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Nello Rosselli
Saggi sul Risorgimento

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  • I. Italia e Inghilterra nel Risorgimento
    • 2. Nuovi documenti inglesi su Carlo Alberto principe di Carignano
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2.
Nuovi documenti inglesi su Carlo Alberto
principe di Carignano

 

Niccolò Rodolico, nel suo bel libro su Carlo Alberto2, ha giustamente attribuito molta importanza a taluni documenti del Record Office di Londra, da lui per primo rinvenuti e dati alla luce3: sono i dispacci del ministro d'Inghilterra a Torino, e si riferiscono segnatamente a due distinti periodi della vita del principe, il periodo immediatamente successivo alla bufera rivoluzionaria, cioè, e quello immediatamente precedente alla sua ascesa al trono.

Ci proponiamo, in questo breve studio (limitato, per esigenze di spazio, al solo anno 1821) di portare alla conoscenza dei lettori qualche altro documento della stessa provenienza, che un sistematico spoglio dei fondi del Record Office ci ha posto in grado di rintracciare; ben lieti di cogliere questa occasione per rendere al Rodolico l'omaggio piú serio che possa rendersi a uno studioso della sua tempra: l'esaminare e il discutere taluni dei resultati cui egli è giunto, integrando con nuovi apporti il materiale documentario da lui cosí abilmente sfruttato.

Premettiamo che, pur dissentendo dal Rodolico in qualche punto minore della sua tesi (di moderata e intelligente rivalutazione di Carlo Alberto), accettiamo nel complesso il suo punto di vista e le sue conclusioni. Il processo al Carignano, rifatto, da cent'anni in qua, innumerevoli volte, non venne infatti istruito mai con tanta equità, con un cosí scrupoloso esame di tutte le testimonianze attendibili, con un cosí disinteressato ardore per la verità, come dal Rodolico.

Senonché la scelta dei dispacci inglesi fatta con molta accortezza dal nostro autore rivela, a chi conosca l'intera serie, il difetto fatalmente inerente a ogni scelta, specie quando si tratti di documenti riflettenti le opinioni, che non possono non essere in qualche misura provvisorie e mutevoli, di un diplomatico circa persone che vivono ed eventi che si svolgono sotto i suoi occhi. L'uso di queste fonti dev'essere estremamente cauto; può accadere altrimenti che a un dispaccio trionfalmente addotto a conferma di una finissima ipotesi altri possa contrapporre un altro dispaccio vergato pochi giorni o anche poche ore piú tardi dalla medesima mano, il quale a quella ipotesi tolga senz'altro ogni base4.

Difetto d'informazione (ben comprensibile in chi ha dovuto sintetizzare in un volume di medie dimensioni il resultato di innumerevoli ricerche antecedenti, e non ha forse avuto diretto accesso alle fonti) che in qualche caso si complica con una interpretazione forse un poco sforzata data ai singoli documenti.

Veniamo al concreto. I documenti inglesi sfruttati dal Rodolico nella prima parte dell'opera sua consistono, si è detto, in alcuni dispacci spediti al Foreign Office dalla legazione inglese a Torino. William Hill, che n'era il titolare già da piú anni, non si trovava in sede nel marzo 1821: era partito in licenza un anno innanzi, e – nonostante la gravità della situazione italiana ed europea – non riprese il suo posto che alla fine di aprile del 1821 (strana combinazione: quando scoppia la rivoluzione in Piemonte, tanto la legazione inglese a Torino che quella sarda a Londra e a Parigi sono affidate a semplici incaricati d'affari). Lo aveva sostituito il segretario di legazione Algernon Percy5, alle cui informazioni, perciò dovette necessariamente attingere lo Hill quando, tornato in Piemonte, cercò di farsi un giudizio indipendente sulla portata e la vera entità dell'episodio rivoluzionario, e in particolare sulla asserita responsabilità di Carlo Alberto.

Che atteggiamento tenne il Percy durante le giornate di marzo e quali furono i suoi rapporti con Carlo Alberto? Queste domande involgono l'annoso problema dell'attitudine inglese di fronte alle convulsioni italiane: problema al quale l'autore di queste note ha dedicato un ampio studio, ormai prossimo alla stampa. Ricordiamo qui poche circostanze essenziali.

Nella seconda metà del 1820, e piú ancora nei primi due mesi del 1825, il Foreign Office era stato ripetutamente prevenuto della minacciosa situazione interna del regno di Sardegna. Prima di tutti dal Percy: il quale andava sottolineando la doppia natura del male, crescente tensione antiaustriaca e impazienti velleità costituzionali. Il 2 agosto 1820 egli cosí scriveva:

Mi dicono aver Sua Maestà dichiarato che niente potrà indurla ad accedere alla domanda di una costituzione; che abbandonerà i suoi dominî continentali e si ritirerà di bel nuovo in Sardegna piuttosto che assoggettarvisi a rinunziare ai suoi diritti, o anche ammettere che venga posto qualunque controllo alla sua autorità6.

Informazioni alquanto diverse, ma non meno preoccupanti, mandava al Castlereagh suo fratello lord Stewart, ambasciatore a Vienna. Il 25 luglio, ad esempio, egli scriveva da Baden:

Si crede che il re di Sardegna sia pronto a concedere una costituzione; non v'è dubbio infatti, che ci si attende una rivoluzione in Piemonte, a Genova, e (in genere) nel nord d'Italia7.

E quattro giorni dopo, da Vienna:

A Torino regna una grande agitazione, e il re ha mandato qui (un suo incaricato) per fare comunicazioni confidenziali all'imperatore d'Austria. Sua Maestà Imperiale ha scritto personalmente al re di Sardegna... esprimendogli la sua ferma decisione di assisterlo nel conservare l'ordine attuale8.

Anche lord Burghersh, per quanto ministro a Firenze, si sentiva in obbligo di richiamare l'attenzione del Foreign Office su quel «gran focolaio di gelosia contro gli austriaci in Italia» che era il Piemonte9. L'opinione del Metternich, d'altronde, era ben nota a Londra: e il cancelliere austriaco faceva di tutto per comunicare al collega inglese le sue vive apprensioni circa la sorte del Piemonte affidato a un re «debole e ondeggiante» e dotato di un esercito altrettanto agguerrito che infido10.

Nonostante questi ripetuti avvertimenti, lord Castlereagh, si sa, deliberatamente e sistematicamente si astenne dall'esercitare in un senso o nell'altro la propria influenza presso quella corte sabauda, che pure contava fra le piú antiche e le piú fedeli alleate dell'Inghilterra sul continente, e che in ogni contingenza difficile aveva sempre beneficiato degli incoraggiamenti e dei consigli britannici. La legazione inglese a Torino rimase – alla lettera – senza istruzioni durante i mesi che precedettero lo scoppio della rivoluzione, nonché durante l'intero svolgimento della pericolosissima crisi.

Solo alla fine di aprile del '21 giunse a Torino lo Hill, munito delle istruzioni scritte e verbali di Downing Street. Invano il governo francese scongiurò lord Castlereagh di esternare il suo punto di vista sulla questione piemontese11. Lord Castlereagh stava allora elaborando, in relazione alla questione di Napoli, la sua dogmatica formulazione del principio del non intervento, ufficialmente enunziato nel gennaio '2112, del quale pareva che si piccasse di voler dare una interpretazione preventiva e singolarmente estensiva, assistendo con passiva indifferenza al maturarsi di una situazione rivoluzionaria in un paese, come il Piemonte, minacciato sempre, in occasione di torbidi interni, dall'intervento di una o di entrambe le potenze finitime. Non pareva rendersi conto che l'unico mezzo per impedire sicure violazioni di quel principio da parte di altri governi poteva talvolta consistere appunto in tempestivi interventi diplomatici; non pareva rendersi conto (e in questo aveva ben ragione il Metternich) che la stessa solenne sua enunciazione non avrebbe mancato di provocare in Italia, in quelle particolarissime circostanze di tempo, le conseguenze piú indesiderate.

Fatto sta che a Londra il Castlereagh evitò perfino di discutere la situazione piemontese coi diplomatici sardi. Con essi parlava solo dei casi napoletani o di politica generale13. Non già che egli non seguisse con preoccupazione le vicende dell'Italia settentrionale dalle cui complicazioni era evidente che poteva scoccare la scintilla generatrice di un conflitto europeo e perciò anche, a tutto danno inglese, di una possibile modificazione dello status quo mediterraneo: ma il Castlereagh statista e Ministro degli esteri subiva adesso, si direbbe, l'impaccio del Castlereagh teorico politico. Troppo improvvisato, come teorico, e perciò troppo rigido e ostinato, per trovare un ragionevole accordo fra la teoria e la pratica.

Nella imminenza del Congresso di Lubiana lo Stewart, tra l'altro, gli fece sapere essere intenzione dell'Austria d'intendersi con le altre potenze italiane per una contemporanea riforma dei loro ordinamenti statali. Era un'occasione opportuna per l'Inghilterra per esercitare la propria influenza in senso cautamente progressista.

Ma il Castlereagh non volle averci nulla a che fare, adducendo che il suo paese non avrebbe mai potuto incoraggiare una «lega italiana»: in realtà egli sospettava le coperte mire dell'Austria; ma il suo disinteressamento era proprio il mezzo piú adatto a sventarle?14.

Algernon Percy si limitò quindi, contro diffuse aspettazioni e speranze, a tenere minutamente informato il Foreign Office degli sviluppi della situazione in Piemonte, astenendosi accuratamente dal pronunziare giudizi o dall'avventare prognostici; quel che è peggio, ondeggiando assai spesso, nella incertezza del punto di vista londinese, fra opposti pareri e consigli.

Ma torniamo a Carlo Alberto. Ci furono rapporti fra palazzo Carignano e la legazione d'Inghilterra anteriormente al marzo '21? Nel primo semestre del '20 Carlo Alberto è nominato una volta sola nella corrispondenza ufficiale Torino-Londra: in occasione della nascita del piccolo Vittorio. E neanche quella volta si dicono di lui cose peregrine. Dopo di allora si capisce che il Percy dev'essere entrato in rapporti diretti, relativamente frequenti, col discusso abitatore di palazzo Carignano. In un dispaccio del 13 marzo '21, infatti, l'incaricato inglese si farà un merito col Castlereagh di aver «sempre avuto maggiore intimità col principe Carignano che non il resto del corpo diplomatico». Ma si dovette trattare di contatti meramente personali ed extra-ufficiali: fatto sta che non lasciarono pressoché traccia nei dispacci diretti al Foreign Office. Sarebbe azzardato supporre che, anziché per il consueto tramite di corte, il Percy entrasse in rapporti amichevoli col principe mercé le conoscenze che contava nel piccolo mondo della nobiltà liberale? Certo è che nel dispaccio 5 aprile 1820 si legge essersi egli spesso incontrato con «un piccolo gruppo» di liberali, o piuttosto (che il Castlereagh non avesse a prendere ombra!) di «individui, i quali si chiamano liberali piú per desiderio di originalità, credo, che non per effettivi principî».

In un caso, però, l'incaricato inglese avverte l'obbligo di riferire al suo ministro degli esteri le confidenze di Carlo Alberto. Siamo nell'ottobre del '20. Ed ecco le parole del Percy:

Durante una visita che ho avuto l'onore di fare a S. A. Serenissima il principe di Carignano per complimentarlo della nomina a Gran Mastro dell'artiglieria15, la conversazione si volse sull'ingresso delle truppe austriache in Italia. S. A. si espresse con molto calore e non senza qualche ostinazione contro il governo austriaco, ciò che avrebbe potuto stupire una persona meno al corrente (di me) dei sentimenti dei piemontesi in genere; disse che sperava che sarebbero rimasti dove si trovavano; che non potevano venire in Piemonte se non per due ragioni: per tentare di conquistarlo, cioè, o per prestargli assistenza; che la loro assistenza non era affatto necessaria; e che egli era pienamente persuaso che la sola cosa la quale avrebbe suscitato disordini nel paese sarebbe stata l'ingresso di un soldato austriaco in territorio piemontese. Oso dire che questi sentimenti sono universalmente diffusi tra i militari, e invero che molti li esprimono troppo apertamente16.

Il dispaccio Percy non ci rivela nulla di nuovo. Analoghe professioni di fede, analoghi sfoghi Carlo Alberto andava facendo in quel torno di tempo, né solo oralmente. Grave è però il constatare come egli non si facesse riguardo di palesare questo suo stato d'animo a un membro del corpo diplomatico recatosi da lui in visita ufficiale, e piú particolarmente al rappresentante di quella Inghilterra castlereaghiana, notoriamente in eccellenti rapporti con la corte di Vienna.

Ma il Percy non si stupiva. Già da tempo egli andava segnalando a Londra la pericolosa effervescenza antiaustriaca determinatasi nei circoli politici e militari in Piemonte, già da tempo egli sapeva che il re medesimo, anziché porvi freno, ne era, inconscio, il primo istigatore17. Il Foreign Office, per altro, non pareva preoccuparsene. Anche se il Percy, qualche settimana piú tardi, scriveva che «il terrore dell'artiglio austriaco... viene espresso ogni giorno piú apertamente»18, il Castlereagh pareva pensare che a tutto ciò avrebbero posto rimedio, quanto prima, i cannoni austriaci destinati, senza il suo consenso ufficiale, ma col suo espresso incoraggiamento ufficioso, a soffocare la rivoluzione di Napoli19.

