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Nello Rosselli Mazzini e Bakunin IntraText CT - Lettura del testo |
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3. Ire e polemiche (novembre 1871 - marzo 1872)
Il 5 novembre si chiude il Congresso antinternazionalista convocato da Mazzini. Il 7 novembre si riunisce a Londra il Consiglio generale dell'Internazionale. Esso dichiara che «la classica lettera di Garibaldi [quella a Petroni, del 21 ottobre], venendo dopo diverse altre nelle quali egli aveva già espresso le sue simpatie per l'Internazionale, ha avuto un grandissimo effetto in Italia, e porterà certamente non poche reclute a stringersi intorno alla nostra bandiera»655. Il 9 novembre Giorgio Pallavicino rimprovera a Garibaldi l'atteggiamento che, con molta leggerezza, egli ha assunto di fronte all'Internazionale: tu aderisci a un'Internazionale, che ti sei foggiato «a imagine e similitudine tua», gli scrive656. Pallavicino conosce molto bene Garibaldi. Ma Garibaldi non si rende conto del disorientamento che il suo contegno provoca nel campo democratico. Non gl'importa nulla dell'ira di Mazzini: «Credo Mazzini nell'impossibilità di scendere a conciliazione», dichiara il 9 novembre. «Se esistono oggi alcuni dissapori fra due canuti ostinati ciò non deve influire sul buon andamento del diritto»657. E prosegue la sua via. Il 14 novembre, rispondendo a Pallavicino, esce nella famosa frase «L'Internazionale è il sole dell'avvenire»658. Garibaldi è però l'unico che non si avveda della portata del suo atteggiamento. Le espressioni del Consiglio generale dell'Internazionale che attribuiscono a lui il maggior merito per la diffusione del socialismo in Italia sono infatti abbastanza eloquenti. «Le notizie d'Italia – continua il resoconto della seduta del 7 novembre – erano di un particolare interesse, secondo le lettere ricevute da diverse città importanti fra le quali Torino, Milano, Ravenna e Girgenti. Il tutto confermava il grande estendersi dell'associazione in Italia. Le classi operaie, nelle città almeno, andavano rapidamente abbandonando Mazzini i cui attacchi contro l'Internazionale non avevano alcun effetto sulle masse. Mentre per lo contrario avevano spinto Garibaldi non solamente a pronunciarsi favorevolmente all'Internazionale, ma a romperla apertamente con Mazzini, proprio su questa questione». E il 9 novembre Marx scrive all'amico Sorge, annunciandogli: «In Italia noi facciamo progressi vertiginosi. Grande trionfo sul partito di Mazzini»659. Grazie all'atteggiamento di Garibaldi, insomma, la propaganda socialista, invece di urtare contro la prevedibile resistenza della democrazia borghese in genere, urta solo contro quella disperatamente opposta dalla frazione mazziniana. Del quale stato si avvantaggia anche Bakunin, che in Isvizzera sta ora dirigendo la lotta contro il Consiglio generale dell'Internazionale660. Anche a molti nuclei operai e democratici non sfuggono l'importanza dell'atteggiamento di Garibaldi e le possibili gravi conseguenze del suo dissidio con Mazzini. La Consociazione faentina delle società operaie di mutuo soccorso il 18 novembre invia al generale un vibratissimo indirizzo: «I vostri dissidi personali che rivelano non differenza di principî, ma rancori di individui, che al bene della patria si sarebbero dovuti sacrificare, schierano in due campi avversi coloro che non seguono l'idea per l'idea, ma l'idea per l'uomo che la manifesta. E par vogliate dar vita novella a un dualismo funesto, pare si tenti propagare due contrari programmi con l'autorità di due uomini contrari»661. È il segno d'una pioggia di indirizzi e proteste che raccomandano, implorano, impongono un accordo662. Ma il 19 dicembre Garibaldi ribadisce ancora il suo internazionalismo. Scrive infatti alla direzione della «Favilla»: «Sí! noi saremo coi soffrenti sino alla fine, dovessimo affrontare la sorte degli Arnaldi e dei Savonarola». «Circa a Silvio663 ed al Consiglio generale, noi li seguiremo in ciò che consiste nella fratellanza umana. Circa poi a certe idee lontane dall'assentimento dei piú, noi ci manterremo nell'autonomia nostra. In poche parole, noi siamo un ramo dell'Internazionale»664. I mazziniani perdono la pazienza. «Ma perdio! – impreca Giuseppe Petroni sulla "Roma del Popolo", il 18 gennaio 1872, rivolgendosi agli internazionalisti sul tipo Garibaldi – dite una volta quel che pensate e quel che volete! Uscite dall'equivoco, che, se mai nol sapete, mantiene il popolo in una perenne anarchia intellettuale e morale, ed è di tutti i sistemi il piú iniquo, il piú corruttore, il piú reazionario»665. Quelli rispondono, il 24 gennaio, riproponendo sui giornali la convocazione del Congresso democratico. «Perché non stringeremo in un fascio Massoni, Fratellanza artigiana, società operaie, società democratiche, razionaliste, ecc. che tutti hanno la loro tendenza al bene?... E perché marciare divisi?» Il congresso dovrebbe occuparsi «delle questioni: razionale e sociale – le di cui soluzioni sono praticabili»666. Mazzini non ne può piú. «Garibaldi – scrive il 26 gennaio 1872 – colla ragione, l'Internazionale, il prete, ogni cosa che fa, dica o non dica, ha giurato, per antagonismo non provocato da me, di dissolvere il Partito e sviare dal segno la gioventú»667. Il 1° febbraio tenta dimostrare sulla «Roma del Popolo» tutta l'assurdità del congresso proposto. «Fondare su qualche frase di fratellanza, strappata da un momento d'entusiasmo e dimenticata il dí dopo, un ordinamento, è lo stesso… che ordinare, non la forza, ma la debolezza...»668. Fa un ultimo tentativo di accordo sottoponendo a Garibaldi alcune domande precise in merito al problema politico e sociale e invitandolo a rispondere a tono e con chiarezza. Non continui a proclamare: ci vuole un programma; prenda in esame quello repubblicano e lo critichi, se crede; ma si ricordi che un programma c'è. Garibaldi, a ricevere le basi d'accordo, va fuori di sé. «Il Fascio operaio» di Bologna il 10 febbraio stampa questa sua dichiarazione: «1) dichiarare apertamente che sono repubblicano; 2) disdire che appartengo all'Internazionale; 3) trattare con rispetto filosofico la questione religiosa; cioè la teologia. Queste parole di Mazzini, i mazziniani le chiamano concilianti. Io ho pensato di occupare il mio tempo in cose utili»669. «Non so s'io faccia o scriva molte cose inutili; – ribatte Mazzini – ma non farei certo la piú inutile di tutte, quella di dar consigli al generale Garibaldi»670. E Garibaldi: «Mazzini non può conciliarsi perché ha torto, e avrei io una massa di torti da imputargli, se volessi occuparmene»671. Per tutto il gennaio e il febbraio alla dolorosa polemica fanno eco liti e recriminazioni fra i democratici672. Ognuno vuol dire la sua: «A momenti si prendono per il collo Mazzini e Garibaldi e si inchiodano per il piacere di vederli uniti! Ma – o gente soave! – non ve lo han detto e cantato che dinanzi all'azione si uniranno? Tocca a voi mettervi d'accordo. Perché volete obbligare due cervelli a pensare in un modo solo, or che l'inazione vostra li lascia liberi?», scrive un tal Bresca sull'«Alleanza» di Bologna, il 28 gennaio. Altri è d'avviso che ormai tra i democratici «vi sono ire e rancori personali che forza umana piú non varrebbe a fare sparire... Noi siamo gli eterni figli dei Guelfi e dei Ghibellini»673. La fatalità aveva voluto a capo d'uno stesso partito due intelligenze intimamente diverse, che non potevano né volevano comprendersi, che conoscevano e non sapevano perdonarsi le rispettive debolezze.
