Governo costituzionale.
Politica tragica, in un certo senso;
cosí assoluta era l'inadeguatezza dei mezzi ai compiti
prefissi, cosí accanita la resistenza opposta da taluni ceti
sociali (brigantaggio, dal 1860 al 1865 circa; renitenza alla leva,
con migliaia e migliaia di disertori negli stessi anni; rivolta
contro la tassa sul macinato, 1868-69), cosí supina e gelida
l'indifferenza della massa ogniqualvolta si trattasse di realizzare
cosa che richiedesse non tanto l'unanime consenso, ma almeno un po'
di buona volontà da parte di tutti; cosí implacabile,
assai spesso, l'opposizione delle minoranze di Sinistra413.
Questa politica e i suoi risultati e i suoi modi e limiti non si
possono rammemorare oggi senza provare, per non dire altro, un senso
di profonda stupefazione. Perché, chi guardi l'opera della
Destra dall'alto, nel suo insieme, non può non cogliere quel
suo granitico aspetto di cosa rettilinea, coerente, organica, quel
suo carattere di amministrazione severa nella quale non è
consentito lo spreco e i fini sono raggiunti con i minimi mezzi, che
la resero cosí adeguata al tempo e alle necessità
sostanziali del paese e degli uomini. Quasi ci sembra, quell'opera,
oggi frutto di un pensamento originale, indipendente, individuale e
di una azione personale libera e ininterrotta. Quasi si direbbe che
il realizzatore di tale politica, assorto nella sua non lieve fatica,
non abbia avuto a soffrire intralci di sorta, che al suo genio
operante il paese si sia assoggettato o lasciato assoggettare come il
corpo addormentato sul tavolo d'operazione, ai ferri del chirurgo.
E invece! In quindici anni, otto
mutamenti di ministero e non so quanti anche radicali
rimpasti414; rigidissima osservanza delle regole sancite
dalla costituzione415. (Nessuno dimenticava le celebri parole
di Cavour morente: «Non mezzi eccezionali, non stato d'assedio;
cogli stati d'assedio tutti sanno governare bene»; e se in
qualche rara occasione fu giuocoforza sospendere in qualche luogo e
temporaneamente le franchigie costituzionali, non si derogò
mai alla savia massima del Rattazzi, giustificarsi tali sospensioni
solo quando servissero «per salvare le franchigie stesse, non
per distruggerle»). Un Parlamento attivissimo e sensibilissimo,
punto disposto a inchinarsi di fronte al potere esecutivo416;
una classe politica estremamente nervosa e inquieta, una libertà
di parola e di stampa quale noi oggi non riusciamo neanche a
concepire. Partiti e gruppi di opposizione, come si è detto,
tenaci, elastici, e combattivi, generalmente rispettati e, quando
toccati nel fondamento della loro libertà, indiavolati nella
difesa e nell'attacco, onde la violazione temporanea delle libertà
statutarie da parte del governo serví sempre, come deve
accadere in un paese sano, a distogliere il potere esecutivo dal
ripeterla, a rinvigorire i gruppi perseguitati417 (tipico il
celeberrimo episodio di Villa Ruffi). Diversità profonda di
cultura, di educazione, di ambiente, opposizione netta di interessi
tra gli uomini succedutisi al potere418. Uno scontro perpetuo
di tendenze, anche tra gli aderenti ai medesimi gruppi, quale
soltanto può verificarsi in un paese che non ha ancora
suturato i distacchi, le opposizioni e le gelosie (d'altronde non
tutti facilmente suturabili neppure in decenni di vita unitaria) tra
i sette Stati che poco innanzi lo dividevano419; donde la
necessità, poi diventata assurdamente tradizionale in Italia,
di equilibrare regionalmente la composizione dei Ministeri,
causa prima dell'ascesa degli incompetenti al potere420.
Difficoltà grosse, contrasti
gravi per la Destra421; e non sarà male addurne
qualche esempio tipico; comunque le une e gli altri scaturivano
direttamente e necessariamente dalla concezione stessa che gli uomini
della Destra si erano fatti, inculcavano agli altri e soprattutto
rispettavano in pratica, della vita politica in un paese civile.
Le elezioni422 non di rado
cagionarono le piú strabilianti sorprese agli stessi ministri
dell'Interno, proverbiali, in massima, per la neutralità
assoluta che mantenevano durante il loro svolgimento. Lanza,
piemontese corretto e scrupoloso, si sentí perfino in diritto,
nel 1865, all'indomani di una campagna elettorale che era stata una
vera ecatombe per gli amici del governo, di affrontare il La Marmora,
allora presidente del Consiglio, rimproverandogli di essere stato un
po' troppo con le mani alla cintola, dando cosí prova di una
«insipienza di cui non si trova esempio negli annali di nessun
governo costituzionale»423. Dopo il '70, pare, i
ministri dell'Interno ruppero qualche volta la bellissima tradizione
di codesta «insipienza». Ma quanto furiosamente e
clamorosamente non vennero denunciati! Si legga in proposito lo Zini.
