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Nello Rosselli
Saggi sul Risorgimento

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  • IV. Origini del movimento operaio in Italia
    • 2. La prima «Internazionale» e la crisi del mazzinianismo
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2.
La prima «Internazionale» e la crisi del mazzinianismo

 

Il problema sociale in Italia tra il 1860 e il 1870.

 

Tra il 1860 e il 1870 i partiti politici italiani si trovano faccia a faccia, per la prima volta, col problema sociale. Certo, sarebbe stolto sostenere che, innanzi il 1860, i soli problemi nazionali e costituzionali abbiano interessato le nostre classi colte; ciò significherebbe dimenticare gli scritti notissimi di Mazzini, Ferrari, Pisacane, per non citare che i maggiori; ignorare i primi tentativi di organizzazione operaia, soprattutto in Piemonte dopo il 1850; non dare la dovuta importanza ai molti giornali sorti con un programma di piú o meno disinteressata tutela degli interessi operai, sempre innanzi al 1860; dei quali giornali, tra parentesi, sarebbe utilissima una raccolta sistematica. Ma è chiaro che un paese, il quale non ha ancora raggiunto la soluzione dei problemi dell'indipendenza e della pubblica libertà, non può considerare urgente la questione sociale.

La preoccupazione per il problema sociale nella borghesia italiana innanzi il 1860 esiste senza dubbio, ma è preoccupazione saltuaria, nata in seguito a improvvise ed effimere agitazioni di operai o di contadini, o imposta dagli scritti di qualche pensatore isolato, che si tiene informato dell'assiduo travaglio sociale dei paesi stranieri: preoccupazione spesso rinnovata e presto dimenticata.

Tra il 1860 e il 1870, invece, l'interesse e la preoccupazione per la questione sociale crescono progressivamente per intensità e per ampiezza, si fanno costanti; cresce e si diffonde, in corrispondenza, in larghi strati della popolazione quel doloroso malcontento, che trova la sua causa nel dileguarsi di tutte le speranze di miglioramento, che aveva concepite per l'immediato avvenire, innanzi il 1860, aggiunto alla non variata miseria. Di fronte a certe manifestazioni piú violente del disagio popolare la preoccupazione borghese si converte in incubo pauroso.

Nelle città, progredisce la organizzazione operaia. Iniziato dai moderati, ripreso e tenacemente incoraggiato dai mazziniani, il mutuo soccorso associa operai, artigiani, qualche volta contadini, nel nord e nel centro d'Italia; piú lentamente si diffonde nel mezzogiorno. Dal mutuo soccorso per malattia, vecchiaia, infortuni si sviluppa, nascostamente perché non tollerato, quello per la disoccupazione involontaria e volontaria, crescono rapidamente per numero e per importanza gli scioperi; si tentano le prime cooperative di consumo e di produzione, assai numerose le prime, raramente fortunate entrambe. Alcune minoranze di operai della grande industria si mostrano, intorno al 1870, già provviste di un vero e proprio sentimento di classe.

Le grandi masse agricole, invece, hanno in generale accolto con ostilità le novità politiche e i pesi del regime nazionale; giacciono inerti in una plumbea immobilità, rotta soltanto da disordinati sfoghi di malcontento, ignare di ogni organizzazione, incapaci di attirare l'attenzione durevole delle classi dirigenti sui propri bisogni, gravate dalla secolare ignoranza. Troveranno una nuova vita nell'emigrazione transoceanica; ma questa, intorno al 1870, si presenta piú come una promessa per l'avvenire che come un immediato vantaggio.

 

I partiti politici e il problema sociale.

Tentar di classificare i punti di vista sotto i quali, fra il 1860 e il 1870, era considerata in Italia la questione sociale è un po' arbitrario: la classificazione suppone una certa immobilità di posizioni, che in realtà sono mutevoli, e non può tener conto delle zone intermedie tra partito e partito; ma una classificazione, sia pure sommaria e grossolana, è tuttavia utile a chiarire quello che avviene in Italia nel 1871. Con queste cautele, mi sembra di poter precisare le varie posizioni come segue:

a) Clericali. Del disagio in cui versano le classi povere, sono responsabili tutti coloro che hanno cooperato a fondare l'Italia una e indipendente rovesciando gli antichi regimi e spogliando il papato; scalzando il sentimento religioso, essi hanno tolto alle masse l'unico conforto. Di qui nasce il problema sociale; la soluzione non può trovarsi che in un ritorno al cristianesimo, che ai diseredati la rassegnazione, e ai potenti il sentimento di carità. Mostrando i guai del regime inaugurato nel '59, i clericali si soffermano volentieri sui mali del proletariato, esagerandoli e accentuando le inquietudini ai danni del governo e delle classi dirigenti. Di color nero è dunque la prima seminagione del sentimento classista tra le masse.

