Lorenzo Viani
Le chiavi nel pozzo

«VALENTINO» DELLA TOCCA

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«VALENTINO» DELLA TOCCA

 

 

 

Oggi sotto la tettoia della Stazione di Pisa, sull'immensa bocca d'opera del grande arco che sfocia sulla Val d'Arno, tra le quinte dei grandi gazometri e la fumia delle macchine, tra cui lampano, in celeste almorare, i segnali cabalistici, nero disastro ferroviario, le reclami dei lubrificanti per le macchine volanti, il furibondo donghe delle verghe percosse, sfavillanti diaccio elettrico, è accaduta una scena ottocentesca degna del Giacometti: l'autore della Morte civile.

Una colonna di ergastolani stava per essere stivata entro un carro bestiame: visi glabri, teste rapate a macchina rasa, vestiti di ruvida iuta a fondo giallo mortuario con strisce terragne e di color macubino, toppe quadre bianche sul cuor con nel mezzo un numero nero, berretti scapestrati, rivolti spavaldamente, rivolti spavaldamente in su, scarponi coi chiodi in cui nuotano i piedi, mani gialle, incatenate sul ventre smilzo da cui pende, come un otre ventricale, il fagotto degli indumenti. Eran vecchi grinzosi, col cuoiame della pelle aderente al teschio, eran uomini di cinquant'anni dallo sguardo atono e raccorcito dalle muraglie, eran giovani rinvecchigniti tutti servatoi di vizi e di peccati che partivano per l'isola ad aspiare.

Un numero, tra i più giovani della colonna, ha accusato un malore, dei crampi allo stomaco, il viso esangue è sbiancato come una lampada accesa nel giorno largo, gli occhi si sono spenti e sigillati: – Compassione, confessione. – Nessuno ha capito bene quale di queste due parole è stata pronunziata dall'ergastolano. S'è udito bene la parola vinodecapitata forse dal convulso preagonico? – Il fatto sta che all'ergastolano sono state bagniate le labbra col vino mentre spirava. La sua anima si presenterà nuda al cospetto di Dio nel giorno del Giudizio universale. Il numero è ritornato in nome: Valentino della Tocca.

 

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Valentino della Tocca è stato esaudito dal destino. Quando da ragazzetto si arrampicava come un gatto sull'antenne ad abbisciare le vele e di lassù poteva dominare la Torre della prigione che ha le fondamenta nell'acque latulenti delle Darsene, Valentino esclamava: – Ci sono nato e ci voglio morire!

Egli era nato nella cella Firenze da una donna chiassosa, ma di fondo buono, che forse si trovava ad espiare la colpa di aver urlato all'alba che le paranze avevano portato del pesce fresco – la legge tutela anche il dormivegli antelucano – questa pesciaia, imprigionata gravida grossa, partorì in prigione il suo Valentino.

Valentino affrontò presto con le barche a vela gli sbruffi del mare, e quando ritornava «di viaggio fresco», vestito di velluto Catalano con in capo alla scrocca il berretto Basco e calzato di spardiglie di Barcellonefigura di mulero di ritorno da la Sagra toledanadiceva ai suoi amiciaccennando la Torre: – Questa casa è mia! Ci sono nato e ci voglio morire!

 

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Valentino della Tocca cominciò a «tessere» e far la spola entro il telaio delle quattro torri impostate nei paesi finitimi al suo. Correvano i tempi in cui i ragazzi scavezzacolli si gettavano nella cella insieme alla gente aggrinzata dalla perdizione.

Galera università del delitto? La sentenza è cattedratica. Questo pare sicuro che i ragazzi in galera vi apprendono la possibilità fisica e morale che abilita al delitto freddissimo.

Quando Valentino della Tocca, reduce della galera, ancora adolescente, capitava al suo paese, purgano, esangue, con le labbra bianche come i morti, a chi lo interrogava proferiva gelide parole: – Vengo di villeggiatura! A molti egli faceva ribrezzo, a qualcuno compassione. Anche in quella carne martirizzata c'era una scintilla a cui spettava una parte del Gran sacrificio.

