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Nello Rosselli Mazzini e Bakunin IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Bakunin in Italia
Nel gennaio 1864 Bakunin viene in Italia. Mazzini e Saffi241 – che ha conosciuti in Inghilterra e che lo sanno un fervente democratico – gli hanno procurato biglietti di presentazione per gli uomini piú influenti della Sinistra242. A Genova incontra Agostino Bertani, che piú tardi giudicherà una delle teste migliori del partito d'azione243 e che ora gli facilita una gita a Caprera per conoscere Garibaldi244. Giunge infine a Firenze e vi si trattiene fino all'agosto. Di questo primo soggiorno in Italia Bakunin approfitta per maturare definitivamente il suo programma sociale: fino allora ha dedicato gran parte della sua attività alla battaglia per la libertà in Russia e per il diritto nazionale in Polonia; adesso si trova in un paese che, risolto il problema delle libertà costituzionali e della indipendenza nazionale, è ben lungi dall'avere raggiunto un definitivo assestamento; un paese in cui la rivoluzione politica non è stata affatto seguita da un progresso immediato, visibile, della maggioranza della popolazione. L'osservazione di questo fatto esercita una decisiva influenza sul suo spirito. A Firenze egli annoda numerose relazioni, specie nell'ambiente democratico massonico; conosce Alberto Mario, Lodovico Frapolli, Luigi Castellazzo, Beppe Dolfi, Giuseppe Mazzoni, Ettore Socci, Andrea Giannelli, Berti Calura, De Gubernatis; rivede Ludmilla Assing. Frequenta quel circolo di scienziati positivisti, che si raggruppa attorno ad Ugo Schiff e ad Alessandro Herzen (figlio del rivoluzionario russo suo intimo amico) e che allora, in Firenze, è molto in vista245. Vuol farsi un'idea del valore dei partiti politici italiani, soprattutto di quello di sinistra, che è il piú vicino alle sue idee. «Presso noi – scrisse Andrea Giannelli – Bakunin fece tesoro della sua amicizia con G. Mazzini altamente lodandone le qualità politiche tanto ch'egli riuscí ad attirare le nostre simpatie»246. La sua prima impressione della lotta politica in Italia non è buona. «Come vedete – scrive il 4 marzo 1864 agli amici Herzen e Ogarëv – qui e in tutta l'Europa vi è un terribile imbroglio; nessuna questione viene posta nettamente e chiaramente. Ma l'elettricità si va accumulando nell'aria e l'atmosfera ne diventa sempre piú satura. L'uragano è imminente. Può darsi che l'esplosione avvenga piú tardi, ma mi sembra che il riflusso sia finito e che stia per cominciare l'alta marea»247. Lo urtano le tergiversazioni della Sinistra, il suo rivoluzionarismo temperato e conciliante, le mille tendenze particolari nelle quali si divide e che la rendono praticamente poco efficace. Però sintomi rivoluzionari nel paese ci sono, o cosí gli sembra, e tanto basta: bisognerà coltivarli e prima o poi si tradurranno in fatti. Non sappiamo con certezza se Bakunin fosse o no ascritto alla massoneria; tra questa e le associazioni piú o meno segrete che egli creò allora e in seguito vi sono certo molti punti di contatto. Inoltre, si deve a lui un progetto di riforma della massoneria, che parrebbe provare la sua affiliazione248. Come Mazzini, egli spera di convertire al suo programma la potente associazione, la quale, secondo lui, non ad altro deve tendere che alla emancipazione completa dell'uomo, alla costituzione di un'umanità libera sulle rovine d'ogni autorità249. Il 23 maggio 1866 invita gli amici Herzen e Ogarëv a lasciare «l'idea assurda ch'io sia iscritto alla frammassoneria. Forse la frammassoneria potrebbe ancora servirmi da maschera o da passaporto, ma il cercarvi un'occupazione seria sarebbe, per lo meno, puerile quanto il cercar consolazione nel vino»250. Smentita cui si oppongono le testimonianze fiorentine, abbastanza esplicite. Il De Gubernatis afferma che egli «avea pur dovuto passarvi (nella massoneria) perché gli forniva il modo di preparare altro»251; e il Giannelli, che «aveva fiducia nella massoneria in genere, era esso stesso massone, ma s'ingannava, ritenendo che cotesta istituzione, guidata allora dal Frapolli in Italia, potesse neppure minimamente giovare, accettare od appoggiare le sue idee nichiliste»252. Era, dunque, assai probabilmente massone; forse, come autorevolmente suppone il Nettlau253, lo divenne a Firenze, con la speranza di acquistare in tal modo larghe aderenze nell'ambiente democratico e specialmente nella frazione mazziniana, allora in strettissimi rapporti con la massoneria254. Quello stato d'animo che Mazzini, col suo apostolato di trent'anni, aveva creato in molti giovani delle classi medie e in qualche operaio intelligente, era quello stesso sul quale poteva contare Bakunin per la divulgazione della sua dottrina sociale in formazione. Celebre per la fuga dalla Siberia, ammirato come irriducibile ribelle e veterano delle battaglie per la libertà di tutti i popoli, Bakunin si mette dunque in contatto con gli elementi piú intelligenti e spregiudicati dell'estrema Sinistra. Con i quali, massoni o non massoni, egli aveva già molti principî e molte idealità comuni; e intanto, fondamentali, la sensazione che il paese non avesse davvero raggiunto un assetto definitivo; l'aspirazione in essi piuttosto vaga, ma generalmente condivisa, a una riforma prossima o lontana, totale o parziale, ma pur sempre a una riforma sulle basi politiche e sociali dello Stato italiano. Inoltre la convinzione che, nel rapido rivolgimento che aveva portato alla formazione dello Stato unitario e posto le fondamenta della prosperità della borghesia, troppo poco posto si era fatto ai desideri e al soddisfacimento dei bisogni, anche se inavvertiti o inespressi, delle classi povere; e perciò la volontà, piú o meno costante e spontanea, di andare incontro a quelle classi e di curarne l'elevazione morale e materiale e di inserirle – per la prima volta nella storia – come forze coscienti nella vita della nazione. Terzo e non ultimo punto di contatto fra loro la visione dell'avvenire europeo, che, pur prospettato sotto forme tutt'altro che identiche, si accordava nella comune aspirazione a veder rispettate e promosse le libertà nazionali dei singoli popoli. Alcuni fra quei democratici – citerò Bertani, Mario e Macchi, che ebbero tutti, in quegli anni, relazioni con Bakunin – eran poi convinti fautori del federalismo, come di quel principio che, intelligentemente applicato, avrebbe potuto rigenerar l'Italia e guarirne tanti mali dovuti alla scarsa omogeneità dei suoi abitanti e alla affrettata unificazione; e ciò valeva a creare fra essi e Bakunin un terreno di facile intesa. Ma tra il russo e una buona parte dei democratici militanti italiani v'era ancora un altro elemento di accordo destinato, date le circostanze, ad avere la piú grande importanza: la concezione religiosa. Dal '48 in poi la lotta per l'unità e l'indipendenza italiana si era identificata, almeno in