Lorenzo Viani
Le chiavi nel pozzo

CORPUS DOMINI A FREGIONAJA

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CORPUS DOMINI A FREGIONAJA

 

 

 

Nessuno in queste sale bianche e ariose del manicomio di Fregionaja, alzandosi dalla corsia dei letti uguali, ha guardato, alla prim'alba di stamane, la piletta dell'acqua santa o il piede della Croce, per controllare se l'erba dell'Ascensione era fiorita. In questi luminosi saloni non vi sono, al capo dei letti, le acquasantiere; delle croci ce n'è soltanto una alta nera, su di una parete bianca e scabra come l'ordito di una vela marina.

Giù nelle case della pianura densa di granaglie, i contadini, destandosi, hanno trepidanti guardato nelle pilette l'erba miracolosa, che germina e fiorisce anche recisa per dare il fausto presagio della messe abbondante. Tristezza e guai se l'erba appassisce; il malaugurio è sui raccolti, e l'erba non fiorita va subito bruciata, come si fa per quella che cresce nei cimiteri.

In questi saloni stamane v'è un silenzio e una pace inusitati; è il giorno del Corpus Domini, e anche gli infermi faranno la loro processione. Per l'esitante primavera; è la prima mattina ch'essi vestono di celeste, – un celeste altomare, che vibra sulle pareti immacolate, – e indossano anche la bianca camicia di bucato. Le loro teste umiliate sono tutte glabre e ceree; per i riflessi del vestito, tutti gli occhi son diventati celesti come il mare.

Sui davanzali dei finestroni non vi sono vasetti di regamo o di gerani; vi pende il drappo di broccato; il telaio di castagno inquadra un mareggiare d'olivi, che dilunga con sfumature d'argento e di glauco fino al mare vero, palpito di cobalto lontano lontano.

Questi grandi saloni, cubi di pietra, in cui alita cupa o rumorosa la follia, stamane col profumo dell'erbe e dei fiori sacri si sono rasserenati come anditi di convento. Anche noi oggi si va a processione!

Il penetrante profumo dell'erbe e dei fiori viene dalla singolare tavolozza di un pittore infermo, che decora di vistosi e sgargianti tappeti i grigi impietrati di Fregionaja, su cui tra poco passerà il Santissimo. Panieri di erba Lucia lanceolata, di erba Santa Maria, di mortellino formano la gradazione dei verdi: il vermiglione dei papaveri trabocca da un corbello; in un canto v'è un di rosoline laccate; e poi il bianco delle palle di neve; – certi fiori densi accestiti compatti, – l'azzurro dei fiordalisi, il rosa schietto delle rose, il giallo dei tulipani.

Il pittore disegna, con un granatino di saggina, disegni semplici, scabri.

Quando il pittore il colorito, lo sparpaglia con le mani e par che semini uno sciame di farfalle che si raccolgono sull'impiantito in cerchi, losanghe, triangoli, fregi, calici con su l'Ostia consacrata, croci cerchiate d'oro.

In poco tempo, tutti i pavimenti sono ingentiliti di preziosi tappeti floreali.

Ai piani del cortile conventurale, sui piccoli davanzali delle celle, lavorano a decorarli delle giovani monache. I davanzali sono così alti che delle suore si scorge soltanto il cappello bianco, come le ali di una procellaria che tenti posarsi sui vasetti dei gerani.

 

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La processione, fatto il portichetto, esce all'aperto. Avanti a tutti è il crocifero, intonacato da una cappa bianca; la crocetta d'argento antico è congegnata in vetta da una lunga asta celeste, che deve essere sottomessa all'arco basso d'uscita: di sotto il portale il Crocifisso esce come volando. I processionanti, divisi in due file, come i soldati sulle vie maestre, rasentano le pareti per non pesticciare, prima del prete, i tappeti. Sul piazzale gli infermi richiudono le file e si dispongono in bell'ordine; quando appare il Santissimo tutti gli astanti s'inginocchiano, dopo la elevazione si rialzano. Dopo il baldacchino vengono le inferme, trasognate, mortificate, umiliate. Qualcuna piange sommessa; una luce abbacinante percuote questi occhi usati alla clausura, un suono festevole di campane porta in queste anime ottenebrate una luce nuova. Sono le campane di Nozzano, della Certosa, di Colle.