Chi non provava ribrezzo ad ascoltare quell'adolescente, si accorgeva che, presso a poco, egli era come tanti altri, se non come tutti gli altri. Il suo animo era volto sempre al luogo in cui era nato: ossessione, fissazione, ritorno atavico verso la tenevra della coscienza, destino? L'uccello chiuso in gabbia, quando è preso dal desìo del cielo sterminato, si spezza le ali sui ferri. L'uomo nato in una gabbia di pietre ghiacce, quando libero sulla terra vastissima è preso dal desiderio di morire dove è nato, compie freddamente un delitto.

Valentino della Tocca credo che si presenterà davanti al tribunale di Dio mondo di sangue. Risse, oltraggi, turpiloqui, vilipendi, contravvenzioni alla vigilanza speciale, alterazioni di fogli di via, ubriachezza molesta e ripugnante: la base.

 

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*   *

 

Chi non ricorda il gruppo tragico di quella madre dai capelli ricci avvinghiata al figlio in delirio ripugnante e gli urli di lei: – Vieni a casa, di', riportami , e i bramiti di lui: – Ci sono nato e ci voglio morire. Lo sciagurato si arribbisciava sulla terra, la mangiava, la sbavava, la calciava, fino a che, tutto strappato, sanguinante, motoso, svergazzato dalla epilessia negli occhi febbricitanti, veniva strascicato nella cella ove era nato. Fino a che il delirio alcoolico durava, la bocca di Valentino spurgava vituperi e sacrileghe maledizioni.

La mattina di poi lo traducevano allo stabilimento di San Giorgio. Valentino scendeva le scale del carcere mandamentale, tutto ecchimosi violacee, con gli occhi impassibili ed ottusi come quelli degli annegati. La madre era già alla porta del carcere con il viatico e lui la fissava impassibile.

Una volta Valentino fu fermato a metà strada e fu internato nel manicomio, il luogo ove la logica e il raziocinio sono riflesse, capovolte in ragionamenti complicati e macchinosi, i quali hanno una logica e un raziocinio particolarmente quadrati e stabili: – «La saviezza è una corda sottile tesa sulla pazzia; si vide mai uomini, salvo i giocolieri, camminare in cordaValentino, nel manicomio, dalla pazzia saltò sul filo della saviezza e vi camminò speditamente impassibilmente.

Lo liberarono la mattina e la sera era già precipitato nel delirio ripugnante, e lo riportarono dove era nato.

 

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*   *

 

Oggi, mentre nel cielo di Pisa vibravano i rintocchi della campana di Santa Caterina, Valentino, anello di una lunga catena ergastolana, numero in una colonna addizionata a ogni stazione dalle mute di scorta, si è abbattuto sopra un binario, nell'agonia ha domandato del vino che gli è stato dato. Postogli il calice alla bocca ha dato il ribrezzo dell'aceto e del fiele commisti: e è spirato.

Il cadavere insaccato nella iuta ruvita è stato deposto su di un pancone, il capo come spiccato dal busto ciondolava verso il binario, gli scarponi divaricati slabbravano in fondo, sul cuore marmato c'era la toppa bianca quadra col numero nero.

– Come si chiamava? – ha esclamato qualcuno udendo il mondano nome celebre.

Valentino!

Ma vi è stato chi ha pensato a un altro Valentino piccino piccino piccino.

 

Oh Valentino vestito di nuovo,

come le brocche del biancospino!

Solo ai piedini provati dal rovo

porti la pelle de' tuoi piedini;

porti le scarpe che mamma ti fece,

che non mutasti mai da quel ....

 

Dentro i ferrati scarponi di cuoio ergastolano c'erano rattrappiti i piedi di Valentino della Tocca provati ai rovi, calzati con la pelle che sua madre gli fece nella cella Firenze.

Confessione. Compassione.


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