Tutto ciò, s'è detto, giovava enormemente all'Internazionale. I giornaletti internazionalisti, vecchi e nuovi, ne approfittavano per riprendere con rinnovato fervore la campagna contro le teoriche mazziniane. Ecco un brano interessante di una lunga lettera diretta da un anonimo operaio al «Monitore di Bologna», 7 novembre 1871: «... vedendosi vecchio e temendo di non poter arrivare a raccorre il frutto dei suoi studi e dei suoi sacrifici, [Mazzini] ha cominciato a far la corte alla borghesia... Mazzini restringe le sue gesta, le sue idee alla nazione italiana, geloso di tutto ciò che gli viene di fuori. Errore! in questo modo saremo sempre schiacciati! Noi siamo italiani, siamo del mondo, tutti operai, tutti sofferenti, e tutti bisognosi di soccorso, di emancipazione, di pane, di lavoro». «Il Motto d'Ordine»674, Napoli, 22 novembre 1871, accennato al principio d'autorità come al cardine fondamentale della dottrina mazziniana, dichiara solennemente che gli internazionalisti non ne vogliono sapere. Ed ecco perché Mazzini è isolato, è finito: «Le cannonate che sfondavano Porta Pia, hanno esaurito G. M., il grande morituro che ancora si dibatte e vuole afferrare per la criniera il cavallo indomito della rivoluzione che gli sfugge dalle mani». «Voi chiamate pane – conclude "Il Motto d'Ordine", rivolgendosi agli operai, – ed egli vi ammonisce che avete bisogno d'educazione» (4 dicembre). «La Campana»675 di Napoli esamina nel suo numero del 7 gennaio 1872 il partito mazziniano; il quale gli sembra un partito «essenzialmente borghese, senza radici nel popolo, con un capo che è rimasto stazionario, incatenato a un misticismo religioso, dichiarato oggi ridicolo dalla scienza... Il paese si dice che il programma mazziniano non muta il sistema, ma il nome dell'autorità preposta allo Stato. Fino a che fè parte dell'organismo mazziniano il militarismo rivoluzionario capitanato da Garibaldi, si ebbe ancora da Mazzini un simulacro di vita e di potenza; oggi lo scisma è dichiarato e, tranne pochi fedeli, la cosí detta democrazia italiana si è fusa nelle diverse gradazioni del partito socialista». In una lettera al direttore della repubblicana «Alleanza» di Bologna, 12 gennaio 1872, un anonimo C. (forse Celso Cerretti) chiarisce perché gl'internazionalisti ex mazziniani non devono esser considerati dei voltafaccia. Mazzini «diede un indirizzo alla democrazia italiana in un momento in cui le tenebre del dispotismo erano ostacolo allo sviluppo delle idee»; coloro che amavano la patria lo seguirono; ma «può dirsi per questo che essi accettarono completamente il programma politico-sociale-religioso di Mazzini? No! Molti di essi, e voi ne conoscete, materialisti per convinzione profonda, non potevano ammettere religione di sorta»; «conoscevano forse che il progresso indefinito avrebbe varcato il limite segnato dal progresso di Mazzini». «Se questi giovani oggi simpatizzano od anche si fanno membri di una Associazione che secondo loro si adatta meglio al programma politico-sociale che essi hanno, sono per questo meritevoli di rimprovero? No certo». «Come voi, o mazziniani, l'Internazionale vuole l'abolizione dei privilegi, come voi, inalzare tutti gli uomini allo stesso livello, come voi, abbattere la monarchia causa di vergogna all'Italia»676. Soltanto che voi «nell'immenso cammino che deve correre la società avete segnato un punto al di là del quale non volete che si muova; essa dice: No! piú avanti! Voi sdegnate ascoltarla, volete essere infallibili ed è per questo che il piú delle volte peccate d'intolleranza»677. Il 28 gennaio «La Campana», esaminando il contegno di Mazzini di fronte alla Comune di Parigi, afferma che «è umiliante vederlo far causa comune con tutti i reazionari d'Europa, egli che fu un tempo ribelle e demagogo (e fu suo vanto!)... È doloroso che questa grande individualità si rimpicciolisca tanto e ogni dí piú ne costringa a deplorare la sua esistenza». Qualche giorno piú tardi mette in guardia gli operai contro gli scritti del Mazzini: «Mazzini, il propugnatore del primo nemico del popolo, di colui che condannò il lavoro: Dio! Mazzini che predica da quarant'anni alla gente affamata dal privilegio, ai diseredati la religione del dovere... osa ancora parlare alle classi operaie, tenta mistificarle, cullarle in un misticismo religioso che sostituisca al paradiso dei preti la grande felicità d'esser cittadini... d'una potenza di prim'ordine!» (11 febbraio)678. «L'Anticristo»679 di Torino è indiavolato contro i preti, contro Mazzini e contro il governo. Respinge financo la possibilità di un accordo tra mazziniani, garibaldini e internazionalisti680. «Caprera ha steso la mano a Lugano – scrive l'11 febbraio 1872 –. Un po' di Stefanoni, un po' di Campanella, un po' di Cerretti, un po' di Mazzini; e Garibaldi è il primo cuor contento d'Italia... Conciliazione. Ma, corpo di mille bombe, chi è che osa legare un cadavere a un rigoglio di forza viva? che cosa volete conciliare voi? i principî?... Il vostro Dio ha un D di troppo e il vero, il grande Io è una moltitudine annoiata mortalmente dalla vostra teologia politica e dal vostro spiritualismo sociale! Le vostre utopie repubblicane non trovano piú un cane che le prenda sul serio! Il popolo d'Italia è un popolo che conoscete meno delle tribú australiane. È un popolo che ha fame, che non sa leggere, che ha imparato a odiare: è un popolo di proletari. Che cosa volete che ne faccia della vostra repubblica?» Ecco cosa pensa del mazzinianismo un operaio che scrive sulla «Lega rossa»681 di Milano, 18 febbraio 1872: «A me sembra che anche a essere repubblicani, si debba pensare un pocolino altresí allo stomaco. La scuola mazziniana è, per noi operai, un complesso d'idee e di concetti tali, che... non ci raccapezziamo facilmente una probabilità di sicura riuscita. Questa scuola appare come in una nube. Tutto si ravvolge nel misticismo. Ma santo Dio, adesso... v'è bisogno di farina e non di cose ipotetiche. A questi lumi di luna abbiamo d'uopo farla comprendere agli