideale
umanitario... in una parola l'ortopedia della natura» («Il
Risveglio», Siena, 19 ottobre 1873).
M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., p. 53; J. GUILLAUME, L'Internationale
ecc. cit.
Il Nettlau (Bakunin
und die Internationale ecc. cit., p. 303) cita lettere di
Bakunin a Berti-Calura dell'aprile e del giugno.
Carlo Cafiero nacque a
Barletta nel 1846 da famiglia agiata; laureatosi in legge, entrò
in carriera diplomatica, ma la lasciò nel 1865; appassionato
per gli studi sociali, fu a Parigi e a Londra dove ebbe occasione di
incontrare Marx ed Engels, sotto la cui influenza si orientò
decisamente al socialismo e si ascrisse all'Internazionale. Il
Consiglio generale faceva molto assegnamento su questo giovane
intelligente, entusiasta, energico, ricco per la diffusione
dell'Internazionale in Italia. A mezzo il '71 Cafiero iniziò
appunto un suo giro di orientamento e di propaganda in Italia. Marx
ed Engels s'illudevano di averlo definitivamente guadagnato alla loro
concezione e ai loro metodi, in opposizione a quelli, allora
prevalenti in Italia, di Bakunin. Il carteggio che si svolse tra
Engels e Cafiero nella seconda metà del 1871 e nei primi mesi
del 1872 è di grande interesse. Le lettere di Cafiero (a
tutt'oggi inedite) si conservano presso l'Archivio del partito
socialdemocratico, a Berlino, dove io ho potuto trascriverle.
Ricavo queste notizie da
una lunga lettera di Cafiero a Engels, da Barletta, 12 giugno 1871.
Castellazzo è, secondo Cafiero, «ateo in religione e
repubblicano-socialista in politica»; egli riuscirà
senza dubbio «a stabilire in Italia una importante sezione
della nostra associazione».
Comunicazione della
adunanza del Consiglio generale, 17 ottobre 1871 («Il Motto
d'ordine», 10 novembre 1871). La Società democratica
internazionale si estese anche fuori di Firenze. Il 7 gennaio 1872
Engels riceveva una comunicazione della sezione pisana, che si
riteneva di diritto faciente parte dell'Internazionale dei
lavoratori.
Il Gazzettino
rosa», 28 giugno 1871; «Il Motto d'ordine», 10
novembre 1871.
Il Gazzettino
rosa», 17 agosto 1871; «Il Monitore di Bologna», 22
agosto 1871.
La Perseveranza»,
Milano, 17 luglio 1871, in un articolo L'Internazionale a Milano,
afferma che gli affiliati all'associazione ammontano, nella sola
Milano, a 2543.
CESARINI, Requisitoria
ecc. cit.
Non sembra che le
autorità napoletane mettessero le mani su importanti
documenti. Il «Roma», 21 agosto, scrive che ne furono
sequestrati alcuni, ma che «altri molti furono trafugati o
distrutti». «Il Giornale di Napoli», della stessa
data, che «i documenti sequestrati presso il signor Carlo
Cafiero, quasi tutti in inglese, furono affidati a un traduttore».
La Relazione sulla sezione napoletana ecc. cit.,
riferisce che in casa Cafiero furon rinvenute «due o tre
lettere che il segretario corrispondente per l'Italia, presso il
Consiglio generale, scriveva a Cafiero e che, solo perché
scritte in inglese... furono reputate contenere il finimondo».
M. NETTLAU
(Errico Malatesta ecc. cit., p. 47) afferma che nel 1870 essa
contava tremila soci, numero che andò poi diminuendo. Le
notizie contemporanee sono contraddittorie; il «Roma» di
Napoli, 21 agosto 1871, scrive che essi sono un migliaio; «La
Riforma» di Torino, approvando il gesto del governo (perché
l'Internazionale «ha il peccato fondamentale di essere
incompatibile con le esigenze e le necessità logiche del
principio di nazionalità»), il 24 agosto, sostiene
invece che, a Napoli, è «stata molto piú paura
che realtà». Il corrispondente da Napoli
dell'«Alleanza», giornale mazziniano di Bologna, il 23
dicembre, cerca di giustificare il fatto della «momentanea
aberrazione che spingeva qualche mese indietro circa
cinquemila operai ad aderire all'Internazionale» con l'esporre
le tristi condizioni del popolo napoletano. «Ma ben tosto –
aggiunge – le fila dell'Internazionale napoletana si diradarono
e quasi poi totalmente si sciolsero. Oggi se non fossero pochi
declamatori e qualche centinaio di seguaci, essa sarebbe affatto
inesistente». E «L'Alleanza» non ha davvero
l'interesse di esagerare l'importanza dell'Internazionale; che anzi
il corrispondente confessa: «è con l'anima ulcerata che
io vi espongo tali dure verità».
A proposito dello scioglimento della
sezione napoletana, è curioso quanto scrive il CANTú
(Gli ultimi trent'anni ecc. cit., p. 311): «Nel '71, la
questura di Napoli scoperse l'Internazionale, legata col centro di
Londra, creato dai gran tentatori Garibaldi, Mazzini, Max [sic],
Lasalle [sic], Baconina [sic] [†1876]».
Relazione sulla
sezione napoletana ecc. cit.
Il Romagnolo»,
9 settembre 1871.
Carteggio di Engels
cit. Simili affermazioni contiene la citata Relazione. In una
lettera precedente diretta allo stesso Engels, 10 settembre,
dipingendo la inanità delle persecuzioni governative, Cafiero
scriveva: «Qui il governo è in piena reazione, ed i
malcontenti si aumentano di giorno in giorno con proporzione
geometrica, allargandosi la piaga della miseria del proletariato in
modo spaventevole in mezzo alla ignorante noncuranza dei gaudenti
che, a mio vedere, stanno preparando con la loro opera la piú
terribile rivoluzione sociale in Italia».
Il 16 settembre Bakunin
riceve una prima lettera dell'avvocato Palladino che, con Cafiero, il
giovanissimo Malatesta ed altri, si adopra attivamente a quello
scopo.
Il Romagnolo»,
27 agosto 1871.
L'Unità
italiana», 1° settembre 1871.
Carteggio di Engels
cit.
Ibid., 12
settembre.
Il Motto
d'ordine», 8 novembre 1871. L'11settembre 1871 un certo
Charletty scrive da Torino ad Engels: «Vorrei con alcuni amici
far parte dell'Internazionale e occuparci per farne trionfare i
principî, sono in grado di formar qui a Torino una sezione
abbastanza numerosa composta di operai sarti, falegnami ed ebanisti».
Engels annotò in calce: «Is a Mouchard».
Aveva avuto questa notizia dal Terzaghi, suo corrispondente da
Torino, il quale era un mouchard per davvero, come vedremo.
Il Romagnolo»,
17 settembre 1871. Di Marx si occupa anche «L'Unità
italiana» del 9 settembre, dando notizia che è ammalato;
e aggiungendo: «Nel caso che Karl Marx dovesse soccombere,
dicesi che il russo Bakunin... diverrebbe capo della famosa società».
Il Romagnolo»,
1° ottobre 1871.
Il Monitore di
Bologna», 27 settembre 1871. «Il Martello», foglio
bolognese diretto da Andrea Costa, afferma, il 27 gennaio 1877, che
anche a Imola fin dal settembre 1871 il programma dell'Internazionale
aveva incontrato un grande successo.
Il Monitore di
Bologna», 3-4 ottobre 1871.
Ibid., 12 ottobre
1871. È sintomatico che tale costituzione segue una ventina di
giorni dopo che Bakunin (18 settembre) ha fatto la conoscenza del
torinese Terzaghi, direttore del «Proletario italiano».
In una lettera del Terzaghi al presidente della sezione
dell'Internazionale di Bruxelles (10 ottobre), si domandano consigli
e aiuti affinché «la Federazione degli operai sia una
sezione internazionale di fatto e non di nome» (Carteggio di
Engels cit.).
Il Romagnolo»,
16 ottobre 1871.
J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 227.
Carteggio di Engels
cit. Due giorni dopo anche Cafiero scrive ad Engels press'a poco
nello stesso tono: «L'Internazionale si è impossessata
dell'Italia intiera, dall'Alpi all'estremo scoglio della Sicilia, a
Torino come a Catania sventola il nostro glorioso vessillo...
L'Internazionale ha messo profonde radici in Italia, e non vi sarà
forza che potrà mai piú sradicarla. E dell'esattezza di
questa mia asserzione io mi dichiaro innanzi a voi ed innanzi a tutto
il Consiglio generale assolutamente garante».
Lo fece notare Bakunin
in un documento riprodotto dal NETTLAU (Errico Malatesta ecc.
cit., p. 41) attribuendone ogni merito «all'azione energica ed
instancabile dei membri di questa Alleanza di socialisti
rivoluzionari, ai quali egli [Marx] ed i suoi amici hanno dichiarato
una guerra sí spietata. A parte ciò è doveroso
riconoscere che la Rivoluzione della Comune di Parigi ha contribuito
molto piú di questa propaganda dell'Alleanza a destare il
proletariato italiano dal suo letargo secolare». Ricordo che se
ufficialmente l'Alleanza di Bakunin si era sciolta, in realtà
essa continuava ad esistere e a costituire – agli occhi e nelle
intenzioni del russo – una specie di avanguardia in seno
all'Internazionale. Insomma, i capi dell'Internazionale italiana,
quelli che si mantenevano in diretto contatto con Bakunin, erano
tutti affiliati all'Alleanza. Lo attesta Errico Malatesta: «tutti
noi eravamo prima di ogni altra cosa membri dell'Alleanza segreta e
come tali fondammo sezioni dell'Internazionale allo scopo di creare
un centro di lavoro per le idee e gli scopi dell'Alleanza» (M.
NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 89).
MICHELS, Storia del
marxismo in Italia, Roma 1909.
Le relazioni tra «La
Plebe» e il Consiglio generale di Londra ci sono attestate da
un numeroso gruppo di lettere, che fanno parte del citato Carteggio
di Engels.
Alludeva al
«Ciceruacchio», al «Diavolo rosa»? Ma non
erano quotidiani.
Il Gazzettino
rosa».
Il Proletario
italiano».
Il Romagnolo».
La Plebe».
La Libertà».
L'Eguaglianza».
L'Apostolato».
Era questa una manovra
della spia Terzaghi per attirarsi le simpatie degli
internazionalisti.
Il Motto
d'ordine», Napoli, 18 novembre 1871.
Verbali del Consiglio
generale citati ad diem. La redazione dell'indirizzo venne
però sospesa: si volle attendere il risultato del XII
Congresso operaio di Roma (ibid., 31 ottobre 1871).
XIMENES, Epistolario
di Garibaldi cit., vol. I, p. 380.
Il Romagnolo»,
9 settembre 1871.
MICHELS, Proletariato
e borghesia ecc. cit., p. 40. Vedi una confutazione della lettera
di Garibaldi nell'opuscolo di M. QUADRIO, Della lettera del
generale Garibaldi a G. Petroni, Genova 1872.
