Lorenzo Viani
Il cipresso e la vite

IL POETA DEI GRASSI

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IL POETA DEI GRASSI

 

 

 

 

 

Pare che anche nel 1833 fossero di moda i Lazzari risorti e le donne allampanate. Un secolo fa era diventata l'ottava meraviglia la donna scarnita e strizzata; ma un pancione, – il poeta Giovanni Andrea Andreini, la pancia del quale era in magistrale plenilunio –, sciolse un canto ai panciuti dell'uno e dell'altro sesso in sestine stravaganti e sonanti. L'occhio, incantatore e maliardo, la guancia rosea come tocca dalle dita rosee dell'Aurora, il seno, il fianco procace, il braccio tornito ed eburneo, il piè che trasporta le fanciulle sui prati solatii, le gambe di veloce gazzella: ogni organo, o parte del corpo, aveva avuto dovizia di canti, ma la pancia era stata negletta e mortificata tra le ritorte della pancera.

Giovanni Andrea Andreini, ben complesso nella persona, sulle larghe spalle girava, con grande dignità, un testone largo come una luna in quindicesima e gli occhi vellutati erano il vivido specchio del suo cuore caldo e affettuoso «Pancia satolla cuore allegro» ed egli, che si satollava a dovere, era oltremodo gioviale e socievole

 

Eccovi il peso, il quale ben mi ricordo

ch'è di libbre trecento undici a lordo.

 

Trecento libbre e undici a lordo, uguale a chili centotrè. Tondo è il ricco edifizio del suo ventre che, nella massima circonferenza, misurava braccia due e un sesto bono, misurato a capello. Tutti fumino plasticati dalla Mano suprema, il magro, il paffuto, il bello, il brutto, lo sdutto, il panciuto, e perchè colui che è rubicondo deve essere argomento di riso e di trastullo? Se qualcuno ha l'aspetto, – da taluno ambito ancora, – il tener l'anima coi denti, a che superbire tanto?

 

Or dunque se madama la natura

con me benigna e liberal mostrossi,

e per risalto dell'architettura

appiccicommi un ventre de' più grossi,

o perchè mi si deve dar del naso,

come fossi un omaccio fatto a caso?

 

Il poeta asserisce che il giorno in cui venne alla luce del sole era roseo e tondo come un putto del Tiepolo, e il parentado e il vicinato stordirono la puerpera con i «mirallegro», in chiave di basso, di soprano e di contralto. Lo misurarono e lo pesarono e lo scrutarono perfino con l'occhialetto, come gli antiquari soglion fare coi quadri d'autore e le medaglie, esclamando in coro: «È una meraviglia!». Ma, ci fu un ma: un maligno, magro all'osso, volle conturbare quella gioia suprema con una considerazione sulla pancina d'angelo un poco rigonfiata. Dopo un sogghigno misterioso e furbo, affermò che un giorno quella pancia avrebbe dato noie e disturbi.

 

 

Con l'andar degli anni, quel pancino diventò una pancia da fattore e l'Andreini ne prese le difese in prosa e in rima. I maligni, magri come paraventi, perfidiosi come gli uncini, dicevano: «La pancia è la disgrazia della vita. La pancia mena molti sulla forca. La pancia latra soltanto quando ha fame. La pancia è un'osteria, dove uno entra e l'altro va via. La pancia è un serbatoio di veleni. La pancia è una divinità senza gambe. La pancia è offensiva per l'uomo digiuno».

Per questi esseri stregati un uomo fornito di gran polpa e di pancia grossa diventa come un nemico dei loro nervi scoperti e tesati, come le corde di un violino. Se raccontate loro che Aulo Persio Flacco, il poeta latino, chiamò la pancia «Maestra d'arti, liberal d'ingegno», vi faranno una risata. Provatevi a raccontar loro che Cesare, imperator romano, ambiva circondarsi di uomini panciuti, i quali, egli narra, non gli davano nessun timore e la lor compagnia era, per il dittatore, riposante; mentre Bruto era magro, torbo e accigliato. Lo negheranno fino all'estremo. L'Andreini si conduole con i suoi simili:

 

Sappiamo in tanto, e ciò per vero s'abbia,

che non è, in corpo pingue, animo storto....

che raro un grasso si ritrova in guai,

e cattiva riuscita non fa mai.