operai, bisogna far conoscer loro che quattro e quattro fanno otto. Bisogna dir loro: Questi sono i vostri doveri. Questi sono i vostri diritti. Bisogna far vedere all'operaio che lavorando come lavora ha diritto a mettere nello stomaco almeno un po' di carne alla domenica. Frumento, frumento, frumento altro che parole, parole, parole». «Il Fascio operaio» di Bologna682, pur essendo decisamente antimazziniano e contrario alla conciliazione, serba un linguaggio assai piú misurato. Dimostra che solo i fasci operai (ossia l'Internazionale) hanno svegliato Bologna e le Romagne dall'apatia. «Le utopie mazziniane – scrive il 2 marzo – le cullavano in un sonno che sembrava morte»; e, a proposito dei dissensi nel campo democratico, cosí si esprime: «Chi ha scisso il partito repubblicano fu lo stesso Mazzini quando richiese la fede religiosa per accordar patente di patriottismo ai repubblicani; quando asserí, e disse il vero, che un abisso separava lui, che vuole il Dio vero e noi che siamo indifferenti per tutti; lui che vuole l'autorità e noi l'assoluta eguaglianza»; ma non è giusto che i mazziniani riversino «su noi le responsabilità di una scissione che in fin dei conti sarà la salute della causa degli oppressi di tutto il mondo, che l'Internazionale propugna» (2 marzo 1872). E il 10 marzo, giudicando abbastanza... sinteticamente il mazzinianismo: «I mazziniani vi gridano: Popolo, pensa prima di tutto ed esclusivamente alla politica. L'Internazionale vi raccomanda di rinnovar l'uomo coll'istruzione, colla morale, colla conoscenza di se stesso, prima di rinnovar lo Stato»683. Come reagiscono i mazziniani di fronte a questa seconda ondata d'internazionalismo? Ancora una volta, il loro contegno contrasta singolarmente con quello degli internazionalisti. Piú questi sono aggressivi, esuberanti, risoluti, piú quelli si dimostrano – ad eccezione dello stesso Mazzini e di pochissimi d'intorno a lui – remissivi, conciliativi, pronti a dimenticare accuse e calunnie, sempre disposti a tentativi di pacificazione; ora che l'atteggiamento intransigente di Mazzini si è rivelato inefficace per trattenere l'ala estrema del partito, che anzi è parso dare una conferma agli appunti mossi contro di lui d'essere autoritario e geloso d'ogni discussione sul suo programma, ora che la crisi ha preso proporzioni inaspettate, i mazziniani si sentono come disorientati: oggi tentano un accordo, domani – respinti – si stringono irritati nelle loro posizioni, per gettare poi, passato qualche tempo, un nuovo ponte verso l'opposta riva. Soprattutto li esaspera la soddisfazione non dissimulata dei moderati di fronte al loro indebolimento. «Gli operai italiani sono repubblicani – dichiara l'"Unità italiana e Dovere" –; e vogliono l'unità, ora e sempre; epperò sono male avveduti coloro i quali ridono ora dei nostri dissensi in quistioni secondarie. Riderà bene chi riderà l'ultimo e i monarchici vedranno se il giorno, in cui si tratti di andare alle... per la...684 vi sarà dissenso tra mazziniani e garibaldini, tra deisti e materialisti, tra repubblicani e internazionalisti». È interessante seguire il contegno del foglio mazziniano «L'Alleanza» di Bologna (fondato il 3 dicembre 1871), diretto da Francesco Pais, un democratico che cerca di conciliare Garibaldi e Mazzini e le due tendenze che loro fanno capo. «L'Alleanza» si trova nel centro stesso del nuovo movimento internazionalista ed è perciò piena di calore nel difendere le dottrine mazziniane, da ogni parte svisate e vilipese: i dissapori che dividono la democrazia sono piú apparenti che sostanziali; fra socialisti e Mazzini non corre gran divario, dappoiché Garibaldi, come internazionalista, ha sconfessato le grottesche negazioni dei comunisti. «Ci sentiamo socialisti – scrive "L'Alleanza" il 2 gennaio 1872 – quanto ogni internazionalista alla Garibaldi; e delle questioni religiose e filosofiche non ce ne occupiamo in omaggio al principio di libertà di coscienza, perocché atei e deisti, materialisti e spiritualisti, tutti possiamo unirci e convenire al raggiungimento dello scopo principale comune». E il 4 gennaio: «In Italia non vi sono né possono essere né mazziniani, né internazionalisti, ma solamente dei repubblicani socialisti perché gl'internazionalisti italiani non hanno nulla di comune colle selvagge teorie d'oltremonte e d'oltremare»; anzi non sanno neppure che sia l'Internazionale per la quale è cominciata «una nuova fase che ci piace chiamare della confusione babelica. E per vero noi vediamo che in alcune città italiane nascono società che si dicono affigliate piú o meno direttamente all'Internazionale e che ne abbracciano il programma. Ma quel primitivo programma non è ormai che una lettera morta... L'Internazionale in Italia non esiste»685 (4 febbraio 1872). Questo atteggiamento estremamente conciliativo – Mazzini non lo avrebbe potuto approvare – coincide con la direzione del Pais. Ma «L'Alleanza» doveva difendere in Emilia – assieme con organi minori, quale «La Rivoluzione» di Forlí diretta da Antonio Fratti – i colori mazziniani; e la parola d'ordine, secondo l'esempio rigidissimo di Mazzini stesso – era di non transigere, di non cercare accomodamenti impossibili tra materialisti e spiritualisti. Cosicché, mentre la campagna antimazziniana si intensifica e i progressi dell'Internazionale si fanno sempre piú evidenti, «L'Alleanza», non badando al suo titolo – che assai probabilmente era stato scelto appunto in vista dei dissidi nel campo democratico, – vira di bordo. Al Pais vien sostituito nella direzione un mazziniano puro, Luigi Rangoni (14 febbraio 1872) e il giornale, che diventa organo delle Società repubblicane consociate delle Romagne – si fa intransigente. «Il nostro appello alla concordia fu respinto – scrive il 7 marzo. – Constatiamo questo fatto, a ciò che ciascuno abbia quella parte di responsabilità che gli appartiene... Ebbene, a questo punto, "L'Alleanza" è lieta di separarsi irreconciliabilmente da avversari di tal fatta e preferisce di averli nel novero dei nemici».
