Lorenzo Viani
Il cipresso e la vite

ALL'INSEGNA DI PROMETEO

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ALL'INSEGNA DI PROMETEO

 

 

 

 

 

I tre paranzellari che rinvennero il corpo di Shelley si chiamavano: «Papazzino», il «Generale», ed uno il Baudoni: soltanto l'ultimo si chiamava col suo vero cognome. «Papazzino» fu anche poeta improvvisatore dell'ottava rima. Quando dopo moltissimi anni, seppe che quell'Inglese affogato era un grande poeta si sentì come interessato a descriverne il rinvenimento con minuzia di particolari. – Viareggio allora era quattro case e dieci capanne: bastava fare un passo fuori di casa per intrufolarsi nel mare. Se uno del Messico, del Chilì, del Perù o dell'Uruguay fosse capitato a Viareggio in quei giorni, poteva aver l'illusione d'essere a casa sua. – Ma l'«Inglese» dove fu «straccato»? – nel gergo marinaresco la «straccatura» è il marame; ogni rifiuto che il mare getta sulla riva: forse l'opposto di attraccare? – Dunque dove fu straccato l'Inglese?

– L'Inglese fu straccato proprio nel posto dove oggi c'è il monumento. Io, il «Generale», e il Baudoni ve lo abbiamo sotterrato, e poi dopo tanti giorni vennero da Pisa dei suoi amici, lo scavarono e lo bruciarono.

Se il «Generale» e il Baudoni erano presenti alla narrazione di «Papazzino», assentivano con mugolazioni. Altri marinari davano un'altra versione sul rinvenimento della salma di Shelley. Alcuno asseriva che il cadavere fosse «straccato» a levante, proprio sul luogo ove oggi c'è il «Balipedio». Una cosa sola è certa: che le paranze che ricuperarono la goletta di Shelley erano di un certo Stefano di Antonio Baroni. Il più vecchio giornalista viareggino, Enrico Visco, carico oggi di anni e di acciacchi, ma vivissimo d'ingegno e lampeggiante di memoria, asserisce che il poeta fu arso a «levante» di Viareggio e propriamente dove è ubicato il «Cannone»; quelli che dicono diversamente errano da Shelley a Williams. Infatti quest'ultimo venne cremato con lo stesso rito, il 21 agosto 1822, dalla parte di ponente nei pressi delle «Due Fosse», località rammentata anche oggi con tal nome, e l'indomani 22 agosto di detto anno arse la pira del Poeta su la spiaggia d'oriente – in un punto assai deserto – con la sola assistenza delle autorità di quei tempi: i cannonieri, il capo Simoncini e il chirurgo Nicola Triglia. Questi particolari Enrico Visco di averli appresi da suo padre, Vincenzo, e ,da sua madre, Elisa, i quali li avrebbero appresi dalla bocca di G. D. Guerrazzi a Bastia in casa del loro avo Anton Giuseppe Visco.

 

 

Poco nota è la storia della taverna «Prometeo», che era proprio all'imbocco della popolare «via di Mezzo».

 

Se ti l'animo

d'andar per vezzo

vicino all'angolo

di via di mezzo

vedrai l'insegna

con la lanterna

del «Prometeo»

fatto taverna.

 

Su quei tavoli, sonori come tamburi, dove rullavano pugni e bicchieri è stata martellata l'epigrafe che fu poi murata sulla facciata della villa Magni-Maccarani in San Terenzo. – Da questo portico in cui s'abbatteva l'antica ombra di un leccio – il luglio del MDCCCXXIIMary Godwin e Jane Williams attesero con lacrimante ansiaPercy Bysshe Shelley – che da Livorno su fragile legno veleggiandoera approdato per improvvisa fortuna – ai silenzi de le isole elisee.

O benedette spiagge, ove l'amore, la libertà, i sogni non hanno catene.

Ceccardo Roccatagliata Ceccardi. –

Nella taverna del «Prometeo» dotti e indotti veneravano Shelley: lo veneravano tanto che quando, per tempestose vicende, il «Prometeo si chiuse, ne fecero aprire un'altra che si chiamava addirittura «Shelley». I tavernieri erano geldra varia: da Ceccardo Roccatagliata andavano al «gobbo Carnot»; santi e manigoldi s'impancavano a quei tavoli. Ceccardo declamava estasiato:

 

Rude, vento, che diffondi in suon di pianto

un dolore troppo triste per un canto;

fiero vento che se il ciel di nubi è fosco

fai suonar di notte a morto le campane;

uragano, le cui lacrime son vane....

