XV.
Prima
del 1825 egli aveva già formato e svolto nella mente il
concetto del Nuovo Saggio, dal quale concetto tanti altri dovevano
generarsi, ma con lor propria vita, e stanti ciascuno da sè,
talchè anco chi neghi o dubiti la verità del principio
in quanto criterio di tutto lo scibile, può senza
contraddizione accettare tant’altre idee del Rosmini splendide,
e può dire che a quelle se il suo principio non è
ragione, è stato occasione: e ognun sa quanto le cause
occasionali siano feconde, e come concordino con le finali in
misteriosa armonia. Questo dico per concedere a’ dubitanti; non
già ch’io neghi la convenienza del principio con le
conseguenze. E avendone fin d’allora sentito muovere parola al
Rosmini, e fattone in certe mie note un cenno, ritrovatolo dopo anni
molti, pensai e scrissi d’avere indovinata in ombra l’idea
del Rosmini; ma poi, rammentatomi da un comune amico il vero
riconobbi l’errore innocente e la vanità di quel vanto,
e me ne chiamo in colpa, ancorchè niuno me n’abbia fatto
rimprovero o se ne sia forse avveduto. Il sunto che io feci d’alcune
tra le tante capitali dottrine del Nuovo Saggio, e quel ch’altri
ne disse, e quello che più potentemente egli stesso, non fa
che, a comprovarne la verità e la bellezza, molto non resti da
dire. Ciò che del legislatore dice con lode sovrabbondante il
Poeta, D’entro alle leggi trasse il troppo e il vano,
più giustamente può dirsi del Rosmini il quale, notando
quel che di soverchio i filosofi concedevano alle facoltà
congenite della mente, e quel ch’altri detraggono da essa
facendola monca ed impotente, ridusse la questione e la scienza a’
suoi limiti veri. Quand’altro in quest’opera non ci fosse
di grande che la sì lucidamente dimostrata concordia delle
idee di possibile e di necessario, d’indeterminato e di
generale, di simile e di comune, d’imagine e di specie;
basterebbe ciò solo a chiamarlo scopritore, illustratore de’
segreti dello spirito, e insigne storico dell’umano pensiero.
Le idee appurate e ampliate della similitudine e del genere
illustrano la dottrina de’ segni e de’ nomi; e lo fanno
degno erede del Vico, il quale egli, senza servilmente seguire,
onorava con libertà d’uguale e d’amico, e nelle
viscere della parola interrogava il segreto delle cose; e fin da
giovane delineava sulle radici ebraiche un lavoro, perdutosi, da
illustrare la Genesi; e de’ significati potenti di ricca unità
che sono ne’ suoni di quella lingua ragionava a me da poeta.
Le
obbiezioni mosse contro la dottrina del Saggio risolvonsi non
solamente con le risposte da lui date e con gli altri suoi libri, ma
col Saggio stesso, chi bene ci pensi. Se non che gli avversari,
invece di affrontare l’idea principale e provarsi di
combatterla, se potevano, direttamente, e poi prendere a una a una le
argomentazioni che la sostengono e con ordine confutarle, fecero il
libro in brani: altri non solo con buona fede ma con cortesia
riverente, altri in altra maniera, usando, fra gli altri artifizi, di
quella dissimulazione de’ luoghi che il Rosmini nel suo
Galateo de’ Letterati, prima di farne in sè
troppo duro esperimento, notava.
Uno
de’ suoi avversari, fra gli errori che gl’imputa, non
concede al libro suo altro di buono che l’osservazione del
sentimento fondamentale: ch’è veramente cosa
notabile; nè da certi suoi censori, a strizzarli, si
spremerebbe tanto: ma chi medita, vede ch’in quel libro è
ben più. Il fondarsi che il Rosmini fa sulla distinzione della
cognizione diretta dalla riflessa, della necessaria dalla
volontariamente negabile, e il dedurne con virtù creatrice
tante conseguenze importanti all’origine delle idee e alla
moralità delle azioni, non solo giustifica la sua dottrina, ma
n’è lode grande. E il congiungere ch’egli sempre
faceva la moralità coll’idea, il non scindere l’anima
umana come i più de’ filosofi sogliono (simili a que’
fisiologi che studiassero in sola una parte degli organi corporei la
vita), è prova d’animo retto insieme e di forte
intelletto; giacchè ogni dirittura di movimenti rende la forza
vieppiù efficace, e ogni forza, trovando ai movimenti la via
più diritta e facendosela, li fa più veloci. Le
osservazioni su i fatti della vita mentale e morale e corporea nelle
sue opere sono tante e sì nuove, che quand’anco non si
volesse stimarlo come trovatore d’una generale dottrina che dia
le ragioni delle cose, sarebbe giustizia ammirarlo come psicologo e
moralista sommo. Dico che l’osservazione de’ fatti, alla
quale il Jouffroy e altri moderni dànno meritatamente gran
peso, ma più la raccomandano che non l’adoprino, della
quale i sensisti declamano rettoricamente e poi la trascurano con
leggerezza appena scusabile in rètore, è a lui non
vanto ma gloria vera: e dimostra come gli accidenti della vita più
estrinseci rimangono non solo inesplicabili ma impercettibili a chi
non s’addentri nell’intimo. E di qui viene che
l’esposizione di essi fatti è nel Rosmini limpida
quantunque profonda; anzi, perchè profonda, limpida. Di qui
viene ancora che le sue dottrine, quantunque sì ampie,
possonsi raccogliere con precisione e senza contraddizione veruna in
brevi massime generali; cosa che di pochi pensatori, anche grandi,
può farsi, e che pochi di loro avrebbero potuto fare da sè
se ci fosser provati, nè senza cagione tralasciarono di
provarcisi. Dove all’incontro i pensacchiatori mediocri, i
raccozzatori o travestitori delle idee altrui, tirano innanzi per
lunghi capitoli, per interi volumi, senza fermare l’assunto,
senza ordinare le prove, senza conchiudere nulla, facendo di quegli
andirivieni e di quelle disgressioni, una rete, forse più che
al pensiero de’ lettori, al proprio pensiero.
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