Dalla corrispondenza del Percy non ci risulta che nel gennaio e febbraio del 1821 egli avesse altri abboccamenti col principe: la cui attività e il cui contegno venivano per altro attentamente seguiti. Ed ecco qui confermata la palese disapprovazione di Carlo Alberto per la violenta repressione dei moti studenteschi dell'11 gennaio20, ecco la notizia inedita di una dimostrazione improvvisata in suo onore, la notte del 15 gennaio, dinanzi al teatro, da un centinaio di persone21, ecco finalmente i preoccupati ragguagli sul sequestro di corrispondenza settaria operato il 3 di marzo, con conseguente compromissione del Carignano, «che il partito liberale tiene come un idolo e considera come il principe adatto per venir messo alla testa del governo italiano che esso si propone d'instaurare»22. Siamo ormai alla vigilia della rivoluzione. Il Percy segue la crisi con crescente ansietà, con pessimismo marcato, l'occhio fisso alle mosse dell'Austria impegnata nel Sud. Al primo sintomo di pronunciamento militare prevede la defezione di tutto l'esercito; ben presto confesserà di non veder altra salvezza pel paese, né altra alternativa, che in una guerra all'Austria!23. Come osservatore è eccellente: i suoi rapporti con palazzo Carignano, le sue frequenti visite a corte e alla segreteria degli Esteri gli permettono di riempire i dispacci, che quasi quotidianamente detta pel Castlereagh, d'informazioni aggiornate e sicure. Ma come diplomatico, si può dire, il Percy non esiste: la sua consegna è di stare a vedere. Chi si aspetta (e son molti) una presa di posizione da parte dell'Inghilterra, resta crudelmente deluso. Quel che il Percy può fare si è (conformemente a un'inveterata e non troppo compromettente abitudine inglese) di scrivere a Napoli perché il suo collega A'Court spedisca a Genova una nave da guerra britannica con l'ordine di accogliere a bordo, in caso di bisogno, la famiglia reale24. Non altro. Nessuno sa da che parte sia l'Inghilterra. Il ministro d'Austria la dà, senz'altro, per solidale col suo governo, e il Percy lo tiene in rispetto facendogli osservare che Inghilterra e Francia, unite, «potevano aver qualche peso nella bilancia europea»25.

Il 13 marzo «uno degl'intimi» del principe reggente cerca invece di dimostrargli «che l'Inghilterra dovrebbe mandare truppe a guernir Genova, e aiutare il Piemonte a liberare l'Italia dal giogo austriaco»; il Percy verosimilmente protesta, e riferisce a Londra26.

Ma veniamo ai contatti con Carlo Alberto. Il Rodolico cita di lui un dispaccio 16 marzo, recante il resoconto di un importante colloquio col principe27. Sebbene anche da precedenti dispacci possano trarsi notizie di qualche interesse circa il costui atteggiamento28, esaminiamo questo documento.

Carlo Alberto, reggente suo malgrado, lamenta di essere stato abbandonato da tutti, specie da quelli che piú hanno insistito perché assumesse la reggenza; auspica l'ora dell'arrivo di Carlo Felice; invoca l'appoggio diplomatico inglese a Vienna, e l'invio a Genova di una o due navi da guerra britanniche: i suoi propositi appaiono incerti e contradittorî. È un documento davvero impressionante, che induce a viva pietà per il giovanissimo principe, anche se possa sorprenderci un poco, in bocca a lui, la seguente intemerata, omessa dal Rodolico: «Egli sconfessò e riprovò energicamente la condotta del signor di Caraglio e di altri, i quali, per usare le sue espressioni, si alzarono dalla tavola del re per tradirlo e commettere degli atti di brigantaggio». Non avrebbe dovuto Carlo Alberto serbare in proposito piú misurato linguaggio? Ma il Percy non azzardò commenti né nel dispaccio al Castlereagh, né, tanto meno, nella prudente risposta fatta all'imbarazzatissimo principe:

Osservai a S. A. che non avevo alcuna autorità per darle anche le piú lievi speranze di successo in questo negoziato; ... che tuttavia, e pel mio personale attaccamento e per la mia radicata convinzione che la nazione piemontese non desiderasse la rivoluzione, ero premurosamente disposto a sollecitare la presentazione della sua domanda a V. S. (al Castlereagh cioè); ma che ero fermamente persuaso che qualunque misura ostile non provocata contro l'Austria avrebbe portato a conseguenze di grave pregiudizio al compimento dei suoi voti29.

Fu allora che Carlo Alberto, per dimostrare che non subiva la volontà degli insorti, pregò il suo interlocutore di far sapere al Binder, ministro d'Austria, come non solamente egli non avesse autorizzato, ma anzi disapprovasse «tutte le misure adottate contro la nazione austriaca e tutte le grossolane invettive (lanciate) contro di essa». A prova di che egli si dichiarava disposto a mettere in esecuzione qualunque provvedimento atto a proteggere la persona del Binder, cominciando con l'istituzione di un servizio di guardia alla sua residenza.

Il Percy accettò volentieri l'incarico, che eseguí senza indugio: riconosceva infatti che il suo collega austriaco si trovava «in una situazione tutt'altro che piacevole, non potendo egli uscire di casa durante il giorno senza il timore di venire insultato». Non che il Binder non se lo fosse un po' meritato: al Percy stesso riuscivano da tempo insopportabili le sue «altezzose» e «sofistiche» argomentazioni circa la «missione» dell'Austria in Europa30. Ma adesso occorreva difenderlo. Cosa rispose il Binder? Ce lo dice il Rodolico, osservando:

Le notizie dei fatti date dal Binder al Metternich concordano con quelle date dal Percy al Castlereagh; in un punto solo vi è discordanza (ed è umano): scrive il Percy che trovò il Binder tappato a casa morto di paura; tiene il Binder a dire che non ha affatto paura, e che ha fatto il bel gesto di rinunziare alla guardia che il principe avrebbe voluto mandargli31.

Ci rincresce dover dichiarare che a questo punto l'austrofobia ha... preso la mano al nostro storico. Ecco infatti il testuale rapporto del Percy quale si legge nel già citato dispaccio del 16 marzo:

Credo fermamente che il barone (il Binder) sia rimasto molto piacevolmente sorpreso della mia commissione: egli era infatti estremamente agitato quando io cominciai la mia comunicazione. Rifiutò ciò nondimeno una cospicua protezione32, pregandomi di esprimere la sua gratitudine al principe, e di chiedergli che in caso di disordini venisse impartito alla polizia l'ordine di proteggere la sua casa e le persone della sua missione da eventuali attacchi dei male intenzionati.

Nessun contrasto, dunque, tra i due rapporti del Binder e del Percy: e di quel «tappato a casa morto di paura», neanche la minima traccia!33.

Un successivo colloquio col principe l'incaricato inglese ebbe il 17 marzo. Soggetto: le voci diffuse di un imminente sconfinamento dell'esercito sardo in Lombardia. Riferí il Percy, quel giorno medesimo:

Il principe, dal quale mi sono ancora una volta recato questa mattina, mi ha di bel nuovo assicurato esser sua ferma intenzione di adoprarsi per evitare le ostilità e di richiamare le truppe all'ordine.

Ma il Percy, pur persuaso della buona fede di Carlo Alberto, non si era del tutto tranquillizzato.

Se l'esercito – scriveva infatti due giorni appresso – porta la guerra in Lombardia contrariamente alle proteste fattemi dal principe reggente, credo che nessuno o almeno pochissimi oseranno straniarsi dalla causa italiana, nel timore di venir bollati di codardia, e in forza del principio, che si è affermato, secondo il quale l'atto stesso di tradire il proprio re per una causa cosí gloriosa sarebbe perdonabile34.

Era pervenuto intanto a Torino, si sa, il duro proclama emanato il 16 marzo, a Modena, da Carlo Felice. Il ministro inglese, in un secondo dispaccio del 19, lo censurò apertamente, facendo notare come esso venisse a «gettare il principe reggente nella piú grande perplessità e minacciasse di suscitare una guerra civile in tutto il paese» (di questa opinione non era il Gordon, sostituto dello Stewart a Lubiana, il quale – dopo essersi fatto eco delle piú gravi accuse contro Carlo Alberto – accertava che il proclama aveva prodotto la piú favorevole impressione, rivelando in Carlo Felice una energia di carattere molto superiore a quella che non ci si aspettasse da lui)35. In questa occasione (era, verosimilmente, il 18 marzo) il Percy si recò per la terza volta presso il reggente, che attestò poi di aver trovato comprensibilmente sfiduciato e depresso.

Voleva già allora rinunziare alla reggenza, ma ne era stato dissuaso da tutti i ministri ed ex ministri36. Lo rivide il giorno 20: la sera prima aveva avuto luogo una violenta e, a giudizio del Percy, altamente impolitica dimostrazione contro l'Austria37; l'incaricato inglese la deplorava tanto piú che egli aveva mancato, la mattina del 19, di trasmettere al principe, dietro richiesta del Binder, «una delle numerose lettere anonime di minaccia» da questo ricevuti (in quei frangenti non era assurdo addurre a pretesto le soverchie occupazioni per esimersi da siffatte incombenze?) Carlo Alberto, comunque, esibí al Percy

una lettera che aveva appena ricevuto dal Binder, insieme con una risposta di sua mano, che diceva come, in conformità al desiderio espresso nella lettera del barone, gli sarebbero stati mandati i passaporti38.

Nient'altro. Il Binder, è noto, partí in giornata.

Il suo collega inglese, intanto, s'impietosiva sulla sorte del principe, e quasi quasi pareva auspicare che il paese in rivolta si stringesse intorno a lui per resistere alle imposizioni del nuovo sovrano.

È da stupirsi – scriveva infatti – che, nello stato di assoluta anarchia nel quale versiamo attualmente, non vengano commessi piú gravi eccessi: il proclama di re Carlo Felice, condannando senza speranza di perdono tutti coloro che si sono in qualunque modo dipartiti dall'antica forma di governo, pare infatti concepito apposta per suscitare il piú sanguinoso sommovimento in tutto il paese.

Sua Maestà non riconosce neanche il principe reggente, per quanto egli sia stato positivamente nominato a quel posto dall'ex re suo fratello. Ho sentito dire che, a chi gli osservava che una protesta siffatta (il proclama cioè) avrebbe provocato una guerra civile nei suoi dominî, S. M. abbia risposto: tanto meglio cosí39.

Vane speranze, sterili sdegni. La rivoluzione era in pieno tramonto, mentre da Napoli giungeva la nuova del troppo facile, definitivo successo austriaco. La mattina del 21 Carlo Alberto in persona comunicava al Percy l'avvenuta partenza della sua famiglia, giustificandola con «ragioni di sicurezza»40. La sera stessa abbandonava anch'egli Torino, diretto a Novara. Onde il Percy, che verosimilmente ignorava come, cosí facendo, il principe avesse eseguito un perentorio ordine pervenutogli dal re41, e a cui resultava che anche il principe della Cisterna aveva preso il largo, accorato scriveva: «È melanconico osservare come quelli che hanno cosí attivamente contribuito a portare il loro paese allo stato attuale, siano i primi ad abbandonarlo».

Cessavano cosí i rapporti diretti fra la legazione inglese e Carlo Alberto, il quale, da allora in poi, non verrà nominato che di passaggio nel carteggio ufficiale del Percy, pur ansioso osservatore di quel che accade ad Alessandria e a Novara42.

Saranno le truppe fedeli sufficienti a soffocare gli estremi aneliti della rivoluzione, o dovrà il Piemonte soggiacere alla tremenda iattura dell'intervento austriaco, se non austro-russo? L'incaricato inglese lamenta a tal punto «la distruzione totale di questo bel paese, inevitabile nel caso che alle truppe straniere si permetta di entrarvi», che, di sua propria iniziativa, propone al Castlereagh di «offrire la mediazione dell'Inghilterra per appianare il dissidio che esiste fra S. M. Sarda e i suoi sudditi insorti, e per indurre il re a declinare l'intervento dell'Austria e della Russia»43. Ma il Castlereagh non intende esporsi troppo. Si limita, il 5 aprile, a esprimere al Gordon, a Lubiana, la sua speranza che il Piemonte possa venire a capo della crisi con forze proprie; che se poi un intervento straniero si renderà necessario, meglio far marciare in Piemonte le soldatesche dell'imperatore Alessandro che non quelle austriache44.

Questo dispaccio è appena partito che, il 7 aprile, gli Austriaci già varcano il Ticino! L'Inghilterra, cosí non ha al suo attivo neanche un tentativo indiretto per salvare l'autonomia del Piemonte. Che piú? Di lí a qualche giorno il Percy dovrà declinare perfino l'invito fattogli dal generale La Tour d'intervenire in favore del governatore di Genova, minacciato dagli insorti di un processo sommario: non altro egli si sente di fare, per conformarsi alle direttive del suo governo, che d'ingiungere al console inglese di Genova di negare il passaporto per l'Inghilterra agl'individui eventualmente implicati nel deprecato processo...45.

Due mesi piú tardi, rievocando i vani sforzi compiuti dallo stesso La Tour per ricondurre la quiete in Piemonte col solo ausilio delle truppe realiste, il ministro Hill scriverà (11 giugno):

il generale ritiene però che se egli fosse stato appoggiato da qualunque altra autorità, sarebbe riuscito allo scopo senza l'aiuto austriaco; egli ha dichiarato altresí che se io fossi stato a Torino e avessi potuto appoggiarlo energicamente nei suoi propositi, questo resultato sarebbe stato indubbiamente raggiunto. Ma egli era quasi solo a nutrire quel desiderio e quella certezza, e venne soverchiato dalle opinioni di altre persone di pari autorità ed influenza.