parte, con una vivacissima campagna contro il potere temporale dei papi, che per il fatto stesso della sua esistenza e per la sua funzione politica, costituiva uno degli ostacoli piú gravi al raggiungimento degli obiettivi nazionali; ma non soltanto contro il potere temporale, bensí contro il cattolicismo ufficiale che consacrava, insieme a quello, la legittimità degli Stati e di tutto un assetto politico il cui abbattimento era condizione indispensabile alla unità. Il nostro Risorgimento, insomma, se non nelle premesse, certo nei mezzi usati ad attuarlo e negli immediati resultati, fu pienamente avverso alle esigenze del cattolicismo e noi lo vediamo oggi impostato – o cosí ci sembra – come uno sforzo di liberazione dal conservatorismo antiunitario della Chiesa. Gli uomini che avevano abbracciato il programma di Mazzini o di Cattaneo o comunque contribuito alla formazione dell'Italia eran perciò, in notevole maggioranza, dei ribelli anche nel campo religioso; e, o si limitavano a voler la distruzione del potere temporale, pronti, poi che si fosse ottenuto questo intento, a far atto di ossequio all'autorità spirituale del pontefice; o rilevavano la insufficienza della religione ufficiale, sognandone una nuova, piú adatta alle necessità dello spirito moderno, che integrasse l'insegnamento cristiano; o, sordi ad ogni concezione spiritualistica della vita, si disinteressavano del problema religioso, limitandosi a ribadire ripetutamente il loro anticlericalismo; o, infine, a riflesso di un nuovo movimento filosofico e scientifico che si andava affermando sempre piú vigorosamente fuori d'Italia, si accostavano a quella concezione positivistica che sembrava corrispondere, nel campo speculativo, alla tendenza emancipatrice, allora trionfante in quello politico. Questi uomini formatisi nelle battaglie del periodo 1848-59 erano poi gli stessi che riempivano la scena politica del decennio successivo; sí che può dirsi che le prime fondamenta del nuovo edificio nazionale costruito sui detriti dei vecchi regimi vennero gettate da una generazione composta in buona parte di elementi che con la religione ufficiale avevano tutti qualche conto da saldare, e molti addirittura con qualunque disciplina e concezione religiosa. La religiosità del Mazzini non solo non riusciva ad attirare questi transfughi del cattolicismo, ma neanche a permeare di sé la maggioranza dei mazziniani; molti dei quali seguitavano a professarsi tali, pur discordando dal maestro nel punto centrale, anzi in quel che era il vero deus-ex-machina di tutto il suo sistema. Il positivismo invece prese salda radice in Italia proprio negli anni immediatamente successivi al '60, coincidendo con un intenso risveglio di attività scientifica. Accanto a Cattaneo – discepolo di Romagnosi – che in ogni campo della sua sconfinata attività aveva portato lo stesso metodo di indagine spassionata e realistica, lo stesso spirito lucido e concreto e che, col suo Invito alli amatori della filosofia (1857) – esortazione ad abbandonare lo sterile astrattismo per dedicar l'ingegno allo studio e all'incremento delle scienze – aveva dato in certo senso la squilla al movimento positivistico italiano; troviamo il Ferrari, solitario pensatore, teorico del fenomenismo, per tanti punti nei suoi studi storici e filosofici precursore del nuovo orientamento spirituale; il Macchi, formatosi alla scuola del Cattaneo, razionalista convinto ed assoluto, fervido propagandista delle sue idee; Alberto Mario, fedele seguace del programma politico di Cattaneo e libero pensatore; Ausonio Franchi, transfuga del cattolicismo, teorico di un razionalismo integrale e fondatore del giornale «La Ragione» (1854-57) e poi Pasquale Villari, il Trezza, Aristide Gabelli e Nicola Marselli, nomi illustri o nella storia o nella filosofia, teorici del positivismo. E, dietro a loro, tutta una schiera di pensatori e di scrittori di seconda grandezza, attivissimi nella divulgazione dei risultati del nuovo indirizzo scientifico: come Luigi Stefanoni, traduttore di Feuerbach, di Büchner, di Herzen, di Fontenelle, oltre che mediocre ma vivace cultore di studi storici e politici; Filippo De Boni, Levino Robecchi, Guido Bazzoni, Giuseppe Ricciardi, Luigi Bertagnoni e moltissimi altri, ai quali si deve una fervidissima propaganda del libero pensiero, propaganda che si estrinsecava nella fioritura di numerosissime società di liberi pensatori255, promotrici di conferenze, riunioni, pubblicazioni varie e giornali. Fra questi ultimi, notevole «Il Libero Pensiero» (tramutatosi poi nel «Libero Pensatore») che si pubblicò prima a Parma, poi a Firenze e a Milano dal 1866 al 1875. Nelle Università, intanto, nei gabinetti scientifici trionfava l'indirizzo materialistico di quasi esclusiva importazione straniera. Basterà ricordare il Moleschott, lo Schiff, lo Herzen, Cesare Lombroso, Salvatore Tommasi. Il clamore destato dai loro studi valeva a dare a tutto il movimento del libero pensiero, che dei risultati di quegli studi si faceva divulgatore, generalizzatore ed esageratore entusiasta, un tono di vivacità e nello stesso tempo di serietà che gli conciliavano sempre piú larga simpatia e adesioni. Le file democratiche si eran lasciate profondamente permeare da questo nuovo spirito tanto che si può dire che, fra di esse, quelli che n'eran rimasti estranei formavano una piuttosto esigua minoranza. Lo seguiva perfino – e con quanto fervore – il capo riconosciuto del movimento democratico, Giuseppe Garibaldi; il quale, movendo da un anticlericalismo istintivo ed ostinatissimo, che non di rado lo portò a trascendere ogni limite negli attacchi quotidiani alla religione ufficiale dello Stato, era giunto a un suo culto della ragione che, per esser teoricamente vago e indistinto, non per questo era meno saldo e ribadito e ostentato. In questo ambiente di mazziniani ortodossi e di mazziniani dissidenti sul problema religioso, di positivisti misurati e serii, di materialisti, di razionalisti e di liberi pensatori tra i quali si potrebbe distinguere tutta una gamma di interpretazioni e di atteggiamenti diversi che andavano dalle logiche deduzioni delle nuove correnti scientifiche a una giovanile superficiale ribellione contro la visione tradizionale dei sommi problemi, si infiltrò il deciso ateismo di Michele Bakunin. Resosi conto delle tendenze prevalenti nella Sinistra democratica, il russo, insinuandovisi, lavorò soprattutto su quei punti intorno ai quali esistevan già evidenti possibilità di accordo: tentando cioè di sfatare le illusioni sulle possibilità di una lenta riforma in senso democratico della costituzione politica e di sostituire al blando rivoluzionarismo mazziniano la sua idea di rivoluzione esclusivamente sociale, non italiana, ma europea, basata sull'immediato raggiungimento di un generale livellamento di classi; dimostrando la inanità del movimento operaio quale era andato fino allora svolgendosi e