b) Conservatori e moderati. È impossibile distinguerli nettamente, li accomuna uno scarso calore per il problema sociale in tempo di calma: discussioni sul mutuo soccorso, sulla cooperazione, qualche volta sull'arbitrato, che vengono additati agli operai come mezzi atti a raggiungere la progressiva soluzione del problema sociale, e poco piú. In tempi grossi (esempio: scioperi) nasce lo spauracchio della questione sociale; moderati e conservatori si agitano, gridano al pericolo, usano parole gravi, ma raramente affrontano i problemi con decisa volontà di risolverli. Gli uni e gli altri non ostacolano la nascita e lo sviluppo delle organizzazioni operaie, spesso anzi le incoraggiano; vogliono però che esse siano dirette o vigilate da uomini del loro partito, non ammettono che fazioni sovversive se ne servano a fini politici. Ma, mentre i moderati riconoscono, in qualche occasione, non essere perfetta la costituzione della società, ed essere loro dovere proteggere le classi operaie, studiando la possibilità di accogliere una parte delle loro richieste, ai conservatori il problema operaio appare sotto la veste di un puro e semplice problema di beneficenza: non si parla ai lavoratori di pretesi loro diritti. Nell'educazione e nella istruzione diffuse fidano entrambe queste correnti: l'operaio diventerà ragionevole e fuggirà i demagoghi.

c) Mazziniani. Nei gruppi di sinistra o «d'azione», il problema sociale è agitato prevalentemente dai mazziniani: non hanno essi idea di un proletariato vero e proprio, come quello che si forma dovunque si sviluppano le grandi industrie; in tutta Italia non vedono che artigianato e non pensano che a questo. Il problema sociale è uno degli elementi del problema di rinnovamento generale che incombe al paese.

Le classi operaie conquisteranno il diritto all'emancipazione partecipando alla lotta politica; questa, realizzata la completa unità della patria, darà la cosa pubblica in mano ai repubblicani. Le organizzazioni operaie, promosse e favorite con fervore, debbono essere specialmente centri di propaganda e di azione unitaria e repubblicana. Suggerendo agli operai tutte quelle provvidenze atte a migliorare i rapporti tra capitale e lavoro, i mazziniani condannano generalmente lo sciopero, nutrono fiducia nell'aiuto che le classi medie volontariamente presteranno alla elevazione delle classi artigiane; il principio della lotta di classe viene respinto. Ma il proletariato non speri in un radicale miglioramento delle sue condizioni se non da un radicale mutamento della costituzione politica del suo paese. Il massimo impulso, che i mazziniani imprimono al moto operaio, si ha tra il 1861 e il 1865.

d) Bakunisti. Il programma anarchico collettivista di Bakunin (il quale soggiorna in Italia tra il 1864 e il 1867) si propaga dapprima segretamente tra pochi isolati e viene attenuato notevolmente non appena trovi modo di farsi noto pubblicamente. Nell'attesa di un moto rivoluzionario, che si prepara in segreto, la propaganda pubblica si riduce a un blando riformismo che domanda, per esempio, l'istituzione di una imposta unica sul reddito, in sostituzione di ogni altra. Ma i bakunisti appoggiano gli scioperi, comprendono per i primi, come gruppo politico, l'importanza delle masse agricole italiane; sono, infine, i primi importatori in Italia dell'Internazionale (fondata a Londra nel '64); di una Internazionale, però, che ha ben poco a che fare con quella marxista e ha un programma al tutto confuso con quello bakunista. Essa si diffonde con lentezza tra il 1867 e il 1870, trovando seguaci quasi esclusivamente nel mezzogiorno dove Bakunin aveva soggiornato piú a lungo e aveva trovato favorevole terreno in piccole zone della borghesia intellettuale. Il primo periodo di acclimatazione dell'Internazionale in tutta Italia corrisponde a quegli anni, fra la Convenzione di settembre (1864) e la presa di Roma (1870), durante i quali i mazziniani, preoccupati dal problema politico e istituzionale, trascurano assai il campo operaio.