Lord Castlereagh poteva, invero, recitare il mea culpa.

 

William Hill era tornato in sede agli ultimi di aprile. Quali istruzioni gli erano state impartite? Le seguenti46: a) favorire con ogni sforzo il ritorno al trono di re Vittorio; b) nel caso in cui ciò fosse risultato impossibile, sollecitare l'arrivo a Torino di re Carlo Felice, e indurlo a seguire i consigli del suo mite e assennato fratello; c) suggerire al governo sardo la opportunità di usare la massima indulgenza compatibile con la propria sicurezza verso i responsabili dei passati disordini. Relativamente alla questione dinastica cui già allora pareva dovesse dar luogo il dubbio contegno tenuto dal principe di Carignano di fronte alla crisi rivoluzionaria, era logico che lo Hill giungesse a Torino sfornito d'istruzioni precise. Troppo poco se ne sapeva ancora, troppo contraddittorie erano le informazioni fornite dalle due legazioni di Torino e di Vienna. Suo compito precipuo era anzi quello di raccogliere in proposito dati e testimonianze attendibili, sí da facilitare una eventuale presa di posizione da parte del Foreign Office: la cui norma tradizionale era per altro contraria a ogni mutamento nell'ordine sancito dai trattati per le successioni dinastiche.

Tralasciamo qui di proposito l'attività svolta dal ministro inglese in tutti gli altri settori: basterà dire che a consigliargli prudenza e riservatezza intervenne la voce, sparsasi nella capitale al suo arrivo, che egli avesse la missione «di cacciare gli austriaci dal Piemonte»47. Tanto tenaci, malgrado tutto, duravano insensate illusioni sulla politica inglese!

Vediamo piuttosto lo Hill all'opera per accertare le responsabilità di Carlo Alberto. I primi e i piú notevoli accenni in proposito si trovano nel suo dispaccio del 9 maggio, malauguratamente sfuggito al Rodolico, il quale, crediamo, avrebbe potuto giovarsene per temperare talune fra le sue argomentazioni. Ne riportiamo i brani piú significativi: «Grande è il mio rincrescimento nel (dover) confermare, su informazioni dello stesso conte Revel, che da principio (i rivoluzionari) ebbero per loro capo S. A. S. il principe di Carignano... Sebbene tutti quanti (alla lettera: tutti i partiti) siano convinti che il principe Carignano abbia avuto parte nella cospirazione, si hanno in proposito, a quel che sembra, piú asserzioni che non particolari (concreti). S. A. S. venne compromesso dalle carte sequestrate nella carrozza del principe della Cisterna, in seguito a un'informazione fornita dal ministro sardo a Parigi al ministro di polizia a Torino. Si dice che quest'ultimo si sia immediatamente recato presso S. A. S. per darle la prima notizia della scoperta. Sia ciò vero o non vero, il principe di Carignano si recò quel giorno dal re nella sua residenza di campagna48 e, a quanto pare, svelò tutto quel che sapeva di questo complotto, compromettendo cosí tutti i suoi giovani amici. Per tal motivo il suo nome, già idolo di popolarità, non è stato da allora in poi pronunziato da tutti (alla lettera: da tutti i partiti) che con esecrazione e disprezzo. Fu tale l'effetto di questo mutamento improvviso, tale il turbamento per la condotta arrogante di alcuni ufficiali, che il principe disse al Percy che non avrebbe mai consentito a regnar sul Piemonte, e ad altri parlò perfino di andarsene in America...49.

So che S. A. S. ha scritto a un amico, il quale si è molto distinto nel (servizio del) la causa reale a Genova per dire che egli è in grado di giustificarsi pienamente; ad ogni modo si deve tener presente che egli non ha che ventidue anni.

Quando S. A. S. lasciò Torino, in seguito al primo proclama del duca del Genovese, e raggiunse l'esercito reale a Novara, il generale La Tour fece quanto poté per liberare il principe da questa macchia sul suo onore; ma sia perché si diceva che S. A. S. fosse minacciato d'assassinio se fosse ritornato (a Torino) con l'esercito reale, sia per qualche altra ragione, egli si ritirò, attraverso Milano, a Modena... e a Firenze, dove V. S. avrà inteso che da principio non venne troppo bene ricevuto dal granduca suo suocero...50.

Il vecchio re Vittorio Emanuele non ha divulgato quel che è accaduto fra lui e il principe a Moncalieri, si dice però che il re abbia immediatamente accordato il suo reale perdono51. Sebbene ciò possa essere stato determinato semplicemente dalla bontà di cuore del vecchio re, le conseguenze politiche che ne derivano sono importanti in quanto impediscono che si possa gettare un cosí manifesto marchio d'infamia sull'onore dell'unico erede riconosciuto della Corona...52.

Il lettore avrà notato da sé quel tanto di nuovo che questo dispaccio rivela, e talune sue inesattezze evidenti. A noi preme soltanto di rilevare come il ministro inglese non dubitasse affatto, in sede morale, diremmo, della colpevolezza del principe53, al quale, tuttavia, accordava l'attenuante della giovanissima età; in sede politica, invece, lo Hill pareva ritenere che la piena confessione fatta a re Vittorio, il conseguente perdono da questo accordato, e la savia condotta tenuta dal principe durante la sua tempestosa reggenza, eliminassero ogni questione circa la pretesa indegnità di Carlo Alberto a succedere al trono.

Questa presa di posizione, equa e ragionevole, sebbene ispirata dal piú tenace antagonista del principe, il conte Revel, non ebbe a subire, vedremo, sostanziali mutamenti nel seguito, anche dopo che il ministro inglese attinse per la sua indagine a piú serene fonti: ad esse si ispirò il Foreign Office per regolare la sua condotta durante la prima fase della questione Carignano, essendo interesse inglese evidente che il ristabilimento dell'ordine in Italia non venisse comunque ritardato da complicazioni conseguenti a una crisi ormai chiusa54.

Consacrati vari dispacci del maggio e del giugno a ricostruire le fasi della rivoluzione, a discutere il piano di occupazione austriaca e a sondare lo stato d'animo dei sudditi di Carlo Felice, lo Hill tornò a Carlo Alberto il 25 giugno, con un dispaccio che è stato, nella parte essenziale, pubblicato dal Rodolico55.

In esso il ministro inglese, che ha avuto diversi altri colloqui col conte Revel, riferisce, in base alle costui affermazioni, essere le prove del «tradimento» del principe ormai innumerevoli, e in particolare s'indugia sui rapporti corsi tra Carlo Alberto e il Revel il giorno innanzi allo scoppio della rivoluzione. Quali i commenti dello Hill? Nel complesso non troppo sfavorevoli al principe: nonostante tutto non gli è riuscito ancora di appurare fino a qual punto egli sia stato effettivamente compromesso dal carteggio Cisterna; e non gli sembra credibile che egli mirasse davvero alla detronizzazione del re; e l'autorevole ministro di Prussia non gli sarebbe cosí amico se fosse vero tutto quello che si dice di lui. Ma l'argomento principe di cui si serve lo Hill per revocare in dubbio l'implacabile condanna pronunziata dal Revel è un altro. Leggiamolo nel testo tradotto, datoci dal Rodolico: «Mi si dice che la regina Maria Teresa sia tuttora favorevole al principe; e Sua Maestà sarebbe certamente l'ultima a perdonare il principe se fosse sicura che S. A. avesse avuto tali idee». Quali idee? Non si capisce. Forse quella di detronizzare il re suo consorte? Ricorriamo al testo autentico. Tradotto alla lettera, ecco quel che esso ci reca: «... e Sua Maestà sarebbe l'ultima persona a perdonare se perfettamente convinta che S. A. S. avesse avuto anche delle mire costituzionali precedenti (il sottolineato è nel testo) alla rivoluzione». Ora comprendiamo perfettamente. L'argomento piú forte usato dallo Hill per scagionare Carlo Alberto è dunque invalidato dalla falsa supposizione sulla quale si basa: sappiamo tutti infatti che mire di quel genere, e sia pur contestate dal presunto consenso del re, Carlo Alberto ebbe effettivamente anche prima del marzo fatale. Non era vero, allora, che Maria Teresa avesse perdonato il nipote? Oppure il perdono era stato concesso perché la regina ignorava tale sua colpa? Né l'una né l'altra cosa; il problema, ecco tutto, non va posto in questi termini cosí rigorosi. La regina, lo vedremo meglio piú oltre, credette effettivamente in una generica colpevolezza pre-rivoluzionaria, diciamo cosí, del principe, e ciò non di meno si erse in sua difesa quando tutti lo abbandonarono, peggio, gli si scagliarono contro, perché ammirata del suo coraggioso contegno durante la bufera rivoluzionaria. Tale il suo stato d'animo, necessariamente ignorato, ancora, dallo Hill. Comunque, perché mai il Rodolico ha soppresso l'errata illazione del dispaccio inglese? Non riusciamo a comprenderlo.

Ho dato tutti questi particolari cosí minuziosi (seguita il dispaccio Hill) attesoché la questione del ritorno in Piemonte dell'erede presuntivo della Corona può diventar molto seria; tuttavia, pur senza esprimere adesso alcun desiderio in proposito, non posso credere che l'esilio di S. A. S. abbia ad essere cosí lungo come s'imagina il conte Revel (la cui opinione era «che non si sarebbe tollerato il ritorno del principe nel paese per periodo assai lungo, e forse mai piú finché vivesse il re»): la cosa dipenderà in gran parte dai futuri ministri del re e da altre circostanze.

 

Pur continuando ad attingere principalmente al Revel per le sue informazioni, lo Hill – si vede – comincia a formarsi un giudizio indipendente e fondamentalmente ottimistico. Di lí a poco, trasferendosi a Genova, egli ebbe modo di considerare anche piú oggettivamente le cose. Al Rodolico è malauguratamente sfuggito il dispaccio Hill del 15 luglio, datato appunto da Genova, che avrebbe potuto fornirgli non inutili ragguagli. Leggiamo quel tanto che ci può interessare:

Il conte Des Geneys (governatore della città, cui Carlo Alberto reggente aveva aperto con tutta fiducia l'animo suo: un personaggio non certo sospetto di cosciente acrimonia contro di lui56) mi ha confermato l'intenzione del re circa il principe di Carignano...: a S. A. S. non si permetterà di ritornare a Torino. Sua Maestà ha confessato al conte Des Geneys che, fra tutti i casi della rivoluzione, nessuno lo ha imbarazzato o toccato al vivo quanto la situazione attuale e la precedente condotta del principe. Avendo chiesto al conte con quale pretesto il re potrebbe continuare (a esercitare) la sua severità nei confronti del principe, posto che il re abdicato lo aveva non solamente perdonato, ma nominato reggente, egli mi ha risposto che S. M. Vittorio Emanuele, quando aveva perdonato il principe, non era a conoscenza delle prove esistenti circa il suo tradimento antecedente. Nel lasciare questa città (Genova) per Lucca, re Vittorio Emanuele deviò dalla sua strada, perdendosi perciò per qualche ora fra i monti, per timore d'incontrare il principe che, a quanto si diceva, aveva deciso di muover da Firenze a questo scopo57.

Certo che la corte deve trovarsi nel piú grave dilemma circa S. A. S.: giacché se il principe venisse perdonato, si farebbe, in qualche misura, ingiustizia a molti ufficiali già condannati... D'altra parte il principe è erede presuntivo della Corona, e ha un bambino... Si pensa forse di trasmettere i suoi diritti ai suoi cugini di Francia, fin qui ignorati dalla corte per le loro mésalliances? C'è chi lo dice.

La testimonianza del Des Geneys è molto importante: contro di essa non valgono, infatti, gli argomenti abilmente usati dal Rodolico per infirmare la versione Revel. È il Des Geneys che per il primo insinua nell'animo del ministro inglese il dubbio che il perdono di re Vittorio, da lui fino allora considerato sufficiente a chiarire giuridicamente la posizione del principe, possa considerarsi come non avvenuto, perché accordato in seguito a una confessione reticente. Di piú: che le circostanze medesime nelle quali esso è stato accordato, possano costituire una singolare aggravante per la posizione del principe. L'aver re Vittorio evitato con tanta cura, a rischio di perdersi fra i monti, un incontro con lui, non autorizzava il sospetto, e quasi la certezza, che il duro contegno di Carlo Felice verso l'erede presuntivo fosse, piú che giustificato, pienamente approvato dal suo bonario fratello? Il ministro Hill, è ben naturale, restò sconcertato e dubbioso. Perfino il conte d'Aglié (l'equilibrato rappresentante sardo presso la corte inglese), allora di passaggio per Genova, gli aveva espresso la sua «cattiva opinione» di Carlo Alberto58.

Solo un colloquio diretto con i due sovrani poteva ormai chiarire la complessa questione. Per l'appunto in quei giorni lo Hill aveva ricevuto dal Foreign Office le ritardatissime credenziali per Carlo Felice59. Si mise dunque in viaggio (il 25 luglio) per Modena, dove soggiornava allora la famiglia reale al completo. Passò da Firenze, donde – scrisse il 18 d'agosto – «per fortuna il principe era assente».