la necessità di pensare a una organizzazione generale di tutta la massa lavoratrice; criticando il concetto di unità quasi forzata, autoritaria, perché d'ispirazione divina, che era centro della dottrina mazziniana, e dimostrando ai federalisti che il loro principio andava applicato non alla sola organizzazione politica del paese, ma al disegno di una riforma totalitaria nella costituzione della società umana; facendo leva sull'atteggiamento libertario assunto da moltissimi democratici di fronte al problema religioso e sostenendo essere illogico e irrazionale non mantenerlo di fronte a ogni altro problema spirituale o materiale, individuale o collettivo. Con questa opera personale di persuasione, Bakunin si riprometteva di formare una élite di uomini intelligenti e attivi che costituissero lo stato maggiore dei prossimi moti sociali. Era un lavoro preparatorio lento e paziente, ben difficile oggi a documentare. Poiché non in altro consisteva che in conversazioni, riunioni segrete e poco numerose, nelle quali si preparavano vasti progetti destinati a crollare al primo contatto con la realtà; non ne poteva restare ricordo che negli scritti di Bakunin e in quelli dei suoi primi seguaci italiani: ma Bakunin è stato singolarmente parco di notizie su questo periodo della sua attività; gli altri, che allora subirono il suo fascino personale e si lasciarono andare a entusiasmi presto sbolliti ed a promesse presto ritirate, ne parlarono, in seguito, il meno possibile. Ci restano, è vero, alcuni manifesti, programmi, progetti; ma bisogna dare a questi documenti un valore molto relativo: dietro di essi non c'è che un'ombra di quel vasto movimento che vorrebbero rappresentare. La grafomania fu una tra le caratteristiche di Bakunin: e chi, dall'abbondanza di statuti e progetti arguisse una larga fortunata propaganda, sarebbe quanto mai lontano dalla verità. I frutti immediati dell'attività bakunistica in Italia, tra il '64 e il '67, furono in realtà scarsissimi. Ma era la prima volta che agli occhi di molti, avvezzi a considerare il mazzinianismo come la soluzione piú rivoluzionaria possibile dei problemi italiani, si apriva un orizzonte nuovo e, almeno in apparenza, infinitamente piú vasto. Mazzini era stato considerato da tutti, in Italia, come il rivoluzionario per antonomasia. A lui si erano accostati tutti quei giovani – dei quali l'Italia ha sempre avuto dovizia – che, assillati dalla volontà di agire, bramavano di sfogare in qualche modo quel bisogno di novità e di opposizione all'ordine costituito che è comune e naturale nella gioventú; tutti quei giovani che, tra i recentissimi ricordi delle cospirazioni, delle rivolte, dei martiri, degli eroismi, si erano educati a sognare una vita di avventure, di gloria, di sacrificio ed erano pronti a buttarsi in questa corrente politica che promettesse piú novità, piú mutamenti, piú rumoroso impiego della loro quasi sempre effimera, ma pur sempre impetuosa inquietudine. Qui sta tutta l'importanza della propaganda di Bakunin. Il quale inizia una campagna contro Mazzini non dal consueto punto di vista dei conservatori o dei moderati, dei costituzionali o dei cattolici, ma da quello ultrarivoluzionario; affronta Mazzini sul suo stesso terreno di lotta e mostra ai giovani non quello che egli dice di essere, ma quello che – secondo lui – egli è in realtà: insufficiente, tiepido, dogmatico e, quanto al nascente movimento operaio, prodigo somministratore di soporiferi di pretta marca borghese. Alcuni giovani restano scossi da questa propaganda e inclinano ad accogliere il novissimo verbo, che apre tutte le possibilità e non preclude nessuna via alla loro smania rinnovatrice. Altri, turbati anch'essi, oscillano ormai incerti tra il socialismo rivoluzionario e il mazzinianismo, incapaci di una risoluzione netta e definitiva256.
Nell'autunno 1864, compiendo un breve viaggio in Inghilterra, Bakunin s'incontra a Londra con Carlo Marx. I due uomini sono divisi oltre che da divergenti vedute e opposti temperamenti, da acri questioni personali; ma finiscono con l'intendersi per la lotta contro Mazzini in Italia e, in generale, per la diffusione della neonata Internazionale. Sui primi di novembre il russo è di ritorno fra noi. Ha anche ricevuto l'incarico di consegnare a Garibaldi l'indirizzo inaugurale dell'Internazionale257. A Genova gli è facile introdursi nell'elemento operaio grazie a un biglietto di Mazzini a Federico Campanella: «Di' a Mosto che andrà a cercarlo un amico mio russo con la moglie: che mi preme sia ben accolto dai nostri; che lo faccia conoscere ai coniugi Sacchi e Casaccia per gli operai... Starà pochissimo in Genova. Questo russo ti darà una prima lettera russa, in francese. È lavoro interessante assai»258. Bakunin si serve dunque di Mazzini per iniziare i suoi contatti con l'elemento operaio, quando già a Londra ha concordato con Marx l'azione antimazziniana! Da Genova ritorna a Firenze. Qui, sul cadere del 1864, getta le basi di una società segreta, che ora è detta Alleanza della democrazia socialista, ora Società dei legionari della rivoluzione sociale italiana, piú spesso Fratellanza. La nascita di questa società segreta coincide, per il tempo, col precisarsi nello spirito di Bakunin delle nuove teorie rivoluzionarie; egli ha bisogno di concretare il suo pensiero, di tradurlo immediatamente in azione, perché ormai non ha fede che «nella rivoluzione fatta dal popolo per la sua positiva e completa emancipazione, rivoluzione che costituirà l'Italia libera repubblica di liberi comuni nella libera nazione, liberamente uniti fra loro». Cosí scrive il 7 febbraio 1865259. In un altro scritto, Bakunin cosí chiarisce gli scopi della Fratellanza: «Bakunin, con alcuni amici italiani, fondò un'alleanza segreta soprattutto come mezzo per combattere l'Alleanza repubblicana, che Mazzini aveva fondato poco innanzi con una tendenza teologica e un fine puramente politico». La Fratellanza fu insomma «creata come affermazione del socialismo in contrapposto al dogmatismo religioso politico di Mazzini»260. Il programma della Fratellanza si compone di dodici articoli che contemplano l'abolizione del diritto divino, la rinunzia ad ogni propaganda nazionale, la libertà dell'individuo nel comune, la libera federazione dei comuni nella provincia e nella nazione, l'abolizione dell'attuale diritto pubblico e privato, l'eguaglianza politica di tutti i cittadini, l'abolizione di ogni privilegio, e quindi l'emancipazione del lavoro dal capitale, la proprietà della terra ai contadini e degli strumenti del lavoro agli operai261. L'eguaglianza e la libertà sono i prepotenti bisogni, l'aspirazione piú alta di tutti gli uomini e verranno raggiunte «con la forza selvaggia e legittima del popolo fino nelle loro ultime esplicazioni»262. Pochi legionari, la cui personalità sarà circondata dal piú profondo mistero, ai quali sarà solennemente vietato di mettersi in comunicazione