XVII.
L’ordine
ch’egli segue ne’ suoi trattati, non sempre il
perfettissimo prova anch’esso però la chiarezza e il
vigore di quella mente; ed è tutt’altro da quel lavorìo
che taluni ammirano ne’ Francesi, i quali sono meritatamente
lodati per l’arte di comporre libri in modo chiaro e facile a
leggere; ma non sempre corrisponde la profondità alla
chiarezza, la sodezza alla facilità. La facciata del loro
edifizio è sovente d’architettura regolare, ma non
sempre le parti interiori si convengono con la facciata. Nel Rosmini
l’ordine stesso delle idee manifesta la loro pienezza: le
suddivisioni precise insieme e feconde, non isminuzzano; le tavole e
i sunti raccolgono, non dissipano, la mente. Per riposarla, e perchè
ciascuna delle dimostrazioni importanti s’abbia la sede
propria, egli si ferma di tanto in tanto, e comincia un capitolo
nuovo e lo intitola continuazione: poi, fatto un buon tratto del
cammino, si volge indietro a misurare con l’occhio la via e a
mostrare dall’alto a’ suoi compagni il prospetto
soggiacente. Le sue ricapitolazioni sono insieme sunti di quel che
resta a vedere, e preparano a nuove cose l’intelligenza. Se
nelle note talvolta gli viene gettato qualche concetto che meglio
andava nel testo: se verso il termine del suo viaggio gli accade di
dover additare cose alle quali meglio era fermarsi quando ci si
passava vicino: cotesto sempre novello svolgersi del suo pensiero,
cotesta quasi prodigalità attesta la sua grande ricchezza, ed
è difetto de’ rari.
A
riconoscere quanta sia questa ricchezza, non c’è che da
prendere i titoli e gli assunti di ciascun capitolo, di ciascun
articolo dei suoi libri, e raffrontarli con quanto contengono le
opere filosofiche d’antichi e moderni più meritatamente
celebrate. Quand’anco la soluzione delle questioni non paresse
così retta e nuova come forse parrà agli avvenire; il
pur còrre questioni nuove, o le vecchie e l’una con
l’altra intralciate, distinguere, ch’è una
innovazione più difficile e più benefica forse; pur
questo solo avrebbe ampliati i limiti della scienza, affinati gli
organi alla vita dell’umano pensiero. Ognun sa come il
discernere dove stia la difficoltà, sia la prima condizione
del poter superarla; ognun sa come la storia della filosofia si
componga di questioni nuove che fa l’uomo a sè stesso, o
di presentate in modo nuovo, che coll’insolito prospetto
riscuotono l’attenzione languida, e aggiungono alla ricerca del
Vero la grata ansietà del dubbio onesto e il pungente
sollecito della curiosità; come in questo sia il pregio
principale della dottrina Socratica ammaestrante più con le
interrogazioni che colle affermazioni; come Cristo stesso sovente
istruisca interrogando; come nella domanda fatta bene, la risposta si
trovi meglio che in germe racchiusa. Il Rosmini, più
potentemente di Socrate, fa da levatrice al pensiero, perchè
non solo sovviene al parto, ma alla formazione del concetto, e i
concetti nati in luce difende e alimenta. Si paragoni il dubbio
socratico perfezionato dal Rosmini, dubbio che conduce a certezza,
colle asseverazioni del Bentham e degli uomini del secol passato, de’
cui principii il Bentham non fa che mostrare con vanto sincero lo
scheletro arido come bellezza suprema e soprabbondante di vita. Si
paragoni quel poco che il Rosmini come per digressione accennò
delle sue idee cosmologiche con quanto ne ragiona di proposito
l’Humbolt, uomo di sì ricco ingegno, di sì ricca
esperienza e dottrina; e vedendo come da quella accumulazione di
fatti il Tedesco non sappia o non voglia dedurre alcun principio
fecondo, e nè anco di quelle leggi di seconda e di terza mano,
la cui vista parrebbe possibile anco alle menti orbate d’ogni
credenza, parrebbe anzi impossibile che non l’abbiano; e si
sentirà di che doti abbia Dio forniti gl’ingegni
italiani, non per inorgoglirne ma per tremare del facile abuso, e per
ammirarle in chi più risplendono; si sentirà quanto
aiuti la tradizione umile della fede ai voli animosi della scienza;
si sentirà più dolore che il Rosmini sia morto innanzi
d’esporre sul grande argomento delle leggi cosmiche le idee che
fin dalla giovane età meditava. Le quali avrebbero vie meglio
dimostrato quanta poesia s’ascondesse ne’ pensamenti di
quell’anima austera: poesia che, anco quale traspare dalle
opere che ne abbiamo, se già non fosse grazie al Cielo passata
la stagione de’ poemi didattici, offrirebbe materia a ben più
sereno e più imaginoso e più affettuoso poema che non
sono quelli di Lucrezio gentiluomo romano, del Polignac principe
Cardinale della Chiesa di Roma, e dello Stay gentiluomo raguseo e
segretario de’ principi della Corte di Roma. Il Rosmini, che fu
cardinale e non fu, ma non fu mai cortigiano se non di principe
scaduto, gentiluomo povero nella ricchezza, e veneratore della
sventura dovunque ella fosse; il Rosmini è più poeta
nella filosofia che ne’ versi, e più nella vita che
nella filosofia: e lo dimostra, fra le altre cose, quant’egli
dice dell’applicare l’imaginazione, nella sua potenza più
affine al sensibile, ch’egli chiama sensi immaginarii, alle
meditazioni religiose; quello ch’egli ragiona intorno alla
fantasia, e in ispecial modo intorno alla vita della materia che a
noi pare inanimata, alle leggi degli enti e alla loro armonia.
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