Non ci teneva a incontrarsi con lui! La prima persona che vide, a Modena, fu il generale La Tour; venne poi ricevuto da re Carlo Felice, che lo trattenne amichevolmente a colloquio per quasi un'ora. Si capisce che lo Hill aveva dovuto nutrire di lui, fino allora, una ben povera opinione (come tutti, del resto) se, nel rendere conto di questo colloquio, sentí il bisogno di attestare che il re aveva parlato «con buon senso, gusto, sentimento, e senza alcuna durezza»!60. Quel che gli disse di Carlo Alberto già sappiamo dal Rodolico61: Carlo Felice rievocò i rapporti d'intimità che nel passato lo avevano unito a lui, accennò poi all'improvviso raffreddamento verificatosi da parte del principe già un anno innanzi, e che a quel tempo era stato spiegato con motivi inerenti alla sua condotta privata; ma adesso il re supponeva «che il principe stesse già allora cospirando, e che fosse, o troppo occupato per potersi mostrare, o che se ne vergognasse». Fin qui il brano riprodotto dal nostro storico. Ma il testo prosegue:

Avendo udito a Firenze... che il principe Carignano aveva deciso di domandare che la sua condotta venisse giudicata da una corte marziale62, e che la Russia l'avrebbe appoggiato in questa domanda, menzionai la prima di queste voci a S. M.; S. M. immediatamente rispose: verrebbe certamente condannato se mai (la corte marziale) gli venisse concessa.

E lo Hill, a commento:

Non citerei questi piccoli particolari se essi non avessero contribuito, insieme con le altre circostanze piú flagranti, alla ferma e importante determinazione, cui adesso si è giunti, di non piú permettere il ritorno del principe a Torino.

Anche in questo caso, ne conveniamo senz'altro, il brano omesso dal Rodolico non ci rivela proprio nulla di nuovo: la questione della corte marziale e l'altra del ritorno di Carlo Alberto erano già state, infatti, affrontate e, almeno pareva, risolte, durante il viaggio di Carlo Felice in Toscana, nel mese di giugno. Il lettore però potrà darci torto se ci permetteremo di dire che, a nostro giudizio, quella secca, perentoria risposta del re circa l'inevitabile esito di un giudizio marziale istituito a carico di Carlo Alberto meritava di venir riportata? Se non altro per giustizia verso Carlo Felice, che non è equo rappresentare come unicamente intento, in un colloquio con un diplomatico straniero, a dar sfogo ai suoi malevoli e generici risentimenti contro l'erede al trono. La di lui convinzione assoluta della inescusabile colpevolezza di Carlo Alberto può e deve venire ampiamente discussa; ma è pur doveroso rendergli atto che egli ben seppe esprimerla al ministro d'Inghilterra con dignitosa, regale fermezza.

E a questo proposito ci si permetta una breve parentesi. Tanto il Luzio che il Lemmi63, e dietro a loro molti altri storici, osservano che con la lettera diretta a Carlo Alberto il 31 marzo 1821 Carlo Felice pareva aver perdonato il nipote, o quanto meno che dal contesto di quella lettera egli pareva animato verso di lui da sentimenti ben piú indulgenti di quelli manifestatigli nel seguito. Come si spiega un siffatto mutamento?

Secondo essi Carlo Felice sarebbe rimasto profondamente urtato dai tentativi di Carlo Alberto successivamente compiuti per persuadere re Vittorio a riassumere la corona, per interessare alle sue sorti le corti estere (Memoriale dell'aprile '21, ecc.). Il che è indubitabile; e se ne ha una ennesima riprova nelle dichiarazioni fatte dal Della Valle (reggente la segreteria degli esteri) allo Hill nell'aprile del '22, secondo le quali se il Carignano si fosse astenuto dall'intrigare a suo proprio vantaggio e, soprattutto, dall'aprire, per iscritto, la discussione sul problema della sua responsabilità, Carlo Felice si sarebbe trovato, nei suoi confronti, in una posizione incomparabilmente piú difficile64. Non si dimentichi per altro che, il 21 marzo '21, Carlo Felice ignorava ancora i retroscena della rivoluzione e non nutriva che presunzioni generiche contro il contegno tenuto da Carlo Alberto innanzi l'11 marzo; il principale capo d'accusa che a quell'epoca egli poteva formulare contro di lui era quello di avere abusato delle sue provvisorie funzioni di reggente per promulgare la costituzione di Spagna. Ben altre informazioni dovettero pervenirgli nel seguito, piú che sufficienti, invero, a ispirargli un invincibile risentimento verso il suo nipote ed erede, anche se questi, confinato a Firenze, avesse serbato quell'atteggiamento di contrita riservatezza che ci si aspettava da lui. Perdonato una prima volta da re Vittorio, una seconda, seppure assai meno esplicitamente, dal suo successore, Carlo Alberto, comunque, non beneficiò degli effetti né dell'uno né dell'altro perdono, essendo entrambi stati accordati in piena tempesta rivoluzionaria, a conclusione di una indagine necessariamente affrettata e incompleta delle circostanze di fatto.

Che era giusto, dopo tutto. Solamente un lungo corso di anni, vissuti da Carlo Alberto in penosa ma fruttuosa macerazione di spirito, poteva giustificarlo agli occhi del suo re, e, che piú importa, del suo popolo: anni durante i quali le drammatiche antinomie del processo nazionale italiano, che avevano travolto il giovane principe, si sarebbero di continuo ripresentate, maturando cosí lentamente nuovi svolgimenti e nuove soluzioni, superanti e integranti quelle esigenze in contrasto.

Ma torniamo allo Hill. Congedatosi da Carlo Felice, egli si presentò alla regina regnante, e quindi all'ex re Vittorio, il quale, accoltolo con l'usata cordialità65, lo trattenne a lungo colloquio. È un vero peccato che il Rodolico non abbia analizzato il resoconto che lo Hill ne dette in quello stesso dispaccio del 12 agosto già da lui esaminato per le dichiarazioni di Carlo Felice. Ne giudichi, del resto, il lettore:

Sua Maestà – cosí scriveva il ministro inglese – confermò l'opinione del suo regale fratello, secondo la quale il principe di Carignano verrebbe condannato se gli fosse concessa una corte marziale. Il re dichiarò che quando il principe, giunta la prima notizia della rivolta di Alessandria, si era recato da lui a Moncalieri insieme col generale Gifflenga66, egli lo aveva, sí, perdonato per ogni sua colpa antecedente a quell'episodio; ma a quel tempo, osservò Sua Maestà, egli ne sapeva ben poco, giacché il principe non era stato gran che compromesso dalle carte sequestrate al principe della Cisterna. Senonché S. A. S., non appena tornato a Torino, si era compromesso di bel nuovo con i complotti dei cospiratori. Sua Maestà non spiegò se di questo fosse già stato informato quando aveva nominato il principe Carignano reggente, o se le circostanze l'avessero obbligato a quel passo.

Il re mi disse che nella notte fatale dell'abdicazione egli era stato tradito dalla sua stessa anticamera, giacché ogni risoluzione adottata o modificata veniva sull'istante a conoscenza della folla fuori del palazzo. I suoi cavalli per recarsi presso le truppe erano pronti, ma egli era stato soverchiato da cattivi consigli. La grandissima maggioranza della moltitudine era composta di persone innocenti, attirate dalla curiosità: S. M. avrebbe desiderato, perciò, che si emanasse un proclama per disperdere il popolo, o almeno per separare i curiosi dai rivoltosi; dopo di che avrebbe ordinato alle sue truppe di caricare o anche di far fuoco67. Il re aggiunse tuttavia che a questo punto egli aveva chiesto al colonnello del reggimento Aosta se poteva fidarsi del suo reggimento; questi aveva risposto che poteva fidarsene per tutto fuor che per far fuoco su compatriotti; (il re) aveva poi rivolto quella domanda al colonnello delle guardie, il quale aveva risposto che il suo reggimento avrebbe obbedito qualunque ordine fosse piaciuto a S. M. di impartire. Il re si era allora rivolto al principe Carignano per chiedergli se poteva contare sull'artiglieria: il principe aveva dichiarato che si trovava nella necessità di dare l'identica risposta del colonnello del reggimento Aosta.

Tali le dichiarazioni di re Vittorio riguardanti Carlo Alberto. Senonché diversi mesi piú tardi, annotando ad uso di lord Castlereagh la celebre prima autodifesa del principe68, lo Hill si sovvenne di un particolare importante del suo colloquio di Modena, che nel dispaccio del 12 agosto aveva dimenticato di riferire. Carlo Alberto, è noto, attestava in quel suo scritto di avere, l'11 marzo '21, vanamente espresso in Consiglio parere favorevole alla concessione della costituzione francese; il giorno appresso (sempre nel suo racconto), urgendo gl'insorti per ottenere la costituzione di Spagna, e opponendovisi il re, la regina, dopo aver consigliato, caso mai, l'adozione di quella inglese,

mi disse in presenza di tutti quei signori che si meravigliava come io avessi suggerito il giorno prima la costituzione francese, mentre qualche giorno addietro avevo detto al re che la costituzione di Spagna era il maggior guaio che potesse toccare ad un paese e che un sovrano non deve mai umiliarsi. Risposi allora a Sua Maestà che tale era tuttora il mio modo di pensare69.

Sembra un qui pro quo: la regina che rimprovera il principe per avere consigliato la costituzione francese dopo avere sconsigliato quella spagnuola; forse che v'era contraddizione fra i due propositi? Lo Hill chiarí la cosa nel dispaccio 9 febbraio 1822:

A conferma di questo aneddoto re Vittorio mi disse a Modena che, alcune sere prima della rivoluzione, il principe, trovandosi nel palco reale al Gran Teatro, aveva condannato nei termini piú energici qualunque sistema costituzionale70; e il re lo aveva ricordato a S. A. S. allorquando la regina gli aveva rivolto quell'attacco.

Ora sí che s'intende lo sdegno della regina!71.

Un altro punto nel quale la narrazione di Carlo Alberto non coincide con quella di re Vittorio redatta dallo Hill, è quello riguardante il «Consiglio di guerra» dell'11 marzo. Abbiamo veduto la versione del re; quella del principe sostiene invece: a) che il principe era stato interrogato pel primo; b) che aveva dichiarato «che rispondeva interamente dell'artiglieria leggera e che in quanto all'artiglieria a piedi poteva assicurare che si sarebbe fatta ammazzare per difendere la persona del re, ma che non poteva risponderne per agire»; c) che oltre al colonnello delle guardie anche il colonnello del Piemonte Cavalleria aveva dichiarato che rispondeva interamente del suo reggimento. Quale la verità? Difficile accertarla72; ci sembra comunque non privo d'interesse il riportare a questo proposito la versione d'un testimone oculare, pur sospettissimo, il Della Valle, il quale fece molti mesi piú tardi le sue confidenze allo Hill. Secondo il Della Valle (dispaccio Hill 3 agosto 1822) il primo a parlare, in quella occasione, era stato il colonnello Ceravegna, del reggimento Aosta, nel senso già noto.

Il Della Valle, udito ciò e veduto il principe secondare quella dichiarazione con cenno di approvazione, si volse al Vallesa, che assisteva al Consiglio quella notte fatale, osservando anche lui quel che stava succedendo, e tutti e due dissero a un tempo: «Non fosse la presenza del re, dovremmo buttarli dalla finestra».

Grottesca spavalderia, d'accordo; alla verità della scena sembra, per altro, dare una indiretta conferma la testimonianza di un terzo testimone oculare, il Saluzzo. Questi, è noto, venne da Carlo Felice mandato, nel '22, ministro a Pietroburgo. In uno dei primi colloqui che ebbe col ministro degli esteri russo, il Nesselrode, avendogli questo domandato «perché gli ufficiali che circondavano il re la notte dell'abdicazione non avessero immediatamente arrestato il colonnello del reggimento Aosta», il Saluzzo (ci riferisce lo Hill nel già citato dispaccio 3 agosto 1822)

rispose con grande presenza di spirito: Vostra Eccellenza sa che non avremmo potuto arrestare il colonnello di quel reggimento senza arrestare un personaggio di rango molto piú elevato73; al che il conte Nesselrode mutò immediatamente argomento.

Rinunziando comunque a contrapporre le deposizioni di Carlo Alberto e di re Vittorio per pronunziarci sul maggior grado di attendibilità dell'una o dell'altra, questo solo ci preme di rilevare: che nell'agosto del 1821 re Vittorio giudicava la condotta del Carignano con altrettanta se non addirittura con maggiore severità di Carlo Felice; al punto da ritenerlo indiscutibilmente condannabile da una corte marziale; al punto da considerare il perdono di Moncalieri come moralmente invalidato dalle circostanze nelle quali era stato concesso74; al punto (e questo è l'elemento piú grave) da ritenere opportuno di influenzare in senso contrario agl'interessi del principe il ministro di quella grande potenza che, per essere antica alleata del Piemonte e, insieme, non sospetta di voler esercitare indebite e interessate pressioni sulle sue direttive politiche, era forse la piú idonea a pronunziare nel consesso europeo una parola di serena giustizia, atta a risolvere nel modo piú prudente e piú equo la questione dinastica sarda75.