Su questo argomento
molto è già stato scritto e piú si potrebbe
scrivere. Ma basta scorrere l'epistolario di Garibaldi per farsi
un'idea piú che sufficiente della questione. Si può
ritenere, in sostanza, che Garibaldi aderí all'Internazionale
1) perché essa soddisfaceva le sue aspirazioni umanitarie; 2)
perché la considerava come una potente alleata nell'aspra
lotta da lui condotta contro il cattolicismo e l'organizzazione
clericale; 3) perché se non avesse aderito non avrebbe piú
potuto dominare tutte le frazioni della democrazia italiana; 4) per
reazione a Mazzini. Ma non si può non deplorare che il vecchio
generale non abbia seguito i consigli del suo amico Pallavicino il
quale, conoscendolo bene, e preoccupato delle sue stupefacenti
dichiarazioni d'internazionalismo, gli domandò: «Ma la
conosci tu... l'associazione di cui prendi la difesa?... non potresti
per avventura esserti ingannato, foggiandoti un'Internazionale a
imagine e similitudine tua?» e lo invitò a riflettere
seriamente prima di darle il suo nome. Quale idea Garibaldi si
facesse dell'Internazionale appar chiaro da questo episodio. Nel 1875
si svolse a Firenze un processo contro alcuni internazionalisti;
Garibaldi, testimone, fece le seguenti dichiarazioni, riferendosi
all'Associazione dei lavoratori e per scagionare gli imputati: «Io
sono internazionale e... credo lo saranno anche loro [i mazziniani] e
mi spiego; che differenza fanno loro fra un americano e un italiano?
sono gli stessi uomini e moralmente devono essere fratelli...»
(BOTTERO, Dibattimento ecc. cit.).
Comunicazione della
riunione settimanale del Consiglio generale dell'Internazionale,
Londra, 17 ottobre 1871; «Il Motto d'ordine», 18 novembre
1871. La lettera cui si allude è quella a Petroni.
Scrivendo
al «Rubicone», 3 gennaio 1872, Bakunin rende omaggio al
«largo istinto della causa popolare» di cui dà
sempre prova Garibaldi, ma aggiunge: «Lasciate che ve lo dica
francamente, tutto quel che Garibaldi ha scritto sull'Internazionale
prova che egli non la comprende o non la conosce affatto... egli è
con noi per il fatto, contro di noi per l'idea... Tutte le sue idee
politiche – ed egli è troppo vecchio e ostinato per
mutarle – tutte le sue abitudini politiche lo incatenano al
vecchio mondo, a quel che noi vogliamo distruggere... Amici miei,
lasciatemelo dire..., se avete avuto la disgrazia di seguire la
direzione politica e socialista di Garibaldi vi lascerete égarer
in un dedalo di contradizioni impossibili...» S'affretta però
a raccomandare ai suoi amici di considerare come strettamente
riservate queste sue osservazioni. M. NETTLAU, Michael Bakunin
ecc. cit., III, pp. 50-51
Fra Garibaldi e Bakunin si stabilirono
anche relazioni dirette, attraverso Celso Cerretti, da Mirandola.
Bakunin scriveva al Cerretti, 11 febbraio 1872: «Lascio alla
vostra discrezione di discernere quali delle mie lettere devono
essere spedite al generale Garibaldi e quali no... ci son certe cose
che è inutile dirgli...» Ma cordialità di
rapporti, fra i due, non ci fu mai. Anzi Garibaldi scrisse a
Cerretti, il 20 febbraio: «Le informazioni sulla moralità
di Silvio [Bakunin] non buone. Desidero siano inesatte.
Comunque dobbiamo diffidare...» M. NETTLAU, Michael Bakunin
ecc. cit., III, pp. 51-58.
Diversi giornali
internazionalisti stampano lettere d'incoraggiamento pervenute da
Garibaldi. Cosí «Il Proletario italiano», 23
luglio 1871; «Il Romagnolo», 29 agosto 1871.
SEI, vol. XVII, p. 51.
Ibid., pp. 52-63.
Com'è noto,
l'Internazionale non professava ufficialmente alcuna opinione sul
problema religioso: ma quasi tutti i suoi capi erano dichiaratamente
atei. Mazzini arbitrariamente elevava a dottrina ufficiale quel che
non era che libera convinzione d'individui.
Anche in seno al
Consiglio generale dell'Internazionale furono notati e controbattuti
gli attacchi di Mazzini. Ma questi contrattacchi non furono per
allora conosciuti in Italia. Nella seduta del 6 giugno parlò
in proposito Carlo Marx. «Il fatto non era noto come avrebbe
dovuto essere, ma Mazzini era sempre stato un oppositore del
movimento operaio. Denunciò gli insorti del giugno 1848 quando
Louis Blanc, che allora avea piú coraggio che oggi, gli
rispose. Quando Pierre Leroux – che aveva una numerosa famiglia
– ottenne un impiego a Londra, Mazzini fu l'uomo che lo
denunciò [?]. In sostanza Mazzini, col suo repubblicanismo
antiquato, non sapeva nulla e non faceva nulla. In Italia avea creato
un dispotismo militare col suo grido per la nazionalità. Per
lui lo Stato, cosa imaginaria, era tutto, e la società –
che era una realtà – nulla. Piú presto il popolo
avesse ripudiato un tal uomo tanto meglio». Il verbale della
seduta può essere incompleto ed inesatto: ne risulta tuttavia
l'acre animosità del Marx, che non si peritava, a fini
polemici, di sfigurare addirittura il suo grande avversario.
Nella seduta del 25 luglio Engels rispose punto per punto alle accuse
lanciate da Mazzini contro l'Internazionale, ricordando come egli non
ne avesse mai fatto parte, ma sí tentato di mutarla «in
to a tool of his ower». Verbali citati ad diem.
Un asterisco del 12
agosto 1871 annunciava cosí la pubblicazione dello scritto di
Bakunin: «Coloro che vogliono sapere cosa sia realmente questo
babau ch'è l'Internazionale che tanto sui nervi dà ai
puri mazziniani, faranno bene a leggere la risposta del Bakunin,
almeno quello non scomunica nessuno, nessuno mette all'interdetto, e
non vuole a nessuno imporre – pena l'inferno – credenze
metafisiche astruse come la quadratura del circolo». Mentre lo
si pubblicava in Italia, lo scritto di Bakunin veniva stampato in
francese (su «La Liberté», di Bruxelles, 18, 19
agosto) e diffuso tra i democratici di tutta Europa.
Del rinnovamento
civile in Italia, Torino 1851, vol. I, pp. 339-50.
Memorie politiche
scritte da lui stesso, Milano 1857, pp. 206-11.
Si riferisce al periodo
nel quale egli era esiliato in Siberia.
L'articolo era già
stato stampato dall'«Uguaglianza» di Girgenti.
Da paragonarsi, per
esempio, coll'internazionalismo di Bakunin i seguenti concetti
espressi dal «Ficcanaso» di Torino, a proposito della
Federazione operaia di Torino. «Se desidera la Federazione
averci fra gli accoliti, disdica ancora quei matti da catena che
vogliono abolire la proprietà, l'eredità. E noi ci
terremo onorati di proclamarci internazionali senza riserve»
(riportato da «Il Motto d'ordine», 2 novembre 1871).
10, 17, 24, 31 agosto
1871 (SEI, vol. XVII, pp. 64 sg.).
L'amarezza di Mazzini,
che vede assottigliarsi ogni giorno di piú le fila dei suoi
seguaci, fraintese e svisate le sue intenzioni e la sua dottrina,
nell'imperversare del materialismo, si rivela tutta in una lettera da
lui diretta all'Emilia Venturi, il 29 agosto: «Felice operaia,
voi che vedete il vostro lavoro progredire! Io non vedo che la
dissoluzione progredire intorno a me. La mia guerra al materialismo e
all'Internazionale ha suscitato una conflagrazione nel partito... Io
sono ora un apostata, un prete, un reazionario, l'istigatore degli
uomini di Versailles, l'ambizione ha infine preso l'anima mia; la
vecchiaia m'ha fatto superstizioso, e cosí via. È
una tristissima contesa, ma bisognava impegnarla e io non mi pento
d'averla iniziata» (RICHARDS, op. cit., III, p.
285).
Brusco
Omnis aveva fra l'altro rimproverato Bakunin per aver posto e non
dimostrato la tesi antidivina; Bakunin spiega che ha preferito
occuparsi innanzi tutto dell'Internazionale «che è un
essere reale e vivente, la questione divina, non essendo il
buon Dio... che una cosa immaginaria, un essere fittizio»
poteva invece aspettare.
La Risposta all'«Unità
italiana» fu pubblicata nel «Gazzettino rosa»
del 10, 11, 12 ottobre 1871 (BAKUNIN, Œuvres, t. VI, pp.
289-302). Bakunin non poteva per allora sferrare il definitivo
attacco contro Mazzini perché – come scrisse ai
redattori della «Liberté» di Bruxelles il 29
agosto – non aveva sottomano le opere di Mazzini; anzi li
pregava di rivolgersi a Marx, perché gli procurasse il
materiale necessario: «l'odio di Marx ha sempre buona memoria
e, certamente, egli si ricorda di tutto ciò che può
danneggiare Mazzini... Tutto questo affare – concludeva –
è assai piú importante di quanto potreste pensare:
perché, per quanto Mazzini abbia cessato di essere una potenza
politica, gode ancora nell'opinione, nelle abitudini mentali della
gioventú italiana, d'un prestigio immenso e, per combatterlo
con successo, bisogna aver sempre i fatti alla mano» (J.
GUILLAUME, Avant-propos alla Risposta ecc. cit., in BAKUNIN,
Œuvres, t. VI, pp. 283-86).
L'Unità
italiana», 6 settembre 1871; «La Roma del Popolo»,
14 settembre 1871.
L'Unità
italiana», «La Roma del Popolo», 28 settembre 1871.
Il Romagnolo»,
3 settembre 1871.
Ibid.
La Roma del
Popolo», 28 settembre 1871.
Lettere di G. Mazzini
ad A. Giannelli cit., pp. 391 sg., lettera del 16 gennaio 1869:
Gnocchi-Viani «è a un dipresso come lo dite; ma è
buono in fondo...» Giannelli ne aveva scritto al Mazzini,
informandolo delle sue tendenze socialiste.
L'Unità
italiana», 19 agosto 1871.
GNOCCHI-VIANI, Dal
mazzinianismo al socialismo, Colle 1893.
E. MALATESTA, Cenni
autobiografici, stampati in «La Questione sociale»,
Firenze, gennaio 1884; riprodotti in parte da M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., pp. 14-19.
Indirizzo della
Associazione umanitaria degli operai di Napoli a Mazzini, 14
marzo 1865 («L'Unità italiana», 26 marzo 1865).
Mazzini e
l'Internazionale, p. 135.
Cfr. lettera
all'Alleanza di Bologna del 12 gennaio '72. Bakunin si rivolge a lui
per la prima volta il 15 dicembre 1871 (M. NETTLAU, Michael
Bakunin ecc. cit., III, p. 649).
Cfr. la sua deposizione
al processo di Firenze del 1875 (M. BOTTERO, Dibattimento ecc.
cit., p. 46.
BOTTERO, Dibattimento
ecc. cit., p. 83.
A. ANGIOLINI, Socialismo
ecc. cit., p. 78.
Dal mazzinianismo al
socialismo cit. Cfr. anche G. CHIESI, La democrazia fossile e
il Congresso repubblicano, Genova 1878.