 

Chi è che turba le amicizie con i dissapori, tra dame e cavalieri, armi e amore? «Lo voglio dire, anche a patto mi scoppiasse la pancia», prorompe a un certo punto il poeta dei pancioni «È sempre uno secco come un'arpia. Se nasce una baruffa, e qualcuno esce con un punto interrogativo rosso sul naso, sapete subito, mezzo miglio di lontano, che uno magro arrapinato si è incimentato con uno grasso e lo ha battezzato con delle puntate sul viso».

 

 

Esposte in generale le qualità che son connaturali all'uomo pingue, di cui son piene le antiche e le moderne storie, il poeta elenca tutto ciò che per la pancia nasce e si esprime. Vi avranno più volte raccontato che la plebe romana, ammutinata e ribelle alle leggi, erasi raccolta sul Monte Sacro e venne richiamata «Colla favola sola della trippa, – che l'andò ad infilzar Menenio Agrippa». Perchè sul più bello di una battaglia, più di un fello guerrier, presso alla vittoria, se la scantona e batte le calcagna? «Perchè non ama d'arrischiar la panciaIncontro ad un archibugio od una lancia». Che si dice a uno che vive comodo, tranquillo e beato, seduto tra guanciali ripieni di minuta penna d'oca, con le mani a cintola, supino, con la pancia all'aria: – Il tal vive in panciolle. – Bella vita «uscir da cena, – poi sdraiarsi sull'erba a pancia piena» in mezzo a un prato e chiedere, pacifico, alle costellazioni, palpebranti nel remoto arco del cielo sereno: «Dite, la vita – la toglie Lui, La dona Lui? Parlatetremoli pioppi, lucciole infuocate». Domande che non passano per il capo di chi ha il ventre svuotato, come una zucca frataia.

 

 

Ma v'è di più. Dalla pancia derivano i casati: e la stirpe Panciatica non è stirpe plateale, da tre braccia il franco o da dozzina. Udite: giureconsulto celebre e dottore fu di gran nome Guido Panciroli, reggiano, uomo di vaglia, rinomato per imprese, per sangue, per dottrina. I Panciatichi, fieri ghibellini di Pistoia, città dei lupi, non adatti a serbare la pancia ai fichi, con il loro ardimento misero più volte il territorio pistoiese in desolazione, uomini d'alto lignaggio, d'onore e di rispetto. Fu Cammillo Pancetta, professore, canonico d'alto grido, mitrato, priore e protonotaro. Gran scrittore il genovese Panza; Andrea, ,Giuseppe e Carlo Panciusce furono onor di Lilla e di Cambrai. Teologo Ugo Panciera, da Prato. Cardinale, insigne filosofo, medico e cerusico stimato il Panciera friulano, e Muzio Panza calabrese; e osti celebrati Buzzino, Buzzetto, Trippa; Buzzarò filosofo e mercante.

 

 

«Se il millesettecentottantasei, il 16 di marzo, – continua il poeta, – io venni al mondo e la mia mamma mi stampò fatticcio e polputo, equipaggiato di ventresca e lardo. – Ch'io ne disgrado il carneval lombardo», perchè devo oggi, fatto adulto, vergognarmi a mettere in mostra la mia pancia che, – ho dimostrato, – ha pregio anch'essa, merito ed eccellenza, e a torto il volgo insano la sbeffeggia?». Ognun ricordi che i Cinesi ripieni di sapienza. millenaria, chiusi nella muraglia grande che fa pancia, ossequiano e stimano il Mandarino che ha più pancia, e dalla sua circonferenza misurano il suo talento e la sua scienza.

Bisogna convenire che il poeta panciuto Giovanni Andrea Andreini era un cuor d'oro: il poema La pancia lo scrisse e lo stampò a sue spese, e lo mise in vendita a beneficio totale della gente magra come paraventi, e perfidiosa come uncini.







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