All'infuori di queste correnti ideologiche, poche minoranze operaie del nord e centro d'Italia, alla ricerca di un effettivo miglioramento delle proprie condizioni economiche, si organizzano esercitando istintivamente la resistenza, in netto antagonismo con la classe proprietaria e industriale. I primi esempi di organizzazione di resistenza sono dati dai tipografi.

 

La Comune e Mazzini.

Tra le crescenti preoccupazioni conservatrici da un lato, e il moltiplicarsi delle organizzazioni operaie e la lenta infiltrazione dell'internazionalismo dall'altro, la Comune di Parigi del 1871 è come una scintilla che produce il corto circuito: essa ha in Italia enorme ripercussione, porta alla crisi l'evoluzione dell'intero decennio, obbliga partiti e coscienze ad assumere un atteggiamento preciso, dissipa molti equivoci.

La Comune fu generalmente e falsamente interpretata da noi come una insurrezione di carattere nettamente socialista. In realtà, di socialista, a Parigi, ci fu ben poco: ma gli Italiani, detrattori o apologisti che fossero, trascinati da opposte passioni, avvolsero immediatamente «la Comune» in un velo di leggenda. Se il «Monitore di Bologna» (moderato democratico), nel numero del 25 marzo 1871, scrive che si tratta addirittura «di abolire l'incomodo del tuo e del mio, si tratta di sostituire la forza al diritto, la barbarie alla civiltà», il «Gazzettino Rosa» (repubblicano garibaldino, prossimo ad abbracciare i principî dell'Internazionale) (Milano, aprile 1871) inneggia alla rivoluzione del 18 marzo: «Salve, o aurora della libertà, io ti veggio già spuntare all'orizzonte nel color della fiamma». Se la «Nazione» (conservatore) (Firenze, 3 maggio 1871) trova che il «socialismo, il comunismo, tutti i delirî delle sette piú sfrenate minacciano la società», la «Civiltà Cattolica» (6 maggio 1871) ride di tanto sbigottimento, vantandosi: «Noi soli, che abbiam sempre detto: – O cattolici col papa o barbari col socialismo – abbiamo il diritto di giudicare o vituperare Parigi, senza mutare improvvisamente il nostro modo di pensare».

Garibaldi, generoso, impulsivo, irreflessivo, esalta i soli uomini che «in questo periodo di tirannide, di menzogna, di codardia e di degradazione hanno tenuto alto, avvolgendovisi morenti, il santo vessillo del diritto e della giustizia».

L'atteggiamento di Mazzini è assai complesso. Lodi, , all'eroismo degli insorti, e alle loro aspirazioni repubblicane; indulgenza per i loro, in parte giustificabili, eccessi; vergogna eterna alla codarda assemblea versagliese; in guardia però da ogni esaltazione per il programma parigino, che, applicato integralmente, annienterebbe la Francia come nazione, riducendola ad una federazione di comuni autonomi. Di mano in mano che Mazzini s'accorge della crescente infiltrazione delle idee comunarde in Italia, la sua condanna si fa sempre piú aspra e radicale. Le conseguenze di questo suo atteggiamento furono gravissime. Tra i partiti politici italiani, quello mazziniano-garibaldino aveva costituito, fino al 1871, l'estrema sinistra; e non soltanto nel campo politico, ma anche in quello sociale. Fino allora le prime incerte, e a malapena precisabili, infiltrazioni internazional-bakuniste non avevano occupato un posto considerevole nella vita pubblica italiana. Fino allora, quasi tutti i rivoluzionari di temperamento, i malcontenti, i sognatori romantici di una società migliore o diversa si erano stretti intorno a Mazzini, uniti nel nome di repubblica, sinonimo di rivoluzione, discordi in ogni altra questione, e soprattutto nei presupposti morali e religiosi. Ma la discordia si manteneva generalmente latente; non aveva avuto modo di manifestarsi, o, ancor meno, di approfondirsi. Il programma mazziniano era l'unico che promettesse novità sostanziali, richiedesse audacia di propositi e di mezzi, calmasse quel bisogno di agire in un modo o nell'altro, ma, comunque, d'agire, che, specie dopo il '67, assillava quanti fino allora avevano sfogato la loro energia esuberante nella cospirazione e nelle campagne di guerra. Mazzini era stato per interi decenni l'iniziatore o il sicuro alleato di tutte le battaglie per la libertà; amici e nemici lo consideravano ormai come il rivoluzionario per antonomasia, come il prototipo del ribelle; lo seguivano, quindi, anche tutti quei rivoluzionari per temperamento che un'assidua propaganda e la naturale inclinazione andavano spingendo al materialismo, all'ateismo, ossia – e non riuscivano ad accorgersene – agli antipodi del sistema mazziniano.