gli uni con gli altri, devono esser messi a parte di questo programma e diventarne propagandisti. I componenti il Comitato centrale, supremo dirigente, dovranno anche procurarsi tutte quelle nozioni militari che li mettano in grado di guidare eventuali moti armati. Pene tremende sono comminate ai traditori, agli apòstati, e una severità grandissima deve presiedere alla accettazione di nuovi fratelli. Di questa società segreta dà qualche notizia Angelo De Gubernatis che fu tra i primi, a Firenze, a subire il fascino di Bakunin e che, per dedicarsi alla propaganda e per adattare la sua vita ai nuovi principî rivoluzionari, volle rifiutare ogni privilegio e presentò le dimissioni da professore universitario (ben presto però si pentí del suo entusiasmo e tornò ai piú pacifici studi del sanscrito): «si doveva fra lui [Bakunin] e me stabilire un cifrario misterioso ch'egli ed io soli avremmo dovuto conoscere... Prima di essere ricevuto nel consesso, sarebbe stato necessario che, in casa del fornaio Beppe Dolfi, io mi sottoponessi a un interrogatorio il quale sarebbe fatto da uno dei triumviri della Repubblica toscana del 1848, Giuseppe Mazzoni di Prato»263. De Gubernatis si trovava allora in uno stato d'animo di esaltazione giovanile per cui sarebbe stato riconoscente a chi gli avesse offerta «un'occasione di morir presto, di morir bene, di morir solo, rumorosamente, per tutti»264. La dottrina di Bakunin rispondeva pienamente a queste sue ingenue aspirazioni. Non appena cominciò a lavorare, il suo entusiasmo si raffreddò: «vedevo intorno a me solo generali avidi di comando e nessun soldato». Ma era quello appunto il programma iniziale di Bakunin: creare una minoranza dirigente e comunicarle la scintilla rivoluzionaria: le masse sarebbero venute poi265. Quanti e chi furono i primi affiliati? De Gubernatis non dà che notizie vaghe, parlando quasi sempre di sé. Egli rammenta un'assemblea, tenuta a Firenze, a cui presero parte una trentina di fratelli e accenna, abbiam visto, a Dolfi e Mazzoni, come a personaggi influenti; ma il bakunismo di questi due mazziniani non dovette essere di lunga durata; in caso diverso, ne sarebbe rimasta qualche altra testimonianza. Certo è che molti mazziniani si avvicinarono a Bakunin per impulso proprio e, fors'anche, per incoraggiamento di Mazzini stesso che non poteva supporre che il russo perseguisse lo scopo precipuo di scalzare il suo prestigio in Italia. Lo confessa Andrea Giannelli, ma aggiunge: «fu cosa minima». Si rammenti però che Giannelli scrive parecchi anni dopo, quando non doveva essere piacevole per un mazziniano ammettere che alcuni tra i piú influenti del partito, e Mazzini stesso, s'eran lasciati ingannare da Bakunin e lo avevano aiutato a creare un organo volto, in sostanza, a combattere il mazzinianismo. Anche il Giannelli, del resto, «pur disputando continuamente con lui», rimase «suo personale amico»266. Ad ogni modo, non sembra che la Fratellanza incontrasse soverchia fortuna a Firenze. Tanto che Bakunin nella primavera del 1865 lasciò questa città, trasferendosi nei dintorni di Napoli. Deboli tracce della influenza da lui esercitata nell'ambiente democratico in Firenze si posson forse ravvisare nella fondazione del settimanale «Il Proletario», che vi iniziò le pubblicazioni il 20 agosto 1865, diretto da Nicolò Lo Savio, massone, amico del Dolfi267, insegnante di economia sociale nelle scuole della Fratellanza artigiana. «Il Proletario» è interessante soprattutto perché si rivela come un quid medium tra il mazzinianismo e il socialismo. Sul tronco mazziniano (fiducia smisurata nell'associazione operaia, nella cooperazione, inviolabilità del principio della proprietà privata), «Il Proletario», giornale «economico socialista per la democrazia», innestò infatti qualche principio di provenienza bakunistica: primo punto, non fece mai parola del problema politico; inoltre sostenne apertamente il concetto della società divisa in classi antagonistiche, la necessità di uno sforzo tenace da parte della classe operaia per raggiungere la propria emancipazione senza l'aiuto della borghesia; e infine affermò che la ricostituzione sociale avrebbe dovuto basarsi sull'eguaglianza di tutti i cittadini. Forse perché «Il Proletario» non si occupava di politica, le autorità non lo videro di malocchio, lo lasciarono tranquillamente prosperare fino a raggiungere un 1500 abbonati e poi (7 gennaio 1866) morire di morte naturale268. Gli scarsi successi incontrati nell'ambiente democratico italiano impressionarono assai pessimisticamente Bakunin sugli uomini del partito d'azione. Questo pessimismo si mantiene per tutto il 1865 e il 1866: la nostra democrazia non è buona che a parole; in pratica impotente, supinamente asservita non alle idee ma alle persone dei suoi campioni: Mazzini e Garibaldi. «Che malinconica cosa questa democrazia italiana – scrive scoraggiato Bakunin nel novembre '65. – A mala pena riunendo tutte le sue ricchezze intellettuali, essa riuscirà a mettere al mondo un'idea: pretende vivere sempre di sentimento, d'istinti e di non darsi che delle arie di bravura. Tutto questo non va. Bisogna pensare, se si vuol progredire. Ma in questo paese, che dà la mano al papa, pare si sia messo il pensiero all'indice. La democrazia perciò si trova qui (a Napoli) come dappertutto in Italia, in uno stato di prostrazione, di ristagno difficili a descriversi, e di equivoco cronico e perpetuo»269. La gioventú borghese italiana è infinitamente piú arretrata di quella d'altri paesi e assolutamente inadeguato è in Italia lo sviluppo della scienza: solo pochissimi seguono quelle correnti scientifiche che, trasportate nel campo economico e filosofico, trionfano all'estero e formano la base e la conferma del socialismo. Inviando agli amici Herzen e Ogarëv i programmi della Fratellanza, Bakunin si scusa dei troppi particolari superflui che essi contengono. «Ma ricordatevi – spiega – che ho scritto questo programma in ambiente italiano in cui evidentemente le idee sociali sono quasi sconosciute»270. Si è formata in Italia una consorteria la quale, impadronitasi di ogni impiego lucroso, taglieggia il paese. Meno di cinque anni di indipendenza sono «bastati» egli nota «per rovinare le sue finanze, per precipitare tutto il paese in una situazione economica senza uscita, per uccidere la sua industria, il suo commercio»: e, quel che duole sopra ogni altra cosa, per distruggere nella gioventú borghese quello spirito di eroica devozione che per piú di trent'anni ha servito di potente leva a Mazzini271. I repubblicani si sfogano ad attribuire ogni malanno al governo monarchico. Ma la colpa ricade tutta sulla borghesia, che in Italia è nella piú completa decadenza. In nessun luogo ci si può render conto altrettanto chiaramente del vuoto che nasconde il principio della rivoluzione esclusivamente politica. In nessun luogo è piú arbitraria la identificazione che comunemente