 

e «Carnot» di sull'uscio urlava spavaldamente ai passanti: – Alto ! Noi siamo i figli di Prometeo!

Ai tavernieri capitavano lettere di Bovio, di Rosadi e di Felice Cavallotti, i quali non ignoravano la «taverna» perchè molte commemorazioni del «Poeta» sono state organizzate al «Prometeo» o alla «Shelley».

Per l'autorevole intercessione del commendatore avvocato Cesare Riccione, che pur essendo allora sindaco di Viareggio qualche volta capitò nelle taverne, il Bovio dettò l'epigrafe per il monumento di Viareggio: «Percy Bisshe ShelleyCuor dei cuori – L'agosto del 1822Annegato in questo mareArso in questo lido – Lungo il quale meditava – al Prometeo liberato – Una pagina postrema – In cui – Ogni generazione avrebbe – Segnato – La lotta, Le lacrime, La redenzione – Sua».

E il Rosadi: «Cari amici. Quante cose sono mutate in cent'anni. Mutata questa spiaggia, dove le strade attestano al nome i suoi termini antichiVia della Costa, oggi remota strada a più di quattrocento metri dal mare placido –; mutate le fortune d'Italia da quando le salme dello Shelley naufrago e del suo compagno Williams straccate [anche il Rosadi usò il gergo marinaresco] a breve distanza su questo medesimo lido, appartennero a due diversi Stati, chè Viareggio e Migliarino erano stranieri tra loro». E il Cavallotti: «Così da oggi le aure della Versilia, che ebbero gli atomi delle ceneri di lui, carezzeranno la bella giovane e immagine di genio tutelare del luogo». Ecco un telegramma di Novaro, della Reale Accademia d'Italia: «Percy Bisshe Shelley, creatura mattutina armoniosa d'amore e di luce destinata agli spazi ai silenzi alle solitudini sacre, giunta con smarrita gioia ai margini dell'infinito».

 

 

Oggi tutto è sparito. Morti «Papazzino», il «Generale», il Baudoni, sommerse dalla Viareggio nuova le taverne «Prometeo» e «Shelley». C'è rimasto il monumento, onesto di plastica, modellato da Urbano Lucchesi, morto anche lui. Una ferace esplosione di palmizi lo occulta ai passanti distratti che transitano sul viale degli oleandri. I rovesci di pioggia hanno slavato l'epigrafe, il salmastro ha ridotto come di basalto il busto.

A volte ai gradini si avvicina come ad un altare l'avvocato Cesare Riccione, colui il quale volle che il suo paese ricordasse «l'approdo maestoso», e tenta leggere l'epigrafe ch'egli ha stampata nella memoria, poi si allontana con passo lento come assorto in quel che scrisse il Carducci. «Con tutto ciò gl'Inglesi non han fatto, ch'io sappia, monumento a Shelley. Riparano gl'Italiani: s'è pensato di farlo a Viareggio».

Se il Riccione non fosse libero d'orgoglio potrebbe riflettere: ci ho pensato io. Ma ecco che egli si ridesta dalla meditazione; quasi automaticamente si è ridotto a casa, nel cui interno la signora Kraceniski mormora un canto con accordo di musica: «Musica, chiave d'argento della fontana delle lacrime dove lo spirito beve fino a che il cervello si smarrisce soavissima tomba di mille timori, dove la loro madre, l'inquietudine, come un fanciullo che dorme, giace assopita in mezzo ai fiori».... Son parole e musica di Shelley.

 

 

Il mare, da giorni e giorni, rimbomba da Luni a Populonia:

 

Oggi è il suo giorno. Il naufrago risale,

che venne a noi dagli Angli fuggitivo,

colui che amava Antigone immortale

e il nostro ulivo.

 

Il sole che si tuffa rosso pare un rogo con crepitìo d'onde: la testa dell'«Inglese protestante» par quella di Farinata,

irraggia aria di gloria.







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