XLVI.
Mi
volgo da ultimo ai giovani, e dico: vedete in questo granello d’arena
ch’è il nostro pianeta, quanto di regioni e di secoli
ingombro di selvatichezza o di barbarie, o di civiltà schiava
e tiranna: vedete ne’ pochi luoghi e ne’ tempi meglio
civili, che pruni d’gnoranza, che frane d’errore, che
ruine di ruine; quante miserie colpevoli, quante meschinità
atroci, quanti odii senza provocazione, quante stragi senz’odio,
quanti misfatti senza pretesto, quante ruberie senza lucro. Vedete
negli ordini sociali più privilegiati, negli uomini di cui la
storia più si rammenta, quanta mediocrità e quante
macchie: vedete tra gli eletti di tutta la specie in quanto pochi la
grandezza della virtù sia pari a quella del grado, la forza
dell’ingegno alla forza della virtù, alla purezza delle
intenzioni lo splendore de’ fatti. E quando, per miracoloso
concorso del Cielo e della terra e della umana volontà, voi
rincontrate alcun uomo nel quale due o più di coteste alte
doti si trovino conciliate semplicemente, perseverantemente per
infino alla morte, gioite e inchinatevi. Non è frequente
siffatto spettacolo, e non c’è pericolo di sprecare
l’ammirazione. Nelle minuziose censure avrete assai occasioni a
esercitare lo zelo e l’ingegno; le severe indagini serbatele in
prima a voi stessi, serbate il coraggio contro i pregiudizi
prevalenti, contro le passioni minaccianti de’ pochi e de’
molti, laddove il coraggio è virtù vera e glorioso
pericolo: ma nella persecuzione o nello spregio de’ pochi che
son buoni insieme e grandi non cospirate con gli stolti che non
intendono, con gl’inerti che temono gli esempi del meglio, co’
maligni che fraintendono, con gli abbietti a’ quali è
altezza l’altrui depressione, con gli stranieri che al vedere
calpestati da voi i pochi nomi che e’ cominciavano ad onorare,
si ricrederanno con gioia e intuoneranno più audaci e quasi
trionfanti le loro maledizioni. Non iscuorate i dubitanti, non
affliggete i buoni, non disperate di coloro che tuttavia sperano
della patria e della umanità: ve ne prego per amore e per
pietà dell’Italia, per rispetto e per carità di
voi stessi.
FINE.
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