Dietro tutta questa agitazione di stampa, era lo spettro dell'Internazionale, la quale effettivamente andava realizzando progressi molto seri. «Il Monitore di Bologna», 8 novembre, scriveva che gli risultavan «partiti per Firenze, Torino, Napoli e Roma degli emissari dell'Internazionale per effettuare coi loro aderenti d'Italia un'organizzazione generale della politica e dell'amministrazione della lega»686. A Napoli, mercè gli sforzi di un gruppo di giovani disinteressati ed entusiasti, con a capo il Cafiero, gli elementi internazionalisti andavano ripigliando i contatti interrotti fin dall'agosto. Col 10 novembre il giornale «Il Motto d'Ordine», fondato nel settembre dello stesso anno, cominciava a parteggiare apertamente per l'Internazionale, trasformandosi in quotidiano687. Verso la fine del mese sorgeva la Federazione operaia napoletana, dichiaratamente internazionalista688. A Milano un fervente bakunista, il Pezza, e un tedesco seguace di Marx, il Cuno, stavano lavorando per fondare una sezione689. A Torino si andava svolgendo un'accanitissima lotta in seno alla Federazione operaia tra mazziniani e internazionalisti. Nelle elezioni delle cariche che vennero fatte sulla fine di novembre, riuscí presidente un ex internazionalista, convertitosi a mazziniano690; vicepresidente e segretario due internazionalisti691. La federazione contava allora settecentocinquanta soci. Il 27 novembre 1871 si costituiva a Bologna il primo Fascio operaio, sotto il consolato di Erminio Pescatori; i suoi principî vennero esposti nel 1° numero del giornale omonimo692, che esso pubblicò – sotto la direzione dello stesso Pescatori e con la collaborazione di Andrea Costa – dal 27 dicembre 1871 al 6 giugno 1872. «Non vogliamo atterrare un nemico per occuparne il posto: dobbiamo invece rendere impossibile il privilegio della nascita e del monopolio, per sostituirvi l'universale diritto di vivere per lavorare, di lavorare per esser liberi, di esser liberi per divenir tutti uguali»693. Il Fascio operaio non era che una sezione dell'Internazionale, con nome diverso; suo primo socio, naturalmente, Garibaldi694. Alla fine dell'anno contava già in Bologna cinquecento soci mentre, costituitisi altri fasci consimili in tutta l'Emilia e specialmente in Romagna695, si tendeva a una federazione regionale: il 19 dicembre 1871 si riuní infatti a Bologna un primo comizio dei delegati delle sezioni di Bologna, Imola, Ravenna, Forlí, Faenza, Rimini696. Altrettanto avveniva in Firenze dove, per opera di Piccioli-Poggiali, Natta, Grassi, Lovari, sorgeva un fascio operaio che raccolse subito un duecento operai697. Questa propaganda si svolgeva principalmente sotto la diretta influenza di Bakunin che, dalla Svizzera, cercava di mantenere attivissime relazioni. Voleva che l'Internazionale italiana fosse la sua roccaforte, pronta a sostenerlo nella imminente definitiva battaglia contro il Consiglio generale di Londra. «Posso dire di avere inondata l'Italia della nostra circolare... – scriveva il 18 dicembre 1871, alludendo a una circolare spedita dalla Federazione antimarxista del Giura. – Ho dovuto scrivere una quantità di lettere in tutte le parti d'Italia per spiegare agli amici il vero senso della nostra lotta contro Londra e per disporre a favor nostro gli amici e i quarti di amici»698. Molti giornali internazionalisti italiani riprodussero infatti tale circolare, vivamente elogiandola: tra i quali, nel dicembre '71, «L'Uguaglianza» di Girgenti, «La Campana» di Napoli, «Il Proletario» di Torino699 e il «Fascio operaio» di Bologna. Esitò prima di pubblicarla – in quanto significava adesione a Bakunin – «Il Gazzettino rosa», milanese, che subiva allora qualche influenza del Consiglio generale di Londra, intermediario Carlo Cafiero – suo collaboratore – cui Federico Engels cercava di appoggiare il movimento antibakunista in Italia. Ma ben presto, convertitosi il Cafiero alle idee di Bakunin700, anche il «Gazzettino» prese posizione contro il Consiglio generale, dichiarando di aderire alla circolare di Sonvillier e pubblicando una lettera di un gruppo d'internazionali, sostenitori a spada tratta del pensiero e dei metodi di Bakunin701. Il nome dell'Internazionale e dei suoi fondatori si diffondeva sempre piú. Il 22 dicembre 1871 l'Associazione democratica di mutuo soccorso di Macerata spediva un indirizzo a Carlo Marx, informandolo d'averlo nominato triumviro onorario della società, in compagnia di Garibaldi e di... Mazzini, in omaggio al principio «la nostra patria è il mondo»702. Il 24 dicembre trenta membri dimissionari della Società operaia di Milano fondavano una sezione internazionale sotto il nome di Circolo operaio di emancipazione del proletariato703; in venti giorni i soci salivano al centinaio704. Il 1° gennaio usciva a Torino il settimanale satirico internazionalista «L'Anticristo». Lo stesso giorno si costituiva la sezione di Ravenna dell'Internazionale, mercè la fusione di cinque società operaie, con un totale di 478 membri705. Il 5 gennaio la Federazione operaia di Torino si scindeva: una importante minoranza che aderiva apertamente all'Internazionale ne usciva per formare la società L'emancipazione del proletario, che si organizzò in corpi di mestiere e costituí subito una cassa di resistenza. E anche la maggioranza, pur aderendo al mazziniano Patto di Fratellanza, deliberava di inviare le quote regolamentari al Consiglio generale dell'Internazionale706. A Napoli, 7 gennaio, veniva fondato il settimanale «La Campana»; e a Milano, il 28, «La Lega rossa». Altre sezioni dell'Internazionale si fondavano a Ferrara, a Milano, a Rimini, sulla fine di gennaio. Le sezioni già esistenti intensificavano la loro attività: tale quella di Napoli che, nel febbraio 1872, invitava i tipografi a una riunione da tenersi il 18 del mese, onde fondare un'unione tipografica basata sui principî dell'Internazionale707. Verso la metà di febbraio Engels mandava in Italia un internazionalista italiano, il Regis, che aveva già fatto parte del Consiglio generale, perché si rendesse conto personalmente della situazione e studiasse il modo di controbattere la tenace influenza esercitata da Bakunin708. Il Regis, che si celava sotto il nome di Péchard, visitò le sezioni di Milano e di Torino, indicendo riunioni nelle quali illustrò i principî e giustificò l'azione del Consiglio generale. Scrisse poi all'Engels (1° marzo) che i risultati del suo viaggio «non sono negativi», pur costretto a riconoscere che tutti gli elementi piú attivi dell'internazionalismo italiano pencolavano irrimediabilmente verso il dissidentismo bakunista. Annunciò inoltre che si andavano costituendo nuove sezioni a Biella, a Pinerolo, ad Alba, a Sampierdarena709. Vincenzo Pezza fondava a Milano, il 16 febbraio, un giornaletto internazionalista d'estrema sinistra, «Il Martello»710. Il 18 febbraio si riuniva a Villa Gambellara (Ravenna) un comizio internazionalista, presenti 11 sezioni e gruppi della Romagna711. Il 26 febbraio i membri della Associazione democratica di Macerata scrivevano al giornale «L'Anticristo», in questi termini: «Abolizionisti d'ogni principio autoritario, siamo per l'Internazionale, ed internazionali puri non ci piegheremo a qualunque accenni di assorbir comando e direzione»712. Nello stesso mese di febbraio altre sezioni si costituivano a Siena, a Fano, a Mantova, a Palermo713.
