XXXII.
Giacchè
l’ordine del discorso ci ha condotti alla vita attiva del
Rosmini, sarebbe qui luogo a dire com’egli abbia applicati i
suoi principi alle cose civili: ma questo è argomento che
darebbe pretesti a frantendere a coloro delle due contrarie parti a’
quali lo studiosamente frantendere per utile e bello. E lo stesso
Rosmini, che fin ne’ libri di filosofia pura allargandosi nel
dilucidare e confermare le idee principali, non si prende cura di
tutte dedurne le conseguenze fecondissime, ne’ libri di cose
civili si tiene non senza ragione ancora più parco. Ma chi
sappia meditare su quanto egli dice del fine determinato e
degl’indeterminati delle umane società, della ragione
speculativa e della ragione pratica d’essa società,
delle facoltà di pensare e d’astrarre guardata non in
tale o tale uomo, ma nell’intera società quasi uno
spirito solo; de’ poteri essenziali necessari alla vita di lei,
un de’ quali se manchi, non è formata la vita; della
legge di provvidenza ch’egli riconosce nel sociale andamento,
legge di continuità insieme e di varietà; di quella
norma altissima del minimo mezzo, posta dalla natura a tutte
le cose; dell’analogia ch’è parte di prudenza
nell’arte del governare; del non si dover confondere il
processo della civiltà con le passeggere questioni de’
luoghi e de’ tempi; chi ripensi alla sua sentenza che la
società universale del genere umano è il primo
rudimento d’ogni altra società, e ogni altra società
deve essere volta a perfezionarla e compirla; e all’altra
sentenza, corollario di questa, che la società domestica e
quelle che troppo tengon di lei, ancorchè necessarie alla
civile, se non si accentrano co’ cerchi più ampi, la
fanno debole e disfanno sè stesse; che le leggi civili debbono
aver per iscopo l’amore, che quindi non solo il tristo senno
del Guicciardini e de’ pari suoi è alle nazioni
calamità, ma che la stessa legge romana, stata per secoli la
norma del giusto, è con tutte le parti ch’ell’ha
di sapienza, insufficiente a’ popoli cristiani; chi considera
quell’altra verità strettamente connessa alle
precedenti, che la civiltà vera provvede al bene degli uomini
singoli e non solamente alle moltitudini in massa con discapito e
disprezzo de’ singoli, che e a questi e a quelle son differenti
le misure come di capacità così d’appagamento; e
che il troppo ragguagliare è tirannide; che il ledere la
persona tentando privarla della proprietà del vero e della
virtù è tra le offese la gravissima e politicamente la
meno contata; quegli riconoscerà che l’ideale politico
del Rosmini è ben più sicuro di quello de’
politicanti retrogradi, se pur hanno ideale costoro, ben più
largo e alto che quello de’ politicanti che diconsi liberali,
conoscerà quant’egli stia sopra e al Lamennais e al
Ventura, uomini del passato tuttochè camminanti da ultimo in
due versi contrari; com’egli non s’intrometta tra partiti
ma stia sopra quelli, vedendo in ciascuno una qualche parte
accettabile, e agli uni e agli altri offrendo consigli che sono
rimproveri, e, non ascoltati, diventeranno minacce; come nessuna
delle forze vive della nazione egli lasci da parte, ma alle
spirituali conceda maggiore importanza secondo che faceva il senno
italiano, da que’ governi pittagorici e etruschi che
originarono l’antica grandezza d’Italia, alle repubbliche
dal cui cenere l’incivilimento d’Europa risuscitò,
come qui le sue massime di mite austerezza e d’indulgenza
incolpabile consuonassero con la sua vita, della quale può
dirsi quello che scrive dell’amico suo Cicerone con parole che
rendono la grave e amabile armonia delle cose: Ita temperatis
moderatisque moribus ut summa severitas summa cum humanitate
jungatur.
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