Rispettose osservazioni
di questo genere si trovano in un volumetto pubblicato molti anni piú
tardi da G. Bovio, Rivendichiamo Mazzini. Lettere autografe e
documenti dell'apostolo a Gennaro Bovio, Napoli 1904. «Fin
dai primi numeri di quella pubblicazione – scrive il Bovio
accennando alla "Roma del Popolo" e alla campagna
anticomunarda condottavi da Mazzini – non fu possibile serbare
l'accordo perfetto fra noi sul modo di vedere il Comune di
Parigi». A bene giudicarlo, bisognava non guardare «agli
eccessi in cui poteva essere trasceso questo moto per colpa
precisamente di coloro che avevano il dovere, per il prestigio del
nome loro, d'illuminarlo e dirigerlo, mentre restarono spettatori
trepidi e muti; ma occorreva guardare alle origini legittime, ai fini
retti, agli atti buoni compiuti... Oh! se quel principio e
quegli uomini – che qualunque sieno... furono i soli e i primi
a bandirlo nel mondo attonito – fossero stati illuminati e
diretti, piuttosto che fulminati, dal genio di Mazzini e di V. Hugo
per i primi!!!» (pp. 17 sg.).
Vincenzo Pezza.
Il 30 giugno, spiegando
come materialismo e spiritualismo siano due scuole rispettabilissime,
ma che non hanno niente a che fare con la questione politica:
«Mazzini invece vuole imporci una nuova religione, ci comanda
di accettare delle astruserie che ripugnano alla nostra ragione, e
non rilascia patente di repubblicano se non a chi ha ricevuto il
battesimo della sua dottrina... Non siamo noi che lo abbandoniamo,
è lui che ci condanna».
Cfr. anche il numero del
29 luglio.
Del «Proletario
italiano» era direttore Carlo Terzaghi, piú tardi
scoperto per spia della questura. Spacciandosi per democratico
estremista, questo figuro cominciò a farsi noto aizzando
abilmente quell'amarissimo dissidio Mazzini-Garibaldi che si era
inasprito in modo funesto nell'ultimo anno di vita del genovese.
Appoggiando Garibaldi, se ne cattivò tutta la fiducia; poi,
buttatosi nel movimento internazionalista italiano, ne divenne uno
dei piú attivi propagandisti. Non è difficile intendere
a che scopo egli mirasse: l'opera sua volgeva sempre a provocar
dissidi, creando o incoraggiando correnti contrarie a quella
dominante, la quale, se indisturbata, avrebbe potuto acquistar vera
potenza. Inoltre egli forniva un prezioso servizio di informazioni
alla polizia. Nel luglio '71 fondò il nominato «Proletario
italiano» nel quale, diffamando e schernendo il partito
mazziniano, levando alle stelle l'Internazionale, tese a scindere
l'unità – del resto, anche senza di lui, compromessa –
della democrazia italiana.
Il Presente»,
a mezzo il '71, era ritenuto un vero e proprio organo
dell'Internazionale (cfr. MARIUS, L'Internazionale ecc. cit.,
p. 62). Tanto piú amaro doveva riuscire al Mazzini il contegno
di questo giornale, un tempo a lui devoto, in quanto Garibaldi invece
dichiarava pubblicamente di apprezzarlo. «Ho letto l'assennato
articolo sul "Presente" del 22 – scriveva infatti il
3 settembre all'avvocato Arisi, che lo dirigeva (si rammenti che
l'articolo contro Mazzini era del giorno prima)... – e ve ne
sono ben grato, leggendo sempre con molto interesse il vostro
giornale» (XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit.,
vol. II, p. 18).
Il «Gazzettino»,
nel primo periodo della crisi mazziniana ossia fino al Congresso di
Roma (novembre 1871), è tra i piú risoluti contro
Mazzini. Il che si spiega quando si pensi che era sempre stato un
foglio democratico di tinta garibaldina; il direttore, Bizzoni, era
un soldato e un devoto di Garibaldi. Al risentimento antimazziniano
dell'internazionalista o almeno del filocomunardo si aggiunge quello
del garibaldino. Al «Gazzettino» cosí allude
Mazzini (Lettera a Domenico Narratone, 8 settembre 1871): «Gli
inni sui trionfi prossimi dell'Internazionale inseriti nel
"Gazzettino" e in altri piccoli giornali mi fanno salire i
rossori sul viso: non sono che inni ad una apparenza di forza
straniera, l'antica piaga che credevamo guarita. Dovevamo un tempo
essere salvati dalla Francia: oggi saremo salvati
dall'Internazionale» («Il Risorgimento italiano»,
settembre-ottobre 1914, p. 698).
Un'imagine simile aveva
usata Cafiero in una lettera ad Engels del 12 giugno 1871: «Il
povero vecchio [Mazzini] non vuole comprendere che egli ha fatto il
suo tempo, che il suo concetto di unità e libertà
nazionale – grande al suo tempo – impallidisce ora come
la luce di una candela innanzi alla luce del sole, venendo paragonato
al sublimissimo concetto dell'unità, o meglio unione di tutti
i popoli nella nuova organizzazione sociale che avrà per base
l'eguaglianza...» (Carteggio di Engels cit.).
Settimanale «periodico
opuscolo dell'avvenire», «Il Satana» era stato
fondato l'8 luglio 1871 da Eugenio Valzania, in continuazione del
cessato «Il Rubicone», con intenti soprattutto
anticlericali. Nel numero del 22 luglio dedicava al popolo i
seguenti versi: «Popolo, t'ergi, che in letargo infame / Dormi
il sonno del vinto, e fissa altero / L'addobbato oppressor, superbo e
fiero / Della tua fame. / ...Son dessi, che di fame intra l'orrore /
A morte traggon dura il proletario, / Poi convertongli il figlio in
vil sicario / Dell'oppressore. / Ti sfrena alfin, e con tremenda
voce, / Popol gigante, a quella rea bugiarda / D'avi gloriosa prole
empia e bastarda / Grida la croce».
Anche «Lo
Staffile», Bologna, 19 agosto, ritiene che il dissenso
fondamentale verta sulla questione religiosa. «È ben
vero – scrive – che di tal febbre religiosa si mostra
troppo infetto lo stesso Mazzini», ma il suo Dio non è
davvero simile a quello delle religioni ufficiali; «egli vuole
un Dio sbracato, un Dio in camicia e berretto frigio». «Lo
Staffile», settimanale satirico fondato il 1° luglio 1871,
era diretto da A. Spadoni.
Nonché disposta a
posare a mazziniana, ora che Mazzini è diventato un
elemento di conservazione. Il 3 ottobre «La Nazione»
riporta una lettera diretta da Adriano Lemmi al direttore della «Roma
del Popolo» (28 settembre 1871), in cui è affrontata sí
con molta moderazione la questione del lavoro (che è definita
una questione interna della classe operaia, questione tra capi
fabbrica, imprenditori e operai, dipendente da male ordinate
relazioni tra capi officina e giornalieri), trattata con molto
ottimismo la questione agricola (soluzione: l'estensione a tutta
l'Italia del contratto di mezzadria); ma in cui è pur detto
che è necessario e urgente garantire agli operai una
partecipazione agli utili delle aziende e impedire risolutamente
l'intervento governativo nelle questioni operaie. Questo linguaggio
che ancora qualche mese addietro i giornali conservatori avrebbero
definito per lo meno «sovvertitore», è invece
altamente apprezzato dalla «Nazione», ora che
l'Internazionale fa in Italia passi da gigante. La lettera di Lemmi,
essa commenta, «tocca assai opportunamente tutti i lati
principali della questione; e se se ne tolgono alcune frasi
che parranno a molti, come a noi, soverchiamente vive, ci pare
contengano idee sane, moderate e prudenti». Nello stesso
numero del 3 ottobre si legge che «le opinioni del Mazzini
sono, come piú volte notammo, moderatissime in fatto di
riforma sociale, ed alienissime dalle intemperanze
dell'Internazionale e di tutta la scuola comunista».
Degna di ricordo è
una lettera che – negli stessi giorni – la redazione del
«Romagnolo» (Nabruzzi, Montanari, Resta) dirige ai membri
del Consiglio generale dell'Internazionale. Contiene notizie sullo
sviluppo del movimento in Romagna, esortazioni a inviare in Italia un
rappresentante autorizzato del Consiglio; e poi i seguenti passi sul
mazzinianismo: fino a poco tempo innanzi il popolo italiano era stato
«educato dai repubblicani borghesi ad una scuola
esclusivistica, inconseguente ed assurda. Oggi le intelligenze piú
chiuse si aprono e la ragione tende a regnare sovrana... Possiamo
adunque assicurarvi che il principio dell'Internazionale nella nostra
Ravenna prevale, non cosí nel resto di Romagna dove i
Mazziniani destatisi ad un tratto dal loro sonno ci contrastano il
terreno palmo a palmo...» (Carteggio di Engels cit.).
RICHARDS, op. cit.,
vol. II, pp. 288 sg.
Cenni biografici ecc.
cit., a proemio del volume XVII di SEI, pp. CXI.
RICHARDS,
op. cit.,
VOI. III.
SEI,
vol. XVI, pp. LXXXIX
sg.
Ibid.,
p. XC.
Lettera a Felice Dagnino.
Lettera datata lunedí,
settembre 1871, in Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit.,
p. 46; e SEI, vol. XVI, pp. 225 sg.
Il Moto delle classi
artigiane e il Congresso, in «La Roma del Popolo», 7
settembre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 212).
Ai rappresentanti gli
artigiani nel Congresso di Roma, in «La Roma del Popolo»,
12 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, pp. 217-18).
Ai rappresentanti gli
artigiani ecc. cit.
La Roma del
Popolo», 5 ottobre 1871 (SEI, vol. XVI, p. 215).
Serietà
quanta è possibile nel congresso e non appiglio a intervenire
agli agenti governativi – scrive Mazzini nelle Avvertenze
pel Congresso, accluse ad una lettera per Dagnino di martedí,
ottobre '71. – Riservare un po’ piú
d’espressione alle simpatie politiche al pranzo di congedo...
Il primo brindisi del pranzo sia a Roma e alla speranza che dalla
città salvatrice dell'onore d'Italia nel 1849 venga la
scintilla iniziatrice della nuova vita italiana» (Cenni
biografici ecc. cit., a proemio del volume XVI di SEI, p. XCVII).
Ai rappresentanti gli
artigiani ecc. cit.
Foglio repubblicano
diretto da Domenico Barilari.
Ciò che è
confermato dal corrispondente romano della «Nazione», 1°
novembre 1871, che raccoglie i «si dice» sulla probabile
tranquillità e moderatezza del congresso. «Se però
accadesse il contrario, posso garantirvi che è già
stato formulato e deciso dal governo di non tollerare il piú
piccolo eccesso».
La Roma del
Popolo», 28 settembre 1871.
Il Monitore di
Bologna», 24 ottobre 1871.
Tale la Società
operaia Principe Umberto di Roma e la Società generale di
mutuo soccorso fra gli operai in Milano («Il Monitore di
Bologna», 26 ottobre, 2 novembre 1871).
L'Internazionale
svizzera; L'Internazionale, in «La Roma del Popolo»,
14, 21, 28 settembre 1871 (SEI, vol. XVII, pp. 97-122).
Forse l'idea di
rispondere a Mazzini gli venne suggerita da Vincenzo Pezza, che il 15
ottobre si recò presso di lui.
Cfr. il
diario di Bakunin dal 18 al 28 ottobre pubblicato dal GUILLAUME in
Avant-propos alla Circolare (M. BAKOUNINE, (Œuvres,
t. VI, pp, 305-422). La pubblicazione integrale di questo scritto non
si ebbe che quattordici anni piú tardi, sulle colonne di due
giornali anarchici: «Il Piccone», di Napoli e «Il
Paria», di Ancona (1885); in seguito fu ristampato come
opuscolo, ed è conosciuto per lo piú sotto il titolo di
Il Socialismo e Mazzini. Non son riuscito a procurarmi
l'opuscoletto Agli operai delegati al Congresso di Roma,
firmato da un gruppo di internazionalisti e stampato a Napoli, che
conteneva appunto il citato riassunto. Ma l'intero manoscritto di
Bakunin, anche se non stampato, poté esercitare non poca
influenza, in quanto che lo si fece circolare fra gli
internazionalisti, intermediari Carmelo Palladino a Napoli, Vincenzo
Pezza a Milano.
