Lorenzo Viani
Le chiavi nel pozzo

CAMPIONE SENZA VALORE

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CAMPIONE SENZA VALORE

 

 

 

Ogni dovizia non tranquillizzava la madre di due fratelli, uno pastaio e l'altro droghiere, perchè il terzo fratello, suonatore di violino, era stato internato nel manicomio da venti anni.

– In custodia lo manderebbero, ma, ma; ci pensate voi?

Dopo dieci giorni ritorna . Fatevene una ragione!

La madre camminava sbandata per la casa con le mani sempre alzate come se volesse scansare uno schiaffo e piangeva sempre.

– O fatelo ritornaredisse disperata una delle nuore – qui abbiamo da tanti anni il morto in casa: fatelo ritornare, lo prendo io in custodia.

 

*

*   *

 

Una domenica, verso l'ora del desinare, accompagnato da un uomo possente, entrò in casa, dopo vent'anni, il suonatore di violino.

– Quando entra non fate scenate – avevano detto il pastaio e il droghiere alla madre. – E voialtri non gli mancate mai di rispettodissero ai figlioletti – e tu custodiscilo, e tu curalo a doveredissero alle loro mogli.

Quando il suonatore di violino entrò in casa, la tavola era apparecchiata e benedetta da una spera di sole. La madre andò verso il figlio infelice e lo baciò sulla fronte e lo pose a tavola come avesse avuto cinque anni e ne aveva cinquanta. Il droghiere e il pastaio gli dettero la mano risoluti, e, senza parlare, gli sorrisero: le cognate lo guardarono senza far verbo e senza sorridere; i ragazzi guardavano il fondo delle scodelle; l'uomo che aveva accompagnato il suonatore, seduto accanto a lui, battendogli una mano sulla spalla, gli disse: – E buon appetito.

– Altrettanto a voi – rispose il violinista; e soggiunse con certo decoro: qui siete in casa mia.

 

*

*   *

 

– Quel giorno a tavola si parlerà di tutt'altro che d'amore – avevano detto il pastaio e il droghiere alla famiglia radunata a consulto.

Bene, bene.

A tavola il dialogo cominciò così:

– La gente dice che i fornai impastano grano che puzza e ti danno il pane di due o tre tacche di meno.

– E dicono che i pastai una libbra di minestra di gran duro, – nato a Ferrara – la vendano quanto gli pare a loro e ti ci leccano sopra tre o quattro tacche.

– I granaioli vendono mescolanze del diavolo.

– I mugnai hanno fatto giuramento di non darti quel che gli consegni.

– I ti rifilano pesce di padule per triglie di scoglio.

– I macellari, che non si contentano di rubarteli mezzi, ti danno osso a bizzeffe colla proibizione di guardar sotto la stadera.

Fino a qui avevano parlato il pastaio e il droghiere; le cognate, che s'erano accese a questa litania d'imbrogli, cominciarono a parlare concitate e insieme.

– L'erbaiola t'imbroglia, la fruttaiola t'impappina, il burraio t'abbonda di discorsi, la lattaiola te lo annacqua, il pollaiolo ti rifila dei pulcini gonfi d'acqua, il limonaio te li di giardino e dice che son di Napoli, i pizzicagnoli ti rifilano insaccati di toro, pecora, vacca e ciuchi.

Il suonatore di violino come colto da asfissia, chiese alla madre:

– Fatemi portare lo strumento.

Tutti tacquero. Una delle cognate andò nel salotto buono e ritornò con una sacchetta nera dove c'era insaccato il violino. Il violinista sfilò lo strumento e una fiamma laccata saettò nella spera di sole. Il suonatore pizzicò le corde incerò l'arco, si alzò e trasse dallo strumento un motivo:

 

La donna è mobile

qual piuma al vento

muta d'accento

e di pensier.

 

– Ci risiamo, – disse conturbato il droghiere. – Bisogna divagarlo.

– O senti: i ciottolai ti danno terraglia della Gonfolina per terra di Francia.

– I falegnami t'impolpettano i mobili di casse di zucchero e croste per legno d'acero.

– I dottori ti spediscono la gente a gran vapore al camposanto.

Ladri piccoli, rovine grandi, – disse grave il suonatore di violino. – Ma non lo sapete che i ladri piccoli fanno le grandi rovine? Non lo sapete?

I fratelli continuavano eccitati a parlare.

– I vinai si sono arricchiti a forza di smerciar roba che ti scorcia la vita di mezzo secolo.

– Allora io, avendo cinquant'anni, domanl'altro sarò mortodisse cogli occhi freddissimi il suonatore di violino; e riprendendo lo strumento, attaccò un motivo lugubre:

 

È morto un povero

tan, tan, tan....

 

e con le dita pizzicava le corde come cose vive.

Divaghiamolo.

– Su, tocca a te!

– O senti: i pizzicagnoli ti vendono terriccio per pepe e i carbonai ti vendon sassi dipinti di nero.

– I caffettieri con un mezzo bicchiere di fondacci di caffè ribollito, e un po' di acquavite di Francia, con un pizzicotto di zucchero ti ripuliscono le tasche.

Il violinista, come fosse stato slogato in tutte le giunture, si slacciò sulla sedia come una marionetta. Anche le mandibole s'aprirono e la bocca gli diventò una voragine profonda, da cui uscì a muglio di muto, la sentenza di prima: – Ladri piccoli, rovine grandi.

– Presto, un po' di caffè, – disse il guardiano.

Il pazzo schizzò fuori gli occhi dal capo: – È fondo ribollito!

– Presto, un dottore.

– No, – urlò il pazzo – mi spedisce a gran vapore al Camposanto.

– Una goccia d'acquavite.

– È di quella francese, non la bevo.

Divagatelo.

Divagatelo.

Divaghiamolo.

– O senti: un farmacista che capitò quassù con uno zoccolo e una ciabatta ha fatto i quattrini a palate. Bisogna che tu pigli quel che ti , e bisogna che tu gli dia quel che ti chiede.

– Un dentista marcia in calesse e mura palazzi e ville.

– Il calzolaio ti mette nelle scarpe scarti di testa.

– Eh? – bramì il violinista. – Scarti di testa? Allora ci metterà anche la mia. Io son scarto di testa. Lo strumento! Lo strumento! – Il pazzo riprese il violino e attaccò un motivo precipitante saltando e ballando:

 

Sfoghi di miseria,

Sfoghi di miseria,

canti, vigilie, fame.

Venti moscoviti,

un fornaio che piange,

un cantiere,

il boia, trenta sbirri

ed un usciere.

Un defunto in bara

a collo torto

mi racconta

di che male è morto.

 

Colpa di vinai, zozzai, calzolai, caffettieri, pastai, pesciai, macellari, pizzicagnoli, fornai, erbivendole, fruttaiole, lattai, pollaioli, burrai, farmacisti, medici, dentisti.

Divaghiamolo.

Divagalo.

Divagatelo.

Senti gran passaggio di pastrani da una casa all'altra, poi salgono il Monte.

– Anch'io farò come i pastranidisse rasserenandosi il violinista: – risalgo al Monte.

Il Manicomio era su d'un ripidissimo monte.

– Però vi prego, o fratelli, o madre, o mie dilette cognate, o nepoti, che per tutto il tempo che impiegherò a traversare il paese, tramezzo a macellari, droghieri, fornai, ettecetera, mi terrete impastato sulla fronte un foglietto dove sia scritto «Campione senza valore».


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