Aspromonte e Mentana.
Non dunque la guerra del '66 al
passivo. Aspromonte?394. E Mentana? Se la prima fu l'esame di
stato della nuova Italia, Aspromonte fu quello di maturità –
quello di maturità soprattutto per gli uomini di governo (e
analogamente Mentana). Fin da principio, per fortuna, tali uomini
ebbero, né mai piú smarrirono, quella sensazione cui
già si è accennato, che l'Europa avrebbe rispettato
l'Italia solo se questa fosse riuscita a far dimenticare i suoi
torbidi natali e si fosse imposta una politica normale,
prosaica395, stroncando inesorabilmente qualunque tentativo
di garibaldinismo in azione.
Si accusa generalmente di doppiezza e
peggio chi non seppe prevenire Aspromonte o Mentana; si osserva che
se il governo non intendeva appoggiare questi tentativi, avrebbe
dovuto soffocarli al loro primo disegnarsi. E non s'intende che, se
in qualche dettaglio la politica italiana del 1862 e del 1867 non è
da approvarsi, come quella che – per dirla con espressione
volgare ma efficace – troppo mostrò la corda,
nell'insieme, nell'ordito, fu savia e opportunissima. Bisognava
infatti far capire all'Europa che c'era in Italia un governo
abbastanza forte per contenere tutti gli estremismi, ma insieme dare
la sensazione della popolarità grande goduta dagli estremismi
(e quasi d'un loro continuo e minaccioso e male evitabile sovrapporsi
al governo); e quindi della necessità e della urgenza che si
lasciassero risolvere con mezzi legali i problemi apparentemente
impostati e infiammati dalla piazza396.
Apparentemente. Poiché nessuno nutriva in Italia piú
vivo il desiderio e piú acuto sentiva il bisogno di completare
l'unità italiana che gli uomini responsabili della Destra. E
forse il loro problema massimo fu appunto quello di suscitare con
ogni mezzo nel paese quel desiderio e quel bisogno, e insieme di far
apparire che fosse il paese a suscitarli, anzi a imporli al
governo397. (Quanto e quanto inutilmente faticò
Rattazzi nel '62 per far scoppiare a Roma una rivolta
«spontanea»!398). Giuoco complicato e pericoloso
che riuscí quasi sempre a meraviglia399.
E per ciò vanno rivalutati in
pieno gli uomini meno popolari della Destra, i quali debbono la loro
fama non invidiata all'essere rimasti scoperti, e a volte anche
malamente scoperti400, nell'esecuzione di questo giuoco, onde
ne vennero loro facili contumelie e facili recriminazioni, non dei
soli contemporanei. (Novembre 1862: alla Camera, discutendosi e
palleggiandosi le responsabilità di Aspromonte, un deputato
della Sinistra chiede addirittura che il gabinetto Rattazzi venga
messo in stato d'accusa!)401.
Ma, si dirà, fu il loro giuoco
cosciente? O non piuttosto, fidenti nella fortuna, si lasciarono
quegli uomini della Destra governare da una serie di elementi
contrastanti e inconciliabili, quali ad esempio gli umori di una
piccola minoranza rumorosa e faziosa e la granitica volontà
determinata402 delle grandi potenze, abbandonandosi ora in
braccio a quelli passivamente e ora, per obbedire a questa,
violentandoli e additandoli alla generale esecrazione?
Se ad alcuno saltasse in mente di dire a un uomo il quale, su
fragilissima imbarcazione, abbia saputo a gran forza di remi reggersi
su un mare tempestoso, evitando sapientemente gli scogli onde è
cosparso, che la sola fortuna lo ha assistito e che egli, tra i
marosi, non sapeva quel che si facesse, noi lo terremmo, giustamente,
per uno che non conosce il mare. In verità non conosce la
politica chi può sostenere che gli uomini della Destra,
pienamente consapevoli dei dati contraddittori della loro politica,
non governarono, ma si lasciarono governare.