Mentre si occupava della organizzazione dell'Internazionale in Italia, Bakunin714 non trascurava di proseguire, sul terreno teorico, la sua campagna antimazziniana715. Sulla fine del 1871 stampò infatti un opuscolo in francese su La théologie politique de Mazzini et l'Internationale, che qui, poiché non influí affatto sulle sorti della battaglia tra Mazzini e i socialisti, non essendo stato tradotto in italiano né allora né – per quanto mi consta – piú tardi716, basterà riassumere brevemente. Tra gli scritti di Bakunin è dei piú fiacchi: ripete cose già dette nella Risposta e nella Circolare agli amici, non segue un rigoroso filo logico, è poco equilibrato nelle sue varie parti. Come promette il titolo, la parte sostanziale dell'opuscolo è quella che riguarda la concezione religiosa di Mazzini e l'antitetica visione materialistica della vita. Ma dell'una e dell'altra noi abbiam già visto i motivi fondamentali. Punti efficaci e arguti di questo pur sempre interessante pamphlet son quelli nei quali Bakunin, definita la fede in Dio come la piú esclusivista e intransigente di tutte le fedi, tale da schiacciare addirittura lo spirito dei suoi seguaci717, tenta di provare come anche il Dio di Mazzini, per quanto modernizzato e umanizzato, sia tuttavia incompatibile con l'incessante sviluppo del mondo naturale e, quel che piú conta, del mondo umano. Scendendo a ragionare di cose concrete, Bakunin ricorda le recenti persecuzioni subite dall'Internazionale in Italia e le pone senz'altro in relazione con le clamorose invettive mazziniane; gettata cosí un'ombra di sospetto su Mazzini, fa notare che tanto egli quanto le rigorose autorità italiane non potevano rendere miglior servizio all'associazione la quale, nella sua povertà, non era davvero in grado di farsi una propaganda tanto intensa ed efficace. «Appena un anno fa eccetto due o tre punti isolati e sperduti nello spazio, in Italia non si dubitava neppure dell'esistenza dell'Internazionale. Ora, grazie alla stampa governativa e grazie soprattutto a Mazzini718 nessuno la ignora» (p. 23). Bakunin si diffonde quindi ad esporre a uno a uno i principî programmatici dell'Internazionale. È tempo che in Italia si conosca la verità su quest'associazione, nota finora per le diffamazioni di interessati denigratori. Egli confida che, informati finalmente degli scopi dell'Internazionale, gli operai italiani si accorgeranno di quanto fuor di luogo e irragionevoli sian gli attacchi che Mazzini ha rivolti contro di essa, travestendola in modo grottesco, al fine di spaventare la borghesia e trattenere il proletariato. L'antinternazionalismo di Mazzini, del resto, non può maravigliare chi appena conosca la concezione che egli ha di popolo e di iniziativa popolare. Egli vuole l'emancipazione delle masse, ma le considera come assolutamente incapaci di dirigersi e di governarsi da sé: saranno felici e in grado di compiere la missione loro affidata da Dio solo se abbracceranno il suo programma e si lascieranno permeare dal suo sistema di educazione; considera sí necessità essenziale la loro unione: non comprende però che, ai fini dell'emancipazione morale e materiale del proletariato, essa è preziosa e feconda se spontanea, non ha invece alcun valore se forzata, o anche se troppo rigidamente la si voglia dall'alto controllare e guidare alle sue mete. L'opuscolo, s'è detto, ha valore assai modesto. Ciò non pertanto la lettura ne è ancor oggi piacevole, grazie all'agilità stilistica, all'arguzia e alla vivacità dello scrittore, a volta a volta irruente e leggero, fine nella critica e poderoso nell'attacco, sempre ricco d'imagini e felice nell'espressione. Fu l'ultima stoccata del duello Mazzini-Bakunin. |
p. - 655 «Il Motto d'Ordine», 18 novembre 1871. Il 13 novembre Engels scriveva al tedesco Cuno, allora stabilito a Milano: «Ho veduto stamattina, da Marx, Ricciotti Garibaldi; è un giovanotto assai intelligente, molto tranquillo, ma piú un soldato che un pensatore. Può però diventare assai utile. Proprio come il vecchio [Giuseppe Garibaldi] egli mostra nelle sue teorie piú buona volontà che chiarezza, e non pertanto la sua ultima lettera a Petroni è per noi d'un valore infinito... Ci può ella procurare un indirizzo sicuro a Genova? Si tratta di fare avere con sicurezza le nostre cose a Caprera, e Ricciotti dice che molto viene intercettato» (Carteggio di Engels). 656 J. W. MARIO, Vita di Garibaldi, 2a ed., Milano 1882, vol. II, pagine 270 sg. 657 Lettera a Tallinucci (XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, p. 392). 658 BERTOLINI, prefazione citata a RAE, op. cit., p. XVI. 659 Briefe und Auszüge Briefen, von Becker, Dietzgen, Engels, Marx u. A. an Sorge u. A., Stuttgart 1905, p. 34. Nella seduta del 14 novembre Engels dette un resoconto del Congresso di Roma; il quale si era risolto, disse, in «un fallimento completo» (Verbali citati ad diem). 660 Durante il 1871 non si era potuto riunire il solito congresso dell'Internazionale: il Consiglio generale aveva convocato in sua vece una conferenza amichevole a Londra (17-23 settembre 1871) cui avevan partecipato una ventina di persone (Engels rappresentava l'Italia). Questa conferenza prese varie deliberazioni che, secondo gli statuti, solo il congresso era autorizzato a prendere, offrendo cosí a Bakunin il destro per rinfocolare la sua lotta contro il Consiglio generale. Il 12 novembre, dietro sua ispirazione, si riuní infatti a Sonvillier un Congresso dissidente nel quale venne costituita la Federazione dissidente del Giura, libertaria e antiautoritaria del Bakunin. Il congresso con una circolare inviata a tutte le sezioni dell'Internazionale nei vari paesi, accusò il Consiglio generale di abuso di potere e propose la riunione di un congresso straordinario. 661 T. MARTELLO, Storia della Internazionale cit., p. 423. 662 Ne spediscono l'Associazione cooperativa fra gli operai di Spezia (23 novembre); gli operai di Castel Bolognese (30 novembre); la Società di mutuo soccorso di Fano (11 dicembre); la Società della fratellanza di Ravenna (13 dicembre); i democratici romagnoli e marchigiani (dicembre) riempiono i giornali dei loro ordini del giorno. 663 Silvio era lo pseudonimo che Bakunin aveva assunto in Italia (M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 64). Garibaldi è dunque informatissimo delle piú intime faccende dell'internazionalismo italiano. 664 XIMENES, Epistolario di Garibaldi cit., vol. I, pp. 394-95. 665 «La Roma del Popolo», 7 marzo 1872. 666 La proposta è di Garibaldi; e vien rilevata e pubblicata sui giornali di Sanmito, Stefanoni, Battaglia, Cerretti, Castellazzo («La Roma del Popolo», 1° febbraio 1872). 667 Lettere di G. Mazzini a F. Campanella cit., p. 48. 668 «La Roma del Popolo», 1° febbraio 1872. 669 E continua a incoraggiare i giornali internazionalisti. Cfr. «La Lega rossa», Milano, 18 febbraio 1872. 670 Lettera al direttore dell'«Unità italiana», 29 febbraio («La Roma del Popolo», 7 marzo 1872). 