Quando Engels, a Londra,
ricevette copia dell'opuscolo riassunto, lo credette opera di
Cafiero, allora concorde col Consiglio generale dell'Internazionale;
e lo lodò incondizionatamente, dichiarando che avrebbe potuto
sottoscriverlo in ogni sua parte. Né dovette rimaner troppo
compiaciuto quando il Cafiero, con lettera in data 29 novembre, lo
avvertí: «Ma egli è con Bakunin che voi dovreste
congratularvi e non con me...» (Carteggio di Engels
cit.).
È interessante constatare come
l'opuscolo e il manoscritto stesso vennero subito utilizzati dalla
stampa internazionalista italiana. La società operaia
L'emancipazione del proletario inviò un manifesto agli
artigiani del Piemonte (senza data; pubblicato da «L'Unità
italiana e Dovere», dicembre 1871) invitandoli a non lasciarsi
trarre in inganno dai mestatori. «Sapete a che mira la
mazziniana autorità direttrice centrale di Roma? A riunire
nelle mani di cinque o sei politicanti le forze di cui dispongono gli
operai italiani, per servirsene in tentativi di sostituire al
sistema, che oggi governa l'Italia, il regno della borghesia.
Vogliono separarvi dai vostri fratelli di Francia, d'Inghilterra, di
Spagna, di Germania, di Russia e d'America; vogliono fare dell'Italia
una specie di Cina, difesa da una muraglia teologica; vogliono
isolarvi per dominarvi a loro voglia!... Vi vogliono ingarbugliare!
Pane e lavoro sia il vostro grido. In guardia!» L'imagine
piuttosto peregrina della muraglia teologica è
evidentemente suggerita da un passo di Il Socialismo e Mazzini
in cui Bakunin accusa il suo avversario di voler innalzare intorno
all'Italia «un muro non cinese ma teologico, per isolarla da
tutto il mondo» (Il Socialismo e Mazzini cit., p.
10).
Bakunin sapeva benissimo
che questa insinuazione, giustificatissima riguardo alla borghesia
italiana in genere, era, riguardo a Mazzini, non altro che una stolta
calunnia.
Anche Cafiero, allora in
comunicazione col Consiglio generale di Londra, era d'opinione che
bisognasse concentrare a Roma tutte le forze internazionaliste, per
fronteggiare l'offensiva mazziniana (Lettera a Engels, 18 ottobre
1871, in Carteggio di Engels cit.).
Atti del XII
Congresso generale delle società operaie italiane tenutosi in
Romagna, novembre 1871, Roma 1871.
Il Monitore di
Bologna», 27 ottobre 1871. Il 2 novembre però duecento
operai si riuniscono per protestare contro i loro dirigenti, che non
hanno creduto di aderire al congresso. «Siamo operai e come
tali vogliamo essere solidali coi nostri fratelli italiani del
mondo... I tempi del feudalismo sono irremissibilmente passati. Oggi,
consci dei nostri diritti e dei nostri doveri; per dovere vogliamo
essere uniti ai nostri fratelli, e per diritto biasimiamo gli uomini
che ce lo vietano, che altro non possono essere che nostri nemici»
(Atti del XII Congresso ecc. cit.).
Ignoro il motivo pel
quale le altre sezioni dell'Internazionale non mandaron delegati.
Ritengo interessante
riprodurli per intero poiché non v'è nulla che valga a
farci seguire e apprezzare la storia del movimento operaio come
l'esposizione dei desiderata della classe lavoratrice
organizzata, desiderata nella cui evoluzione quanto al
contenuto e anche quanto alla forma si concreta e si palesa
l'assiduo, oscuro e non facilmente documentabile sforzo compiuto
dagli operai, sia individualmente che collettivamente, verso la
propria emancipazione.
Interessanti i commenti
della «Nazione» – la quale oscilla tra la lode e il
biasimo ai democratici moderati, secondo l'opportunità del
momento – a questa deliberazione del congresso: «La
tirannia dei padroni, l'usura dei principali, le imagini del capitale
che succhia il sangue del lavoro, sono tutti fiori o pruni di
rettorica tribunizia che ormai hanno fatto il loro tempo e
specialmente a Roma non producono altro effetto, se non quello di
destar l'ilarità delle cose nuove e il disgusto delle fiabe
troppo ripetute» (4 novembre 1871).
Riprodusse il Patto
«L'Emancipazione», Roma, 1° febbraio 1872.
Ebbe vita assai breve.
Cfr. il discorso pronunciato dal Saffi al XVI Congresso operaio di
Firenze (1886), in SEI, vol. XVI, p. CCXXIV.
Che poco dopo andò
a dirigere, a Bologna, il giornale «L'Alleanza»,
mazziniano ortodosso.
Il discorso di Tucci e
il suo ordine del giorno non sono riportati nel resoconto ufficiale.
Li traggo da un resoconto del Congresso operaio di Roma che,
manoscritto, Tucci e Cafiero fecero pervenire alle sezioni
internazionali di Napoli e di Girgenti e al Consiglio generale di
Londra e che ho rintracciato nel Carteggio di Engels.
Tuttavia è
sintomatico che d'ora innanzi lo troviamo fra i simpatizzanti
internazionalisti. Il suo atteggiamento rassomiglia molto a quello di
Giuseppe Garibaldi: magnifica i progressi dell'Internazionale in
Italia, critica Mazzini per il suo contegno di fronte alla Comune di
Parigi, invita gli uomini di buona volontà a «emendare i
difetti che, per caso, ci fossero nel programma
dell'Internazionale, mirando a migliorare l'istituzione»
(Almanacco istorico per il 1873; T. MARTELLO, Storia della
Internazionale ecc. cit., appendice, pp. 503-4).
Oltre al riassunto
dell'opuscolo bakunista e al gesto dei tre delegati
internazionalisti, i congressisti di Roma ebbero due altre prove
dell'attività dell'Internazionale: un indirizzo della
Federazione romanda di quell'associazione, invitante all'adesione e
all'abbandono di Mazzini («Il Motto d'Ordine», 29
novembre) e una lettera filointernazionalista di Gaspare Stampa (M.
NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 308).
Ricordi di un
internazionalista cit., p. 126. Qualche tempo dopo il suo nome
comparve fra quelli dei collaboratori di un giornale internazionale
che avrebbe dovuto uscire a Roma; ciò gli valse la radiazione
dalla Consociazione mazziniana di Genova, di cui era socio. Da quel
giorno militò liberamente nell'Internazionale.
RICHARDS, op. cit.,
III, pp. 290 sg.
Lettera a
Saffi, 8 novembre, in SEI, vol. XVI, p. CXVI.
Eran stati chiamati a farne parte Petroni, Filipperi, Panizza,
Battaglia, Fava.
Petroni, che aveva presieduto il
congresso, si disse invece molto soddisfatto del suo esito; e
scrivendone sulla «Roma del Popolo», il 4 gennaio 1872,
adirato per certi attacchi delle gazzette conservatrici, si
compiacque affermare aver esso «scongiurato i flagelli che
sovrastano al consorzio civile per colpa vostra (dei conservatori)...
In piú ha condannato le tendenze comuniste, le quali sono una
reazione troppo naturale, per non dir necessaria, contro il vostro
egoismo, come le tendenze materialistiche sono una reazione troppo
naturale, per non dir necessaria, contro le superstizioni che fin qui
dominarono».
A. GIANNELLI, Aneddoti
ignorati ed importanti. Brevi ricordi mazziniani dal 1848 al 1872,
Firenze 1905.
SEI, vol. XVI, p. CXVI.
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 47, lettera del 16 novembre 1871.
Lettera citata a Saffi,
8 novembre 1871.
Ai rappresentanti gli
artigiani ecc. cit.
Lettera citata, ottobre
'71 (martedí).
Aurelio Saffi nel
discorso inaugurale pronunciato al XVI Congresso operaio di Firenze
(1886), ripensando alla via percorsa, affermava che la Fratellanza
delle società operaie fondata a Roma nel '71 era stata «nella
sua virtualità, la manifestazione piú vasta e piú
promettente dello spirito d'associazione nel nostro paese... E il
fatto che nella nostra Fratellanza s'accolgono, in armonia di
affetti, d'intenti e d'opere, sodalizi misti di uomini d'ogni classe,
è documento della legge storica che conduce la società
italiana verso la mèta di una grande e feconda eguaglianza
civile...» Il Patto si era dimostrato secondo lui «il
piú efficace correttivo delle tendenze men sane del socialismo
odierno nei nostri paesi» (SEI, vol. XVI,
pp. CCXXV
sg.). Ma la realtà era assai piú
modesta delle sue molto ottimistiche impressioni.
Il Motto
d'Ordine», 18 novembre 1871. Il 13 novembre Engels scriveva al
tedesco Cuno, allora stabilito a Milano: «Ho veduto stamattina,
da Marx, Ricciotti Garibaldi; è un giovanotto assai
intelligente, molto tranquillo, ma piú un soldato che un
pensatore. Può però diventare assai utile. Proprio come
il vecchio [Giuseppe Garibaldi] egli mostra nelle sue teorie piú
buona volontà che chiarezza, e non pertanto la sua ultima
lettera a Petroni è per noi d'un valore infinito... Ci può
ella procurare un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di fare avere
con sicurezza le nostre cose a Caprera, e Ricciotti dice che molto
viene intercettato» (Carteggio di Engels).
J. W. MARIO, Vita di
Garibaldi, 2a ed., Milano 1882, vol. II, pagine 270
sg.
Lettera a Tallinucci
(XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p. 392).
BERTOLINI, prefazione
citata a RAE, op. cit., p. XVI.
Briefe
und Auszüge Briefen, von Becker, Dietzgen, Engels, Marx u. A. an
Sorge u. A., Stuttgart 1905, p. 34.
Nella seduta del 14 novembre Engels dette un resoconto del
Congresso di Roma; il quale si era risolto, disse, in «un
fallimento completo» (Verbali citati ad diem).
Durante il 1871 non si
era potuto riunire il solito congresso dell'Internazionale: il
Consiglio generale aveva convocato in sua vece una conferenza
amichevole a Londra (17-23 settembre 1871) cui avevan partecipato una
ventina di persone (Engels rappresentava l'Italia). Questa conferenza
prese varie deliberazioni che, secondo gli statuti, solo il congresso
era autorizzato a prendere, offrendo cosí a Bakunin il destro
per rinfocolare la sua lotta contro il Consiglio generale. Il 12
novembre, dietro sua ispirazione, si riuní infatti a
Sonvillier un Congresso dissidente nel quale venne costituita la
Federazione dissidente del Giura, libertaria e antiautoritaria del
Bakunin. Il congresso con una circolare inviata a tutte le sezioni
dell'Internazionale nei vari paesi, accusò il Consiglio
generale di abuso di potere e propose la riunione di un congresso
straordinario.
T. MARTELLO, Storia
della Internazionale cit., p. 423.
Ne spediscono
l'Associazione cooperativa fra gli operai di Spezia (23 novembre);
gli operai di Castel Bolognese (30 novembre); la Società di
mutuo soccorso di Fano (11 dicembre); la Società della
fratellanza di Ravenna (13 dicembre); i democratici romagnoli e
marchigiani (dicembre) riempiono i giornali dei loro ordini del
giorno.