Si osservi che sarebbe bastato un
passo falso a compromettere il tutto e a svelare troppo
sfacciatamente la commedia che s'andava rappresentando in faccia al
mondo, d'un governo che di nascosto spinge e poi grida d'esser
trascinato403; sarebbe bastato un nulla a rovesciare
l'equilibrio fittizio ma sufficiente che per dieci anni o quasi si
riuscí a mantenere tra le forze apparentemente armoniche e
quelle apparentemente disarmoniche. Per dieci anni; ora, se è
possibile che in un dato momento un uomo di Stato, incerto sul da
farsi, venga assistito da un singolare colpo di fortuna, sarebbe
stolto attribuire al caso una politica decennale, ferma e immutabile
nelle sue volute apparenti incertezze. (Quanto a me io non credo
neppure al colpo di fortuna. Si dice: il tale è fortunato
perché, in dubbio tra vari partiti, ha scelto, senza troppa
riflessione e senza conoscerli ben tutti, proprio quello che si è
poi rivelato il migliore. Ma l'uomo non rinasce e non si riforma
innanzi a ciascun problema che turba la sua coscienza. Tutta la sua
esperienza anteriore, e l'istinto, che non è in buona parte
che un derivato incosciente di tale esperienza, lo assistono
inavvertitamente quando egli agisce).
Ma torniamo ad Aspromonte e a Mentana
e diciamo pure, per quanto strana possa suonare tale affermazione, e
quasi irriverente, che costituirono anch'esse un successo della
Destra404, quanto doloroso e sofferto, non è chi non
sappia. Si doveva fermare Garibaldi sulla via di Roma, e a volte i
garibaldini e perfino il loro duce finsero di non intenderne le
ragioni, ma bisognava pure che Garibaldi – ossia l'incarnazione
della esasperata e indocile volontà popolare, quale in parte
fu, e in parte assai maggiore si volle far credere che fosse –
sulla via di Roma si avviasse. E ci si avviò due volte, e la
prima fu arrestato dagli schioppi italiani, l'altra dai piú
efficaci e moderni francesi. Tutte e due le volte, pur nell'ansia e
nel lutto, l'Italia sentí che si era avvicinata in effetto
all'agognata meta e che ormai, con quel sangue versato, se l'era
meritata anche di piú, Roma.
Russia e Prussia riconobbero il regno
solo dopo Sarnico, che fu il prologo di Aspromonte405.
Palmerston scriveva a Russell, presidente del Consiglio dei ministri
d'Inghilterra – il quale opinava, 6 ottobre 1862, che nessun
ministro italiano avrebbe potuto condursi meglio di Rattazzi (lettera
a Hudson, 6 ottobre) – che gli pareva che questo «Garibaldi
affair» offrisse una ottima opportunità per
chiedere con qualche energia, a Napoleone se non gli pareva giunto il
momento di sgombrare Roma. E il governo italiano, a carico del quale
i Nicotera e compagni sbraitavano perché, dopo aver dato prove
non dubbie di incoraggiamento a Garibaldi, lo aveva trattato poi
d'improvviso come un nemico, poteva, il 10 ottobre, valersi di
Aspromonte per scrivere alle legazioni all'estero che se gli era
riuscito di dominare il movimento insurrezionale, bisognava pur
riconoscere che la parola d'ordine dei volontari era stata questa
volta «l'espressione di un bisogno piú imperioso che
mai». Quello stesso governo che prodigava segretamente armi e
denari per suscitare ovunque la passione di Roma, poteva, ancora,
valersi di Aspromonte per domandare in tono di seria preoccupazione
se le potenze avrebbero mai compreso «quanto sia irresistibile
il movimento che trascina la nazione verso Roma»406.
Risvegliare le masse, farne udire all'estero la poderosa voce –
e insieme tener con mano ferma il timone e non farselo strappare di
mano: ecco il punto difficile che la Destra seppe brillantemente
superare. L'Italia voleva esser grande e pari in civiltà ai
piú potenti paesi d'Europa: non spedizioni irregolari, dunque,
e confusione di poteri e salti nel buio e dittature opposte alla
solenne indiscussa e suprema autorità e volontà regia –
tutte cose che s'eran viste nel '60, ma allora l'Italia non c'era, né
c'era un esercito italiano né un re italiano; e del resto
s'erano anche allora troncate e liquidate in fretta e furia, forse
con ingratitudine, certo con somma virtú politica e scienza
dei frutti amari che competono a un paese il quale vuole imporsi nel
mondo civile e nel tempo stesso ignora o fa mostra d'ignorare che la
compostezza, la dignità, l'ordine, il rispetto delle proprie
leggi sono il presupposto della civiltà e la condizione
dell'altrui rispetto.
Sí, noi vogliamo andare a Roma – disse Ricasoli in
Parlamento, il 10 luglio 1861 – ... Ma come dobbiamo
andarci?... Non con moti insurrezionali, intempestivi, temerari,
folli, che possano mettere a rischio gli acquisti fatti e
compromettere l'opera nazionale...
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