L'osservanza delle regole
costituzionali era cosí rigida generalmente (primissimi
nell'esigerla e nel richiamare ad essa continuamente e quasi
pedantescamente il governo, quelli di Sinistra; e non di rado era
comico veder quelli stessi che nel paese si credevano lecito di
violare allegramente la costituzione, diventarne i piú severi
glossatori in Parlamento. Bene, del resto, perché in tal modo
a poco a poco perdevano l'abito dell'opposizione di principio e si
preparavano alla diretta amministrazione del paese)424, era
dunque cosí rigida tale osservanza che, 1° dicembre 1862,
si trovò enorme e contro ogni consuetudine parlamentare, e
anzi offesa nuova e gravissima al Parlamento, che il Rattazzi, in
difficoltà per i postumi di Aspromonte, liquidasse il suo
ministero senza aspettare il voto prammatico di condanna della
Camera.
Ricasoli, tra gli uomini della Destra, fu forse quello che piú
sentí la necessità di addivenire a un accordo pacifico
con il Vaticano, che tranquillasse la coscienza degli italiani
cattolici e assicurasse il libero sviluppo cosí agli interessi
spirituali e materiali della nazione italiana, come a quelli della
Santa Sede. Ai suoi progetti di sistemazione di tali questioni teneva
piú che a ogni altra cosa. Sui primi del 1867, essendo egli al
potere, l'opposizione di Sinistra suscitò in tutto il paese
rumorosissimi comizi popolari contro un progetto di legge da lui
presentato sulla libertà della Chiesa e la liquidazione
dell'asse ecclesiastico. Ricasoli, l'uomo del «reprimere, non
prevenire», l'uomo che aveva bollato (febbraio 1862) il sistema
preventivo come «proprio specialmente del governo dispotico»,
dimenticò per un istante i savi principî e si permise di
ordinare ai prefetti che vietassero tali comizi. Non l'avesse mai
fatto! La Sinistra gli sollevò un tale putiferio nella Camera,
seppe cosí bene rinfrescargli la memoria sui canoni da lui
medesimo enunciati intorno alla politica interna dei governi
costituzionali, che – definite «teorie russe» le
sue deboli giustificazioni – lo costrinse alle dimissioni.
La libertà di parola non si
contestava certo a nessuno; quel che non fu detto in quegli anni
contro i governi della Destra! (allora non vigevano le disposizioni
sulle prerogative del primo ministro ecc.). «Voi siete figli
della paura», osava dire Crispi, novembre 1864, ai ministri e
ai ministeriali, sostenitori della convenzione di settembre. Il
governo italiano è un «mucchio di canaglie e di ladri»,
andava proclamando Menotti Garibaldi425 nel 1870, in seguito
alla repressione dei moti repubblicani, scoppiati in vari punti
d'Italia. Che non si scagliò in faccia a Sella426, il
cireneo della finanza italiana, per il suo «feroce»
tassare, tassare, tassare?427. Rimando il lettore che voglia
farsene un'idea ai resoconti parlamentari.
Quanto alla libertà di
stampa428 di che allora si godeva, tralasciamo i pamphlets,
gli opuscoli, i volumi che a centinaia si lasciarono stampare,
svelanti e deprecanti le «vergogne» della Destra (assai
istruttivo il leggerseli, ora che sono spente le passioni che li
hanno ispirati: cosí tenui e giustificabili ci appaiono quelle
vergogne o cosi prontamente rimediate...); tralasciamo i giornali di
sinistra, non perché fossero temperanti, ma perché si
potrebbe pensare che ad essi molto si perdonasse per riguardo alla
loro disapprovata, sí, ma pur sempre patriottica attività.
Si scorrano invece le collezioni dei giornali clericali. Quelli eran
giornali che apertamente invitavano alla sedizione contro i poteri
dello Stato, che notoriamente si tenevano in contatto, erano anzi
agli ordini di potenze o potentati, o ex potentati stranieri
congiuranti ai danni d'Italia. Sequestri? Ben di rado: e tanto meno
soppressioni. E allora? Ottusità del governo? Può
darsi. Fatto sta che la stampa clericale anti-italiana tanto sbraitò
che finalmente, un bel giorno, pensò di mutar registro, e
cessando di fare il processo all'Italia, si mise a far quello ai
problemi italiani: ossia iniziò il suo collaborazionismo, che
è poi quello piú utile e qualche volta anche piú
gradito ai governi, il collaborazionismo della opposizione.
Ma un governo che si lascia anche
vilipendere non è un governo spregevole? Gli uomini della
Destra evidentemente non pensavano cosí. Forse pensavano che
non serve a nulla ed anzi riesce quasi sempre dannoso il porre e
mantenere il governo della cosa pubblica troppo au dessus de la
mêlée, il farne un alcunché di sacro, di
intangibile, di infallibile e perciò lontano dalla vita del
paese. Volevano serbar sempre immediata la sensibilità delle
passioni, degli umori, dei bisogni dei governati, per soddisfarli se
del caso, per correggerli se necessario, per non straniarsene mai.
Meglio il vilipendio, se prova nell'offensore un caldo interesse per
la cosa pubblica, che il reverenziale silenzio, prova d'indifferenza
o sicuro mezzo per determinarla al piú presto. Se poi ci
solleviamo dal dettaglio e guardiamo all'insieme, troviamo che non ci
fu mai governo cosí universalmente rispettato, pur tra le
appassionate ingiurie momentanee, come quello della Destra.
|