Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Nello Rosselli
Saggi sul Risorgimento

IntraText CT - Lettura del testo

  • III. La Destra storica
    • Governo costituzionale.
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

Governo costituzionale.

Politica tragica, in un certo senso; cosí assoluta era l'inadeguatezza dei mezzi ai compiti prefissi, cosí accanita la resistenza opposta da taluni ceti sociali (brigantaggio, dal 1860 al 1865 circa; renitenza alla leva, con migliaia e migliaia di disertori negli stessi anni; rivolta contro la tassa sul macinato, 1868-69), cosí supina e gelida l'indifferenza della massa ogniqualvolta si trattasse di realizzare cosa che richiedesse non tanto l'unanime consenso, ma almeno un po' di buona volontà da parte di tutti; cosí implacabile, assai spesso, l'opposizione delle minoranze di Sinistra413. Questa politica e i suoi risultati e i suoi modi e limiti non si possono rammemorare oggi senza provare, per non dire altro, un senso di profonda stupefazione. Perché, chi guardi l'opera della Destra dall'alto, nel suo insieme, non può non cogliere quel suo granitico aspetto di cosa rettilinea, coerente, organica, quel suo carattere di amministrazione severa nella quale non è consentito lo spreco e i fini sono raggiunti con i minimi mezzi, che la resero cosí adeguata al tempo e alle necessità sostanziali del paese e degli uomini. Quasi ci sembra, quell'opera, oggi frutto di un pensamento originale, indipendente, individuale e di una azione personale libera e ininterrotta. Quasi si direbbe che il realizzatore di tale politica, assorto nella sua non lieve fatica, non abbia avuto a soffrire intralci di sorta, che al suo genio operante il paese si sia assoggettato o lasciato assoggettare come il corpo addormentato sul tavolo d'operazione, ai ferri del chirurgo.

E invece! In quindici anni, otto mutamenti di ministero e non so quanti anche radicali rimpasti414; rigidissima osservanza delle regole sancite dalla costituzione415. (Nessuno dimenticava le celebri parole di Cavour morente: «Non mezzi eccezionali, non stato d'assedio; cogli stati d'assedio tutti sanno governare bene»; e se in qualche rara occasione fu giuocoforza sospendere in qualche luogo e temporaneamente le franchigie costituzionali, non si derogò mai alla savia massima del Rattazzi, giustificarsi tali sospensioni solo quando servissero «per salvare le franchigie stesse, non per distruggerle»). Un Parlamento attivissimo e sensibilissimo, punto disposto a inchinarsi di fronte al potere esecutivo416; una classe politica estremamente nervosa e inquieta, una libertà di parola e di stampa quale noi oggi non riusciamo neanche a concepire. Partiti e gruppi di opposizione, come si è detto, tenaci, elastici, e combattivi, generalmente rispettati e, quando toccati nel fondamento della loro libertà, indiavolati nella difesa e nell'attacco, onde la violazione temporanea delle libertà statutarie da parte del governo serví sempre, come deve accadere in un paese sano, a distogliere il potere esecutivo dal ripeterla, a rinvigorire i gruppi perseguitati417 (tipico il celeberrimo episodio di Villa Ruffi). Diversità profonda di cultura, di educazione, di ambiente, opposizione netta di interessi tra gli uomini succedutisi al potere418. Uno scontro perpetuo di tendenze, anche tra gli aderenti ai medesimi gruppi, quale soltanto può verificarsi in un paese che non ha ancora suturato i distacchi, le opposizioni e le gelosie (d'altronde non tutti facilmente suturabili neppure in decenni di vita unitaria) tra i sette Stati che poco innanzi lo dividevano419; donde la necessità, poi diventata assurdamente tradizionale in Italia, di equilibrare regionalmente la composizione dei Ministeri, causa prima dell'ascesa degli incompetenti al potere420.

Difficoltà grosse, contrasti gravi per la Destra421; e non sarà male addurne qualche esempio tipico; comunque le une e gli altri scaturivano direttamente e necessariamente dalla concezione stessa che gli uomini della Destra si erano fatti, inculcavano agli altri e soprattutto rispettavano in pratica, della vita politica in un paese civile.

Le elezioni422 non di rado cagionarono le piú strabilianti sorprese agli stessi ministri dell'Interno, proverbiali, in massima, per la neutralità assoluta che mantenevano durante il loro svolgimento. Lanza, piemontese corretto e scrupoloso, si sentí perfino in diritto, nel 1865, all'indomani di una campagna elettorale che era stata una vera ecatombe per gli amici del governo, di affrontare il La Marmora, allora presidente del Consiglio, rimproverandogli di essere stato un po' troppo con le mani alla cintola, dando cosí prova di una «insipienza di cui non si trova esempio negli annali di nessun governo costituzionale»423. Dopo il '70, pare, i ministri dell'Interno ruppero qualche volta la bellissima tradizione di codesta «insipienza». Ma quanto furiosamente e clamorosamente non vennero denunciati! Si legga in proposito lo Zini.