Silvio era lo pseudonimo
che Bakunin aveva assunto in Italia (M. NETTLAU, Errico Malatesta
ecc. cit., p. 64). Garibaldi è dunque informatissimo delle
piú intime faccende dell'internazionalismo italiano.
XIMENES, Epistolario
di Garibaldi cit., vol. I, pp. 394-95.
La Roma del
Popolo», 7 marzo 1872.
La proposta è di
Garibaldi; e vien rilevata e pubblicata sui giornali di Sanmito,
Stefanoni, Battaglia, Cerretti, Castellazzo («La Roma del
Popolo», 1° febbraio 1872).
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 48.
La
Roma del Popolo», 1° febbraio 1872.
E continua a
incoraggiare i giornali internazionalisti. Cfr. «La Lega
rossa», Milano, 18 febbraio 1872.
Lettera al direttore
dell'«Unità italiana», 29 febbraio («La Roma
del Popolo», 7 marzo 1872).
Lettera a Sanmito, 6
marzo 1872 (CIAMPOLI, op. cit.).
Altri inviti all'accordo
vengono spediti a Garibaldi e a Mazzini dall'Associazione democratica
di Viareggio, dalla Consociazione repubblicana forlivese, dalla
Consociazione operaia di Rimini, dalla Società operaia di
Bologna, ecc.
Pompeo Panciatichi
nell'«Alleanza», 17 febbraio. La Consociazione
repubblicana romagnola spedisce a Garibaldi il seguente telegramma:
«Interesse patrio esige vostro accordo Mazzini. Con esso sui
campi principî politici morali. Con voi sui campi battaglia
conquista vera libertà».
Bisettimanale, fondato
il 13 settembre 1871. Nel primo numero il giornale si dichiara
liberale e antigovernativo. Nel n. 6 (30 settembre) socialista,
rivoluzionario e razionalista, ma anticomunardo e
antinternazionalista. Col 10 novembre diventa quotidiano e
apertamente internazionalista, sotto la direzione di Leone
Leoncavallo; uno dei redattori principali è Tito Zanardelli.
Il 6 dicembre il giornale, in seguito a mutamenti redazionali,
riprende la vecchia fisionomia.
Settimanale fondato il 7
gennaio 1872. La testata reca il motto: «Nessun diritto senza
dovere – nessun dovere senza diritto». Lo dirige Giuseppe
Tucci; vi collaborano Gambuzzi, Palladino, Cafiero, Covelli,
Malatesta.
Ecco un'altra prova
della convinzione sincera che anima gli internazionalisti non
rappresentare l'Internazionale che lo sviluppo logico del sistema
mazziniano. È la Società dei lavoratori ferraresi –
Sezione dell'Internazionale – che scrive all'«Alleanza»,
il 4 febbraio 1872: «Ecco, cittadino, le idee caotiche che
deplorate, e che ci sembrano invece quelle stesse apprese dal comune
maestro Mazzini, riformate naturalmente secondo le inesorabili
leggi del progresso».
Qualche anno piú
tardi, sulle colonne della «Cronaca», Celso Cerretti,
tracciando una breve storia del Socialismo in Italia, cosí
giudica il dissidio fra Mazzini e gl'internazionalisti del '71-72.
«Mazzini pur troppo nol volle comprendere [il socialismo].
Disgrazia per noi giacché egli avrebbe influito a far
trionfare i nostri principî tanto tempo prima che non saranno
in fatto... Ma insomma che voleva Mazzini? Che per mezzo secolo
continuassero a valere le medesime idee? Se egli in tanti anni di
apostolato non si mosse mai dalla sua linea di condotta, si dovea pur
sempre militare con lui? e il progresso? Chi è che possa
negare che l'ideale di Mazzini – fatta astrazione d'una
differenza di governo – non si sia interamente raggiunto?»
(20 febbraio 1876). Sono le stesse idee espresse nella lettera citata
nel testo.
Il 18 febbraio insiste
sulla profonda diversità fra il concetto nazionale di Mazzini
e quello dei socialisti: «Patria pei mazziniani è un
principio da attuarsi violentemente dall'alto al basso... L'unità
nostra, pigliando le mosse dall'individuo, dai suoi bisogni e diritti
riconosce la libertà piena delle collettività locali,
questa federa inevitabilmente fra loro fino a creare sotto altra
forma e con altro concetto la medesima unità»; e, dopo
aver dichiarato che gli operai sono oggi tutti instradati verso il
socialismo: «Al profeta non avanza che piangere sull'umana
corruzione; cosí il mazzinianismo avrà avuto anche il
suo Geremia»!
Settimanale fondato il
1° gennaio 1872: diretto da Giuseppe Eandi. Cessò le
pubblicazioni il 12 maggio dello stesso anno. Dal primo numero: «In
guardia, o Popolo / Solleva gli occhi / Perdi quel debole / ch'ai nei
ginocchi... / Fin che t'umilî / Fin che stai prono / Come puoi
scorgere / Chi siede in trono? / In piedi... Rizzati! / Bada, per
Cristo / Non senti il soffio dell'Anticristo?»
Nel
dicembre 1871 appare sul «Journal des Débats» un
articolo scritto da un «autorevole corrispondente italiano»
nel quale si dice che Mazzini «avrebbe recentemente proposto al
partito dell'Internazionale di unirsi, almeno momentaneamente, con
lui, contro il loro comune nemico, la Casa Savoia... Mazzini non
sarebbe stato lontano dal comprendere tutto il pericolo dallo scisma
prodottosi e la necessità di mettervi un termine. Uno dei suoi
piú caldi partigiani, un avvocato milanese, sarebbe stato
incaricato... di proporre agli antichi capi del partito d'azione,
schierati da poco sotto la bandiera dell'Internazionale, una specie
di tregua durante la quale si sarebbe lavorato in comune, senza tener
conto delle tendenze particolari di ognuno, ad abbattere la
monarchia... Mazzini insiste soprattutto sulla necessità di
risolvere la questione politica prima della questione sociale. Egli
dichiara che, quanto a lui, non approva il programma materialista e
socialista dell'Internazionale, ma egli non crede giunto il momento
di abbandonarsi a questo proposito...» Secondo l'articolo del
«Journal des Débats», Mazzini proporrebbe di
sollevare la Sicilia e le Calabrie, per attirare in quel punto tutte
le forze militari del paese, di provocar poi una rivolta nelle
Romagne, a Genova e a Milano e infine a Roma dove «rimarrebbe
pochissimo a farsi per rovesciare la monarchia». Questo
articolo, che venne largamente riprodotto dalla stampa italiana,
sdegnò gli scrittori della «Roma del Popolo», 11
gennaio 1872. «Non sappiamo – fu il loro commento –,
signori giornalisti conservatori di Francia e d'Italia, se dobbiamo
chiamarvi ridicoli o miserabili!!!»
A parte queste fantasticherie, è
certo che di accomodamenti piú o meno provvisori fra le due
ali della democrazia si parlò, allora e in seguito, con
insistenza. Qualche tentativo d'approccio vi fu senza dubbio.
Settimanale fondato il
28 gennaio 1872; direttore Giuseppe Cozzi. Nel programma la «Lega
rossa» si definisce «il foglietto degli operai che
appartengono al partito repubblicano, e che sono affigliati per
convinzione e per sentimento allo scopo dell'Internazionale».
Quotidiano fondato il 27
dicembre 1871; diretto da Erminio Pescatori. Cessò le
pubblicazioni il 6 giugno 1872. Di questo giornale è
interessante seguire attraverso un curioso particolare il progressivo
«svincolarsi» dalla tutela e dalla tradizione morale
mazziniana. Quando esce il primo numero del giornale – il quale
non rivela che piú tardi la sua tinta internazionalista –
la testata reca, ai lati, le parole: Associazione – Lavoro –
Libertà – Uguaglianza – Fraternità –
Emancipazione – Solidarietà – Verità –
Giustizia – Morale. Questa complessa formola regge fino
all'ottavo numero in cui Associazione – Lavoro –
Fraternità – Emancipazione vengono soppresse a beneficio
di una formola internazionalista: «Nessun dovere senza diritti
– nessun diritto senza doveri». Col tredicesimo numero
scompaiono anche la Libertà, l'Uguaglianza ecc.
Sull'«Unità
italiana e Dovere», Genova, 18 aprile 1872, Armirotti
stigmatizza severamente tutta questa campagna di stampa contro
Mazzini: «Non intendo... di voler giudicare né gli uni
né gli altri (i fatti di Parigi e gli Internazionalisti), cosa
troppo ardua per me: ma intendo semplicemente di accennare ad un
fatto, ed è il linguaggio che tengono certi giornali... che,
dichiaratisi sul loro nascere repubblicani, cominciarono la loro
gloriosa carriera, col chiamare Mazzini un retrogrado,
un prete, mettendolo in un fascio coi re, coi principi
spodestati, preti, sgherri e simile brodaglia,
fra i nemici dell'umano progresso, dicendosi ora apertamente
anarchici, e ripetono ogni giorno: vogliamo la guerra
civile, vogliamo l'anarchia, ed è da queste
soltanto che sorgerà la vera libertà; non
vogliamo governo di sorta, e perciò nemmeno la
repubblica, perché l'uomo deve esser libero...»
Parole – in verità
molto trasparenti – omesse nel testo.
L'Internazionale ha già
otto anni di vita, argomenta l'«Unità italiana e
Dovere», 18 novembre 1871, e «questo periodo di tempo è
breve certamente se si guarda all'altissima meta da raggiungere; ma
se lo si confronta al nulla che sinora l'Internazionale ha operato
sulla via di conseguirla, non è piú tale, e giustifica
la convinzione nostra circa la radicale impotenza della chiassosa
associazione... Se noi guardiamo fuori d'Italia – dentro,
grazie a Dio, l'Internazionale non è che una parola; una
parola piú o meno incompresa, piú o meno amata e temuta
ma nient'altro che una parola – non scorgiamo ancora indizio
dei suoi benefici effetti». Ma era l'ottimismo di chi non
guarda o di chi, guardando, non vuol vedere, quello dell'organo
repubblicano.
La notizia – come
vedremo – era esatta. Emissari dell'Internazionale si recarono,
in quei mesi, a Torino, a Milano, a Firenze, a Napoli.
Il 27 novembre Cafiero
scriveva ad Engels che al «Motto d'Ordine» «si fa
una guerra fierissima dalla coalizione di quanto v'ha di piú
sozzo in genere di borghesia, sbirraglia governativa, nobilume e
pretume. Il povero giornale minaccia di morire, o di sfuggirci dalle
mani...» E il 28: «Voi forse osserverete che il "Motto
d'Ordine" non è sempre uguale nei suoi articoli; ma
sapeste come si compone la redazione di quel giornale! In ogni modo è
bene sappiate che non è un affare che ci appartiene
pienamente, noi ci entriamo di sbieco e cerchiamo di rendercelo utile
per quanto è possibile...» E il 19 dicembre: «..."Il
Motto d'Ordine" morí per noi, e pochi giorni dopo morí
completamente... Comprendete bene che non era piacevole di scrivere
in un giornale del quale mentre non ci si voleva dare la direzione,
si accettavano articoli del primo venuto, e che articoli!»
(Carteggio di Engels cit.).
Lettera di Cafiero a
Engels, 29 novembre 1871 (Carteggio di Engels cit.).
