Lorenzo Viani
Il cipresso e la vite

DA MERCATALE A DIANELLA

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DA MERCATALE A DIANELLA

 

 

 

 

 

Nella conca empolese, l'altro ieri, l'estate pareva dissepolta da certe crepe arsite di queste prode alluvionali. Il ciglione dell'Arno, insanguinato dai cesti dei salicastri, abbatteva la sua ombra celestina sul bianco lattato della via maestra. Un frate francescano, nel sole, cuoceva i toni trotati del saio logoro e la pelle del viso fatta di terre come nei freschi di Andrea del Castagno. Con le suole ferrate dei sandali piallava fortemente la via. Forse un cercatore?

– Cosa cercate, padre, in questa valle? – chiedo.

Acqua, – ha risposto il padre, ed aprendo il mantello di pannolana ha tratto da una borsa la sua carta da visita: Fra Ermenegildo Parolai O.F.M. Rabdomante.

– E io cerco la casa del Fucini.

Ha risposto un oprante che brucava le fronde di un olivo: – Guardi, signoria, la chiesetta dov'egli è sepolto per poco non si vede: è dopo quel poggio; la villa che vede qua, a man dritta, tra 'l folto di quei cipressi, è Mercatale: abita sua figlia.

Automobili padronali cornacchiano lontane. Un cavallo sagginato, passato pochi momenti avanti, aveva lasciato, – ricordate la tragica novella Questione d'interessi? – come allora quel che i cavalli soglion lasciare nel mezzo alle strade. Le passere bisbigliano sulle braccia stecchite dei pioppi. Un uomo scarno, con una corta pala e un corbello, razzola sul concio; ma non guarda in cagnesco, chè è solo, e nessun altro gli contende quella roba che raddoppia il campo.

Il rabdomante è salito su di un poggio e un'occhiata dominante a tutta la conca empolese: da Cerreto Guidi a Dianella, e conclude che queste terre son magre d'acque correnti.

– Tuttavia sondiamo.

Il padre toglie dal cappio della penitenza una vetta di giunco, qua e troncolata, e se l'annoda, pei capi, alle mani e a passi lunghi ed uguali misura una «scassata». Ogni poco si ferma, perchè la vetta s'incurva e svetta: segno manifesto che giù, a dieci o a venti metri, v'è acqua corrente.

Sotto Mercatale dicono che polla acqua, e il padre traverso i campi s'avvia .

Io salgo un viale cipressato come quello di Bolgheri, ma ai lati non v'è desolazione maremmana: piane salienti, vigneti già sulle spesse calocchie, bovi bianchi come nuvolette scese dal cielo in terra, fiamme di pagliai; su, nel mezzo a una collina incenerita, si scorge una casetta rossa fiammata dal sole: è quella di Leonardo; da un greppo rossastro spuntano i lecci di Dianella.

Una spalliera di rose rosse e gialle, che questo tepore tien vive, nasconde la villa di Mercatale ombreggiata da altissimi cipressi.

Insospettati accordi musicali rompono il silenzio.

I viandanti sostano ai cancelli dei «padronati»; io son passato perchè il cancello di Mercatale era spalancato.

La signora Rita, la figlia di Renato Fucini, mi accoglie a cuore aperto. Ho rivisto il baleno degli occhi di lui e la sua cordialità espansiva.

Gli accordi musicali non s'odono più, il silenzio è rotto da un subisso di toni cromatici: quadri ovunque. Tutti belli: macchiaioli di prima scelta.

– Quanti ritratti di lui!?

– Li osservi: questo faccia conto che sia qui lui in persona – e la signora mi indica un vigoroso dipinto di Michele Gordigiani in cui Renato Fucini è raffigurato con in capo una «buffa», quel berretto di pel gattino fulvo che i marinari chiamano: berretto di tempesta.

– Questo, – e la signora mi mostra un minuscolo dipinto, – è di Telemaco Signorini: babbo veniva dalla pesca. Vede, ha la canna e il presacchio. Telemaco Signorini, che era da noi a Dianella, gli disse: fermo! e fece, in pochi minuti, questo capolavoro.

Ora guardi questo, ma lo guardi bene. – Tolgo su il dipinto e lo fisso lungamente.

– L'ha visto bene?

– Sì.

– Le piace?

– Moltissimo.

– Quello è di babbo! Legga lo scritto sotto.

Signora, la prego, lo legga lei ed io lo copio:

«L'anno di grazia 1887, addì due del mese presente che corre di luglio, Eugenio detto «Ceccone dei cani», che ne aveva fatto uno tanto bello che, pieno di superbia, disse ad un inghilese che come lui neanche in Europa.

«Il Maligno lo volle punire e nell'atto momento, per virtù diabolica, il cane pitturato presa vera carne umana gli si avventò al volto del viso che un grossissimo serpente gli ci sputava veleno.

«Il detto «Ceccone dei cani», invocò la sua celeste avvocata M. SS. di Montenero e il cane rientrò nel quadro e il serpente si dissipò con grande odore di zolfo.

«Il Maligno fuggì dall'uscio e l'inghilese comprò miracolosamente il quadro dipinto. – Neri».