L'osservanza delle regole costituzionali era cosí rigida generalmente (primissimi nell'esigerla e nel richiamare ad essa continuamente e quasi pedantescamente il governo, quelli di Sinistra; e non di rado era comico veder quelli stessi che nel paese si credevano lecito di violare allegramente la costituzione, diventarne i piú severi glossatori in Parlamento. Bene, del resto, perché in tal modo a poco a poco perdevano l'abito dell'opposizione di principio e si preparavano alla diretta amministrazione del paese)424, era dunque cosí rigida tale osservanza che, 1° dicembre 1862, si trovò enorme e contro ogni consuetudine parlamentare, e anzi offesa nuova e gravissima al Parlamento, che il Rattazzi, in difficoltà per i postumi di Aspromonte, liquidasse il suo ministero senza aspettare il voto prammatico di condanna della Camera.

Ricasoli, tra gli uomini della Destra, fu forse quello che piú sentí la necessità di addivenire a un accordo pacifico con il Vaticano, che tranquillasse la coscienza degli italiani cattolici e assicurasse il libero sviluppo cosí agli interessi spirituali e materiali della nazione italiana, come a quelli della Santa Sede. Ai suoi progetti di sistemazione di tali questioni teneva piú che a ogni altra cosa. Sui primi del 1867, essendo egli al potere, l'opposizione di Sinistra suscitò in tutto il paese rumorosissimi comizi popolari contro un progetto di legge da lui presentato sulla libertà della Chiesa e la liquidazione dell'asse ecclesiastico. Ricasoli, l'uomo del «reprimere, non prevenire», l'uomo che aveva bollato (febbraio 1862) il sistema preventivo come «proprio specialmente del governo dispotico», dimenticò per un istante i savi principî e si permise di ordinare ai prefetti che vietassero tali comizi. Non l'avesse mai fatto! La Sinistra gli sollevò un tale putiferio nella Camera, seppe cosí bene rinfrescargli la memoria sui canoni da lui medesimo enunciati intorno alla politica interna dei governi costituzionali, che – definite «teorie russe» le sue deboli giustificazioni – lo costrinse alle dimissioni.

La libertà di parola non si contestava certo a nessuno; quel che non fu detto in quegli anni contro i governi della Destra! (allora non vigevano le disposizioni sulle prerogative del primo ministro ecc.). «Voi siete figli della paura», osava dire Crispi, novembre 1864, ai ministri e ai ministeriali, sostenitori della convenzione di settembre. Il governo italiano è un «mucchio di canaglie e di ladri», andava proclamando Menotti Garibaldi425 nel 1870, in seguito alla repressione dei moti repubblicani, scoppiati in vari punti d'Italia. Che non si scagliò in faccia a Sella426, il cireneo della finanza italiana, per il suo «feroce» tassare, tassare, tassare?427. Rimando il lettore che voglia farsene un'idea ai resoconti parlamentari.

Quanto alla libertà di stampa428 di che allora si godeva, tralasciamo i pamphlets, gli opuscoli, i volumi che a centinaia si lasciarono stampare, svelanti e deprecanti le «vergogne» della Destra (assai istruttivo il leggerseli, ora che sono spente le passioni che li hanno ispirati: cosí tenui e giustificabili ci appaiono quelle vergogne o cosi prontamente rimediate...); tralasciamo i giornali di sinistra, non perché fossero temperanti, ma perché si potrebbe pensare che ad essi molto si perdonasse per riguardo alla loro disapprovata, sí, ma pur sempre patriottica attività. Si scorrano invece le collezioni dei giornali clericali. Quelli eran giornali che apertamente invitavano alla sedizione contro i poteri dello Stato, che notoriamente si tenevano in contatto, erano anzi agli ordini di potenze o potentati, o ex potentati stranieri congiuranti ai danni d'Italia. Sequestri? Ben di rado: e tanto meno soppressioni. E allora? Ottusità del governo? Può darsi. Fatto sta che la stampa clericale anti-italiana tanto sbraitò che finalmente, un bel giorno, pensò di mutar registro, e cessando di fare il processo all'Italia, si mise a far quello ai problemi italiani: ossia iniziò il suo collaborazionismo, che è poi quello piú utile e qualche volta anche piú gradito ai governi, il collaborazionismo della opposizione.