Piú favorevole a Carlo Alberto era invece, si sa, l'ex regina Maria Teresa. Essa precorreva l'equo giudizio della posterità asserendo che la coraggiosa condotta da lui tenuta nei giorni del pericolo e delle responsabilità, quando cosí facile era stato, e cosí comodo, ai severi censori del poi il ritirarsi ad aspettare gli eventi, meritasse pure riconoscimento, e, insieme, riscattasse in gran parte i suoi torti antecedenti. La testimonianza della regina riveste certo un valore notevole; ond'è che ben a ragione il Rodolico v'insiste di continuo. Siamo lieti, perciò di potergli segnalare un'altra prova significativa della di lei parzialità per Carlo Alberto. Essa si trova nello stesso dispaccio Hill del 12 agosto:

Dopo aver preso congedo da S. M. – egli scriveva – ottenni una udienza dalla regina Maria Teresa, una principessa di grande ingegno e capacità. Il discorso di S. M. fu in gran parte dedicato a giustificare l'abdicazione del re... Usando un linguaggio assai epigrammatico, essa disse che, nonostante una lunga negoziazione e l'abuso di falsi colori nel dipingere la situazione, il re si era trovato nelle condizioni seguenti: i ribelli nella Cittadella minacciavano di bombardar la città e il palazzo (reale) se il re non avesse immediatamente firmato la costituzione di Spagna; il re, tenendo sempre presente la provvidenziale assenza di suo fratello, aveva preso (allora) la decisione, del tutto inaspettata, di abdicare: ciò che aveva sconvolto completamente i piani dei rivoluzionari e l'intera rivoluzione76. In un precedente dispaccio ho detto che la regina passava per essere un po' piú favorevole al principe del rimanente della famiglia reale. (In questa occasione) S. M. non mi disse che poche parole relativamente al principe; senonché, esprimendosi severamente sul conto degli Spagnuoli e della costituzione di Spagna, S. M. osservò che tutt'al piú le idee del principe Carignano non erano mai andate piú in là della Carta francese77.

Anche in successivi dispacci piacque allo Hill insistere sulla indulgenza della regina per Carlo Alberto78. Conviene a questo punto domandarci se tale indulgenza, pur spontanea, non coincidesse per avventura con gli interessi di Maria Teresa, che già vedemmo – la sera del 12 marzo – vivacemente ostile al principe. Orbene, a noi sembra abbastanza probabile che proprio lo stesso motivo che piú d'ogni altro contribuí a inviperire Carlo Felice contro di lui (i reiterati tentativi da lui compiuti per persuadere re Vittorio a riascendere il trono) sia stato quello che valse a riconquistargli le simpatie di Maria Teresa. La regina era ambiziosa, di carattere attivo ed energico; passata la bufera rivoluzionaria, è verosimile che due sentimenti lottassero in cuor suo: il desiderio di veder abrogato l'atto di abdicazione, e la preoccupazione per la salute di re Vittorio che esigeva assoluto riposo. La premurosa insistenza di Carlo Alberto, ad ogni modo, soddisfaceva il suo amor proprio. Piú tardi essa lottò virilmente, oltreché contro minori pretese del nuovo re suo cognato, contro quella, apparentemente ingiustificata e inumana, di tener lontani dal Piemonte re Vittorio e lei stessa (ciò risulta con sufficiente evidenza dall'insieme del carteggio di Hill). Occorre dire che Carlo Alberto non poteva non seguire con la piú viva simpatia questi suoi sforzi diretti contro il comune loro persecutore, sforzi dei quali il ministro inglese si era fatto caloroso sostenitore e campione?

Una tal quale comunanza di risentimenti e solidarietà d'interessi li univa dunque; quella solidarietà che fece perfino temere allo Hill, il giorno in cui parve che re Vittorio e Carlo Alberto, benché per opposti motivi, fossero entrambi, e forse per sempre, banditi dalla patria loro, che «la corte abdicataria potesse entrare in Piemonte con intenzioni ostili, accompagnata dal principe di Carignano». La mitezza di re Vittorio, per fortuna, rendeva quei timori infondati; ma, come scriveva lo Hill, «dal talento e dal risentimento della regina v'è tutto da temere»79.

Una quinta udienza ottenne il ministro inglese a Modena: dall'arciduca Francesco. L'influenza da lui notoriamente esercitata su Carlo Felice, il prestigio di cui godeva a Vienna, le voci che erano corse su una possibile devoluzione a sua moglie, e quindi a lui, dei diritti di successione alla Corona sarda, tutto ciò rendeva particolarmente importante il conoscere il suo punto di vista sulla questione Carignano. Ma il duca di Modena, se a lungo intrattenne lo Hill su argomenti di politica generale, scandalizzando il suo interlocutore (che ricordava di avere udito da lui, non troppi anni innanzi, ben diversi propositi!) con le smaccate sue professioni antiliberali80, «evitò accuratamente l'argomento del principe di Carignano; una sola volta, essendo ricorso il suo nome, S. A. R. si serví di espressioni piuttosto sprezzanti».

 

Tiriamo le somme. Reduce dal viaggio di Modena, William Hill si confermò in sostanza nel primitivo suo atteggiamento circa la questione Carignano. Egli riteneva ormai: a) che, nonostante le innegabili colpe del principe nella fase preparatoria della rivoluzione, non sussistessero a suo carico elementi di tale gravità da giustificarne l'esclusione dalla successione al trono sabaudo; b) che la situazione dinastica, considerata in se stessa, rendesse ad ogni modo estremamente sconsigliabile tale esclusione, anche se operata, secondo l'opinione e il desiderio prevalenti81, a beneficio del diretto discendente di Carlo Alberto; c) che, nonostante i fieri propositi per allora nutriti da Carlo Felice, questi avrebbe o prima o poi accordato al Carignano il definitivo perdono; d) che, ammesso che Carlo Alberto avesse dovuto un giorno regnare, sarebbe stato opportuno di non prolungare di troppo il periodo della sua «disgrazia» ufficiale82. Tale il suo punto di vista, tali le direttive alle quali, nei mesi seguenti, egli ispirò la sua molto prudente, ma non meno tenace azione politica83. Conosciuto un po' meglio il nuovo sovrano, lo Hill non tardò a comprendere come, «nel caso che S. M. potesse un giorno disporsi a perdonare il principe di Carignano, sarebbe stato suo desiderio che questo atto apparisse (compiuto) interamente di sua propria iniziativa»84. I governi alleati potevano dunque (e forse dovevano) adoprarsi a vantaggio di Carlo Alberto, procurando di aiutarlo a vincere i sincerissimi scrupoli del re di Sardegna; ma non mai illudersi di poter indurre quest'ultimo a un non sentito perdono: a meno che non si decidessero – ipotesi assurda – a forzar su di lui la volontà dei piú forti85.

Non aveva egli ripetutamente minacciato di abdicare piuttosto che lasciarsi imporre dalle potenze adunate a Lubiana indesiderate riforme da introdurre nei suoi Stati? E non avevano in quel caso, le potenze, receduto, non essendo conforme ai desideri di alcuna di esse che Carlo Alberto salisse cosí presto sul trono?86.

Prudenza e pazienza, dunque: specie dopo quella intervista di Hannover (ottobre '21) che aveva ristabilito fra il Castlereagh e il Metternich un'intesa completa, basata sui comuni interessi dell'Inghilterra e dell'Austria nel vicino Oriente e in Spagna87.

D'accordo con i miei colleghi ho sempre pensato – scriveva lo Hill in un dispaccio segretissimo del 23 febbraio '22 – che, se mai S. A. S. il principe di Carignano tornerà (in patria) tanto prima avrà luogo questo ritorno, tanto meglio; ho anche giudicato severo il provvedimento di esclusione contro un cosí giovane principe; ma conoscendo i forti pregiudizi del re, l'effettiva colpevolezza del principe, e la poca speranza o opportunità di vincere un punto di questa importanza con la fretta o la violenza, non solamente ho serbato io stesso il silenzio, ma, se mai, ho dissuaso altri dall'abbandonarsi a un'attività troppo spinta88.

Senonché sul cader del '21 Carlo Felice improvvisamente deliberava di sottoporre ai suoi augusti alleati l'inderogabile determinazione cui era pervenuto di escludere Carlo Alberto dal trono. La legazione inglese non ne venne informata (in tutta segretezza) che nel febbraio dell'anno successivo. Alla segreteria degli esteri, volendosi giustificare tanta severità del re, si ebbe cura di far osservare allo Hill, dal quale ci si aspettava un congruo appoggio a Londra89, come la grandissima maggioranza della nobiltà piemontese fosse notoriamente, risolutamente ostile a Carlo Alberto: del che il ministro inglese non poteva, allora, non convenire90. Ma qual era nei suoi confronti lo stato d'animo degli altri ceti sociali? Né il Revel, il quale si atteggiava a uomo superiore alle meschine vicende della questione Carignano91, né il Della Valle, né il Saluzzo92, né il re medesimo parevano preoccuparsene. Non cosí il ministro Hill, il quale – 23 febbraio – scriveva a lord Castlereagh che, anziché con orrore,

molte persone del ceto inferiore avrebbero forse accolto il ritorno del principe con indifferenza, se non con piacere, scorgendo qualche attenuante (a suo favore) nella sua giovane età, e giudicando eccessivamente severa la sua definitiva espulsione93.

Cosí avvenne di fatto. E a noi piace di additare nella sintomatica anticipazione di quel diplomatico un lontano e sia pur vago presagio di quella fruttuosa intesa fra monarchia e ceti medi, che costituí forse la piú profonda innovazione del regno di Carlo Alberto, e, in quanto quel sovrano la volle e la mantenne, uno dei principali motivi della sua tormentata grandezza.

Ma non il solo Hill, allora, avventurava profezie. Al conte Della Valle, il nemico piú meschino e piú acerrimo che Carlo Alberto contasse in Piemonte, va forse il merito d'averne dettate due anche piú luminose: quella che se mai, per disgrazia, il Carignano fosse salito sul trono, «la miglior speranza per il Piemonte sarebbe consistita in un qualche sistema costituzionale»94; e l'altra, men vera nella sua materiale accezione, eppure anche piú profondamente vera, che, in quel caso, l'Austria in Lombardia non sarebbe certo rimasta piú di due anni95.






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2 Carlo Alberto principe di Carignano, Firenze 1930. Del seguito, vivamente atteso, di questa pregevole opera è stato pubblicato il volume su Carlo Alberto negli anni di regno 1831-43, proprio mentre si stava ultimando la stampa di quest'Annuario.



3 Prima di lui nessuno si era preoccupato di consultare, in merito alla questione di Carlo Alberto, i carteggi conservati nel Record Office. Il Vayra (La leggenda di una corona: Carlo Alberto e le perfidie austriache, Torino 1896) si era limitato, a suo tempo, a tradurre – né sempre con esattezza – i dispacci spediti da Verona dal Wellington, i quali erano già stati pubblicati da lungo tempo in Inghilterra.



4 Un esempio tipico di questa mutevolezza dei diplomatici si ricava, nei confronti di Carlo Alberto, dal dispaccio del ministro inglese a Torino, William Hill, a lord Londonderry, 9 febbraio 1822 (Public Record Office, Sardinia, 65; dispaccio segreto e confidenziale, n. 4), e riguarda la legazione di Francia. Da esso risulta che nel settembre del 1820 la legazione di Francia era contraria al ritorno di Carlo Alberto in Piemonte; in ottobre, invece, lo favoriva; sui primi del '22 vi si manifestava di bel nuovo contraria. Ci auguriamo, fra parentesi, che questo accidentale rilievo non abbia a procurare un nuovo piacere al francese César Vidal, noto studioso del Risorgimento, il quale, scottato per una innocente recensioncina al suo Charles-Albert et le Risorgimento italien (Paris 1930), ci ha fatto l'onore, in un suo successivo volume, di attribuirci (per combatterle, naturalmente) opinioni mai espresse da noi circa Carlo Alberto e la politica della Francia e dell'Austria (Louis-Philippe, Metternich et la crise italienne de 1831-32, Paris 1931, pp. 20 nota c 285). Ci rincresce dover confessare che di questo argomento non ci siamo mai occupati fin qui se non, appunto, per temperare il soverchio zelo francese del signor Vidal.



5 Nell'indice dei nomi di persone che chiude il volume del Rodolico, il Percy non figura: per un banale errore egli è stato registrato sotto il suo nome di battesimo, Algernon.



6 P(ublic) R(ecord) O(ffice), Sardinia, 61, n. 9 (a lord Castlereagh). D'ora innanzi, dei dispacci della legazione inglese a Torino daremo soltanto il numero e la data; salvo indicazioni in contrario s'intende che sono tutti diretti a lord Castlereagh (lord Londonderry dall'aprile 1821) e che appartengono tutti alla serie Sardinia, che nel catalogo del Foreign Office reca il numero d'ordine 67. Del Percy si vedano anche i dispacci 13 settembre, 3 e 24 ottobre, 25 novembre, 24 dicembre 1820.



7 P. R. O., Austria, 151.



8 P. R. O., Austria, 151. È vero che nei mesi seguenti le informazioni dello Stewart parvero improntate a un maggiore ottimismo: conseguenza dei rapporti giunti a Vienna, da Torino, dal generale Ficquelmont. Cfr. ad esempio il dispaccio Stewart 22 agosto 1820.



9 P. R. O., Tuscany, 35, dispaccio 2 ottobre 1820.



10 Cfr. il dispaccio Stewart, Vienna, 8 agosto 1820 (loc. cit.): «Ho trovato il principe (Metternich), oggi, piú visibilmente agitato che mai per l'innanzi circa l'attuale situazione... Egli mi ha comunicato in particolare i suoi allarmi per il Piemonte e mi ha detto che crede il re di Sardegna debole e ondeggiante». Nel seguito il cancelliere austriaco mutò parere circa re Vittorio: ché la sua abdicazione gli parve atto di grande energia (cfr. Mémoires, documents et écrits divers, Paris 1880-84, III, p. 463). Tutto ciò dimostra che ha torto il Webster, autore di magistrali studi sul Castlereagh quando (The Foreign Policy of Castlereagh (1815-22), London 1925, p. 328) scrive che la rivoluzione in Piemonte giunse «inaspettata, per quanto nel 1820 il nord d'Italia fosse stato considerato assai piú pericoloso del sud. Ma per nord si era intesa la Lombardia». Si deve per altro riconoscere che i timori concepiti nel corso del 1820 si acquetarono un poco nei primi mesi dell'anno seguente grazie al cieco ottimismo dimostrato dal San Marzano a Lubiana.



