XIX.
Se
giovi fin da’ primi anni scrivere non per mero esercizio e
senza scopo virile d’utilità, ma con proposito di dar
fuori i propri pensieri; o se giovi piuttosto attendere l’età
matura per uscire alla luce, non è cosa che si possa fermare
con norma comune a tutti i tempi ed ingegni: perchè tale è
maturo nella prima giovinezza, tale ne’ più tardi anni
acerbo. Ben credo sia lecito dire che gl’ingegni non vani i
quali incominciano di buon’ora ad avere per le stampe colloquio
con di molti, possono di qui stesso obbligarsi più
strettamente seco medesimi a curare il pensiero e lo stile; dove
coloro che differiscono, risicano di sempre rimandare al domani le
cure debite all’oggi, e nella loro modestia può
nascondersi negligenza, nel ritegno loro può essere orgoglio
più che nella corrività di quelli altri non sia vanità
ed arroganza. Fatto è che di grandi uomini abbiamo esempi i
quali sin dal primo affidandosi alla luce pubblica diedero saggio di
sè memorando; e d’altri de’ quali le prime prove,
ancorchè men felici, giovarono a ricevere consigli e
rimproveri in tempo quando la mente docile ed agile poteva
profittarne per volgersi a meglio. In que’ pochi che tardi si
misero in cammino, sentesi nella pienezza stessa del vigore un che
d’incerto e non franco; che se nelle opere di poi non appare,
anco questa è prova che s’eglino cominciavano prima, si
sarebbero perfezionati anche prima. Al Rosmini giovò, cred’io,
da’ prim’anni scrivere per la stampa; sebbene si venisse
poi più e più maturando infino all’ultimo della
vita. Più assennati che di giovane erano i giudizi di lui
sugli autori, ne’ quali egli cercava l’accordo di tutte
insieme le facoltà della mente e i doni dell’arte, dico
il raziocinio e la fantasia, l’erudizione e l’affetto, la
severità e l’eleganza. E non è vero che la
fantasia a lui mancasse, che aveva libero il capo da quella
fantasticheria di fantasmi tra grossolani e vani dietro a cui corrono
i ragazzi barbuti, scolari infino alla morte: ma la potenza del
ragionare e dell’amare non può mai dividersi da quel
vigore d’immaginazione che riflettendo genera, rappresentando
ricrea, ed è una specie di visione luminosa e di apparizione
rivelatrice, siccome suona lo stesso vocabolo fantasia.
Senonchè uomo anche lui e giovane, l’esagerazione di
taluno di questi pregi in altrui non l’offendeva allora tanto,
e la bontà della intenzione gli velava i difetti. Il che però
non nocque al suo scrivere quanto a minore ingegno sarebbe nociuto.
Il
dettare ch’egli sin da giovane fece, ha le sue comodità
in quanto delibera l’attenzione dalla material cura del seguire
con l’occhio l’opera della mano, e risparmiando quella
fatica de’ muscoli che nell’intensione degli organi tutti
diventa a lungo andare penosa, serba intere le forze alla mente; ed
anco perchè gl’intervalli fra l’uno e l’altro
inciso dettato, il pensiero li empie con la comprensione delle cose
precedenti e delle susseguenti, e nell’atto stesso del lavorare
ha riposi; e finalmente perchè il leggere tutte di filo le
idee deposte in carta alla fine, aiuta a meglio vederne l’ordine,
le soprabbondanze, i mancamenti, e quasi cosa altrui giudicarle. Ma
d’altra parte il dettare ha inconvenienti, perchè la
presenza d’altra persona, per intima che sia, ad ora ad ora
diverte l’attenzione; e perchè quel vedere pendere dal
tuo labbro la mano che non è tua, ti fa per riguardo altrui
impaziente di quelle pause che si richieggono a raccorre il pensiero
e a vibrare con più impeto la parola: onde il dettare tiene in
questo rispetto dell’improvvisare, esercizio che se talvolta
riscalda e ispira, talaltra fa parere troppo scusabili le negligenze.
E sebbene le cose scritte a quel modo possansi correggere e rifare
poi, l’uso dell’appigliarsi alla prima parola che corre
alla mente, del contentarsi, del rimettere il meglio a cosa già
fatta, del non esercitare in quell’atto stesso la meditazione e
la coscienza e la lima, risica di rintuzzare quel senso della
perfezione che fa gli scrittori grandi e gli scritti immortali. A’
già consumati nell’arte cotesto è più
tormento che danno; ma ne’ giovani può diventare
pericolo tanto più grave quanto lo sentono meno. E anche qui
si riconosce, come l’essere poveri, il non poter avere
segretari, il dovere servirsi da sè, possa essere benefizio di
Dio provvidente.
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