Quando Mazzini condannò la Comune di Parigi, molti fra i suoi seguaci, specialmente i piú giovani, rimasero profondamente delusi. Non era Mazzini repubblicano? Non era anch'egli nemico delle disuguaglianze sociali? Sorpresi dapprima, finirono coll'esserne indignati; almeno non pretendesse, Mazzini, di tenere ancora lui, fra le sue mani, lo stendardo della repubblica e della rigenerazione sociale!

È inutile che Mazzini ripeta che si devono condannare tanto i comunardi quanto i versagliesi: egli apparisce come l'alleato della reazione di tutta Europa. I fogli di estrema destra non si lasciano sfuggire la buona occasione per gabellare come loro alleato l'ex-irriducibile nemico. Il «Corriere di Milano» (26 giugno 1871) in un articolo intitolato Mazzini codino, afferma che l'esule è ormai molto meno lontano dai cosiddetti conservatori che dai suoi pretesi discepoli; la «Nazione» di Firenze, che ha ancora fresche di stampa le peggiori calunnie sul conto di Mazzini, ammette (10 luglio 1871) che egli ha detto in questa occasione «gravi e solenni verità», che egli ha cuore «di patriotta e di uomo onesto», che le sue invettive sono «eloquenti». La stampa conservatrice tutta, realizza un doppio vantaggio: dimostra che il ribelle ha messo giudizio, e ne ricava la conseguenza che la Sinistra, divisa, è prossima a sfasciarsi. Molti giovani, ai quali la Comune di Parigi per la prima volta la sensazione della possibilità di abbracciare un sistema d'idee piú avanzato di quello mazziniano, e non davvero nebuloso o incerto poiché già ha dato luogo a un grandioso tentativo di realizzazione pratica, reagiscono abbandonando Mazzini.

 

Crisi tra i mazziniani.

Una volta distaccatisi dal mazzinianismo, in che senso poteva dirigersi, quella minoranza ardente? Quali ideali servire? La via era chiaramente indicata: all'Associazione Internazionale dei Lavoratori venivano concordemente attribuite le glorie o le colpe della Comune. Tra noi, l'Internazionale si era frattanto diffusa qua e (specie nel mezzogiorno), attraverso una propaganda abbastanza attiva esercitata da agenti di Bakunin, non ancora entrato in aperto conflitto con Marx. Inoltre Mazzini, non appena lanciata la scomunica contro l'insurrezione parigina, aveva sentito il dovere di spiegare con una causa generale i perturbamenti sociali del suo tempo, e l'aveva rintracciata (e del resto l'andava additando da un pezzo) nel materialismo, che minacciava, secondo lui, le fondamenta della civiltà intera.

Creatura e incarnazione del materialismo era l'Internazionale dei Lavoratori. Il materialismo, la Comune, l'Internazionale, erano dunque fulminati dall'istessa condanna; a quest'ultima, quindi, si rivolgono tutti i mazziniani eterodossi anche nei riguardi del problema religioso.

Mazzini conserva durante tutta la crisi, che si determina nello scorcio del '71 e perdura nella sua fase piú acuta fino al marzo '72, ossia fino alla morte di lui, un'ammirevole intransigenza. Le ire e le polemiche divampano in tutta la stampa, perché quanto piú recenti e fulminee sono le conversioni anti-mazziniane, tanto piú caloroso è l'entusiasmo per la nuova fede.