Ma un governo che si lascia anche vilipendere non è un governo spregevole? Gli uomini della Destra evidentemente non pensavano cosí. Forse pensavano che non serve a nulla ed anzi riesce quasi sempre dannoso il porre e mantenere il governo della cosa pubblica troppo au dessus de la mêlée, il farne un alcunché di sacro, di intangibile, di infallibile e perciò lontano dalla vita del paese. Volevano serbar sempre immediata la sensibilità delle passioni, degli umori, dei bisogni dei governati, per soddisfarli se del caso, per correggerli se necessario, per non straniarsene mai. Meglio il vilipendio, se prova nell'offensore un caldo interesse per la cosa pubblica, che il reverenziale silenzio, prova d'indifferenza o sicuro mezzo per determinarla al piú presto. Se poi ci solleviamo dal dettaglio e guardiamo all'insieme, troviamo che non ci fu mai governo cosí universalmente rispettato, pur tra le appassionate ingiurie momentanee, come quello della Destra.

 






p. -

413 Lanza a Rattazzi (colloquio), dicembre 1871: «... On nous crie: réforme, réforme! Libertés, économies, ordre, justice, égalité... et que sais-je encore? Tout cela est-il possible dans la situation présente? Franchement, je vous défie de mener à bien une réforme quelconque avec un parlement tracassier comme le nôtre, sans discipline, sans principes, sans programme. Donnez donc de la liberté à une nation que ne vous en demande point... ce qu'elle veut, c'est du pain à bon marché, c'est la suppression de l'impôt sur le sel, du papier-monnaie et des douanes. Faites donc des économies, quand vous avez un budget qui se salde avec 200 mill. de déficit... Donnez donc l'égalité et la justice à une nation qui verrait dans cette concession un aveu de faiblesse de la part du gouvernement... et essayerait des échauffourées, comme celles de Palerme... Je suis las; je deviens tous les jours plus sceptique» (Rattazzi et son temps, II, p. 487).



414 Jacini lamenta (Sulle condizioni della cosa pubblica) l'estrema instabilità dei ministeri; tanto che si sente da tutti ripetere «che, messi insieme nove uomini, scelti per ciascun ramo della pubblica amministrazione, fra coloro che al governo già fecero men buona prova e lasciati tre o quattro anni alla direzione dello Stato, se ne avrebbero risultati assai migliori che non da un ministero composto da nove geni, ma colla spada di Damocle sospesa ogni giorno sul capo ed esposti ad ogni pié sospinto... alle insidie delle chiesuole parlamentari». – Tant'è vero che fra i deputati si contano ormai una sessantina di ex ministri. I continui cambiamenti «hanno per effetto di indebolire vieppiú il potere esecutivo, di ridurlo incapace a fissare un determinato progresso (che in quanto al metterne poi in atto uno qualsiasi è inutile parlarne) mentre hanno alimentato nel pubblico la credenza che la sala dei 500 non sia altro fuorché una giostra di passioni personali...»

p. 31: «Non essendovi stabilità di governo, avviene che diventino sempre peggiori la pubblica amministrazione e lo stato delle finanze. La cattiva amministrazione e il dissesto delle finanze, rimaste in permanenza e perciò in continuo aumento, ingenerano il disagio. Il disagio produce il malcontento. Il malcontento promuove la nomina dei deputati piú idonei a rendere sempre piú instabile il governo. Quindi, da capo».

p. 80: «Il problema da risolvere in Italia consiste dunque nell'assicurarle un governo forte, senza il quale essa precipiterebbe nell'anarchia: ma conservandole nello stesso tempo la libertà, senza la quale la nostra nazione suol sempre degenerare».

Per sanare la piaga dei governi deboli e effimeri, in Italia, molti sognano la repubblica. Illusione! Altri, un colpo di Stato che abolisca lo Statuto e instauri la dittatura regia.

Jacini (pp. 79 sg.), trova che ciò tradirebbe gli scopi assegnati al Risorgimento e darebbe perciò ragione ai sostenitori dei passati regimi, che sostenevano esser gl'italiani immaturi a un regime libero.

«Il rimedio del ritorno al dispotismo non è un rimedio da medico, bensí da maniscalco di campagna, il quale non sa far altro che recidere il membro ammalato, perché ignora l'arte di guarirlo, conservandolo intatto. Gli Italiani amano un governo forte, egli è vero, ma sono abbruttiti (?) dal dispotismo. E infatti tutte le cose grandi nella storia del nostro paese furono create dalla libertà; e il dispotismo invece o spense od avvilí le migliori doti naturali della nazione...»



415 Jacini (ibid., p. 35), deplora nella sua critica del sistema di governo, non lo Statuto e le sue conseguenze, fortunatamente assicurate all'Italia, ma «il modo affatto esotico per l'Italia» con cui si sono applicati.



416 Jacini (Pensieri sulla politica italiana) critica il sistema parlamentare italiano (che è poi quello piemontese il quale a sua volta è quello copiato in furia nel '48 dal francese di Luigi Filippo) che chiama pseudo-parlamentare.