671 Lettera a Sanmito, 6 marzo 1872 (CIAMPOLI, op. cit.). 672 Altri inviti all'accordo vengono spediti a Garibaldi e a Mazzini dall'Associazione democratica di Viareggio, dalla Consociazione repubblicana forlivese, dalla Consociazione operaia di Rimini, dalla Società operaia di Bologna, ecc. 673 Pompeo Panciatichi nell'«Alleanza», 17 febbraio. La Consociazione repubblicana romagnola spedisce a Garibaldi il seguente telegramma: «Interesse patrio esige vostro accordo Mazzini. Con esso sui campi principî politici morali. Con voi sui campi battaglia conquista vera libertà». 674 Bisettimanale, fondato il 13 settembre 1871. Nel primo numero il giornale si dichiara liberale e antigovernativo. Nel n. 6 (30 settembre) socialista, rivoluzionario e razionalista, ma anticomunardo e antinternazionalista. Col 10 novembre diventa quotidiano e apertamente internazionalista, sotto la direzione di Leone Leoncavallo; uno dei redattori principali è Tito Zanardelli. Il 6 dicembre il giornale, in seguito a mutamenti redazionali, riprende la vecchia fisionomia. 675 Settimanale fondato il 7 gennaio 1872. La testata reca il motto: «Nessun diritto senza dovere – nessun dovere senza diritto». Lo dirige Giuseppe Tucci; vi collaborano Gambuzzi, Palladino, Cafiero, Covelli, Malatesta. 676 Ecco un'altra prova della convinzione sincera che anima gli internazionalisti non rappresentare l'Internazionale che lo sviluppo logico del sistema mazziniano. È la Società dei lavoratori ferraresi – Sezione dell'Internazionale – che scrive all'«Alleanza», il 4 febbraio 1872: «Ecco, cittadino, le idee caotiche che deplorate, e che ci sembrano invece quelle stesse apprese dal comune maestro Mazzini, riformate naturalmente secondo le inesorabili leggi del progresso». 677 Qualche anno piú tardi, sulle colonne della «Cronaca», Celso Cerretti, tracciando una breve storia del Socialismo in Italia, cosí giudica il dissidio fra Mazzini e gl'internazionalisti del '71-72. «Mazzini pur troppo nol volle comprendere [il socialismo]. Disgrazia per noi giacché egli avrebbe influito a far trionfare i nostri principî tanto tempo prima che non saranno in fatto... Ma insomma che voleva Mazzini? Che per mezzo secolo continuassero a valere le medesime idee? Se egli in tanti anni di apostolato non si mosse mai dalla sua linea di condotta, si dovea pur sempre militare con lui? e il progresso? Chi è che possa negare che l'ideale di Mazzini – fatta astrazione d'una differenza di governo – non si sia interamente raggiunto?» (20 febbraio 1876). Sono le stesse idee espresse nella lettera citata nel testo. 678 Il 18 febbraio insiste sulla profonda diversità fra il concetto nazionale di Mazzini e quello dei socialisti: «Patria pei mazziniani è un principio da attuarsi violentemente dall'alto al basso... L'unità nostra, pigliando le mosse dall'individuo, dai suoi bisogni e diritti riconosce la libertà piena delle collettività locali, questa federa inevitabilmente fra loro fino a creare sotto altra forma e con altro concetto la medesima unità»; e, dopo aver dichiarato che gli operai sono oggi tutti instradati verso il socialismo: «Al profeta non avanza che piangere sull'umana corruzione; cosí il mazzinianismo avrà avuto anche il suo Geremia»! 679 Settimanale fondato il 1° gennaio 1872: diretto da Giuseppe Eandi. Cessò le pubblicazioni il 12 maggio dello stesso anno. Dal primo numero: «In guardia, o Popolo / Solleva gli occhi / Perdi quel debole / ch'ai nei ginocchi... / Fin che t'umilî / Fin che stai prono / Come puoi scorgere / Chi siede in trono? / In piedi... Rizzati! / Bada, per Cristo / Non senti il soffio dell'Anticristo?» 680 Nel dicembre 1871 appare sul «Journal des Débats» un articolo scritto da un «autorevole corrispondente italiano» nel quale si dice che Mazzini «avrebbe recentemente proposto al partito dell'Internazionale di unirsi, almeno momentaneamente, con lui, contro il loro comune nemico, la Casa Savoia... Mazzini non sarebbe stato lontano dal comprendere tutto il pericolo dallo scisma prodottosi e la necessità di mettervi un termine. Uno dei suoi piú caldi partigiani, un avvocato milanese, sarebbe stato incaricato... di proporre agli antichi capi del partito d'azione, schierati da poco sotto la bandiera dell'Internazionale, una specie di tregua durante la quale si sarebbe lavorato in comune, senza tener conto delle tendenze particolari di ognuno, ad abbattere la monarchia... Mazzini insiste soprattutto sulla necessità di risolvere la questione politica prima della questione sociale. Egli dichiara che, quanto a lui, non approva il programma materialista e socialista dell'Internazionale, ma egli non crede giunto il momento di abbandonarsi a questo proposito...» Secondo l'articolo del «Journal des Débats», Mazzini proporrebbe di sollevare la Sicilia e le Calabrie, per attirare in quel punto tutte le forze militari del paese, di provocar poi una rivolta nelle Romagne, a Genova e a Milano e infine a Roma dove «rimarrebbe pochissimo a farsi per rovesciare la monarchia». Questo articolo, che venne largamente riprodotto dalla stampa italiana, sdegnò gli scrittori della «Roma del Popolo», 11 gennaio 1872. «Non sappiamo – fu il loro commento –, signori giornalisti conservatori di Francia e d'Italia, se dobbiamo chiamarvi ridicoli o miserabili!!!» A parte queste fantasticherie, è certo che di accomodamenti piú o meno provvisori fra le due ali della democrazia si parlò, allora e in seguito, con insistenza. Qualche tentativo d'approccio vi fu senza dubbio. 681 Settimanale fondato il 28 gennaio 1872; direttore Giuseppe Cozzi. Nel programma la «Lega rossa» si definisce «il foglietto degli operai che appartengono al partito repubblicano, e che sono affigliati per convinzione e per sentimento allo scopo dell'Internazionale». 682 Quotidiano fondato il 27 dicembre 1871; diretto da Erminio Pescatori. Cessò le pubblicazioni il 6 giugno 1872. Di questo giornale è interessante seguire attraverso un curioso particolare il progressivo «svincolarsi» dalla tutela e dalla tradizione morale mazziniana. Quando esce il primo numero del giornale – il quale non rivela che piú tardi la sua tinta internazionalista – la testata reca, ai lati, le parole: Associazione – Lavoro – Libertà – Uguaglianza – Fraternità – Emancipazione – Solidarietà – Verità – Giustizia – Morale. Questa complessa formola regge fino all'ottavo numero in cui Associazione – Lavoro – Fraternità – Emancipazione vengono soppresse a beneficio di una formola internazionalista: «Nessun dovere senza diritti – nessun diritto senza doveri». Col tredicesimo numero scompaiono anche la Libertà, l'Uguaglianza ecc. 683 Sull'«Unità italiana e Dovere», Genova, 18 aprile 1872, Armirotti stigmatizza severamente tutta questa campagna di stampa contro Mazzini: «Non intendo... di voler giudicare né gli uni né gli altri (i fatti di Parigi e gli Internazionalisti), cosa troppo ardua per me: ma intendo semplicemente di accennare ad un fatto, ed è il linguaggio che tengono certi giornali... che, dichiaratisi sul loro nascere repubblicani, cominciarono la loro gloriosa carriera, col chiamare Mazzini un retrogrado, un prete, mettendolo in un fascio coi re, coi principi spodestati, preti, sgherri e simile brodaglia, fra i nemici dell'umano progresso, dicendosi ora apertamente anarchici, e ripetono ogni giorno: vogliamo la guerra civile, vogliamo l'anarchia, ed è da queste soltanto che sorgerà la vera libertà; non vogliamo governo di sorta, e perciò nemmeno la repubblica, perché l'uomo deve esser libero...» 