Di qui si scorgono le altre processioni della piana, ma questa è certo la più commovente. Questi uomini, vestiti del colore turchino del cielo, sono mesi e mesi, alcuni sono degli anni, che non respirano l'aria con tutto lo spazio negli occhi. Qualcuno scorge nella spolverata di case, che imbiancano le colline cenerine, il suo paesetto, acchiocciato sotto l'asta di un campanile; tal altro scorge la via che conduce al mare, su cui ha per tanti anni navigato. Ma gli sguardi sono di sfuggita, chè tutti stringono nella tremola mano di cera la lunga candela accesa e, con l'altra mano, fanno da ventola chè la fiammella non debba spengersi. Su tutto quel gelo di toni, la fiammella è come un palpito di viva speranza. Quelli che possono cantano, con la ispirazione dei santi:

 

Regno d'eterno amore,

Ostia vivente e cara,

noi ti adoriam sull'ara,

alziam le voci a Te.

 

La massa delle inferme, quelle medesime che nei giorni in cui il cielo si scombuia, s'attristano con singulti, come d'uccelli dispersi nell'immensità, risponde a questa invocazione:

 

Dall'adorato trono

i nostri voti attendi

su le nostr'alpe accendi

amore, speme, .

 

Poi il coro si fonde in un impeto travolgente:

 

O di Fede sublime mistero!

 

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*   *

 

Una moltitudine di alienati segue la Croce ed apre la processione; una moltitudine di alienate segue il prete e chiude la processione e canta: «O di fede sublime mistero!». Uomini e donne sono tutti composti e devoti e compresi di riverenza, come raramente si vede durante tante funzioni. Sembra che questi meschini salgano verso il monticello che è davanti a Fregionaja, come se dovessero ricevere una luce nuova, un viatico d'eternità.

Al pie' della collinetta c'è un altarino, coperto di un telo bianco, con tanti mazzi di fiori campestri. la procescione ha sostato ed il prete ha officiato sul piccolo altare.

Da quell'altura si scorgono serpeggiare nel piano candide vie, da cui s'alzano fumate bianche quando qualche automobile vi transita a gran velocità. Intorno e in alto, boschetti di rossi albatrelli, avido becchime per gli uccelli voraci. Selve imminenti profumano il sentiero tra salite insensibili e clivi di riposo, su cui sono molti uomini e donne di queste contrade, per vedere la processione degli infermi. Tutti coloro che guardano sono inteneriti.

 

 

 

 

 

 

 

Anche gli infermi, che hanno negli occhi il bianco muraglione di clausura, divagano col pensiero e con gli occhi sull'incanto delle vedute mirabili, che per loro ridivengono sorprendenti.

È quasi sera e le scabre Panie son tutte color rosa, e le Pizzorne son tutte celesti; gli olivi son diventati tutti d'argento, i campi violacei, i bovi nivei, le carra rosse fiammate.

All'arcano silenzio della Benedizione succede il canto lene e grandioso:

 

Regno d'eterno amore,

Ostia vivente e cara,

noi ti adoriam sull'ara....

 

La processione si riordina; risale verso Fregionaja, enorme casone giallognolo sul cielo violetto. La croce d'argento sembra, su quel cielo abbrividito, un astro palpitante, che tragga dietro tutta questa moltitudine derelitta e la guidi verso il desiato porto, dove anche le anime perdute si ritrovino.

Il portichetto, con il crocifero e gli infermi, inghiotte e spenge anche l'ultimo canto.


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