11 Dispaccio Stuart (ambasciatore inglese a Parigi) a Castlereagh, 22 marzo 1821 (P.R.O., France, 250, n. 84).



12 Cfr. Webster, Op. cit. , pp. 303 sg., 321 sg. Il Gordon, sostituto dello Stewart alla Conferenza di Lubiana, assicura che il dispaccio circolare del Castlereagh piacque moltissimo al delegato e ministro degli esteri sardo, San Marzano (ivi, 325). In realtà questi scriveva al suo re, il 15 febbraio, che la protesta del gabinetto di Londra «non cambia nulla nel sistema adottato dall'Inghilterra, e non può influire sugli affari generali; essa fornisce solo un testo alle declamazioni dei liberali» (Avetta, Al Congresso di Lubiana coi ministri di re Vittorio, in «Il Risorgimento italiano», 1923, pp. 215-18). Il Percy, a Torino, si sforzava intanto di neutralizzare le conseguenze evidenti della circolare Castlereagh, ripetendo che di essa non dovevano gloriarsi né i radicali inglesi né i liberali francesi né i carbonari italiani (Negri, La rivoluzione piemontese del '21 nel carteggio della diplomazia pontificia, in La Rivoluzione piemontese del '21. Studi e documenti pubblicati dalla Società Storica Subalpina, 1924, II, 469).



13 Ciò si ricava dai dispacci del conte d'Agliè, e del conte Pollone, da Londra, al San Marzano (l'Agliè, è noto, partí per Parigi e Torino ai primi d'agosto del 1820, e non tornò in sede che molti mesi piú tardi, dopo avere esperito importanti missioni a Lubiana e a Napoli). Il 23 luglio 1820 l'Agliè, rendendo conto di un suo colloquio col Castlereagh, scriveva: «Quanto a noi, egli mi disse che sentiva essere la nostra situazione molto difficile, ed esigere molta prudenza e vigilanza; ma evitò di entrare in particolari» (Bianchi, Storia della diplomazia europea in Italia, II, pp. 307-8. Il Bianchi attribuisce erroneamente a questo dispaccio la data di Parigi). Non si può escludere è vero, che dispacci riservati dell'Agliè o del Pollone manchino dalle filze esibite agli studiosi nell'Archivio di Torino, né che il segreto pensiero del Castlereagh venisse dall'Agliè convogliato oralmente al San Marzano; quel che si può escludere quasi con certezza si è invece che, partito l'Agliè, il Castlereagh si aprisse confidenzialmente col giovane incaricato Pollone.



14 Cfr. i dispacci Stewart del 21 e 27 dicembre 1820 (loc. cit.) e Castlereagh a Stewart, 19 gennaio 1821 (P. R. O., Austria, p. 158, n. 6).



15 Tale nomina ebbe luogo in settembre e non nel giugno, come scrive il Rodolico a p. 99. Piú tardi lo Hill riferí che a Torino «molti erano rimasti sorpresi che il re avesse affidato a una persona cosí giovane un posto considerato della piú alta importanza in questo paese» (dispaccio 25 giugno 1821).



16 Dispaccio Percy 3 ottobre 1820.



17 Dispaccio Hill 17 maggio 1821: «In realtà l'antipatia del vecchio re (per gli austriaci) era cosí viva che per due anni dopo che essi ebbero evacuato il paese egli non cessò mai di parlare su questo soggetto sia con me che con qualunque viaggiatore inglese io gli presentassi a corte; ora si afferma perfino che, a forza di tenere lo stesso linguaggio dinanzi ai suoi ufficiali, egli abbia in qualche misura determinato quell'animosità che ha tanto contribuito ai recenti avvenimenti».



18 Dispaccio Percy 8 dicembre 1820.



19 Istruzioni San Marzano ad Agliè (che è in viaggio per Napoli), Lubiana, 28 febbraio 1821: «Conoscete perfettamente... le vedute e l'opinione del gabinetto di St James, sapete che esso, malgrado la sua neutralità assoluta, è antirivoluzionario» (Avetta, op. cit., p. 246). Il contegno assunto dall'Inghilterra a Lubiana è troppo noto perché occorra riferirne qui.



20 Narrando che il principe «manda ogni giorno all'ospedale per assumere informazioni sul conto dei feriti e per offrire loro ogni assistenza», il Percy viene a dare piena conferma al racconto del Rodolico (p. 122) contro le risibili fandonie del Brofferio. Cfr. il dispaccio Percy 19 gennaio 1821.



21 Questa notizia, vera o non vera, non è stata fin qui registrata, ch'io mi sappia, da altre fonti. Dispaccio Percy cit., 19 gennaio 1821.



22 Dispaccio segreto Percy 6 marzo 1821. Il Percy è già informato di quanto, nelle lettere sequestrate, riguarda Carlo Alberto, qualificato dal principe della Cisterna decisamente inferiore «a siffatta incombenza».



23 Dispaccio Percy 10, 11 e 13 marzo 1821.



24 Dispaccio cit. 11 marzo 1821; egli sta per mandare all'uopo un corriere a Napoli quando gli giunge notizia che il re e la regina hanno abdicato e sono partiti per Nizza. Dispaccio cit. 13 marzo 1821.



25 Dispaccio cit. 13 marzo 1821.



26 Dispaccio cit. 13 marzo 1821. A Torino e in tutto il Piemonte è diffusa l'idea che l'Inghilterra interverrà militarmente per impedire un'eventuale occupazione straniera. Lo attesta lo stesso Percy (dispaccio 15 marzo 1821): si crede che «qualora la Russia mandasse truppe in appoggio dell'Austria in Italia, la Francia di concerto con l'Inghilterra agirebbe immediatamente contro i dittatori del nord in pro dell'indipendenza italiana». Se ne parla in Lombardia, come dimostra un rapporto 31 marzo della polizia di Como alla direzione di polizia a Milano: i liberali piemontesi vanno spargendo che «gli Inglesi abbiano sbarcato un corpo di truppe per soccorrere i Napoletani» (Colombo, La rivoluzione del 1821 secondo fonti austriache, in La rivoluzione piemontese del 1821. Studi e documenti cit., II 717). Ancora il 13 aprile il Laneri scriveva al sindaco di Savona: «Quindici bastimenti inglesi sono giunti a Genova per sostenerci in questa circostanza» (Luzio, Carlo Alberto e Mazzini, Torino 1923. pp. 31-32).



27 In due luoghi: a pp. 185-86 e a p. 197, nota.



28 Segnaliamo qualche punto piú interessante. Nel dispaccio 11 marzo il Percy afferma che Carlo Alberto si è rifiutato di recarsi, conformemente all'ordine di S. M., fra le truppe ribelli ad Alessandria, «adducendo di sapere che lo si sarebbe forzato a mettersi alla testa degli insorti e a figurare cosí d'agire d'accordo con loro». Questa versione contrasta con quella piú generalmente accettata (basata sui Memoriali di Carlo Alberto e sulla testimonianza del Balbo: cfr. Rodolico, p. 157) secondo la quale tale linguaggio sarebbe stato tenuto dal Gifflenga, che Carlo Alberto aveva designato ad accompagnarlo nel viaggio; è confermata però dal ministro d'Austria, Binder (dispaccio 12 marzo 1821 pubblicato dal Rinieri, La rivoluzione in Piemonte. Le società segrete, ecc., nella cit. silloge La rivoluzione piemontese. Studi e documenti, I, pp. 622-23) e dal biografo del conte Revel (Introduction à la guerre des Alpes, ecc., p. XLIV). Nello stesso dispaccio dell'11 marzo il Percy dava circostanziata notizia della convocazione fatta dal re quel giorno stesso degli ufficiali comandanti i corpi armati di stanza a Torino per interpellarli circa l'assegnamento che poteva farsi sulle rispettive truppe. Orbene, questo episodio è stato fin qui generalmente attribuito al giorno seguente, 12 marzo. La testimonianza del Percy, il cui dispaccio – ripetiamo – è datato 11 marzo, sembrerebbe inoppugnabile, a meno che non si pensi (cosa niente affatto inverosimile) che, giacché non tutti i giorni si presentava l'occasione di far partire dispacci, egli figurasse soltanto di scriverli (in quelle gravi circostanze) quotidianamente; e che in realtà li scrivesse tutti insieme, salvo ad apporre a ciascuno di essi date diverse. Quanto alle dichiarazioni fatte dagli ufficiali convenuti, il resoconto Percy collima con la versione tradizionale, secondo la quale il colonnello del reggimento Aosta e il principe di Carignano avrebbero risposto che sulle loro truppe, pronte a difendere il re, non era da fare assegnamento quanto a un'azione contro i rivoltosi (Carlo Alberto, è noto, scrisse nel suo primo Memoriale in modo alquanto diverso; ma di ciò piú oltre). Senonché il Percy aggiunge che, uditi quegli scoraggianti rapporti, «il re scoppiò in lacrime». E ancora: nel dispaccio 12 marzo il Percy, vagliando le voci che corrono nella capitale circa il contegno tenuto da Carlo Alberto alla Cittadella (chi diceva dentro di essa e chi dinanzi ad essa), esclude che egli possa essersi unito ai rivoltosi nel grido di «W la Costituzione», e ciò «quali che siano gl'intimi sentimenti del principe».

Non sembra che la notte fatale dell'abdicazione del re, il Percy avesse colloqui con questo o col neo-reggente: egli si limitò probabilmente, come gli altri suoi colleghi del corpo diplomatico, a recarsi quella notte alla Segreteria degli esteri, dove le drammatiche novità vennero loro comunicate (all'Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri. Gran Bretagna, Registro lettere della Segreteria degli esteri, si conserva infatti copia di un biglietto, datato 12 marzo, ore 11,30 p., con cui il San Marzano invitava il Percy a recarsi d'urgenza alla Segreteria). Il Percy comunicò l'avvenuta abdicazione del re con dispaccio al Castlereagh scritto alle due di mattina del 13 marzo. Un colloquio col re e col reggente ebbe invece, all'alba del 13, l'ambasciatore di Francia, La Tour du Pin: su di esso e sulle dichiarazioni fatte da quel diplomatico molto si è scritto e fantasticato. Ma il Segre nel suo Vittorio Emanuele I, Torino 1930, pp. 241-42, ci accerta di non averne trovato traccia nel carteggio La Tour du Pin, da lui consultato a Parigi. Stimiamo opportuno perciò registrare in proposito la testimonianza dello Stuart, ambasciatore inglese in Francia. Il cui dispaccio 17 marzo 1821 (P. R. O., France, 250, n. 79) in sostanza conferma appieno la nota versione del De Reiset (cfr. in Rodolico, p. 180), tacendo di un supposto colloquio del La Tour con re Vittorio e riferendo solo, di quello con Carlo Alberto, le dichiarazioni di quest'ultimo in senso favorevole alla promulgazione della Costituzione francese. Il Gordon, invece, che attingeva a fonti austriache, accertava, nel suo dispaccio 22 marzo 1821 (P. R. O., Austria, 163, n. 27) che il La Tour avrebbe «consigliato il principe di Carignano di adottare la Costituzione francese, impegnandosi, con questa condizione, ad assicurargli l'appoggio del governo francese». Già che siamo a parlare del Gordon, della cui assennatezza, ossia antiliberalismo, tesseva gli elogi il San Marzano, contrapponendolo al bollente Stewart (dispaccio cit. 15 febbraio 1821), citiamo qui il primo giudizio che di Carlo Alberto reggente egli trasmetteva al Castlereagh (dispaccio 17 marzo, loc. cit.): «Il principe di Carignano è sospettato di avere favorito la rivoluzione, e anzi di averla in qualche misura istigata, di concerto con autorevoli agenti, riuniti in club a Parigi... Circola la voce che il principe di Carignano stia per assumere il titolo di re d'Italia».



29 Abbiamo riprodotto in extenso la risposta del Percy perché il Rodolico l'ha omessa.



30 Da molti mesi il Binder coltivava assiduamente il suo collega inglese, gratificandolo di «espressioni che – scriveva il Percy il 24 ottobre 1820 – potrei quasi dire di venerazione per l'Inghilterra». Ma il Percy non lo ricambiava di ugual moneta: riteneva che col suo contegno il Binder facesse di tutto per rendere sempre piú impopolare l'Austria in Piemonte, era urtato, si è detto, delle sue elucubrazioni sulla missione austriaca (dispaccio 19 febbraio 1821), lo stimava insomma una vera calamità per la pace d'Europa (cfr. anche l'altro dispaccio 13 marzo), Né era egli solo a pensarla cosí. Il La Tour du Pin qualificava infatti il suo collega austriaco «un vero pazzo» (dispaccio 18 gennaio 1821, in Segre, op. cit., p. 225).



31 Op. cit., p. 191, nota.



32 Il che è confermato dallo stesso Carlo Alberto nel suo primo Memoriale e dalla sua lettera 29 marzo 1821 a re Vittorio (Scritti di Carlo Alberto, a cura di V. Fiorini, Roma 1900, pp. 37, 163). Il dispaccio Binder, cui allude il Rodolico, è stato pubblicato dal Rinieri, op. cit., pp. 624-26: esso contiene ampli particolari sulla missione Percy e su una successiva missione De Maistre mandatagli quel giorno stesso dal principe: il Binder non crede alla buona fede del reggente (circa la sua intenzione di far credere a una imminente guerra all'Austria al solo scopo di guadagnare tempo) e assicura che neanche il ministro di Russia vi crede.



