XXIX.
Non
sarebbe il Rosmini entrato, cred’io, in lunga guerra per
comprovare quant’egli nella Logica disse dell’Hegel
con parole a dir vero acri troppo e al Tedesco e a’ pochissimi
italiani seguaci di lui; non però più severe del
giudizio che, senza prove nè citazioni ma non senza ragione,
ne porta nel Rinnovamento il Gioberti. Un difensore ingegnoso
dell’Hegel, dimenticando il Gioberti, raccolse i detti del
Rosmini severi, non badando a quelli che in parte li temperano.
Perchè l’Italiano filosofo attribuisce a’ Tedeschi
forza d’astrazione; e dicendo le corone
dell’Hegel intrecciate dalle mani della candida gioventù,
non usa ironia, se quell’entusiasmo confessa essere
generoso. Ma l’arguto difensore, notando nella versione
dal Rosmini data di alcuni passi dell’Hegel una qualche
improprietà, o se così piace, sbaglio, non riuscirà
a dimostrare che quegli non abbia inteso lo spirito e le conseguenze
della dottrina hegeliana; le quali son dimostrate e dalla stessa
traduzione corretta, e dalle più compiute citazioni
dell’egregio seguace, e da quel che i discepoli e il maestro
dicono, e da quel che non si saprebbe nè in italiano nè
forse in tedesco spiegare in linguaggio comune agli uomini tutti
parlanti la lingua, senza che troppo manifesta apparisse la stranezza
delle deduzioni che ne verrebbero alla pratica della vita. Dico che
il Rosmini non si sarebbe lungamente intrattenuto su ciò, sì
perchè la dottrina dell’Hegel non può pigliare in
Italia, sì perchè l’esperienza gli aveva ormai
troppo bene insegnato che all’errore, cioè alla non
compiutamente veduta o non bene applicata verità, meglio
riparasi col mostrare la verità compiuta e le sue applicazioni
rette, che non col combattere il contrario; gli aveva insegnato che
gli avversari più efficacemente si vincono col non correre
loro addosso nè dietro, ma col moltiplicare il numero degli
amici.
|