si fa di «rivoluzionario» e di «patriota». A Napoli o in quel di Napoli Bakunin si trattiene fino al settembre del 1867; e impiega tutto il suo tempo nella propaganda a favore della Fratellanza che gli sta molto piú a cuore dell'Internazionale. Anche qui i primi resultati non sono troppo brillanti. Scrive il Giannelli che le cose non gli vanno meglio che a Firenze; «non è affatto vero che gli affiliati alla Falange sacra si fossero lasciati persuadere da lui»272. Bakunin si insinua nell'ambiente democratico-massone e avvicina soprattutto giovani garibaldini: giovani romantici sui quali lo spregiudicato radicalismo del rivoluzionario russo esercita una vera attrazione, giovani scontenti, ché la patria non ha piú bisogno di loro, e anzi rifiuta i loro servigi e teme le loro agitazioni: essi cominciano ad intravedere ideali che presuppongono la già compiuta unità e indipendenza della patria e che della patria superano i confini. Tra le prime conoscenze del Bakunin si ricordano Giuseppe Fanelli273, Saverio Friscia274, deputati al Parlamento; l'avvocato Carlo Gambuzzi – che abbiamo trovato mazziniano al recente Congresso operaio di Napoli275 – Tucci, Dramis, De Luca, Mileti, Sebastiano di Lucca276. S'intende che giovano assai al Bakunin, in questi primi contatti, le relazioni, finora ottime, che egli mantiene con Garibaldi. Il foglio garibaldino «Il Popolo d'Italia», che si stampava a Napoli sotto la direzione, allora, di Giorgio Asproni277, aprí – secondo assicura il Giannelli – le sue colonne alla collaborazione di Bakunin; il quale vi stampò «alcuni articoli sulla morale, intesa a suo modo». Erano scritti in francese e furono tradotti in italiano dalla Assting e dal Giannelli stesso278. La sua propaganda nel Mezzogiorno d'Italia sembrava singolarmente favorita dalle condizioni di quelle regioni, affatto arretrate sotto il punto di vista dello sviluppo industriale, senza grandi centri operai (unica eccezione Napoli), ancora profondamente turbate dal grande sconvolgimento del 1860. Le simpatie di Bakunin non si rivolgono affatto alle masse operaie della grande industria, use alla disciplina e alla compattezza, ossia alla mancanza di libertà, a quelle masse cui non ripugna l'idea dello Stato, sia pure di uno Stato di lavoratori. Il suo cuore è tutto per le grandi masse agricole, forti di un secolare malcontento, proclivi, nella loro ignoranza, a quei mezzi di lotta che il suo romanticismo sociale trova i piú sani e i piú proficui. La politica non interessa i contadini, ma basta una scintilla per far prorompere il loro odio contro il proprietario, il borghese, la città. Ecco quel che Bakunin scrive nel 1870, esaltando il rivoluzionario «in potenza» che si cela sotto i cenci di ogni contadino italiano: «Risvegliate soltanto l'istinto profondamente socialista che è sopito nel cuore di ogni contadino italiano; rinnovate in tutta l'Italia, ma con un fine rivoluzionario, la propaganda che il cardinale Ruffo aveva fatto in Calabria, sulla fine del secolo scorso; gettate soltanto questo grido: la terra a chi lavora con le sue braccia! e vedrete se tutti i contadini italiani non sorgeranno per fare la rivoluzione sociale»279. Il contatto con la borghesia ha rovinato gli operai, afferma Bakunin; il patriottismo dei borghesi li ha contaminati; e forse egli ha presente la grande Società operaia di Napoli, dominata da elementi democratici borghesi, che ha fatto voti per la liberazione di Roma e di Venezia; probabilmente gli amici napoletani lo hanno informato dell'andamento di quel Congresso di Napoli, che ha ripetuto le mille volte agli operai essere loro primo dovere la liberazione delle province ancora soggette allo straniero. Il patriottismo è un veleno, che Mazzini e Garibaldi hanno inoculato negli operai italiani: i quali «sono schiacciati sotto il peso di un lavoro che basta appena a nutrire loro, le loro donne, i loro fanciulli, maltrattati, malmenati, morenti di fame, e spinti, diretti, lasciandosi trascinare ciecamente dalla loro borghesia radicale e liberale, parlano di marciare su Roma, come se dal Colosseo e dal Vaticano possano venir loro la libertà, il riposo e il pane... Queste preoccupazioni esclusivamente politiche e patriottiche sono molto generose, senza dubbio, da parte loro. Ma bisogna anche confessare che sono molto stupide»280. – Il veleno del patriottismo borghese non è penetrato invece nelle masse agricole, sí che queste serbano intatto l'istinto rivoluzionario: «Sotto il rapporto della rivoluzione sociale, si può dire che le campagne d'Italia sono anche piú avanzate delle città»281. Bakunin è in ordine di tempo il primo in Italia che si occupi delle masse agricole del Mezzogiorno, senza considerarle strumenti di reazione e non deplorando l'avvenuta unificazione nazionale. Mazzini non ha mai pensato seriamente ai contadini italiani. Anzi Bakunin ricorda quel che Mazzini gli rispose, a Londra, una volta che egli gli osservò esser necessario rivoluzionare i contadini italiani. «Per ora nulla vi è da fare nelle campagne; la rivoluzione dovrà farsi prima esclusivamente nelle città; poi, quando l'avremo fatta, ci occuperemo delle campagne!»282. Ma non bisogna dare troppa importanza alle pagine vibranti di entusiasmo che Bakunin dedica ai contadini italiani; le parole rimasero parole; gli incitamenti alla rivoluzione non conquistarono che un piccolo entourage di giovanotti borghesi e, in un secondo tempo, di operai e d'artigiani. Fino a tutto il 1865 Bakunin poté svolgere tranquillamente la sua attività, senza incontrare resistenze troppo gravi: troppo modesta ancora per destare preoccupazioni nell'ambiente borghese e nelle autorità, essa si giovava del fatto che il mazzinianismo non era mai penetrato a fondo nel Mezzogiorno; non si trattava perciò tanto di scalzarlo o, per dirla con Marx, di minargli il terreno, quanto di prevenirlo nella diffusione di un programma di rinnovazione sociale che alleasse al proletariato elementi intelligenti e disinteressati della borghesia, pronti a sacrificare all'emancipazione di quello i privilegi tradizionali della loro classe. Ma sul cadere del 1865 Mazzini, compreso della necessità di trovare una piú larga base al suo movimento e forse anche avvertito del lavorio che Bakunin andava compiendo, si accinse precisamente a intensificare la propaganda nel Mezzogiorno. «Mi son dato con volontà feroce, superiore alle mie condizioni fisiche a conquistarci, con intenzioni pratiche, il Mezzogiorno», scrive, il 2 dicembre 1865, a Federico Campanella283. Se ne sente il contraccolpo nelle lettere di Bakunin, purtroppo quasi unico insufficientissimo documento di una attività che, per tanti rispetti, meriterebbe d'essere un poco piú nota. 2 marzo 1866: «L'Italia unificata si sfascia. L'opposizione contro il governo si accentua di piú in tutte le province. Il deficit, la paura di nuove imposte, il ribasso dei terreni, l'oppressione e i cavilli della burocrazia, l'arrestarsi di tutti gli affari, tutto questo, riunito, provoca, finalmente, una irritazione nella popolazione ed eccita anche i piú indifferenti, i piú apatici»284. 