O meglio Pezza e Cuno
riuscirono a guadagnare alla causa dell'Internazionale (senza per
allora insistere sull'indirizzo bakunista o marxista da darsi al
nuovo raggruppamento) una forte minoranza di soci della mazziniana
Società operaia di mutuo soccorso morale e di istruzione.
L'epistolario tra Cuno ed Engels (fino ad oggi inedito) è di
notevole interesse. Scriveva l'Engels al Cuno, il 13 novembre,
confessandogli di non conoscere nomi di internazionalisti stabiliti a
Milano e invitandolo a fare un'attiva propaganda: «Milano come
capitale del mazzinianismo finora e come grossa città
industriale è per noi e per queste ragioni specialmente
importante, perché con Milano devono cader da sé in
nostre mani i distretti d'industria della seta in Lombardia...»
L'operaio Carlo Laplace;
il quale – scriveva il famigerato Terzaghi ad Engels, 4
dicembre 1871 – «in seguito ad una lettera di Mazzini
carica di adulazioni, cambiò idea».
Il Terzaghi e Giuseppe
Abello, redattore con Terzaghi del «Proletario italiano».
Inoltre venne a far parte del consiglio anche l'internazionalista G.
Eandi.
Il Fascio operaio, prima
della pubblicazione del giornale, avrebbe voluto lanciare un
manifesto; nel quale i promotori affermavano «siamo operai e
vogliamo lavorare», «rispettiamo i diritti e le proprietà
altrui», «chiediamo vengano riconosciuti i nostri diritti
di uomini e di cittadini», «vogliamo che il nostro lavoro
non ci uccida, ma ci produca tanto che basti alla nostra esistenza
fisica e morale». Ma l'affissione ne fu vietata (cfr. «Il
Fascio operaio», 27 dicembre 1871).
Piú o meno
copertamente Il Fascio operaio divideva le idee di Bakunin al quale
il Pescatori scriveva in data 2 gennaio 1872: «Siamo con voi,
non possiamo ancora prendere una risoluzione un legame definitivo...»
(M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 650).
Accetto con
orgoglio il prezioso titolo di socio del Fascio operaio di Bologna»,
Caprera, 5 dicembre 1871 (Dal primo numero del «Fascio
operaio»).
Il Fascio
operaio», n. 1, 27 dicembre 1871.
M. NETTLAU, Errico
Malatesta ecc. cit., p. 73.
Il Martello»,
Milano, 17 febbraio 1872. Il Fascio operaio di Firenze pubblicò
il 15 marzo 1872 un manifesto di propaganda; piú tardi dette
vita a un giornale dallo stesso titolo. La organizzazione fiorentina
fu sciolta dal prefetto il 1° dicembre 1872 («La Liberté»,
2 dicembre 1872).
J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. II, pp. 250 sg.
Terzaghi si trovava
allora in ottima relazione con Bakunin che aveva veduto a Locarno. Il
russo fidava completamente in lui; l'11 novembre gli aveva mandato
perfino il «dizionario» ossia, con tutta probabilità,
un cifrario segreto (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit.,
vol. II). Il direttore del «Proletario» manteneva intanto
i migliori rapporti anche col Consiglio generale di Londra. Nel marzo
'72, convinto di appropriazione indebita e sospettato come confidente
della questura, il ribaldo venne cacciato dalla sezione torinese.
Terzaghi informò dell'accaduto il Consiglio generale,
asserendo di «aver date le sue dimissioni da quella sezione di
canaglie e di spie, perché era composta di agenti del governo
e di mazziniani» (Lettera 10 marzo 1872). (C. MARX, L'Alleanza
della democrazia socialista ecc. cit., p. 37).
Il 21 dicembre 1871
Cafiero stampa sul «Gazzettino rosa» un articolo
L'Internazionale a firma Un Internazionalista in cui
espone idee molto vicine a quelle del Bakunin sulla partecipazione
degli operai alla vita politica. Questo articolo segna l'inizio della
sua conversione al bakunismo di cui diverrà il piú
attivo propagandista in Italia.
Bakunin si era molto
stupito del silenzio del «Gazzettino», fino allora
portavoce fedele dei suoi principî. E aveva scritto ai suoi
redattori, il 23 dicembre, chiedendo spiegazioni: «Fratelli,
che succede dunque di voi? Il vostro silenzio accompagnato dal
silenzio ostinato del "Gazzettino rosa" mi stupisce,
m'affligge, m'inquieta» (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc.
cit., vol. II, p. 251).
Carteggio di Engels
cit.
Lettera di Cuno a
Engels, 27 dicembre 1871. Cfr. anche «Il Gazzettino rosa»,
13 gennaio 1872.
Lettera del Consiglio
del Circolo operaio a Engels, 11 gennaio 1872. È firmata da
Pezza, Pozzi, Bavetti, Bellasio, Gandolfi e Cuno. Cuno venne in
aprile espulso dall'Italia perché – diceva l'ordinanza
della polizia – «mancante di mezzi di sussistenza».
In realtà perché attivissimo nel promuovere
l'organizzazione internazionalista. Engels, scrivendogli, gli promise
di parlar del suo caso nei giornali inglesi e di farne parlare nella
stampa socialista di tutta Europa. «Quei porci cani [la
polizia] devono accorgersi che non la va piú cosí
liscia e che il braccio degli internazionalisti è sempre piú
lungo di quello del re d'Italia» (Cart. di Engels cit.).
ASSOCIAZIONE
INTERNAZIONALE DEGLI OPERAI, SEZIONE RAVENNATE, Patto di
fratellanza, Bologna 1872.
Lettera di Terzaghi a
Engels, 4 gennaio 1872. Sull'opera svolta dal Terzaghi nell'ambiente
operaio torinese molto ci sarebbe da dire. Espulso dalla
Emancipazione, si dette a fare del dissidentismo, offrendo i suoi
servigi ora a Engels ora a Bakunin. Ma la sua parte, nonostante che
tutti lo conoscessero per quel che valeva, non era ancora terminata.
Nel 1873 fondò il giornale «La discussione» (che
durò dal maggio al settembre) e poi «Il Proletario»
(nell'ottobre), specie di libello rivolto contro mazziniani,
garibaldini, internazionalisti, ossia tutti coloro che
successivamente gli avevano dato credito. L'uomo non era privo
d'ingegno; ma in sostanza e contro ogni sua intenzione, le sue mene
giovarono piú che non nuocessero al movimento
internazionalista. Certo s'elevò al disopra dei suoi pari per
l'accortezza con la quale comprese qual fosse la via migliore per
dividere le correnti predominanti: spinse l'internazionalismo per
debellare il mazzinianismo repubblicano, fu garibaldino contro
Mazzini, marxista per scindere gli internazionalisti italiani,
petroliero e anarcoide per rovesciare sui compagni persecuzioni e
reazione e su di sé i falsi rigori della polizia (una volta si
recò a Ginevra fuggendo un autentico mandato di cattura del
procuratore del re di Pesaro!) La sua colpevolezza fu
irrefutabilmente provata da Cafiero al Congresso di Bologna (15 marzo
1873) – confermata ripetutamente piú tardi.
Il Martello»,
17 febbraio 1872.
Partito a
questo scopo da Londra e giunto a Ginevra, il Regis di là
sollecitava l'Engels (il 16 febbraio) perché gli desse modo di
esplicare subito il suo mandato, inviandogli il denaro necessario a
proseguire il viaggio. «Urge assolutamente che io parta e mi
rechi in Italia, ove le cose procedono con una rapidità
vertiginosa. Malon e compagni hanno moltissime relazioni, e nulla
trascurano per guadagnar terreno, il che è facile avendo la
piazza libera. Se piú si tarda le sezioni italiane saranno
totalmente avanzate, saranno cosí sviluppate negli intrighi
dei dissidenti, che sarebbe cosa vana e pressoché impossibile
il tentare di distrarle».
Lo stesso Engels, del resto, non si
faceva illusioni. Il 24 gennaio 1872 aveva scritto a Cuno: «La
stampa bakunista afferma che venti sezioni italiane vi si sarebbero
unite (alla proposta degli internazionalisti dissidenti di anticipare
la convocazione del Congresso generale), io non le conosco. Ad ogni
modo quasi dappertutto la direzione è nelle mani di amici e
aderenti di Bakunin, che si agitano molto rumorosamente, ma se si
indagasse con un po' di precisione, apparirebbe chiaro, che non molta
gente sta dietro di loro, perché alla fin dei conti la
grandissima maggioranza degli italiani è finora mazziniana e
lo resterà fino a quando l'Internazionale si identificherà
con l'astensione politica. E il 22 aprile, accennando alla propaganda
da svolgersi in Italia: «Sarà necessario un lungo e
paziente lavoro per strappar le masse dalle sciocchezze mazziniane»
(Carteggio di Engels cit.).
Carteggio di Engels
cit.
Del «Martello»,
settimanale, uscirono quattro numeri soltanto (l'ultimo il 3 marzo),
tre dei quali vennero sequestrati. Verso la fine di marzo il Pezza fu
arrestato insieme al gerente responsabile e a un altro redattore; nel
maggio, processati, vennero condannati rispettivamente a mesi 6, 1 e
3 di carcere. In agosto troviamo il Pezza, forse fuggito di prigione,
in Isvizzera. Intimo amico del Bakunin, le cui idee erano fedelmente
rispecchiate nel «Martello», morí giovanissimo,
pochi mesi dopo (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., II;
M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 647).
E precisamente quelli di
Ravenna, Forlí, Lugo, Madonna dell'Albero, Santo Stefano, San
Bartolo, Bastia, Campiano, Carpinello, Coccolia, San Pancrazio («Il
Martello», 25 febbraio 1872).
L'Anticristo»,
febbraio 1872.
Il Martello»,
25 febbraio, 3 marzo 1872; «La Campana», 10 marzo 1872.
Uno dei sistemi che egli
seguiva per la sua propaganda era quello di dirigere lunghissime
lettere zeppe di consigli, d'informazioni, di spiegazioni a uno dei
suoi amici italiani. Le lettere poi dovevan passare di mano in mano,
secondo un itinerario da lui stabilito. Ogni amico era
indicato con uno pseudonimo.
Il 12 novembre 1871 «Il
Proletario italiano» di Torino ospitò sulle sue colonne
una lettera di Beghelli, direttore del «Ficcanaso», in
difesa del mazzinianismo. Bakunin iniziò una lunghissima
risposta Ai redattori del «Proletario italiano»,
alcuni frammenti della quale sono riprodotti da M. NETTLAU, Michael
Bakunin ecc. cit., III, pp. 643-64. Ma non fu mai pubblicata, e
forse neppure condotta a termine e inviata a destinazione.
Fu pubblicato a cura
della Commission de propagande socialiste, a Neuchâtel, nella
tipografia Guillaume. Io ne ho consultata la copia posseduta dalla
Biblioteca centrale del Risorgimento in Roma. Si avverta che un
opuscoletto con lo stesso titolo stampato a Roma nel 1910 dalla
Libreria editrice libertaria non contiene che la Risposta già
esaminata.
Si leggano, a prova, i
giornali mazziniani: vi si sente «non so quale atmosfera
soffocante, un soffio di morte e come odor di cadavere... In mezzo al
movimento sociale immenso che ha invaso il mondo umano... restano là,
immobili isolati, stranieri a questo sviluppo di vita, e gli occhi
invariabilmente fissati su Savonarola e Dante, cantano le loro
vecchie litanie» (p. 47).
Salvo questo accenno a
pretese responsabilità di Mazzini nel determinare i rigori
governativi contro l'Internazionale, l'opuscolo bakunista non
contiene alcun attacco personale contro di lui. Del quale, anzi, a p.