417 Ma le sedute delle «Società emancipate» posavano addirittura a controparlamento, o meglio a parlamento di un partito (Rattazzi et son temps, p. 617).



418 Un re come Vittorio Emanuele II, che troppo spesso faceva il suo comodo e seguiva una sua politica, attraverso suoi privati emissari (Rattazzi et son temps, II, pp. 325 sg.). Bismack piú d'una volta si rifiutò di parlate con questi inviati del re, negando che un re costituzionale potesse valersi della loro opera.

1871, febbraio, Lanza vorrebbe Rattazzi nel suo ministero; questi però vorrebbe tre o quattro portafogli per i suoi amici, tra cui gli esteri. Lanza: «Cela est impossible, aux affaires étrangères surtout. Le roi est son propre ministre dans ce département-là, et il s'inspire... des correspondances directes et secrètes qu'il entretient avec les ambassadeurs, avec Napoléon (?) et avec dix autres. Cela n'est pas constitutionnel, certes, mais cela n'en existe pas moins. – Oui, malheureusement...» (Rattazzi et son temps, II, P. 407).

Ibid., p. 408, si legge che anche il ministro della guerra in quel tempo era completamente asservito al re, che seguiva i consigli di La Marmora.



419 Notare, fra il '61 e il '66, l'opposizione netta tra i piemontesi, e, specialmente, i tosco-emiliani: caso tipico, gli avvenimenti seguiti alla convenzione di settembre.



420 Jacini (Pensieri sulla politica italiana p. 43) dice che questo fu lo sfogo del regionalismo compresso e non sfogato nel necessario decentramento amministrativo.

Il primo esempio di un ministero equilibrato regionalmente lo dette Cavour, marzo 1861, ricorrendo a ministri d'ogni regione d'Italia.

Per avere un'idea della diffidenza che ancora nel '70 divideva i nordisti e i sudisti, si veda il colloquio tra Vittorio Emanuele e Rattazzi, autunno 1870, in cui Rattazzi fa le piú fosche previsioni basate sulla sua sfiducia per gl'italiani del mezzogiorno (Rattazzi et son temps, II, pp. 424 sg.).



421 Non mi pare esatto quanto scrive Jacini (Pensieri sulla politica italiana, p. 15) che «l'indirizzo del governo italiano, fra la metà del '59 e la fine del 1866, era prestabilito nelle sue linee principali. L'indole di quel governo doveva consistere in una specie di dittatura, assunta, con assenso istintivo della moltitudine, dagli uomini che, nelle diverse classi colte, erano in grado di formarsi un'idea piú netta della situazione eccezionale del paese». Non vedo né la dittatura né l'assenso istintivo. Idee simili nelle sue Condizioni della cosa pubblica, 1870.



422 Studiare le elezioni del febbraio-marzo 1867, imperniate sul diritto di riunione, violato da Ricasoli.



423 Rattazzi et son temps, II, pp. 24 sg., si dice veramente che il ministro dell'interno, Natoli, «se mêla des élections... en faisant sentir son influence aux préfets, aux syndics et aux magistrats... La majorité antipiémontaise de Turin fut battue... En somme, un tiers de l'ancienne majorité ministérielle resta sur le carreau...» E ancora (p. 34), a proposito delle dimissioni di Natoli il quale «avait perdu la partie aux élections par l'excès de zèle qu'il y avait apporté».



424 A questa evoluzione costituzionale della Sinistra molto giovò Rattazzi; glielo riconobbe, dopo morto, lo stesso suo nemico Bonghi (Nuova Antologia), Riflessioni in Rattazzi et son temps, II, p. 579: «On lui doit de voir le parti radical le plus forcené ramené à l'obéissance des lois et au respect du droit. Lorsqu'il fut au pouvoir, ce parti lui rendit toujours difficile l'exercice de ce pouvoir; et il ne lui arriva jamais d'être ministre sans que quelque grave désordre ne survint...»



425 Lasciamo andare, per carità di patria, quel che diceva suo padre!



426 2 gennaio 1866, a Firenze, attentato contro Sella.



427 Lo stesso Rattazzi, nel 1871, diceva «disastrosa» la politica finanziaria di Sella (Rattazzi et son temps, II, p. 408).

A che non arrivò la propaganda di stampa repubblicana sotto il ministero di quel «reazionario clericale» di Menabrea (1868). Incitamento all'insurrezione, necessaria per fondar subito la repubblica in Campidoglio; impulso alle sommosse di Milano, Palermo, Roma (Petruccelli della Gattina, Storia d'Italia, p. 43).



428 Critiche di Jacini, Pensieri sulla politica italiana, pp. 44 sg., sulla stampa – che, assodata l'unità, tese a sviare la pubblica opinione dalle questioni serie e abituò il pubblico a considerar la politica un teatro di virtuosismi.





Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License