33 Con questo non intendiamo dire che il Binder fosse un eroe (ci accerta del contrario l'incaricato d'affari pontificio, Valenti, in un dispaccio dell'11 dicembre 1820, pubblicato dal Rinieri, op. cit., p. 588); ma solo ristabilire la verità su questo punto particolare.



34 Dispaccio 19 marzo 1821, n. 21. Era stato il proclama di Carlo Alberto del 15 marzo quello che aveva diffuso la sensazione che egli intendesse davvero dichiarare la guerra all'Austria. Cfr. in proposito il dispaccio Stuart 23 marzo 1821 (P. R. O., France, 250, n. 86).



35 Dispaccio Gordon 19 marzo 1821 (P. R. O., Austria, 163, n. 26). Il proclama venne da Carlo Alberto comunicato, come è noto, ai ministri; d'accordo coi quali (18 marzo) ne sospese la pubblicazione. Di qui la leggenda (raccolta, ma non creduta dallo Hill), che egli se lo fosse «tenuto in tasca per due giorni» e che non lo avrebbe «pubblicato né si sarebbe recato a Novara se non avesse successivamente ricevuto da un corriere, in via privata, la notizia della completa disfatta dei Napoletani» (dispaccio Hill 25 giugno 1821). Su questo proclama e sulla ritardata pubblicazione cfr. Dallari, L'alba di un regno. Carlo Felice a Modena, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1924, pp. 944-47.



36 Cfr. Rodolico, p. 194, nota. Sulla depressione del reggente cfr. il dispaccio Metternich a Stadion, 26 marzo 1821: «La révolte en Piémont va mal comme révolution... Son principal champion, le prince de Carignan, ne fait que pleurer». (Mémoires cit., III, p. 493).



37 Cfr. in Rodolico, pp. 197-98, il brano del cit. dispaccio Percy che ad essa si riferisce. In un altro luogo dello stesso dispaccio l'incaricato inglese notava che l'attacco al Binder aveva alienato molti consensi alla causa costituzionale.



38 Dispaccio Percy 20 marzo 1821. Il Rinieri, op. cit., p. 627, dice che manca la risposta del reggente alla richiesta di passaporti fatta dal Binder. Eccocela adesso riassunta dal Percy.



39 L'ultimo periodo di questo passo del dispaccio Percy è stato pubblicato dal Rodolico a p. 193, nota.



40 Dispaccio Percy 23 marzo 1821.



41 Lo s'ignorava evidentemente anche a Parigi donde, il 28 marzo, scriveva lo Stuart che il reggente aveva rinunziato al suo rango il giorno medesimo nel quale la legazione francese aveva ufficialmente smentito che il suo governo intendesse appoggiare il movimento antiaustriaco in Italia (P. R. O., France, 250, n. 91). Ma dai dispacci Percy e Stuart si è lasciato influenzare il Webster quando ha scritto (op. cit., p. 331) «che Carlo Alberto (dopo qualche esitazione) abbandonò una causa che era evidentemente diventata disperata dopo che Napoli era stata disfatta e la Francia aveva rifiutato di aiutare in qualunque modo».



42 Cfr. i due suoi dispacci del 24 marzo (nn. 26 e 27) e l'altro del 26 di quel mese.



43 Dispaccio cit. 26 marzo 1821. Questo passo compiuto dal Percy è ignorato dal Webster, il quale scrive soltanto (p. 330) che l'idea di una mediazione franco-inglese avanzata dal governo di Parigi venne senz'altro scartata dal Foreign Office. Il Percy non dà che notizie generiche, piú tardi, dei noti passi compiuti dal ministro di Russia, Mocenigo, per portare a un accordo fra gl'insorti e il governo legittimo; né troviamo conferma nei suoi dispacci dell'affermazione dell'incaricato pontificio secondo cui il negoziato Mocenigo avrebbe dato «ombra ai due rappresentanti di Francia e d'Inghilterra, che avrebbero voluto essere invitati a prendervi parte» (dispaccio 29 marzo 1821 pubblicato dal Negri, op. cit., II, p. 497).



44 Dispaccio Castlereagh a Gordon 5 aprile 1821, segreto e confidenziale (P. R. O., Austria, 161, n. 2); il Webster, op. cit., p. 330, ne ha pubblicato solo un brevissimo estratto. Sul proposto intervento russo in Piemonte si vedano le giuste considerazioni svolte in contrario dal Gordon (dispaccio 15 marzo 1821) e dallo Stuart (dispaccio 26 marzo e 5 aprile 1821) e quel che scrive lo Hill nel dispaccio 17 maggio 1821. Il 22 aprile il Metternich scriveva allo Stadion: «Ne jugez pas l'Angleterre sur rien de ce que vous dit lord Stewart: tout ce qu'il dit est faux. Il vous aura fièrement niée la marche d'un corps russe en Piémont; eh bien, son Cabinet le demande à cor et à cri, car il voit juste...»



45 Dispaccio Percy, 11 aprile 1821. Sulle intenzioni, a vero dire rientrate, di taluni fra i capi degli insorti genovesi d'intentare un processo al Des Geneys, allora recluso a Palazzo Ducale, cfr. Bornate, L'insurrezione di Genova nel marzo 1821, Torino 1923, pp. 63, 109.



46 Cfr. il dispaccio Castlereagh a Hill, 7 maggio 1821, in gran parte pubblicato dal Webster, op. cit., p. 331.



47 Dispaccio Hill 17 maggio 1821: «voce non innaturale, commentava egli, giacché la speranza e l'aspettazione sono spesso il resultato di un desiderio generale».



48 Questa parte del racconto Hill è cronologicamente inesatta: fra l'altro, re Vittorio non si recò a Moncalieri che il 7 di marzo, mentre Carlo Alberto venne a conoscenza delle famose lettere sequestrate il giorno 5.



49 Il Luzio, op. cit., p. 47, trovando la notizia di questa intenzione del principe nella citata biografia del Revel, strabilia e inclina a ritenerla inventata. La testimonianza dello Hill dimostra invece che il Revel palesò la cosa fino dal maggio 1821, se era lui la fonte dello Hill; se poi non era lui, è chiaro che la notizia acquista ancora maggiore importanza.



50 Sullo stesso argomento tornava lo Hill nel dispaccio 18 agosto 1821: «Il granduca di Toscana è scontento della condotta privata del principe di Carignano e sarebbe felice di qualunque accomodamento che ne facilitasse l'allontanamento da Firenze». La corrispondenza del ministro inglese a Firenze, lord Burghersh, non getta alcuna luce sulla questione, ancora controversa, del contegno tenuto da Carlo Alberto a Firenze; per quanto da documenti toscani (ci assicura il Masi, Carlo Alberto nell'esilio di Firenze, in Studi Carlo-Albertini, Torino 1933, p. 59) il Burghersh resulti un simpatizzante per il Carignano. Sul medesimo soggetto ritornava lo Hill a un anno di distanza. Il principe – scriveva il 3 agosto 1822 – «conduce adesso a Firenze una vita della piú grande regolarità e anche di bigotta devozione; ma Sua Maestà e la corte non sono disposte a ritenere sinceri questi ed altri segni di contrizione». Anche lo Hill diffidava dei racconti troppo edificanti fatti al proposito dalla contessa di Truchsess.



51 Il Rodolico, pp. 152-55, sembra considerare la storia del perdono di Moncalieri come una maligna fantasia messa in giro dal Revel. Ammettiamo volentieri che questa conferma dello Hill non sia da ritenersi probante in quanto di netta derivazione revelliana; ma ne vedremo piú oltre ineccepibili riprove. A una confessione di Carlo Alberto al re si allude del resto nello stesso Simple récit, ecc., notoriamente composto da amici del principe su dati in gran parte forniti da lui (Scritti di Carlo Alberto cit., pp. 87-88).



52 La data del colloquio di Moncalieri è, si sa, quella del 10 marzo; lo Hill in un annesso al dispaccio 9 maggio 1821 (Ordine cronologico degli avvenimenti che ebbero luogo durante la rivoluzione in Piemonte) afferma invece che esso si sarebbe svolto l'8 di marzo. Errore evidente: forse lo Hill confondeva fra il colloquio del 10 e la cavalcata fatta il 7 da Carlo Alberto per accompagnare il re a Moncalieri.



53 Della stessa opinione era allora la legazione di Francia; cfr. il tono dei giudizi espressi dal La Tour du Pin su Carlo Alberto in Matter, Cavour et l'unité italienne, Paris 1922, I, p. 39.



54 Giuste al proposito le considerazioni del Rodolico, p. 327; sebbene la richiesta fatta da Carlo Alberto al Percy agli inizi della reggenza perché venisse inviata una squadra inglese a Genova non possa davvero addursi a prova dell'interesse inglese a impedire un predominio austriaco in Italia: altrimenti la circostanza del mancato invio della squadra potrebbe addursi senz'altro a prova del contrario. Il Webster, op. cit., p. 332, scrive che «in questa faccenda (la questione Carignano) il Castlereagh non prese parte alcuna»: il che è esatto, purché si ricordi, tuttavia, che le istruzioni ai plenipotenziari inglesi al Congresso di Verona, consacrato fra l'altro all'esame di quella questione, vennero vergate da lui.



55 Alle pp. 168-70. Nella prima parte del dispaccio lo Hill afferma che il «tradimento» imputato al principe deve riferirsi all'attività da lui svolta in qualità di gran mastro dell'artiglieria: «Il principe non era ancora da un anno in possesso del suo ufficio; operò certamente vari mutamenti fra gli ufficiali, trasferendone molti affezionati alla vecchia corte, e circondandosi dei suoi amici particolari, e in confidenza con lui, o piuttosto di cattivi consiglieri». A questo punto s'inizia la trascrizione del Rodolico: il quale precisa che il dispaccio venne vergato dallo Hill dopo i colloqui avuti a Modena; senonché il ministro inglese, il 25 di giugno, non si era ancora mosso da Torino. Per esser pedanti noteremo che l'affermazione dello Hill – il ministro di Prussia «ritiene che S. A. S. si troverà in grado di giustificarsi in gran misura» – è stata tradotta dal Rodolico con omissione delle tre ultime parole, le quali hanno pure un qualche valore.



56 Carlo Alberto aveva, si sa, grande stima pel Des Geneys e riponeva in lui illimitata fiducia, come dimostra la lettera che gli scrisse, ancora reggente, il 20 marzo 1821. Cfr. Boselli, Carlo Alberto e l'ammiraglio Des Geneys nel 1821, estratto dagli «Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino», vol. XXVII; Prasca, L'Ammiraglio Des Geneys, Pinerolo 1926.



57 A conferma di questo particolare (per quanto sia forse esagerato l'asserire che re Vittorio si perse fra i monti) cfr. Segre, Note e documenti sui casi e sui profughi del 1821, nella citata silloge La Rivoluzione piemontese, I, p. 242; e Dallari, op. cit., p. 958.



58 Cfr. dispaccio Hill 6 novembre 1821; e sui rapporti fra l'Aglié e Carlo Felice (Lemmi, Carlo Felice, Torino 1931, pp. 166-67).



59 Ne accusava ricevuta quello stesso 15 luglio. Motivo del ritardo, si sa, la speranza, a lungo nutrita dal Foreign Office, che re Vittorio si lasciasse indurre a riascendere il trono. I ministri delle altre grandi potenze si erano già tutti recati a Modena fin dal mese di aprile (Dallari, op. cit., P. 949).



60 Carlo Felice era tutt'altro che una personalità di eccezione; ma era assistito da un vigoroso buon senso, da non comune energia di carattere, e aveva altissima coscienza dei doveri di un sovrano, come ci ha ben mostrato il Lemmi nel suo bel libro, citato, a lui dedicato. Nel dispaccio 6 novembre 1821 lo Hill giungeva, quasi suo malgrado, ad ammettere che Carlo Felice «possa essere piú fermo e aver maggiori attitudini per regnare» di suo fratello.



61 pp. 269-70. Il dispaccio Hill reca la data del 12 agosto.



62 Si veda in proposito il dispaccio Castellalfero (ministro sardo a Firenze), 20 giugno 1821, in Luzio, op. cit., pp. 49-50; e quello del Maisonfort (ministro francese a Firenze), 19 giugno 1821, in Gualterio, Gli ultimi rivolgimenti italiani, Memorie storiche, Firenze 1852-61, III, p. 322.



63 Luzio, op. cit., p. 42, nota; Lemmi, op. cit., p. 192.



64 Dispaccio Hill 5 aprile 1822, segretissimo.



65 La personale devozione dello Hill per re Vittorio (risaliva ai tempi del soggiorno della corte sabauda in Sardegna) era ben nota; cfr. su di essa il riconoscimento del Saluzzo nel suo Memoriale pubblicato dallo Zucchi, nella silloge cit., I, p. 454.



66 Il generale Gifflenga, si sa, non si recò a Moncalieri insieme col principe; è esatto comunque che la mattina del 10 marzo anch'egli si trovava colà. Sul di lui conto scrisse lo Hill, nel dispaccio 7 dicembre 1821, essersi molto meravigliati che re Vittorio lo avesse scelto, il 13 marzo, per accompagnar lui e la regina nel viaggio di Nizza; ma che la regina al ministro austriaco, il quale si era fatto eco di queste impressioni, aveva replicato: «Quando si attraversa una foresta di notte, non c'è miglior protettore o guida del capo dei banditi». L'aneddoto, in termini leggermente diversi, è riportato dal Lemmi (op. cit., p. 193, nota), il quale lo ha da tutt'altra fonte.