Non v'è, credo, letteratura piú viva e varia di quella dei giornaletti internazionalisti che pullulano in Italia tra il 1871 e il 1872. Lettura purtroppo tutt'altro che agevole; tanto è difficile rintracciarli e seguirli in collezioni complete. Giornaletti di piccolo formato, i piú con testate chiassose, iscrizioni di grande effetto; generalmente colti da malattie mortali dopo pochi numeri; sempre tormentati da angustie finanziarie e dagli artigli del fisco. Trascinati da un impeto di entusiasmo a lodare la Comune si sentono dapprima, di fronte alla condanna mazziniana, come spaventati dalla loro audacia. Ma noblesse oblige: bisogna difendere la posizione, anche se difficile. Cercano di spiegare l'atteggiamento di Mazzini, osservando che egli non ha forse tutti gli elementi necessari per giudicare equamente la Comune. Protestando la loro devozione a lui, che li ha educati al culto della libertà, e della giustizia, e da cui li divide una momentanea aberrazione, non vogliono sentire parlare di una scissione, o, comunque, ne respingono ogni responsabilità. Ma non intendono sacrificare al rispetto, alla gratitudine per il Maestro, la loro propria indipendenza di giudizio. Frattanto l'intransigenza e lo sdegno di Mazzini e del suo stato maggiore li obbliga ad assumere posizioni sempre piú nette; superato il disagio iniziale, si sentono alfine nello stato d'animo di minorenni usciti di tutela. Alla fermezza di Mazzini oppongono da parte loro una fermezza corrispondente e crescente. Li urta, soprattutto, la pretesa del Maestro di non concedere patente di repubblicano a chi non accetta in blocco il suo sistema: non si può, secondo lui, essere atei e repubblicani. Protestano: – Siamo repubblicani convinti e lo mostreremo alla prova; siamo forse per questo obbligati a credere nei fantasmi? Dio, se mai esiste, sta nei cieli e non ha niente a che fare con il regime politico-sociale. Non si rallegrino, però, i nemici comuni; s'accorgeranno se non saremo di nuovo tutti d'accordo quando si tratterà di fare la rivoluzione. Ora che abbiamo calma e tempo, ne approfittiamo per discutere tra di noi.

Mazzini fa il processo all'Internazionale, che si preoccupa, egli dice, dei soli interessi materiali. Ma che cosa hanno guadagnato gli operai finché si sono attenuti alle moralissime teorie mazziniane? Un uomo che ha formulato il suo sistema da oltre trent'anni non può pretendere di tenervi aggiogate eternamente le nuove generazioni. È vecchio, si è cristallizzato; è incapace ormai di seguire il progresso. Lo nega, anzi, e con ciò distrugge la base stessa del suo sistema. Siamo atei e materialisti, e ce ne vantiamo; stufi di quella odiosa abitudine di trasportare sempre nelle piú alte sfere della morale, della giustizia, del dovere questioni d'interesse immediato, questioni di pane; abitudine che serve a ingarbugliare i problemi piú semplici, e a nasconderne la soluzione.

«Siamo patrioti? Può darsi. Unità e indipendenza hanno portato vantaggi a iosa ai signori; ma al proletariato? Forse che le sue condizioni sono mutate? La patria è del lavoratore di tutto il mondo, perché patria vuol dire interessi, aspirazioni comuni».

Queste in sintesi, le accuse piú caratteristiche e le corrispondenti professioni di fede che la stampa internazionalista rovescia addosso a Mazzini, fra il 1871 e il 1872, con un crescendo impressionante. Liberatisi dal peso dell'autorità mazziniana, rotta la lunga tradizione di sommissione, sembra che questi transfughi o reietti del mazzinianismo traggano come un sospiro di sollievo, si sentano piú leggeri, piú agili, piú liberi nei loro movimenti; che provino una gioia infantile nel gridare, contro tutto e contro tutti, le loro audaci negazioni, le loro nuove aspirazioni. Rigettano tutto quello che del mazzinianismo hanno ingerito (non digerito) negli anni durante i quali di necessità hanno dovuto farne parte.

Hanno a noia soprattutto quell'uniforme misticismo (come essi scrivono), quel velo di mistero, quella nebulosità che ravvolgono sempre Mazzini; quei suoi ragionari sono cosí complessi, quelle sue premesse cosí confuse, tutto il suo sistema è tale un intreccio di logica e di sentimento, che i cervelli semplici e sani non possono né comprenderlo, né seguirlo.

 

I successi degli internazionalisti. Morte di Mazzini.

L'esito di questa crisi è indicato molto eloquentemente dai fatti. Nel luglio del 1871 Mazzini, con un certo ottimismo, constata che l'unica città italiana dove l'Internazionale abbia messo piede, è Napoli445. Ma le cose mutano rapidamente. Il 5 novembre tre delegati internazionalisti fanno una prima parata al XII Congresso operaio, convocato a Roma dai mazziniani; Marx scrive a Sorge, annunciandogli che in Italia «noi facciamo progressi vertiginosi. Grande trionfo sul partito di Mazzini»446. Il 19 dicembre 1871 si tiene a Bologna il primo comizio dei fasci operai aderenti all'Internazionale, presenti sei sezioni; il 18 febbraio '72, altro comizio internazionalista a Villa Cambellara: intervengono le sezioni e i gruppi romagnoli, in numero di undici.

Il 17-19 marzo 1872 a Bologna altro congresso regionale, presenti diciotto sezioni. Il 5 aprile 1872, Bakunin scrive a Francesco Mora che l'Internazionale ha preso grande sviluppo in Italia, tanto che questa, con la Spagna, «è forse il paese piú rivoluzionario in questo momento»447.