19 luglio 1866: (quando già Mazzini, riprendendo la intransigenza repubblicana, ha fondato la sua Alleanza) «Sono stato obbligato a lavorare enormemente, soprattutto contro le idee e le passioni cosí dette nazionali, contro l'odiosa teoria del patriottismo borghese diffusa da Mazzini e Garibaldi. Ma, dopo un penoso lavoro di tre anni consecutivi, comincio ad ottenere dei risultati pratici... La maggior parte delle organizzazioni mazziniane dell'Italia meridionale, della Falange sacra, sono passate dalla parte nostra». E piú oltre: «soprattutto nell'Italia meridionale, il basso popolo accorre in massa verso di noi, non ci manca davvero la materia prima, ma piuttosto mancano uomini istruiti e intelligenti che agiscano con franchezza e che siano capaci di dare una forma a questa materia prima. Il lavoro da fare è enorme; gli ostacoli da superare innumerevoli, le risorse finanziarie mancano assolutamente. Nonostante tutto, nonostante questo importante diversivo militare (la guerra antiaustriaca), non ci perdiamo di coraggio, non manchiamo di pazienza. Certo bisogna averne una dose abbondante, ma, per quanto con lentezza, pure progrediamo tutti i giorni... In un manifesto indirizzato ai suoi amici di Napoli e di Sicilia, Mazzini mi denunciò formalmente, sempre dandomi il titolo di il mio illustre amico Michele Bakunin285. Non era comodissimo per me; la denunzia poteva compromettermi sul serio, visto che le falangi mazziniane, soprattutto in Sicilia, abbondano di spie pagate dal governo italiano. Per mia grande fortuna quest'ultimo non si rende ancora conto del movimento socialista nel paese, e non nutre perciò timori al riguardo. Decisamente, ciò dimostra la sua grande bestialità, perché dopo il naufragio che hanno fatto in Italia i diversi partiti politici, e la fine delle loro idee e dei loro scopi, non resta in questo paese di vitale e di possibile che una forza sola: la rivoluzione sociale»286. L'ottimismo che traspare dalle parole di Bakunin è in connessione col crescente sviluppo della sua Fratellanza. La quale, diffusa, se pur debolmente, in tutta Europa, ha messo radici anche nell'Italia meridionale. La frase «il basso popolo accorre in massa verso di noi» è piú l'espressione di un desiderio che della realtà; ma non v'è dubbio che qualche nucleo della Fratellanza venne fondato in quegli anni nel Mezzogiorno, come dimostra una circolare diretta da una sezione palermitana ad altre sezioni287. A una sezione fondata a Napoli fin dal 1866 accenna una memoria della Federazione napoletana dell'Internazionale pubblicata dieci anni piú tardi288. Si provvide anche alla necessità di un giornale che collegasse le sezioni e divulgasse le idee bakuniste: nell'ottobre 1866 apparve il primo numero della «Situazione», due paginette interamente scritte da Bakunin. Conteneva uno studio sulla condizione dei partiti in Italia, l'esame della situazione del popolo italiano, della sua miseria, della sua potenza insurrezionale, dei suoi nemici, ossia «la Chiesa, lo Stato centralista e i suoi necessari elementi – i privilegi sociali»; inoltre un attacco a fondo contro Mazzini e Garibaldi289. Il secondo numero, a quanto pare, non uscí che nel 1868, a Ginevra290. Importante soprattutto è la presa di posizione contro Garibaldi. All'atteggiamento apertamente antimazziniano Bakunin era stato, in fondo, costretto dalla scomunica che contro di lui aveva per primo lanciata Mazzini; ma l'attacco a Garibaldi – occasionato dalla sua partecipazione agli avvenimenti politici e militari di quell'anno – costituiva per Bakunin una notevole dimostrazione di forza; egli sentiva di poter già, a tre anni appena di distanza dal suo primo arrivo in Italia, sostenere una parte nel movimento democratico italiano, pur schierandosi contro il capo riconosciuto di quel movimento. Quel che lo urta in Garibaldi è la sua leggerezza291. Garibaldi infatti abbraccia con disinvoltura tutte le dottrine che mirano a un rinnovamento della vita politica, morale e sociale del paese: si dichiara federalista, razionalista, socialista; ma non ne penetra a fondo nessuna e le sue dichiarazioni di adesione, spesso avventate e impulsive, nuocciono alla sua serietà e danneggiano i singoli movimenti. Il suo sistematico intervento in ogni episodio della vita pubblica italiana, la sua mania di aderire a ogni corrente d'opposizione, i suoi equivoci perenni, le contraddizioni, i ripicchi personali rendono difficilissima la vita del partito d'azione. Non meno confusionario appare a Bakunin il radicalismo dei garibaldini. Egli non riesce, per esempio, a capire come tre dei suoi piú fidi seguaci, Fanelli, Gambuzzi e Mileti, pur senza sconfessare la loro fede di rivoluzionari socialisti, possano, nel '66, piantare i lavori della Fratellanza e correre ad arruolarsi nelle schiere dei volontari per una guerra che è a tutto esclusivo vantaggio della monarchia e che tende a consolidare quello stato di cose per la distruzione del quale la Fratellanza è sorta!
Il governo non si rendeva conto dell'incipiente movimento socialista. Mazzini invece cominciava a rendersene conto e non voleva si nominasse neppure il socialismo. «Non esprimeva che un desiderio – scriveva il 24 settembre al Campanella, alludendo a certi articoli pubblicati sul Dovere» – s'evitasse un nome, socialismo, che per consenso di tutti ha un valore di sistema e di sistemi, che dànno una soluzione falsa del problema e allarma tutta una classe numerosissima senza pro'»292. Il movimento operaio doveva seguire i binari sui quali Mazzini lo aveva instradato. Fuor di quelli era l'errore. Si poteva evitare di nominarlo, il socialismo. Ma sapeva d'ingenuità da parte di Mazzini tale pretesa, mentre in tutta Europa progrediva – come vedremo – il movimento dell'Internazionale, mentre in Italia si svolgeva, non senza qualche successo, la propaganda di Bakunin e – quel che era assai piú importante – gli operai insistevano nella via delle agitazioni e degli scioperi. Progrediva sí, il movimento operaio di mutuo soccorso (le società, nel 1865, salivano a 519)293; continuava lo sviluppo delle cooperative (7 cooperative di produzione fondate nel 1865294, 3 nel 1866295), ma intanto, nel maggio 1865, tumultuavano i lavoranti delle ferrovie in Sardegna e nelle Puglie296 e gruppi di lanaioli disoccupati invadevano, ad Arpino, uno stabilimento, distruggendone le macchine297 e, nel giugno, i disoccupati inscenavano dimostrazioni paurose a Como298 e in tutto il Piemonte i cappellai minacciavano lo sciopero e pretendevano miglioramenti299; e agitazioni e scioperi si seguivano e si moltiplicavano di mese in mese300. A questi preoccupanti segni di malcontento della massa operaia, altri se ne aggiungevano, che davano la misura dello stato d'animo dei contadini. In moltissime località si verificavano tumulti contro l'inasprimento delle tasse: come – per limitarsi al 1865 – a Sessa (Gaeta) in aprile, a Sestri Levante nel maggio, a Legnano, a Verano (Milano), ad Arluno (Milano) nell'agosto, a Brescia, ad Albenga nel settembre301. Mazzini, informato di tutto ciò, avrebbe dunque dovuto non soltanto non tacere del socialismo, ma affrontarlo in pieno, e impegnare fin d'allora la sua battaglia per tentare di arginarne i progressi. Ma la rinnovata attività politica assorbí tutta la sua attenzione. Soltanto Bakunin continuava nella sua propaganda, la quale assumeva di giorno in giorno un colorito sempre piú nettamente antimazziniano. Ormai il russo non scriverà piú due righe sull'Italia, senza cacciarvi dentro una tirata contro Mazzini; al quale attribuisce la colpa di aver rovinato la democrazia italiana e di avere isterilito il movimento operaio, propinandogli gli estratti del suo sistema addormentatore. |