44, Bakunin cosí scrive: «Pochi uomini, senza dubbio,
sono capaci d'amare come Mazzini. Chiunque ha avuto la fortuna di
avvicinarlo personalmente ha sentito gli effluvi di quella tenerezza
infinita che sembra penetrare tutto il suo essere, si è
scaldato l'anima al raggio di quella bontà indulgente e
delicata che brilla nel suo sguardo nello stesso tempo cosí
serio e dolce, nel suo sorriso melanconico e fine». E a p. 46:
«Amo Mazzini e lo venero e pertanto devo combatterlo. Devo
mettermi dalla parte di Marx contro di lui».
L'Alleanza»,
marzo 1872.
Alla Consociazione
repubblicana romagnola («L'Alleanza», 9 marzo 1872).
Con te differisco
nel fine e quindi nei mezzi e nel metodo da tenersi – gli
scrive Mazzini il 12 settembre 1869 –. Tu non tendi a fine
pratico alcuno... Io tendo a cercar gli eventi; tendo a cogliere la
prima opportunità per un'insurrezione repubblicana; e quindi
la necessità di un ordinamento. Il tuo sistema conduce
diritto, senza che tu vi pensi, alla sosta indefinita,
all'abdicazione di ogni iniziativa» (Lettere di G. Mazzini a
F. Campanella cit., p. 333). E a Giorgina, nel giugno '70: «Ciò
ch'io persisto a rimproverare nel mio cuore ad Aurelio è il
silenzio... perché non scrive contro il materialismo, il
machiavellismo e tutti gli ismi che ci appestano? Che fa egli
dell'ingegno che Dio gli ha dato? Manca di coraggio morale? Temo a
poco a poco di convincermene. Perché mi lascia solo? Perché
non combattere in due?» (ibid., p. 335).
Cfr. lettera di Mazzini
a Giannelli, ricevuta il 18 ottobre 1869. Lettere di G. Mazzini ad
A. Giannelli cit., p. 422.
Cfr. lettera di Mazzini
a Emilia Ashurst, 9 gennaio 1860 (RICHARDS, op. cit., II,
165).
Già abbiamo
accennato a Mazzoni, a Castellazzo, a Socci. Piú che
pencolare, precipitava addirittura verso l'internazionalismo
Battaglia. Mazzini ne scriveva al Giannelli, il 16 febbraio 1872: «Se
per miracolo di provvidenza. gl'italiani si destassero non a ciarle
ma a fatti, o in lettiga o in piedi, finché vivo, farò
il mio dovere. Fin là, non posso che gridare, come tutti gli
onesti dovrebbero, contro questa invasione di barbari che deturpano e
rovinano il partito, senz'ombra di senno o possibilità di
riescire in ciò che ciarlano di volere... Mi duole di
Batta[glia]. Non intendo com'ei sia tornato quasi internazionalista
dalla Sicilia» (Lettere di G. Mazzini ad A. Giannelli
cit., p. 50).
Lettere di G. Mazzini
a F. Campanella cit., p. 48.
Nella sua nobile
coerenza, Mazzini non aveva esitato a rompere ogni rapporto non solo
con i nuclei operai che avessero aderito all'Internazionale, ma anche
con quelli che avessero comunque dimostrato tendenze contrarie al suo
programma. Il 27 febbraio 1872, per esempio, informato che la Società
operaia di Brescia aveva «deliberato darsi il bando alla
politica nelle sue discussioni», le aveva scritto, per
avvertirla che se il fatto era vero cancellasse il suo nome dall'Albo
dei soci onorari. «Non posso appartenere alla vostra società
senza aperta contraddizione a quanto è in me profondo
convincimento... È un'abdicazione intellettuale e morale...
errore e colpa» («L'Alleanza», Bologna, marzo
1872).
Nel maggio-giugno. Ne
trovo notizia nel già citato Giornale di anonimo
autore, che si conserva a Cesena.
Il Romagnolo»,
Ravenna, 18 giugno 1871.
L'Unità
italiana», 25 agosto 1871.
La Statistica ufficiale
(«Ann. di Stat.», cit.) conta 26 scioperi nel 1871.
L'Unità
italiana e Dovere», 5 gennaio 1872.
Cosí a Milano,
nel luglio, fra gli operai della Società per le ferrovie
dell'alta Italia («Il Gazzettino rosa», 24 luglio 1871);
a Torino, nell'agosto, fra i panattieri («Il Monitore di
Bologna», 5 agosto 1871); a Milano, nell'agosto, fra i
lavoranti sarti (ibid., 27 agosto). Nel settembre si
verificano tumulti a Venezia. Il 15 vien trovato affisso un curioso
manifesto manoscritto: «Aviso - La Società dei
Congiurati Avvisa - che noi - tutti - 500 - voliamo Abaso - tutte le
machine delle - Conterie - Del grano - chanevo ecc. ecc. i Batelli a
vapore - e altre cose che - è danno - al Povero Popolo!! e
dentro - 15 o 20 - giorni voliamo - tutte biade e le farine Ribasate
oseno - Daremo fogo i Palassi - di questi Signori. Il Presidente I.
S.» («Il Monitore di Bologna», 17 settembre 1871).
Una di esse,
l'Associazione dei tipografi, ha nel 1871 ventisette sedi (BROCCHI,
L'organizzazione ecc. cit., p. XIX). Sempre nel 1871 si tiene
a Napoli il III Congresso dei tipografi per l'osservanza della
tariffa (T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit.).
L'Alleanza»,
6 aprile 1872. L'ignoto destinatario della lettera, pubblicandola,
cosí la commentava: «La religione del dovere gli
trattenne la mano, ma egli era stato ferito nel cuore e ne morí
di dolore: spirò col nome di Garibaldi sulle labbra,
perdonando e sperando».
TIVARONI, L'Italia
degli italiani, Torino 1897, III, pp. 215 sg.
Ai primi di aprile si
tenne a Macerata un comizio per commemorare Mazzini, indetto –
riferiva «Il Lucifero» di Ancona (cfr. «L'Unità
italiana e Dovere», 9 maggio 1872) – dai «nostri
amici repubblicani socialisti unitari». Uno degli oratori,
Giuliozzi, alludendo agli internazionalisti, lamentò che molti
avessero abbandonato la bandiera di Mazzini. Un certo Giannini
interruppe: «Io pure appartengo all'Internazionale, ma non ho
mai disertato la bandiera di Mazzini!» «Il Lucifero»
commentava, notando che non era possibile dirsi internazionalisti
senza disertare il mazzinianismo; e aggiungeva: «Il nostro
maestro sul letto di morte dichiarò, che piú che le
antiche delusioni, che avevano logorato il suo corpo, amareggiava
l'anima sua lo stuolo d'italiani, che, leggeri come fanciulle,
s'invaghirono delle straniere lusinghe!»
Commosse parole di
avversario onesto scrisse su Mazzini anche Bakunin (a Cerretti, 19
marzo 1872): «Saremmo stati vili e traditori se non l'avessimo
combattuto a oltranza. Il profondo sentimento di rispetto simpatico,
di pietà che non abbiamo mai cessato di provare per il sublime
e sincero retrogrado, ci aveva reso il combattimento assai doloroso,
assai penoso ma non potemmo sottrarci senza tradire la nostra
causa... Nuovo Giosuè, Mazzini si era sforzato di fermare il
sole. Il a succombé à la tâche. La sua
grande anima affaticata, torturata, ha finalmente trovato quel riposo
che vivo non ha mai conosciuto. Il grande patriota mistico, l'ultimo
profeta di Dio sulla terra è morto...» (M. NETTLAU,
Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 639).
Quanto precede prova
l'inesattezza dell'affermazione.
I funerali di G.
Mazzini, in Cose garibaldine, Torino 1907.
Bologna, Ravenna,
Rimini, Fano, Massignano, Lugo, Montelparo, San Potito, Fusignano,
Forlí, Faenza, Senigallia, Sant'Arcangelo, Imola.
Mirandola, Genova,
Mantova, Napoli.
In realtà con
tale deliberazione il Congresso di Bologna commise un grosso errore.
Il Consiglio generale di Londra, infatti, fino alla riunione del
congresso deteneva regolarmente ed esclusivamente il potere e aveva
un mandato precisato dagli statuti. Il Comitato federale del Giura
non era, invece, che un comitato regionale, il quale aveva tutto il
diritto di fare opposizione al Consiglio generale, ma non quello di
sostituirglisi. L'errore di metterli su uno stesso piano era cosí
evidente che il Comitato del Giura trovò necessario di
sconfessare – pro forma, s'intende – la deliberazione
bolognese. Carlo Marx, comunque, ritenne che gli italiani avessero
con la loro leggerezza rivelato il giuoco sotterraneo di Bakunin. «Il
"Fascio operaio" – scrisse infatti – aveva
commesso un grosso sbaglio, scoprendo a' profani la misteriosa
esistenza del centro segreto dell'Alleanza» (J. GUILLAUME,
L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 268. C. MARX,
L'Alleanza democratica socialista ecc. cit.).
Celso Cerretti, ad
esempio, presentò un ordine del giorno «tendente a
sanzionare che caso mai i mazziniani decidessero di passare
dall'apostolato all'azione, noi internazionali li avremmo seguiti»
(«L'Alleanza», 1872). Il Cerretti era uno dei fautori di
quel Congresso democratico proposto da Garibaldi che avrebbe dovuto
risolvere gli equivoci e ridare unità e vigore alla democrazia
repubblicana.
Il Fascio
operaio», 24 marzo 1872.
Il Gazzettino
rosa», 30 marzo 1871; M. MACCHI, Almanacco per il 1873
cit., p. 33.
M. MACCHI, Almanacco
per il 1873 cit.; BERTOLINI, op. cit.
Il Romagnolo»,
27 agosto 1871.
Lo Staffile»,
Bologna, 4 maggio 1872.
L'Unità
italiana e Dovere», 18 aprile 1872.
A. ANGIOLINI, Socialismo
ecc. cit., p. 79; «Lo Staffile», 23 marzo 1872.
Cfr. Diario
forlivese cit., 1° aprile 1872.
Già il 29 agosto
1871, scrivendo ai redattori della «Liberté»,
Bakunin dichiarava che l'Italia «è un paese nel quale la
rivoluzione sociale è forse piú imminente che in
Germania e certo piú prossima che in Svizzera» e poi,
quasi stupito che le qualità rivoluzionarie del popolo
italiano non fossero state sfruttate negli ultimi anni, nei quali il
malcontento era pur cosi generalmente diffuso: «Se i mazziniani
fossero stati piú vivi, piú pratici..., se, meno
disseccati dal teologismo e dalla statolatria di Mazzini, avessero
conservato un po' di cuore per le sofferenze reali del popolo,
avrebbero potuto trarre partito in modo straordinario dal movimento
quasi universale e affatto spontaneo dei contadini italiani contro la
legge del macinato, circa due anni fa... Ma era un movimento troppo
barbaro per dei rivoluzionari formati alla scuola di Mazzini. Lo
sdegnarono» (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc.
cit., III, pp. 624-25).
Le stesse impressioni
sulla gioventú italiana riportava Benedetto Malon, profugo in
Italia: «Nella vita sociale dell'Italia – scriveva –
vi è un fenomeno che essa ha comune soltanto con la Spagna, e
sono le molte migliaia di giovani sempre disposti ad arrischiar la
vita per una grande causa... Il meglio di queste giovani schiere non
appaga le sue aspirazioni coll'unità d'Italia o colla
repubblica, ma va piú in là, fino al socialismo»
(Il socialismo, suo passato, presente e avvenire, 1873).