67 È noto che quel proclama era già stato perfino stampato. Dagli archivi ne trasse una copia, molti mesi piú tardi, il Della Valle per mostrarla al ministro inglese, il quale la spedí a Londra. Cfr. il suo dispaccio 5 aprile 1822.



68 Il Rapport et détails de la Révolution, ecc., in Scritti di Carlo Alberto cit., pp. 3-30. Lo Hill ne aveva già dato notizia nel dispaccio 18 agosto 1821; ma solo parecchi mesi piú tardi fu in grado di procurarsene una copia.



69 Op. cit., p. 25.



70 Questa dichiarazione di Carlo Alberto era certo in contraddizione con i suoi veri sentimenti; del che si ha una riprova indiscutibile nella lettera che il 21 novembre 1821 egli stesso scriveva al Sonnaz: «J'ai dit, et telle fut toujours ma manière de penser, qu'un gouvernement tempéré, comme celui de la France, ou dans le même genre, était le meilleur...» (Scritti di Carlo Alberto cit,, p. 182). Ma che il principe si fosse proprio espresso, qualche tempo prima dello scoppio della rivoluzione, nel senso esposto da re Vittorio dimostra anche questa lettera di Maria Teresa al duca di Modena, 28 febbraio 1821: «Il re è... nemico del regime costituzionale, e questo è ugualmente odioso al duca e al principe (Carlo Alberto); dunque spero in Dio che per qua non vi sia nulla da temere» (Dallari, op. cit., p. 940). Sulle discussioni relative alla costituzione in quel drammatico Consiglio della Corona, cfr. Passamonti, Prospero Balbo e la rivoluzione del 1821, nella cit. silloge, I, pp. 330-31; e Zucchi, op. cit. pp. 477-78.



71 Il Rodolico, nella parte del suo libro dedicata alla narrazione critica degli eventi rivoluzionari, non accenna neppure a queste discussioni in extremis svoltesi fra i sovrani, il principe e i ministri a proposito della costituzione. E non s'intende il perché.



72 Si noti che il Balbo, nelle sue Memorie (Passamonti, ed. cit,, p. 323) non menziona la presenza di Carlo Alberto quando ci riferisce le dichiarazioni dei vari comandanti. Il Saluzzo, riferita la risposta del Ceravegna, si limita a scrivere: «le chef de l'artillerie prit la parole et dit qu'il en était de même de ses cannoniers» (Zucchi, op. cit., p. 475).



73 Cfr. il Saluzzo nel suo Memoriale: «On a reproché au ministère de n'avoir pas fait arrêter le col. Ceravegna au sortir du cabinet du roi et peut-on croire que la pensée n'en soit venue à personne! Mais une considération de la plus grave importance, que c'est devoir de taire même pour la justifier, arrêta cette pensée au moment même où elle fut conçue» (Zucchi, loc. cit.).



74 Analoga era l'opinione del generale La Tour, dallo Hill riportata nel già citato dispaccio 18 agosto 1821: «Parlando della voce secondo la quale il principe avrebbe determinato di chiedere una corte marziale, il generale La Tour mi ha detto che nessun ufficiale piemontese potrebbe o vorrebbe condannarlo per atti della sua reggenza; un siffatto processo dovrebbe basarsi sull'attività precedente di S. A. S., attività che, eccettuato l'intervallo di pochi giorni o piuttosto di poche ore, era stata già perdonata da S. M. Vittorio Emanuele sebbene S. M. fosse allora all'oscuro di molte cose accadute pel tramite di S. A. S.». Il La Tour era, ciò nondimeno, favorevole, si sa, a un sollecito ritorno di Carlo Alberto in Piemonte.



75 Sugli addebiti fatti da re Vittorio a Carlo Alberto, cfr. in particolare Masi, op. cit., p. 141; Dallari, op. cit., pp. 957-58; Luzio, op. cit., pp. 12, 29; Segre, Vittorio Emanuele cit., p. 248, oltre ai noti dispacci del Maisonfort pubblicati dal Gualterio, op. cit., III, passim. Resulta chiaro da innumerevoli documenti che re Vittorio era profondamente risentito con Carlo Alberto; ond'è che non ci spieghiamo come il Luzio dopo avere tentato di attenuare l'importanza degli addebiti mossi da re Vittorio, possa scrivere (op. cit., p. 51) che «sarebbe indubbiamente assai grave» se quel sovrano avesse davvero nutrito «un giudizio sfavorevole al principe». Il dispaccio Hill, comunque, toglie ogni dubbio in proposito.



76 Anche il Metternich riconobbe che l'abdicazione aveva fiaccato la rivoluzione (a Rechberg, 25 marzo 1821; Mémoires cit., III, p. 490). Glielo aveva fatto notare il Binder già il 17 marzo (dispaccio pubblicato dal Rinieri, op. cit., p. 623).



77 Il che, d'altronde, coincideva con i suoi interessi: la costituzione di Spagna, se adottata tal quale, lo avrebbe privato infatti, dei diritti di successione in favore delle figlie di re Vittorio.



78 Cfr. i suoi dispacci 13 gennaio e 9 febbraio 1822.



79 Dispaccio Hill cit., 13 gennaio 1822; cfr. anche l'altra del 24 dello stesso mese: egli si è adoperato per sollecitare il ritorno di re Vittorio in patria, ritenendo che «dato il risentimento della regina, e la sua intesa col principe Carignano, vi fosse piú da temere dalla sua assenza» che non dal suo ritorno. Si veda anche Rodolico, pp. 292 sg. Circa lo stato d'animo della regina Maria Teresa di fronte alle prospettive di riassumere il trono siamo poco informati. Il Saluzzo (Zucchi, op. cit., p. 521) attesta che essa insistette col marito perché rifiutasse qualunque offerta in proposito; il Maisonfort, invece, in un dispaccio del 31 agosto 1821, riferiva che la conversazione della regina gli aveva dato l'impressione che essa rimpiangesse di non piú esser sul trono (Gualterio, op. cit., III, p. 324). Da un dispaccio Daiser (nuovo ministro d'Austria a Torino) al Metternich, 24 maggio 1822, sembrerebbe lecito dedurre che egli ritenesse aver Maria Teresa spinto re Vittorio a sollecitare, malgrado tutto, il ritorno in Piemonte (Rinieri, op. cit., p. 649).



80 Lo Hill aveva conosciuto l'arciduca a Cagliari, negli anni della lotta antinapoleonica. «M'è rincresciuto di notare – cosí riferiva questo suo colloquio – che, pur discorrendo egli con la sua solita abilità, il suo linguaggio è molto mutato relativamente ai sistemi liberali... S. A. R. era allora un candidato al posto di capo della Lega italiana, in quel tempo in progetto..., adesso è uno dei piú abili agenti di suo cugino l'imperatore. Trattandosi di un sovrano italiano... sono rimasto piuttosto sorpreso di udire con che tono sarcastico e spregiativo l'arciduca parlava degli italiani... Facendo un paragone fra il suo real suocero Vittorio Emanuele e la presente Maestà Sarda, l'arciduca mi ha detto con palese, viva approvazione, che S. M. Carlo Felice non è soltanto fermo, ma severo!»



81 Dispaccio Hill, 18 agosto 1821, in parte pubblicato dal Rodolico, pp. 310-11.



82 Dispaccio Hill, 3 marzo 1822: «Il re ritiene che, essendo egli e il principe vissuti un tempo come padre e figlio, riuscirebbe parimenti penoso ad entrambi risiedere (adesso) uno vicino all'altro; se in questo caso (infatti) il re non ricevesse mai il principe, il marchio d'infamia (su di lui) resterebbe forse anche piú indelebile che non nel caso di una prolungata assenza del principe». Al che, però, lo Hill obiettava che «se S. M. dovesse vivere molti anni, il principe, che ha ricevuto la prima educazione in Francia sotto Bonaparte, finirebbe, con un altro lungo esilio, col cessare quasi di essere un piemontese».



83 Alla prudenza lo Hill venne consigliato dall'infortunio capitatogli a proposito del ritorno di re Vittorio in Piemonte, pel quale egli si era battuto fino al punto di incorrere nel risentimento di Carlo Felice, che lo aveva fatto richiamare all'ordine dal Castlereagh. Si noti come il punto di vista dello Hill sulla questione Carignano coincidesse con l'opinione formulata dal Metternich in un dispaccio del 6 dicembre 1821 (Mémoires cit., III, pp. 525-27).



84 Dispaccio Hill 13 novembre 1821; cfr. anche l'altro del 9 febbraio 1822.



85 Dispaccio Hill 25 novembre 1821.



86 Dispaccio Hill 24 ottobre, 6 e 13 novembre 1821.



87 Cfr. Webster, op. cit., pp. 367 sg.; Metternich, Mémoires cit., III, p. 524.



88 Identiche istruzioni aveva mandato il Metternich al Daiser; onde questi, 13 dicembre 1821, assicurava che si sarebbe «imposto il silenzio piú assoluto su questo affare» (Rinieri, op. cit., p. 638). Il Truchsess (ministro di Prussia) seguiva invece, si sa, una politica opposta. Dispaccio Hill 24 ottobre 1821: «Il mio collega prussiano è sempre assente, a Napoli, donde ho ricevuto ier sera una (sua) lettera confidenziale nella quale mi prega di adoperarmi in favore del principe di Carignano; ma io temo che nulla sarà fatto per S. A. S. fino alla riunione del Congresso a Firenze, l'anno prossimo, seppure anche allora mi si dice infatti da parte russa che S. M. Sarda usa verso i sovrani alleati un tono quasi altrettanto altezzoso che verso i suoi sudditi...»



89 Il Della Valle insinuava allo Hill che «se due o tre degli alleati fossero stati disposti ad ascoltare l'appello del re, il principe avrebbe abbandonato le sue pretese al trono e la questione di legittimità e primogenitura sarebbe stata salvata dalla successiva adozione del suo figliuoletto». Dispaccio Hill 5 aprile 1822.



90 Dispaccio Hill 9 e 23 febbraio 1822. Successivamente lo Hill si ricredette anche su questo punto, non senza merito, sembra, dell'infaticabile sostenitore del principe, Luigi d'Auzers. Dispaccio Hill 3 agosto 1822: dice il d'Auzers (fine psicologo, invero) che «nonostante la violenza dei piú contro di lui (Carlo Alberto), egli è sicuro che se il principe arriverà, non ci saranno cinque famiglie a Torino che non si mostreranno ansiose di partecipare al primo ricevimento a palazzo Carignano». Ragguagli sul d'Auzers dava lo Hill nel dispaccio segretissimo e confidenziale del 3 marzo 1822.



91 Dispaccio Hill 9 febbraio 1822: il Revel «dice che se il re è incline al perdono, quanto prima il principe tornerà, in vista di regnare, tanto meglio; ma a lui consta che il re è del tutto contrario a S. A. S. Ciò nonostante, aggiunse il governatore, se il re dovesse morire domani, sarebbe mio dovere proclamare il principe e naturalmente lo farei. Il conte Revel mi ha informato che, poco dopo il suo ritorno, il re gli ordinò di raccogliere tutte le prove che erano emerse a carico del principe nei processi dei ribelli. Quando esse vennero sottoposte a S. M., il re disse che ve n'erano troppe, e, insieme, non abbastanza; ciò che il conte Revel interpretò: troppe per l'onore del principe, ma non abbastanza per processarlo. Dice tuttavia il conte che, se ancora adesso il re desse ordini in proposito, si raccoglierebbero prove imponenti, ma che col passar del tempo riuscirà piú difficile trovar prove dirette. Sua Eccellenza mi ha anche detto in confidenza avergli nientemeno che il generale Ecuyer (uno dei favoriti del re) domandato perché non avesse sottoposto a processo il principe insieme agli altri ribelli; al che egli aveva immediatamente risposto che in una questione concernente non soltanto un principe di casa Savoia, ma l'erede presuntivo della Corona, ciò sarebbe stato impossibile senza ordini espliciti del re. Il conte, mi è parso, sospetta fosse desiderio del re che egli avesse preso su di lui questa responsabilità quando era luogotenente generale o viceré: egli non l'ha fatto, eppure dice che un esempio di questo genere riuscirebbe utile di fronte ai tanti principi ereditari che, di recente, sono stati i primi traditori nei loro rispettivi paesi».



92 Dispaccio Hill 9 febbraio 1822: «Il Saluzzo mi ha detto confidenzialmente che fin quando il principe Carignano resterà erede presuntivo, nessun ufficiale oserà condannarlo, e che il re dovrebbe in prima e non in seconda istanza consultare in proposito i suoi alleati».



93 Anche in un'altra occasione lo Hill si era preoccupato dello stato d'animo della moltitudine, in contrapposto a quello diffuso nei ceti piú alti: a proposito del ritorno di re Vittorio in Piemonte, che egli auspicava ritenendolo ardentemente desiderato dalla massa del popolo, checché ne pensassero i nobili. Cfr. il suo dispaccio 6 novembre 1821. Alle opinioni delle masse in Piemonte aveva alluso anche lo Strassoldo in un dispaccio al Metternich del 29 aprile 1821 (Colombo, op. cit., pp. 738-40).



94 Cosí nel noto dispaccio circolare diramato alle Missioni all'estero, su cui cfr. dispaccio Hill 3 marzo 1822.



95 Dispaccio Hill 23 febbraio 1822.





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