p. - 241 Di Saffi Bakunin ha una pessima opinione. In una lettera a Celso Cerretti, del marzo 1872 (in «Société nouvelle», Bruxelles, febbraio 1896), che avrò occasione di citare piú di una volta, cosí lo definisce: «... una specie di sapiente mancato, un dottore di una facoltà che non esiste, il Melantone di una religione nata-morta» (M. NETTLAU, Michael Bakunin, eine Biographie, 3 voll., 1896-1900, I, p. 169. Di questa pregevole opera, alla quale farò continuamente ricorso, non sono state tirate che cinquanta copie a poligrafo di sul manoscritto originale). 242 M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., e ID., Bakunin und die Internationale in Italien bis zum Herbst 1872, in «Archiv für die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung», t. II, fasc. 2-3, p. 281. 243 Cfr. un elogio di lui, non scevro di critiche, nella lettera citata a Cerretti. Al Bertani lo presentava Saffi, dipingendolo come un eroico patriota. Bertani è pregato di fargli conoscere gli amici di Genova, di Livorno, di Firenze (A. LEVI, La filosofia politica di G. Mazzini, Bologna 1917, pp. 207 sg.). Bertani contava molte relazioni nel mondo democratico socialista internazionale. Di sue relazioni con Lassalle restano tracce nell'Archivio Bertani (plico A, cart. 48; plico XXVIII bis, cart. 19) che si conserva nella Biblioteca del Risorgimento a Milano. 244 Di questa gita non son riuscito a trovare altra notizia. Quel che è certo è che con Garibaldi fino a tutto il 1865 Bakunin mantenne ottime relazioni. Garibaldi stesso gli procurò conoscenze e a Firenze e a Napoli. 245 M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, pp. 166 sg. 246 Lettera a Nettlau, 30 luglio 1895, in M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., nota 1166. 247 M. DRAGOMANOV, Correspondance de M. Bakounine. Lettres à Herzen et à Ogareff, Paris 1898, p. 194. 248 Il progetto si trova riassunto in G. DOMANICO, L'Internazionale, Firenze 1911, appendice II, pp. 180-83. Cfr. anche E. ZOCCOLI, L'anarchia, Torino 1907, pp. 97 sg. 249 G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 182. 250 M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc, cit., p. 208. 251 Fibra, pagine di ricordi, Roma 1900, p. 222. 252 Lettera citata a Nettlau. 253 Michael Bakunin ecc. cit., p. 200. 254 Che la Sinistra in genere e la frazione mazziniana in ispecie contassero tra i loro membri una larghissima percentuale di fratelli, alcuni dei quali pervenuti alle cariche piú elevate dell'ordine, è un fatto cosí notorio e documentato che davvero non merita conto di fermarcisi sopra piú che tanto. La posizione di Mazzini di fronte alla massoneria risulta evidentissima dalla lettura del suo epistolario: non entrò mai nell'ordine, ma nutrí – specie dal '60 in poi – ottime relazioni con i suoi dirigenti. Non solo tollerò che moltissimi fra i suoi seguaci si facessero massoni, ma a ciò li spinse, in piú casi, esplicitamente; e non v'è dubbio che, per quanto non massone, influí spesso assai potentemente sull'indirizzo pratico dell'associazione. Tutto ciò viene ora nuovamente discusso e messo in dubbio dal LUZIO nel suo ampio studio su La massoneria e il Risorgimento italiano, 2 voll., Bologna 1925. Ma che l'illustre storico sia riuscito con questa sua recente fatica a persuadere il lettore obiettivo della nessuna o presso che nessuna parte avuta dalla massoneria nel nostro Risorgimento, nonché del disprezzo che per essa quasi sempre avrebbe ostentato il Mazzini, non oserei asserire; i suoi volumi sono un documentato testo di accusa contro le malefatte della testè scomparsa associazione; invano vi si cercherebbe notizia di certe sue pur minime, ma innegabili benemerenze. Nel novero delle quali non esito a porre il notevole impulso dato al primo movimento operaio italiano. Sul quale argomento molto si potrebbe discorrere, se lo permettesse l'indole di questo lavoro; ma il lettore coscienzioso se ne convincerà sol che si fermi un istante a considerare i nomi di due terzi fra i promotori di quel movimento, nomi che ho avuto o avrò in seguito occasione di rammentare. Fra le molte notizie interessanti dateci dal Luzio v'è quella che «Bakunin figurava tra' primi massoni di Loggie fiorentine» (II, 222); di questa notizia però egli, di solito cosí esatto, non cita la fonte. 255 Molte notizie sulla loro attività si trovano consultando la collezione del «Libero Pensiero». 256 Scrive il Giannelli nella lettera citata a Nettlau: (Bakunin) «incominciò la sua propaganda nichilista, che certo nulla aveva di comune colle nostre teorie, tanto piú che il Bakunin attaccava di continuo le dottrine di Giuseppe Mazzini, che egli non comprendendone razionalmente la formola – "Dio e il popolo" – chiamava prete!... Qui a Firenze riuscí a trarre a sé qualche gregario del partito mazziniano, amante di novità...» 257 M. NETTLAU, Errico Malatesta. Vita e pensieri, New York 1922. 258 Lettera del 12 novembre 1864 (Lettere di Giuseppe Mazzini a Federico Campanella, pubblicate da G. Mazzatinti, in «Rivista d'Italia», giugno 1905, pp. 10-11 dell'estratto). 259 M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 28. 260 Sviluppo storico dell'Internazionale, in J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, pp. 76-79. Nel 1864 Mazzini non aveva ancora fondato l'Alleanza repubblicana. Bakunin la confondeva qui, probabilmente, con la Falange sacra, organizzata a Genova nel 1863 da Quadrio e Castelli, con l'assenso di Mazzini, al fine di concentrare segretamente le forze repubblicane. Falange che, diffusasi soprattutto nell'Italia centrale e meridionale, nel 1866 fu assorbita dall'Alleanza repubblicana: lavorava soprattutto per l'emancipazione di Roma e Venezia. Interessante vedere come Mazzini cercasse di spingervi dentro elementi operai. Lettera a Zannoni, 6 febbraio 1865: «A voi tocca osservare attento i migliori dell'Associazione Op[eraia] e indurli tacitamente nella F[alange] S[acra] che ha centro in Genova e colla quale dovete essere già in relazione» (Lettere a Zannoni, p. 21). 