Il 3 agosto 1872, a Rimini, si aduna il primo Congresso generale, nel quale gli internazionalisti italiani, separandosi violentemente e con grande leggerezza dal Consiglio Generale di Londra, ossia da Marx, si stringono attorno al Bakunin, ossia al collettivismo anarchico; vi partecipano ventuno sezioni, di ogni parte d'Italia. Da ricerche fatte nei giornali del tempo, mi risulta che verso la metà del '72 esistevano in Italia almeno 50 sezioni internazionaliste!

Chi rilegga oggi i giornali mazziniani del tempo, come la «Roma del Popolo» (Roma) o l'«Unità Italiana» (Milano), ammira, , la fermezza con la quale Mazzini e i suoi fedeli sostengono l'urto; ma si avvede di un certo sgomento da cui sono presi di fronte alla grandezza della valanga, tanto piú funesta quanto piú improvvisa; valanga sospinta e ingrossata, da un lato, dal curioso atteggiamento di Garibaldi; dall'altro, dalla polemica scatenata con il consueto ardore da Michele Bakunin.

Mazzini muore sconfortato, in piena crisi del suo partito, abbandonato dalle piú giovani e promettenti forze, convinto della intima debolezza dei suoi piú fidi, quasi tutti vecchi e sfiduciati, divisi da dissensi, talora non lievi, e da rancori personali. L'amarezza sua è cosí profonda che a volte anche la lotta gli pare inutile; unico bene il suo riposo eterno. «Le delusioni di ogni genere – egli scrive a un repubblicano in Svizzera nell'ottobre 1871 – hanno ucciso in me l'entusiasmo e ogni capacità di gioia o di solo conforto, fuorché quello che viene dagli affetti; non il senso del dovere. Tento quel poco che tento per un'Italia ideale e per uomini ch'oggi non sono. E se questo senso religioso non si fosse per ventura serbato in me, mi sarei ucciso...»448.

, aveva ragione Agostino Bertani quando, la sera dei funerali di Mazzini, agli amici raccolti e pensosi dell'avvenire, diceva che, morto il Maestro, l'Internazionale «sarebbe entrata a scindere il partito repubblicano e assai presto se ne sarebbe sentita l'azione..., sarebbe forse venuto del sangue, sarebbe cominciata l'età delle ire, che, invece di affrettare, avrebbe ritardato di chi sa quanto l'attuazione degli ideali sociali emananti dalla dottrina del Maestro»449.

Ma, qualche mese piú tardi, Marx ed Engels s'accorgono che la crisi del mazzinianismo, dalla quale essi hanno tanto sperato per il vantaggio della loro corrente, si è risoluta a tutto favore del collettivismo anarchico: Bakunin, sfruttando il malcontento generale e la sua perfetta conoscenza dell'ambiente italiano, ha tirato verso di sé il rivoluzionarismo verboso degli internazionalisti italiani. «Bignamiscrive malinconicamente Engels a Sorge il 2 novembre 1872, – è il solo individuo che abbia preso il nostro partito in Italia»450; e allude all'esiguo gruppo che fa capo al giornale «La Plebe» di Lodi.

Avevano commesso, in realtà, un formidabile errore fondando serie speranze per l'avvenire del socialismo in un'idea, che era nata quasi dal nulla in conseguenza della Comune di Parigi e che aveva raccolto, in pochissimi mesi, un impressionante numero di seguaci. Lo stesso Bakunin sopravvalutava la potenza rivoluzionaria dei giovani italiani; alla distanza di due anni, anch'egli doveva accorgersi che si trattava soltanto di un'effimera infatuazione,destinata ad esaurirsi in vani tentativi di sommossa.






p. -

445 Agli operai italiani, in «Roma del popolo», 13 luglio 1871.



446 Lettera del 9 novembre: Briefe an Sorge, Dietz, Stuttgart 1909, p. 34.



447 Marx, L'Alleanza della democrazia sociale e l'Associazione Internazionale dei Lavoratori; sta in Opere di Marx, «Avanti!», Milano 1901, vol. II, pp. 117-19.



448 Da «L'Alleanza» (Bologna), 6 aprile 1872.



449 G. C. Abba, Cose garibaldine, Società Editrice Nazionale, Torino 1905.



450 Guillaume, L'Internationale. Documents et souvenirs, 4 voll., Paris 1905-907, vol. III, pp. 21-22.





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