– Ma io, signora, vorrei vedere qualcosa di più suo.

– Le mostrerò il calamaio nel quale è stata tuffata la sua penna e che babbo teneva sempre con come una reliquia.

La «signorina Nippia» ha salito e sceso le scale volando, ed è ritornata con sulle mani un gingillo bianco, un calamaino di porcellana in cui il pollice di un'educanda non potrebbe esservi intinto.

C'è ancora l'inchiostro, – dice trepidante la signora.

Il calamaio è sicuramente inchiostrato di celeste.

Pensare che in quel gingillo sono stati sepolti il Matto delle giuncaie e La pipa di Batone grommata, Lo spaccapietre, quelli che andavano e tornavano dalle Maremme, Pillacchera, Perla, e stagni desolati, alme d'acque morte e nocenti, la palude di Nonno Damiano!... – dico.

Nonno Damiano.... dice? Babbo, poco tempo prima di spirare, volle che io gli leggessi Nonno Damiano; quando l'ebbi letto, babbo disse....; la frase che lui disse in un momento di grande sconforto e nella intimità familiare, fra le quattro mura della nostra casa ci deve rimanere per sempre....

 

 

Che cosa avrà detto il Fucini che per sessant'anni, con uno stile breve, preciso, succoso ed energico aveva arricchito le lettere del suo Paese? Forse quello che oggi dicono di lui tutti gli Italiani.

Sulla piccola tavola parlano dei grandi fogli:

«Ahimè! Caro Fucini, come il tempo ci offusca la vita pur con le onoranze. Ma io vi vedo ancora e vi voglio bene quale vi conobbi la prima volta leggendo Perla. Quanti anni sono?

Verga».

«Ebbi da Renato Fucini, leggendo le sue novelle nella mia adolescenza, il primo senso del grado di bellezza al quale può giungere la pura lingua italiana.

Ada Negri».

 

«A R. Fucini.

Con affetto d'amico.

Con animo d'italiano.

Con orgoglio di toscano.

Il suo Giacomo Puccini».

«A Renato Grande tutto l'entusiasmo di un Renato piccolo.

R. Simoni».

 

«Quando un'acqua è di vena, non secca mai. Così della sua polla, fresca, viva, sincera, alla quale mi sono abbeverato con tanta gioia.

Paolieri».

 

 

Abbiamo parlato, da schietti toscani, delle poesie di Neri Tanfucio. Gl'Italiani di questo libro conoscono la dedica: «Questo branco di scarabocchi fatti a ruzzoloni, uno dret'all'artro, li dedìo ar mi babbo e alla mi mamma. Poveri vecchi, ni' vo' tanto bene.

Neri».

Stamani, qui a Mercatale, ho veduto la prima copia di questo libro, piccolo piccolo come un libriccino di devozioni: «Questa prima copia escita dalla tipografia la offro alla mia cara Emma.

7 marzo 1872.

Renato».

– Quando babbo scriveva i Sonetti, ricordo che molinando le dita diceva: «Rita, mi escon di qui, mi pare di averli nella punta delle dita».

 

 

Nel pomeriggio siamo saliti a Dianella. I cipressi e i lecci sotto i quali egli disse, in un memorabile sonetto, di avere appreso tutta la sua sapienza, occultano del tutto la casa; si scorge soltanto una finestra aperta sull'immenso piano:

 

Dalla mia trista e solitaria cella

vedo, , nella notte, in fondo al piano,

fioca, immobile e sola una fiammella,

forse in fondo, un altro sguardo umano,

della finestra mia fissa l'albore!...

 

– Eh, babbo era melanconico!... Come s'inquietava quando la gente lo invitava credendolo un cuor contento.... Avesse veduto!...

La chiesetta ove egli è sepolto è nel parco. La porticina si spalanca, quattro lapidi modestissime sono una dopo l'altra: la prima è del padre di lui David, epigrammista stimato anche dal Carducci: «Guai a chi gli capitava fra le unghie della lingua».

 

Signore Dio! se mi ci fisso stianto...

Dolmite 'n pace anima buona, e presto,

se Gesù vole, dolmiremo accanto.

 

Gesù ha esaudito Neri: fra la madre e la sposa dorme Renato Fucini.

«Quando un'acqua è di vena, non secca mai». Una vena di poesia correrà perenne sotto queste pietre. Raccolgo di sulla tomba di lui un garofano rosso e nel giardino la coccola di un giovane cipresso: profumo di vita: profumo di morte.

È l'ora che i pettirossi dormono in pace sotto le foglie e le nuvolette passano silenziose al lume delle stelle.

 

Siam la rugiada, siamo la tempesta.

 

L'Arno le porta al mare abissate nel suo specchio d'argento; sopra vi traghetta un pescatore pensieroso. Il padre rabdomante ritorna, con solennità biblica, alla sua cella nel convento di San Petole.

Padre, avete scoperto niente?

– In queste terre è lo stesso che andare a visitare i morti.

La terra alluvionale aperta in crepe nere pareva dire: rendetemi l'ossa.







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