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PARABOLE
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La casa ove visse e morì Francesco Carrara è situata sotto le mura di Lucca: fiancate larghe, vani in proporzione, porta capace, andito, largo. Il tempo ha dato all'edificio il tono di una vecchia cassa di castagno; lavorando di fantasia sembra che dei titani abbiano scaricato costì questo colossale dado cementato di pietre. A un paio di metri dallo zoccolo vi è un quadratino di marmo, piccolo piccolo, con su scritto a guisa di indirizzo: professore Carrara.
Nel fondo del Palazzo del Governo spicca il monumento elevato al Grande, assiso sopra un sediolo savonarolesco. All'ultimo piano della Biblioteca Regia è allogato il Museo Carrariano nella severità di un antico coro biblioteca dei frati di Santa Maria Nera. Dentro uno scaffale reticolato il manoscritto del Programma, la toga e il collare. Nel fondo a stampatello romano su carta al tino: «Doveri del difensore»; 1° Studio, 2° Coraggio, 3° Lealtà, 4° Assistenza officiosa fino all'estremo. 1° Studio del fatto e del diritto, 2° Coraggio: Reverenza sì ma timore mai: la viltà è qui delitto; 3° Lealtà: distinzione non positiva ma negativa. Non dobbiamo essere traditori, delatori, aiuti all'accusa, ma neppure falsare con male arti il vero che da noi si conosce; 4° Assistenza: assistenza e conforti usque ad finem. Visite, suppliche, grazie, raccomandazioni ai superiori del carcere; 5° Non venalità: che il ricco ci paghi è dovere, ma quando l'accusato è povero noi dobbiamo usare ugual diligenza, ugual valore. –
Intorno al quadro di queste massime vi sono tavoli di noce tappezzati di manoscritti ingialliti, del tono dell'ossa calcinate. Sull'ultimo tavolo c'è il manoscritto de L'Incendio di Cartagèna: «Tragedia di Francesco Carrara in età di sette anni». Anche la bozza del frontespizio è di suo pugno. Calligrafia vigorosa, tagli corti, inflessibili, le maiuscole adeguate alle minuscole, conseguenza di grafico dominato da una costante forza unitaria. Argomento: Ara, principe di Troja, è innamorato di Annetta, figlia di Oreste, re di Cartagine. Ma la giovine principessa non pare troppo disposta ad assecondare le voglie del sua nobile amatore, il quale se ne duole col padre di lei con sì aspre parole da metter capo a una sfida. Nè basta: irato sempre, si sdegna anche con Marmut, generale del re. Perduta ogni speranza di possedere Annetta, – che egli finisce per reputare indegna di succedere, quando che sia, al padre e di regnare, – muta in odio l'amore e del rifiuto si vendica incendiando Cartagine. All'orrendo spettacolo non regge la pietosa anima della regale fanciulla e corre a gettarsi nelle fiamme. Avrebbe voluto soccorrerla Oresto, capitano di Ara, ma questi glielo impedisce. Ne nasce un combattimento fra i due nel quale il principe trojano soccombe. Data 1812.
Nel 1818 il Carrara vince un così detto «Concorso di premi» con poemetto in rima intitolato: La fortezza di Regolo:
Tu che d'incliti Duci il nome, o Musa,
togliesti a Lete coll'eroica tromba,
onde pel ciel la fama lor diffusa
spezza l'orror della marmorea tomba,
reggi mia voce a poetar non usa.
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Su questi tavoli è teso l'arco di una volontà ferrigna; la parabola della vita, ove il mito ellenico s'avvinghia alla realtà agghiacciante, è tutta trascorsa. «Simmetria logica?» «Arcane parole di Enrico Ferri». Certi fogli di appunti processuali sembrano carte gnomoniche. Da un centro solare (che immagino il grafico della verità) saettano delle rettilinee intatte e punteggiate contrassegnate ai vertici da nomi o da segni cabalistici; altri circoli (le relatività, forse?) sono intersecati in quel ginepraio e alla loro volta proiettano altre linee nello spazio e ombre. Qua e là (l'incubo?) segni graticolati. «Assistenza fino all'estremo. La viltà è qui delitto».
L'intonazione claustrale, che danno al Museo Carrariano gli scaffali della Biblioteca dei frati di Santa Maria Nera, è rotta dal carattere della maggior parte dei cimeli: pene, castighi, morte. A qualcuno parve che mancasse qualcosa in questo coro per chiudere la corona dei ricordi, e fe' proposta che lo scheletro del sommo giureconsulto fosse decapitato e il cranio fosse deposto sul tavolo del suo scrittoio, come fermacarta a guisa di leggere il modulo ingiallito di questo telegramma: «Siate benedetto, il voto di ieri circonderà il vostro già grande nome di eterna fulgidissima luce», ricevuto dal Carrara il giorno in cui il Parlamento votò l'abolizione della pena di morte.