684 Parole – in verità molto trasparenti – omesse nel testo. 685 L'Internazionale ha già otto anni di vita, argomenta l'«Unità italiana e Dovere», 18 novembre 1871, e «questo periodo di tempo è breve certamente se si guarda all'altissima meta da raggiungere; ma se lo si confronta al nulla che sinora l'Internazionale ha operato sulla via di conseguirla, non è piú tale, e giustifica la convinzione nostra circa la radicale impotenza della chiassosa associazione... Se noi guardiamo fuori d'Italia – dentro, grazie a Dio, l'Internazionale non è che una parola; una parola piú o meno incompresa, piú o meno amata e temuta ma nient'altro che una parola – non scorgiamo ancora indizio dei suoi benefici effetti». Ma era l'ottimismo di chi non guarda o di chi, guardando, non vuol vedere, quello dell'organo repubblicano. 686 La notizia – come vedremo – era esatta. Emissari dell'Internazionale si recarono, in quei mesi, a Torino, a Milano, a Firenze, a Napoli. 687 Il 27 novembre Cafiero scriveva ad Engels che al «Motto d'Ordine» «si fa una guerra fierissima dalla coalizione di quanto v'ha di piú sozzo in genere di borghesia, sbirraglia governativa, nobilume e pretume. Il povero giornale minaccia di morire, o di sfuggirci dalle mani...» E il 28: «Voi forse osserverete che il "Motto d'Ordine" non è sempre uguale nei suoi articoli; ma sapeste come si compone la redazione di quel giornale! In ogni modo è bene sappiate che non è un affare che ci appartiene pienamente, noi ci entriamo di sbieco e cerchiamo di rendercelo utile per quanto è possibile...» E il 19 dicembre: «..."Il Motto d'Ordine" morí per noi, e pochi giorni dopo morí completamente... Comprendete bene che non era piacevole di scrivere in un giornale del quale mentre non ci si voleva dare la direzione, si accettavano articoli del primo venuto, e che articoli!» (Carteggio di Engels cit.). 688 Lettera di Cafiero a Engels, 29 novembre 1871 (Carteggio di Engels cit.). 689 O meglio Pezza e Cuno riuscirono a guadagnare alla causa dell'Internazionale (senza per allora insistere sull'indirizzo bakunista o marxista da darsi al nuovo raggruppamento) una forte minoranza di soci della mazziniana Società operaia di mutuo soccorso morale e di istruzione. L'epistolario tra Cuno ed Engels (fino ad oggi inedito) è di notevole interesse. Scriveva l'Engels al Cuno, il 13 novembre, confessandogli di non conoscere nomi di internazionalisti stabiliti a Milano e invitandolo a fare un'attiva propaganda: «Milano come capitale del mazzinianismo finora e come grossa città industriale è per noi e per queste ragioni specialmente importante, perché con Milano devono cader da sé in nostre mani i distretti d'industria della seta in Lombardia...» 690 L'operaio Carlo Laplace; il quale – scriveva il famigerato Terzaghi ad Engels, 4 dicembre 1871 – «in seguito ad una lettera di Mazzini carica di adulazioni, cambiò idea». 691 Il Terzaghi e Giuseppe Abello, redattore con Terzaghi del «Proletario italiano». Inoltre venne a far parte del consiglio anche l'internazionalista G. Eandi. 692 Il Fascio operaio, prima della pubblicazione del giornale, avrebbe voluto lanciare un manifesto; nel quale i promotori affermavano «siamo operai e vogliamo lavorare», «rispettiamo i diritti e le proprietà altrui», «chiediamo vengano riconosciuti i nostri diritti di uomini e di cittadini», «vogliamo che il nostro lavoro non ci uccida, ma ci produca tanto che basti alla nostra esistenza fisica e morale». Ma l'affissione ne fu vietata (cfr. «Il Fascio operaio», 27 dicembre 1871). 693 Piú o meno copertamente Il Fascio operaio divideva le idee di Bakunin al quale il Pescatori scriveva in data 2 gennaio 1872: «Siamo con voi, non possiamo ancora prendere una risoluzione un legame definitivo...» (M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 650). 694 «Accetto con orgoglio il prezioso titolo di socio del Fascio operaio di Bologna», Caprera, 5 dicembre 1871 (Dal primo numero del «Fascio operaio»). 695 «Il Fascio operaio», n. 1, 27 dicembre 1871. 696 M. NETTLAU, Errico Malatesta ecc. cit., p. 73. 697 «Il Martello», Milano, 17 febbraio 1872. Il Fascio operaio di Firenze pubblicò il 15 marzo 1872 un manifesto di propaganda; piú tardi dette vita a un giornale dallo stesso titolo. La organizzazione fiorentina fu sciolta dal prefetto il 1° dicembre 1872 («La Liberté», 2 dicembre 1872). 698 J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, pp. 250 sg. 699 Terzaghi si trovava allora in ottima relazione con Bakunin che aveva veduto a Locarno. Il russo fidava completamente in lui; l'11 novembre gli aveva mandato perfino il «dizionario» ossia, con tutta probabilità, un cifrario segreto (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II). Il direttore del «Proletario» manteneva intanto i migliori rapporti anche col Consiglio generale di Londra. Nel marzo '72, convinto di appropriazione indebita e sospettato come confidente della questura, il ribaldo venne cacciato dalla sezione torinese. Terzaghi informò dell'accaduto il Consiglio generale, asserendo di «aver date le sue dimissioni da quella sezione di canaglie e di spie, perché era composta di agenti del governo e di mazziniani» (Lettera 10 marzo 1872). (C. MARX, L'Alleanza della democrazia socialista ecc. cit., p. 37). 700 Il 21 dicembre 1871 Cafiero stampa sul «Gazzettino rosa» un articolo L'Internazionale a firma Un Internazionalista in cui espone idee molto vicine a quelle del Bakunin sulla partecipazione degli operai alla vita politica. Questo articolo segna l'inizio della sua conversione al bakunismo di cui diverrà il piú attivo propagandista in Italia. 701 Bakunin si era molto stupito del silenzio del «Gazzettino», fino allora portavoce fedele dei suoi principî. E aveva scritto ai suoi redattori, il 23 dicembre, chiedendo spiegazioni: «Fratelli, che succede dunque di voi? Il vostro silenzio accompagnato dal silenzio ostinato del "Gazzettino rosa" mi stupisce, m'affligge, m'inquieta» (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., vol. II, p. 251). 702 Carteggio di Engels cit. 703 Lettera di Cuno a Engels, 27 dicembre 1871. Cfr. anche «Il Gazzettino rosa», 13 gennaio 1872. 