C. MARX, L'Alleanza
della democrazia socialista ecc. cit., pp. 117 sg. Anche Giulio
Guesde, profugo di Francia e uno dei primi introduttori del marxismo
in Italia, scriveva a Joukovski da Roma il 30 aprile 1872: «Qui
ci si muove molto. Gli operai son pieni di buona volontà.
Lasciate loro il tempo di dimenticare Mazzini e saranno per
noi e per la rivoluzione sociale».
L'Unità
italiana e Dovere», 20-21 aprile 1872. Due tipografi, delegati
al congresso dalla Società dei compositori tipografi di Roma,
quando videro che in maggioranza i delegati erano «nobili,
senatori, deputati, avvocati e capitalisti, gl'interessi dei quali
non possono non essere opposti a quelli di coloro che vivono col
frutto delle proprie fatiche» si ritirarono. Osservava in
proposito «La Perseveranza», aprile 1872: «In
questi benedetti congressi [operai] avvengono guai, quando in luogo
di persone cresciute agli studi e alla matura discussione de' propri
interessi, adunano uomini, cui la necessità del lavoro manuale
ha lasciato poco tempo da dedicare ai libri, e che perciò
appunto non hanno la pratica necessaria delle forme, che devonsi
osservare nelle numerose assemblee». I mazziniani provocarono
nei giorni seguenti numerose proteste contro questo controcongresso
da parte di nuclei operai aderenti al partito d'azione, riuscendo a
organizzare per il 21 aprile un comizio di un due o trecento operai
romani al teatro Corea: l'ordine del giorno che venne votato
terminava cosí: «Noi vogliamo che tutti gli operai
italiani s'uniscano tra di loro e s'uniscano cogli operai di tutta
l'Europa per raggiungere l'emancipazione sociale» («L'Unità
italiana e Dovere», 23-25 aprile 1872).
Del Piccinini si legge
nel «Martello» del 3 marzo 1872 una lettera, in data 29
febbraio, nella quale è molto chiaramente esposta
l'ineluttabile necessità della lotta di classe.
L'Unità
italiana e Dovere», Genova, 8 maggio 1872. Da rammentarsi la
bella epigrafe che Giosuè Carducci dettò per il
Piccinini; la riporta A. ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p.
79.
Da Giuseppe Eandi:
«Udita la lettura degli statuti generali della Associazione
internazionale dei lavoratori; considerando che i santi principî
che la informano ed i mezzi indicativi sono i piú atti ad
affrettare l'emancipazione delle classi operaie e l'abolizione di
ogni supremazia di classe; approva in massima tali principî, e
fa voti perché le singole società studino nel loro seno
la necessità di aderire all'Associazione internazionale».
Cfr. anche una lettera del Consiglio della Emancipazione del
proletario a Engels, del 16 maggio 1872 (Carteggio di Engels
cit.).
Su proposta di Carlo
Laplace. M. MACCHI, Almanacco per il 1873 cit., pp. 16 sg.;
«L'Unità italiana e Dovere», 4-14 maggio 1872.
Carteggio di Engels
cit.
E,
precisamente, di: Torino, Mantova, Bologna, Ravenna, Rimini, Imola,
Lugo, Fusignano, San Potito, Mirandola, San Giovanni in Persiceto,
Fano, Sant'Arcangelo, Senigallia, Forlí, Firenze, Siena, Roma,
sezioni umbre, Napoli, Sciacca.
Il Congresso era stato indetto dal
Fascio operaio di Bologna con una circolare a tutte le sezioni
internazionali in data 2 luglio 1872. Ogni sezione era invitata a
formulare quesiti per la discussione (Carteggio di Engels
cit.).
Storia della
Internazionale cit., pp. 503 sg.
Precisamente, le sezioni di Milano, Lodi, Venezia, Verona, Genova,
Ferrara, Modena, Faenza, Fermo, Massignano, Montelparo, Empoli,
Fiesole, Pistoia, Pescia, Livorno, Macerata, Ancona, Jesi, Palermo,
Messina, Girgenti, Grotte, Porto Empedocle, Menfi, Trapani.
In una bozza di Circolare contro
Rimini, che si trova fra le carte di Engels e che era destinata a
tutte le pretese sezioni che avevano partecipato al Congresso
(ignoro se essa fu poi realmente inviata) si legge: «Importa
constatare che delle 21 sezioni i cui delegati hanno firmata questa
risoluzione, v'è una sola [Napoli] che appartiene
all'Internazionale. Nessuna delle altre ha giammai adempita alcuna
delle condizioni prescritte dai nostri statuti e regolamenti generali
per la ammissione di nuove sezioni». L'affermazione di Engels
era inesatta. Egli stesso aveva tenuto, nei mesi antecedenti,
corrispondenza con le sezioni di Torino, Bologna, Imola, Ravenna
(oltre che con altre non partecipanti al congresso). È vero
invece che molte delle sezioni italiane non avevan riempito tutte
le formalità prescritte per esser considerate ufficialmente
tali. Engels poteva dunque anche aver ragione, ma dal puro lato
formale. A noi oggi interessa sapere quanti nuclei operai esistevano
allora in Italia, che si dichiaravano aderenti all'Internazionale, e
non quanti avevan pagato a Londra i regolamentari dieci centesimi per
socio.
Cfr. per esempio A.
ANGIOLINI, Socialismo ecc. cit., p. 84.
Insospettito dell'animosità che, nelle lettere private e non,
Engels e tutto il Consiglio di Londra dimostravano contro Bakunin,
influenzato dal circolo di amici di quest'ultimo al quale, in
sostanza, si riduceva il movimento internazionalista in Napoli, poco
soddisfatto di certe risoluzioni della Conferenza di Londra, Cafiero
volle veder chiaro nella faccenda. E si recò a Locarno per
conoscere Bakunin, esporgli francamente alcune accuse che si facevano
circolare contro di lui, invitandolo a spiegarsi, conoscere insomma
il suo modo di pensare (20 maggio 1872). Il 21 maggio il russo
segnava sul suo diario: «Tutto il giorno con Fanelli e Cafiero;
alleanza ben stretta»; e il 24: «Conversato con Armando
(pseudonimo di Cafiero). Piano di organizzazione abbozzato».
L'intesa tra Engels e Cafiero si era prolungata perché
quest'ultimo equivocava sulle idee del primo. Cafiero era, per
istinto, il seguace-tipo di Bakunin. Il 12 giugno spedí
all'Engels una lunga lettera (riveduta – pare – dal
Bakunin), nella quale annunciava il suo passaggio al campo nemico.
Eccone qualche passo: «Il vostro programma comunista è,
per me, nella sua parte positiva una grossa assurdità
reazionaria... Tutti vogliono conquistare, o meglio, rivendicare il
capitale alla collettività, ed all'uopo si propongono
due modi diversi. Gli uni consigliano un colpo di mano sulla rocca
principale – lo stato – caduta la quale in potere dei
nostri, la porta del capitale sarà aperta a tutti;
mentre gli altri avvisano di abbattere tutti insieme ogni
ostacolo, e d'impossessarsi, di fatto, di quel capitale
che si vuole assicurare per sempre proprietà collettiva. Io
sono schierato coi secondi... io detesto l'autorità, e ne
voglio la distruzione nelle sue piú patenti estrinsecazioni,
la chiesa e lo stato... Bakunin e i dissidenti del Giura non hanno
mai avuto in mente di sostituire le loro idee al programma largo
dell'Internazionale, essi hanno sempre ritenuto che il gran merito
dell'Internazionale sta appunto nella larghezza del suo programma...
La Conferenza di Londra ha veramente introdotto delle dottrine
speciali, imponendo una tattica uniforme a tutta l'Internazionale,
che è quella svolta nel manifesto comunista tedesco...»
Engels andò su
tutte le furie e rispose a Cafiero con una vivacissima lettera: «...
non posso conchiudere che una sola cosa: che voi vi siate lasciato
indurre d'intrare [sic] nella società segreta
bakunista l'Allianza [sic] la quale, predicando ai
profani, sotto la maschera dell'autonomia anarchica, e
antiautoritarismo, la disorganizzazione dell'Internazionale, pratica
cogli iniziati un autoritarismo assoluto collo scopo d'impadronirsi
della direzione dell'associazione... mi dovrò congratulare con
voi che avete messa a salvo a giammai la vostra preziosa
autonomia...» (Carteggio di Engels cit.).
L'opera di Cafiero in pro' del
bakunismo si svolse dal '72 in là; oltrepassa perciò i
limiti del mio lavoro. Va ricordata di lui la traduzione e riduzione
del Capitale di Marx (prima in Italia) compiuta in carcere nel
'77-78 e pubblicata nel '79. Anima semplice e generosa (spese il suo
considerevole patrimonio per la propaganda internazionalista),
facilmente influenzabile, Cafiero esercitò una parte di primo
ordine nella lotta sociale in Italia.
Nato a Imola nel '54,
Costa fu uno dei tanti che subirono il fascino della Comune di Parigi
(era allora studente all'Università di Bologna dove il
Carducci l'aveva carissimo). Nella primavera del '72, già
volto decisamente al socialismo, credendosi poco sicuro in patria, si
rifugiò in Isvizzera, a Neuchâtel, dove fu compito del
Guillaume rassodarlo sulle teoriche socialiste. Poco dopo,
rinfrancato da notizie giuntegli dall'Italia, tornò in patria:
intelligente e attivissimo, afferrò le redini del movimento
sovversivo guidandolo, in conformità al suo giovanile purismo,
sulle vie dell'intransigenza rivoluzionaria.
La Favilla»,
anno VII, n. 162 (Mantova, 8 agosto 1872). Il Congresso provvide a
far pubblicare il Programma e regolamento della Federazione
italiana della Associazione internazionale dei lavoratori (Rimini
1872). La copia da me consultata – che ora si conserva alla
Biblioteca dell'Archiginnasio di Bologna – fu già in
possesso di Giosuè Carducci.
«L'Unità italiana e
Dovere», Milano, 13 agosto 1872, pubblicò un breve
resoconto del Congresso, tra l'altro scrivendo che «non vennero
discussi i principî, ma si accettarono quelli già
dichiarati nei congressi antecedenti, cioè: Abolizione
giuridica della famiglia (?) - Proprietà collettiva
degli strumenti del lavoro e del suolo - Abolizione dello
Stato, ecc.».
Si veda per esempio la
lettera che un tale Filippo Ricci scriveva ai «Rappresentanti
del proletariato mondiale all'Aja» (in occasione del Congresso
internazionale) da Porto Maurizio, il 26 agosto, annunciando la
prossima costituzione di una sezione. Vi si espongono le «miserevoli
condizioni della Liguria occidentale... su di cui il soffio vitale
dei principî della Società internazionale, non ha ancora
potuto pervenirvi... Le mercedi degli operai sono tanto esigue, che
non bastano al loro sostentamento...; che la grande Associazione
internazionale rivolga uno sguardo su questa miserevole terra, e le
sue dottrine si spargano fra tanta tenebria, per infondere un raggio
di speranza nel cuore dei nostri sofferenti lavoratori...»
(Carteggio di Engels cit.).
Nell'agosto s'iniziava
il carteggio tra Engels e Gnocchi-Viani, che rimase poi sempre fedele
al programma marxista. La prima lettera è del 18 agosto
(Gnocchi a Engels) e si conserva nel citato Carteggio di Engels.
J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit.,
vol. III, pp. 21 sg.
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