Quest'uomo d'ossatura possente, di muscoli salcigni, di faccia serena su cui spiovevano dei capelli anellati, ombrata dalle grandi ali di un cappello alla pievano Arlotto, stretto il collo corto da una pezzuola di colori a quadri, con una giubba di velluto spigato e un panciotto a due petti, con due brache semitiche congegnate al malleolo da solidi tricciuoli, calzato di pianelle di cuoio e che aveva in pelle in pelle la toga di Giustiniano e d'Irnerio, giunto al culmine della sapienza e della saggezza si beava davanti casa assistendo insieme ai ragazzi di strada allo spettacolo di Ciuccianespole e plaudiva con essi al furioso vendicatore delle ingiustizie.
Che arco ciclopico dall'Incendio di Cartagèna agli entusiasmi per Ciuccianespole pagato di debiti alla moda. Sul frontone di quest'arco ponete pure il bassorilievo in travertino del Programma, affiancate con i paludamenti della Giustizia e della Temperanza, sovrapponetevi a guisa di architrave il librone del Diritto, e giù, dall'un lato e dall'altro, effigiati in visi mortuari stretti tra le morse delle mani, il Diritto Civile e Romano, temi, giudizi e quesiti; ma, sotto, sentirete la voce di lui, che, simile al Titone della favola che valica i secoli senza incanutire e invecchiando ringiovanisce, urla a «Ciuccianespole»: «Ma che argomenti! Contro gli oppositori caparbi e venali, bastonate ci vogliono, e sode! Il mondo è sempre andato avanti a suon di legnate; se le biblioteche e gli archivi divenissero un deposito di nodosi bastoni e in campagna ci fossero più foreste e meno scuole, si starebbe meglio tutti».
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L'ottimo amico e poeta Gabriele Briganti, il quale mi fa luce nell'intrico dei manoscritti e che da trentatrè anni dà amoroso destr-riga alle centinaia di migliaia di libri qui raccolti, non è disposto a fare onore al suo cognome: pende tutto, oggi, e forse sempre, dalla parte del nome. Scorgo nei suoi occhi ceruli che qui un deposito di bastoni ce lo vedrebbe di sopr'occhio cori tutto il rispetto al «professore Carrara».
Scendo tutto d'un fiato lo scalone della Biblioteca e girottolo per Lucca, e per distrarmi leggo tutte le insegne, anche quelle degli avvocati: caratteri di scatola vistosi, lustri, smaltiti, policromi. Mi sono accorto oggi che esistono anche i patrocinatori legali. Ritorno difilato nel cortile del Palazzo del Governo, fresco come un pozzo: il Grande è lì, fermo sul piedistallo, come l'immagine della noia; se non avesse il frac si direbbe che assistesse allo spettacolo di Ciuccianespole o, volendo essere maliziosi, che leggesse le insegne dei suoi colleghi, perchè lo stampo ride sotto i baffi. A proposito dei baffi, un dì il Fornaciari padre, giudice codino, impose al Carrara, prima di iniziare la difesa di un reo, di radersi i baffi perchè quella peluria era indice manifesto di liberalità e non poteva essere tollerata in veste ufficiale.
quando il terribile
del tuo cantor.
Il paziente se ne giustificò così presso l'amata.
Parabole. Dalle tavole del Programma di eloquio biblico si converge verso il bastone di «Ciuccianespole» roteante nel teatrin di legno. Dai versi impennati, alla guisa del Tasso, che La fortezza di Regolo, si devia per una graduazione di sonetti e di odi verso l'elegia dei baffi e delle «comparse» in versi. Corrispondendo con Giuseppe Panattoni, tra loro adoperavano composizioni polimetre: ne trascrivo una dell'avvocato fiorentino all'avvocato lucchese:
O come Domine
non hai rimesso
il tuo processo
che stamattina
. . . . . . . . . .
fu rimesso l'affar dell'Orsina.
Deh! consola il meschino cliente
che indifeso non debba restar.
La sorte combinò al Sommo la parabola più stravagante: la decapitazione in effigie. Lo scultore Passaglia aveva modellato nello studio di Firenze la statua del Carrara che oggi è collocata nel cortile massimo di Lucca, ma quando fu tradotta in gesso non ci fu modo nè maniera di farla uscire per la porta e fu mestieri sottoporla al taglio della testa.
L'albero cade sempre da quella parte che pende.