XXIV.
Che
il suo zelo non fosse fosco nè torbo, lo dice la Storia
dell’Amore,
che non è dell’età sua più piena; ma pure
è conferma a quel detto di lui, che amore
è d’indole ingegnosissima,
giacchè nella stessa legge vecchia egli segna il sentiero che
viene l’amore aprendo a sè fra i triboli dell’odio
superbo ond’era ingombra la terra. La libertà egli vuole
effetto d’amore, al contrario di tanti che la fanno irta di
diffidenze, non forte che a repulsioni, scomunicatrice perpetua, e
essa stessa anatema vivo. Divisi,
dic’egli, dal
vero e dal falso amore, i buoni tuttavia amano i loro nemici;
e nello stesso amore ritrovano soprabbondante il compenso. Agli occhi
suoi un pregio, e non grande, dell’animo, dell’ingegno,
dello stile, compensava difetti molti: e cotesta necessità di
stimare e d’amare era in lui non solamente generosità ma
natura, nè detraeva alla saldezza de’ suoi principi e
alla purità degli affetti. Quello che dice lo stoico del
Sapiente, egli in sè l’avverava: Allora
nascerà quel bene inestimabile, la quiete e sublimità
della mente in sicuro collocata; e respinti i terrori, la gioia
grande e immota nella cognizione del vero, e la bontà e
effusione dell’animo4.
Egli
teneva che il mancare della carità impiccolisce il cuore e
il pensiero; che i seminatori di dubbio sono crudeli
all’umanità; e siccome alla scienza sottometteva la
fede, così alla virtù posponeva l’ingegno. E per
l’ardente amore del Vero, egli sin da fanciullo si passionava
della lettura, e varie ne faceva ogni giorno, disponendo sulle
seggiole i libri aperti, e ingiungendo a se stesso il numero delle
pagine per conciliare l’ordine colla varietà; e se la
madre sopraggiungeva temendo delle prolungate sue veglie, esso con
rispettosa amorevolezza le accennava delle dilettevoli cose ch’erano
in que’ libri, come per invaghirne lei stessa. E sempre lo
studio gli fu bisogno della mente e dell’animo: e non pertanto
egli si staccava dallo studio con coraggiosa vittoria per le opere di
religione e di carità; e carità stimava anco il
soddisfare agli amici. Ne’ quali la virtù gli appariva
onoranda più che l’ingegno, e anche senza l’ingegno:
e solo l’aspetto della virtù aveva forza d’intenerirlo,
intenerirlo fino alle lagrime. Di questa riverenza alle doti del
cuore e del libero arbitrio darebbero documento le più che
diecimila sue lettere, delle quali, scegliendo l’importante
alla scienza e alla storia morale del tempo e alla storia dell’anima
sua (giacchè nell’anima d’un uomo raro sono più
insegnamenti e più consolazioni che non negli annali
sanguinosi de’ popoli, e in quel ritratto è più
ideale che non negl’ideali fittizi), ci sarebbe da fare
parecchi volumi. La sua predilezione al Vero che compie se stesso nel
Bene fu coronata di premio in quanto che più dalla meditazione
egli attinse di verità che da’ libri, e quindi gli venne
dottrina più originale e più sua; e nella preghiera gli
s’ingrandiva a concetti nuovi la mente, i quali egli chiamava
elemosina a lui fatta da Dio.
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