4. Ancora di Montanelli e
Cernuschi
Proprio negli stessi giorni nei quali
la «Nuova Rivista Storica» pubblicava l'articoletto di
Giuseppe Leti, L'evoluzione di G. Montanelli dal federalismo
all'unitarismo (fasc. V del 1936), basato su tre importanti
lettere inedite del Montanelli al Cernuschi, vedeva la luce nel
fiorentino «Archivio storico italiano» (fasc. IV dello
stesso anno) un mio piú diffuso saggio sull'identico
argomento: entrambi, per strano caso, intesi a chiarire l'attività
svolta dal discusso patriota toscano nell'anno 1859. Come questi due
scritti si completino a vicenda, o piuttosto – dirò
immodestamente – come quello del Leti valga in sostanza a
confermare a puntino la tesi da me sostenuta circa la fondamentale
coerenza politica del Montanelli, lascio al lettore accorto di
giudicare. A me preme soltanto rettificare talune circostanze addotte
dal Leti, sí che il giudizio non abbia a fondarsi su dati in
parte inesatti.
«Cernuschista» ad oltranza
– come ci conferma il bel volume da lui recentemente
pubblicato: Henri Cernuschi, patriote, financier, philanthrope,
apôtre du bimétallisme. Sa vie, sa doctrine, ses œuvres,
Paris 1936 – il Leti non si è mostrato, infatti, del
tutto equo nei suoi apprezzamenti sul Montanelli: cedendo anch'egli
inconsciamente alla forza di quella tenacissima leggenda
antimontanelliana, che purtroppo è tuttora avvalorata da molti
studiosi del Risorgimento italiano. Tra il Montanelli e il Cernuschi,
rimasto l'uno a Parigi, nel '59, comodamente assiso nella sua
poltrona di spettatore e di critico delle vicende italiane, e l'altro
partitone precipitosamente per arruolarsi volontario e poi per
gettarsi a capofitto nell'aspra lotta politica seguita alla guerra,
fra i due sarà facile dire, di certo, che il secondo salvò
appieno la sua coerenza ideale e la sua intransigenza politica,
mentre al primo fu giuocoforza adattarsi a piú di un
compromesso e abbandonare per via piú d'uno dei suoi
postulati. Sarebbe ingiusto, peraltro, e antistorico, non rendersi
conto di come l'atteggiamento del Cernuschi, pur altamente
rispettabile, presupponesse un notevole distacco dalle cose italiane,
l'assenza cioè di quella disperata volontà di
contribuire a risolver una volta per sempre ed a qualunque costo il
problema italiano, la quale ben vale a giustificare le oscillazioni e
le evoluzioni imputabili a presso che tutti i patrioti italiani nel
decennio successivo alle delusioni del '49. Cernuschi salva la sua
coerenza, ma si strania definitivamente all'Italia, almeno in quanto
a concreta azione politica; Montanelli agisce, lotta, s'impegna, si
piega ad ogni sacrificio, pur di collaborare anch'esso alla grande
fatica finale. Cernuschi può scrivere, tranquillamente: «Per
noi non c'è nulla da fare: abbiamo aspettato dieci anni, ne
aspetteremo dieci altri»; Montanelli invece affronta la realtà
qual'è per acquistare il diritto di concorrere a modificarla:
«Tornare in esiglio non me la sento!», risponde con
ingenuo abbandono. Sí, l'Italia si va facendo per vie e con
mete in parte diverse da quelle da lui auspicate; ma è pur
sempre l'Italia degli Italiani, che nasce, e ci vuole una bella dose
di astrattismo politico per non cedere alla potente suggestione che
emana dai campi lombardi, per non sentire che in taluni solenni
momenti della vita nazionale ogni assenza è una colpa.
Le tre lettere del Montanelli al Cernuschi pubblicate dal Leti
vanno dunque valutate sotto questo angolo visuale: e allora cadranno
da sé i commenti poco benevoli con i quali egli ha creduto di
doverle accompagnare. Altre sue notazioni si debbono, per contro, a
non perfetta conoscenza dell'argomento: cosí l'accenno alla
diffidenza nutrita dal Gioberti pel Montanelli, esattissimo se
riferito al '49-50, ma non per i due anni seguenti, nei quali i due
patrioti riallacciarono e anzi intensificarono le antiche e tanto
proficue relazioni di mutua stima ed amicizia; cosí la notizia
che il Montanelli sarebbe rientrato in Italia nel '58, mentre non
ripassò le Alpi che allo scoppio della guerra, nell'aprile
dell'anno seguente; cosí l'affermazione, grave e infondata,
essere stato il Poniatowski (quello stesso che poco dopo doveva
screditarsi nello sterile tentativo di rappattumare i toscani con
l'esule granduca) a porre in contatto il Montanelli con Napoleone
III, mentre è risaputo che intermediari furono i due còrsi
Pietri e Rapetti (a questo proposito voglia il Leti notare che mentre
la prima lettera del Montanelli al Cernuschi non può certo
recar la data di Firenze, dove il Montanelli non si recò che
alla fine di luglio, la seconda dev'essere del 26 e non del 23 di
maggio, giacché venne scritta all'indomani del colloquio con
l'imperatore, svoltosi, appunto, il 25 di quel mese). Quanto poi al
deprecato «feticismo» del Montanelli, per le cose e gli
uomini di Francia, mi permetta l'egregio Leti di definire alquanto
sommaria e frettolosa la sua sentenza, calcata piuttosto su
partigiani giudizi emessi nel calore dell'azione da avversari
politici del Montanelli, che non su un pacato riesame dell'effettiva
attività da lui svolta: senonché, volendo risparmiare
al lettore una non breve dissertazione su questo punto, mi limiterò
a rinviare il Leti al citato mio articolo, primo saggio di una
completa biografia critica che sul Montanelli io vado preparando.