704 Lettera del Consiglio del Circolo operaio a Engels, 11 gennaio 1872. È firmata da Pezza, Pozzi, Bavetti, Bellasio, Gandolfi e Cuno. Cuno venne in aprile espulso dall'Italia perché – diceva l'ordinanza della polizia – «mancante di mezzi di sussistenza». In realtà perché attivissimo nel promuovere l'organizzazione internazionalista. Engels, scrivendogli, gli promise di parlar del suo caso nei giornali inglesi e di farne parlare nella stampa socialista di tutta Europa. «Quei porci cani [la polizia] devono accorgersi che non la va piú cosí liscia e che il braccio degli internazionalisti è sempre piú lungo di quello del re d'Italia» (Cart. di Engels cit.). 705 ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI OPERAI, SEZIONE RAVENNATE, Patto di fratellanza, Bologna 1872. 706 Lettera di Terzaghi a Engels, 4 gennaio 1872. Sull'opera svolta dal Terzaghi nell'ambiente operaio torinese molto ci sarebbe da dire. Espulso dalla Emancipazione, si dette a fare del dissidentismo, offrendo i suoi servigi ora a Engels ora a Bakunin. Ma la sua parte, nonostante che tutti lo conoscessero per quel che valeva, non era ancora terminata. Nel 1873 fondò il giornale «La discussione» (che durò dal maggio al settembre) e poi «Il Proletario» (nell'ottobre), specie di libello rivolto contro mazziniani, garibaldini, internazionalisti, ossia tutti coloro che successivamente gli avevano dato credito. L'uomo non era privo d'ingegno; ma in sostanza e contro ogni sua intenzione, le sue mene giovarono piú che non nuocessero al movimento internazionalista. Certo s'elevò al disopra dei suoi pari per l'accortezza con la quale comprese qual fosse la via migliore per dividere le correnti predominanti: spinse l'internazionalismo per debellare il mazzinianismo repubblicano, fu garibaldino contro Mazzini, marxista per scindere gli internazionalisti italiani, petroliero e anarcoide per rovesciare sui compagni persecuzioni e reazione e su di sé i falsi rigori della polizia (una volta si recò a Ginevra fuggendo un autentico mandato di cattura del procuratore del re di Pesaro!) La sua colpevolezza fu irrefutabilmente provata da Cafiero al Congresso di Bologna (15 marzo 1873) – confermata ripetutamente piú tardi. 707 «Il Martello», 17 febbraio 1872. 708 Partito a questo scopo da Londra e giunto a Ginevra, il Regis di là sollecitava l'Engels (il 16 febbraio) perché gli desse modo di esplicare subito il suo mandato, inviandogli il denaro necessario a proseguire il viaggio. «Urge assolutamente che io parta e mi rechi in Italia, ove le cose procedono con una rapidità vertiginosa. Malon e compagni hanno moltissime relazioni, e nulla trascurano per guadagnar terreno, il che è facile avendo la piazza libera. Se piú si tarda le sezioni italiane saranno totalmente avanzate, saranno cosí sviluppate negli intrighi dei dissidenti, che sarebbe cosa vana e pressoché impossibile il tentare di distrarle». Lo stesso Engels, del resto, non si faceva illusioni. Il 24 gennaio 1872 aveva scritto a Cuno: «La stampa bakunista afferma che venti sezioni italiane vi si sarebbero unite (alla proposta degli internazionalisti dissidenti di anticipare la convocazione del Congresso generale), io non le conosco. Ad ogni modo quasi dappertutto la direzione è nelle mani di amici e aderenti di Bakunin, che si agitano molto rumorosamente, ma se si indagasse con un po' di precisione, apparirebbe chiaro, che non molta gente sta dietro di loro, perché alla fin dei conti la grandissima maggioranza degli italiani è finora mazziniana e lo resterà fino a quando l'Internazionale si identificherà con l'astensione politica. E il 22 aprile, accennando alla propaganda da svolgersi in Italia: «Sarà necessario un lungo e paziente lavoro per strappar le masse dalle sciocchezze mazziniane» (Carteggio di Engels cit.). 709 Carteggio di Engels cit. 710 Del «Martello», settimanale, uscirono quattro numeri soltanto (l'ultimo il 3 marzo), tre dei quali vennero sequestrati. Verso la fine di marzo il Pezza fu arrestato insieme al gerente responsabile e a un altro redattore; nel maggio, processati, vennero condannati rispettivamente a mesi 6, 1 e 3 di carcere. In agosto troviamo il Pezza, forse fuggito di prigione, in Isvizzera. Intimo amico del Bakunin, le cui idee erano fedelmente rispecchiate nel «Martello», morí giovanissimo, pochi mesi dopo (J. GUILLAUME, L'Internationale ecc. cit., II; M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, p. 647). 711 E precisamente quelli di Ravenna, Forlí, Lugo, Madonna dell'Albero, Santo Stefano, San Bartolo, Bastia, Campiano, Carpinello, Coccolia, San Pancrazio («Il Martello», 25 febbraio 1872). 712 «L'Anticristo», febbraio 1872. 713 «Il Martello», 25 febbraio, 3 marzo 1872; «La Campana», 10 marzo 1872. 714 Uno dei sistemi che egli seguiva per la sua propaganda era quello di dirigere lunghissime lettere zeppe di consigli, d'informazioni, di spiegazioni a uno dei suoi amici italiani. Le lettere poi dovevan passare di mano in mano, secondo un itinerario da lui stabilito. Ogni amico era indicato con uno pseudonimo. 715 Il 12 novembre 1871 «Il Proletario italiano» di Torino ospitò sulle sue colonne una lettera di Beghelli, direttore del «Ficcanaso», in difesa del mazzinianismo. Bakunin iniziò una lunghissima risposta Ai redattori del «Proletario italiano», alcuni frammenti della quale sono riprodotti da M. NETTLAU, Michael Bakunin ecc. cit., III, pp. 643-64. Ma non fu mai pubblicata, e forse neppure condotta a termine e inviata a destinazione. 716 Fu pubblicato a cura della Commission de propagande socialiste, a Neuchâtel, nella tipografia Guillaume. Io ne ho consultata la copia posseduta dalla Biblioteca centrale del Risorgimento in Roma. Si avverta che un opuscoletto con lo stesso titolo stampato a Roma nel 1910 dalla Libreria editrice libertaria non contiene che la Risposta già esaminata. 717 Si leggano, a prova, i giornali mazziniani: vi si sente «non so quale atmosfera soffocante, un soffio di morte e come odor di cadavere... In mezzo al movimento sociale immenso che ha invaso il mondo umano... restano là, immobili isolati, stranieri a questo sviluppo di vita, e gli occhi invariabilmente fissati su Savonarola e Dante, cantano le loro vecchie litanie» (p. 47). 718 Salvo questo accenno a pretese responsabilità di Mazzini nel determinare i rigori governativi contro l'Internazionale, l'opuscolo bakunista non contiene alcun attacco personale contro di lui. Del quale, anzi, a p. 44, Bakunin cosí scrive: «Pochi uomini, senza dubbio, sono capaci d'amare come Mazzini. Chiunque ha avuto la fortuna di avvicinarlo personalmente ha sentito gli effluvi di quella tenerezza infinita che sembra penetrare tutto il suo essere, si è scaldato l'anima al raggio di quella bontà indulgente e delicata che brilla nel suo sguardo nello stesso tempo cosí serio e dolce, nel suo sorriso melanconico e fine». E a p. 46: «Amo Mazzini e lo venero e pertanto devo combatterlo. Devo mettermi dalla parte di Marx contro di lui». |
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