261 M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 45. 262 E. ZOCCOLI, L'anarchia cit., p. 112. 263 A. DE GUBERNATIS, Fibra ecc. cit., p. 227. Cfr. anche la sua prefazione autobiografica al Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, pp. XXI-XXV. 264 Dizionario ecc. cit., p. XXI. 265 Cosí, due anni dopo, Bakunin giudicava De Gubernatis, per il cui ingegno aveva provato dapprima una vivissima ammirazione: «È una ben povera testa, è vero, incapace di discernimento e di critica, un po' disorientata dalla posizione falsa che il suo entusiasmo ardente, impotente, vanitoso e inquieto gli ha fatto prendere fra tutti i partiti, ma dopo tutto è un ragazzo onesto» (Lettera a Fanelli, 29 maggio 1867; M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., I, pp. 182 sg.). 266 Lettera citata a Nettlau. E fu cosí intima l'amicizia tra i due che passarono assieme le vacanze estive del 1864 e del 1865, ad Antignano e a Sorrento. 267 Gli abbonamenti al «Proletario» si ricevevano «al mezzanino del signor Giuseppe Dolfi». 268 A. ANGIOLINI, Socialismo e socialisti in Italia, Firenze 1919, p. 61; G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 94. 269 E. ZOCCOLI, L'anarchia cit., p. 110. 270 M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., p. 212. Lettera del 19 luglio 1866. 271 Lettre aux citoyens rédacteurs du «Réveil» (ottobre 1869), in Œuvres cit., t. V, p. 286. In questa lettera Bakunin riassume le sue impressioni sull'Italia. 272 Lettera citata a Nettlau. 273 Fanelli è noto soprattutto per la parte sfortunata che prese nella sfortunatissima impresa di Carlo Pisacane. Carattere incerto, entusiasta e pur timido di responsabilità, si trovò disgraziatamente a coprire un posto che richiedeva energia, prontezza, franchezza. Dopo il '60, usciti i superstiti di Sapri dalle galere borboniche, il Fanelli fu fatto segno ad accuse violentissime per il suo operato; pochi lo difesero. Ne rimase sconvolto finché la sua intelligenza naufragò nella pazzia. 274 Di Fanelli e Friscia cosí parla O. GNOCCHI-VIANI, Ricordi di un internazionalista, Milano 1910, p. 121: «Ricordo pure benissimo... le figure simpaticissime di Fanelli e di Friscia... i quali... si erano consacrati alla propaganda socialista e precisamente alla propaganda della scuola bakuniniana, seguendo il metodo – del resto il solo possibile in quegli inizi – della propaganda individuale orale. Parlatore facondo e immaginoso il Fanelli, dicitore sobrio e calmo il Friscia; entrambi manifestanti una convinzione cosí sincera, cosí profonda, cosí comunicativa, che faceva in noi l'effetto di raffiche che investivano e cacciavano le nubi che ancora ingannavano tanti giovani cervelli, per lasciar intravedere cieli e orizzonti nuovi, piú limpidi e piú belli». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale cit., pp. 114-20. 275 Sposò piú tardi la vedova di Bakunin. 276 J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. I, p. 77; G. DOMANICO, L'Internazionale cit., p. 94; M. NETTLAU, Michael Bakunin cit., pp. 180 sg. Scrive il Saffi nei citati Cenni a proemio del vol. XVII di SEI (pagina XXXIII): Bakunin «prese stanza a Napoli, fondandovi un gruppo di giovani seguaci delle sue dottrine in antagonismo colle dottrine di Giuseppe Mazzini, ch'egli fece segno sovente a polemiche acerbe e talvolta scurrili». 277 Per il quale e per Gambuzzi Bakunin aveva una raccomandazione di Garibaldi stesso (M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale ecc. cit., p. 284). 278 Lettera citata a Nettlau. Gli articoli, credo, furon pubblicati anonimi perché, secondo una ricerca, che però non ho potuto compiere personalmente, il nome di Bakunin non ricorre mai sul «Popolo d'Italia». Cfr. anche G. DOMANICO, L'Internazionale cit., appendice IV, p. 190, secondo il quale uno dei redattori del «Popolo d'Italia» sarebbe stato il già nominato R. Mileti. 279 M. BAKOUNINE, Lettres à un français sur la crise actuelle, in Œuvres, t. IV, pp. 34-35. 280 Ibid. 281 Ibid., pp. 32-34. 282 M. BAKUNIN, Il socialismo e Mazzini cit., p. 55. 283 Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 11. 284 M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 208-11. 285 Manifesto o lettera che non son riuscito a rintracciare. 286 M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 212-41. 287 È del luglio 1866 ed è stata pubblicata dal NETTLAU (Bakunin und die Internationale cit., pp. 287-88), col titolo «Ultima lettera di F[ratelli] di Palermo che si sciolgono dagl'impegni presi». Pare fossero sorti dei dissensi in occasione della guerra italo-austriaca: «FF .˙. In nome del C[omitato] C[entrale] della Soc[ietà] Int[ernazionale] R[ivoluzionaria] D[emocratica] S[ociale] noi vi dichiariamo sciolti da qualunque impegno e da qualunque giuramento fatto. Dichiariamo illegale ed immorale qualunque corpo che nulla curante la presente ingiunzione volesse proseguire a vivere e lasciamo tutto a lui la responsabilità e le conseguenze. Forse non tarderà molto faremo appello alla vostra operosità umanitaria-sociale-democratica-italiana. In nome intanto di questo S[tato] M[aggiore] residente in Palermo, vi dichiariamo benemeriti per la vostra mostrata operosità». 288 «Bulletin» (del Giura), 16 luglio 1876. 289 Questo giornaletto è introvabile e anzi si è a lungo perfino dubitato che sia mai esistito; ma la sua esistenza è provata da una lettera di Bakunin del 7 maggio 1867 (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 248-253; M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale cit., p. 289). 290 M. NETTLAU, Bakunin und die Internationale cit., p. 289. 291 I primi dubbi sulla sua serietà di democratico si presentano nel marzo '66. «Ho paura – scrive Bakunin il 23 di quel mese, in una lettera ai soliti amici – che Garibaldi si lasci sedurre per la decima volta e diventi, nelle mani di chi voi sapete, uno strumento per gabbare i popoli» (M. DRAGOMANOV, Correspondance ecc. cit., pp. 208-11). 292 Lettera citata, pp. 14-15. 293 Statistica del 1875. 294 Società dei falegnami a Bologna, dei calzolai e degli orefici a Genova, dei muratori e d'un'altra categoria d'operai a Milano, una cooperativa fra tipografi a Bologna e una fra operaie a Napoli (VIGANò, Il movimento cooperativo e le banche popolari tedesche e italiane e loro confederazione, Milano 1873; T. BRUNO, La Federazione del libro ecc. cit.). 295 Tutte fra tipografi, a Milano, a Lodi, a Genova (MARTINELLI, Dell'istruzione popolare cit.). 296 «L'Avvenire», Firenze, 9 maggio 1865. 297 Ibid., 25 maggio 1865. 298 Ibid., 8 giugno 1865. 299 Cenni storici ecc. cit. 300 «Gli scioperi sono all'ordine del giorno nel Regno d'Italia!» scriveva «L'Avvenire», 8 giugno 1865. 301 Di questi e d'altri tumulti contadineschi si trovan notizie sui principali giornali del tempo. |
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