Un ultimo punto. Ritiene il Leti che, dopo la discussione
epistolare del maggio-giugno '59, l'ex triunviro toscano e l'eroe
delle Cinque giornate cessassero i loro «buoni rapporti»:
il che farebbe presumere che il dissenso fra costoro avesse attinto
notevole gravità ed asprezza. Ma anche questo è un dato
insussistente. Io non so se l'archivio Cernuschi consultato
dall'autore sia piú o meno completo; so bensí che fra
le carte del Montanelli si conservano almeno due lettere del
Cernuschi a lui dirette in data susseguente al '59, entrambe
attestanti il perdurare di una calorosa amicizia cementatasi negli
anni del comune esilio (una terza, non datata, potrebbe benissimo
attribuirsi allo stesso periodo). Credo che possa interessare, oltre
che il Leti, i lettori di questa rivista il conoscere i brani piú
significativi e di queste due lettere e di altre due del Cernuschi al
Montanelli, anche queste sfuggite al biografo del Cernuschi: la prima
in risposta alla lettera del Montanelli del 30 dicembre '58; l'altra,
assai piú importante, in risposta a quella dell'11 maggio '59.
Cosí reintegrato, il carteggio fra i due banditori del
federalismo – quello che accettava l'iniziativa unificatrice
della monarchia di Savoia col dichiarato proposito di temperare
gl'inconvenienti mediante l'immissione del massimo compatibile di
spirito e di ordinamenti federalistici nell'organismo unitario, e
quello che da lungi perseguiva il vano sogno di una applicazione
«totalitaria» dei principî federalistici ad una
Italia che non ne voleva sapere – assume indubbiamente un ben
piú alto interesse.
Cernuschi a Montanelli, Parigi, 31 ottobre 1858 (Biblioteca
Labronica, Livorno, Autografoteca Bastogi, cass. 14, ins. 1362).
L'anno
sembra finir discretamente. Che il '59 dovesse riuscire il miglior
anno dal '48 in qua?
Né
animo, né anima ci mancano. Venga del serio e ci vedranno te e
me all'opera. Caro amico, ho nel capo che un giorno o l'altro faremo
qualche bella cosa insieme. Non ci fu mai nessuna nube tra noi due.
Caso raro nell'emigrazione, e che segnalo come augurio felice del
capo d'anno. Tuo di cuore.
Cernuschi a Montanelli, Parigi, 11
maggio (1859) (ibid.).
Ho
ben veduto quello che mi dici, che la mutazione toscana è
opera torinese. Il governo provvisorio spedito da Cavour non era
ancor giunto a Sarzana, quando era già proclamato a Firenze.
Deboli governi, quelli che vengono dal di fuori. Ma noi chiediamo
molto per contentarci di poco, ti disse La Farina. Dunque il capo
degli unitari tradisce gli unitari. Gli perdono, l'unità è
condannata a tradire. In realtà il comitato non è
unitario né federalista, ma commesso viaggiatore della casa di
Stupinigi.
Ho
letto che i tuoi amici di Palazzo Vecchio si sono degnati di
perdonarti e amnistiare le offese da te e altri fatte al g. duca. Il
che vuol dire che senza l'amnistia di Malenchini e Ulloa, Montanelli
non sarebbe potuto tornare a Fucecchio. No, e nemmeno con l'amnistia
ci deve tornare...
Quello
che mi accora è di vedere che in questa lotta fra i due
imperatori, l'Italia fa la parte meschina di legione straniera. I
liberali elettoratici d'Italia smettono l'antica boria del far da sé.
Seguono in questo il pensiero nostro e fan bene. Ma per noi c'è
nulla da fare. Abbiamo aspettato dieci anni, ne aspetteremo dieci
altri... Sarà ben lecito, anche espulsa l'Austria, di serbare
dignità e convinzioni... Reazionario o rivoluzionario, il moto
intimo delle città d'Italia sarà sempre federalista, i
conati unitari sempre sterili e di breve durata. Firenze votava la
fusione colla Repubblica romana nel '48. Gran parole; sarà lo
stesso col Buoncompagni.
Ma
tocca agli eventi di ragionare oramai, e al dittatore che salpa da
Genova...
Tienti
d'acconto caro amico; la vita che fai mi dispiace molto per molte
ragioni; ma il poeta segue il suo genio.
Cernuschi a Montanelli, Parigi, 29
giugno 1861 (ibid.).
Pubblico
(senza venderla) anche un'edizione francese [della nota risposta
all'accusa del Cavour]. Sotto l'usbergo del sentirmi puro, sono
tranquillo. Non pertanto mi sarà oltremodo grato di sapere la
tua opinione. Leggo la «Nuova Europa»; parmi che non
sarebbe impossibile inserirvi la mia risposta, che infine è la
parola d'un uomo che fu oltraggiato dinanzi un'assemblea eletta da
tutta Italia. Mi rimetto al tuo senno, alla tua amicizia.
...
Ti abbraccio, come a Milano, quando c'incontrammo la prima volta nel
marzo '48...
Cernuschi a Montanelli, Parigi, 7
luglio 1861 (ibid.).
Rivoluzionari
avanzati, e reazionari mi fanno complimenti [per la risposta
all'accusa di Cavour]. I Piemontesi no, ben inteso. Hoc erat in
votis. Gli editori mi chiedono a gara una ristampa. Esito...
Comunque, né sincerità né convinzione mi
mancano. Ma sono certo che senza fisionomia federale non si farà
nulla di buono. L'unità è parola adottata, è
vero, dai piú caldi, ma è una maschera sul volto della
dea: l'Italia...
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