Lorenzo Viani
Le chiavi nel pozzo

UN PROFETA

Precedente

Successivo

Link alle concordanze:  Normali In evidenza

I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio

UN PROFETA

 

 

 

Le macchine d'una tipografia situata nel centro della Valdinievole, argentata in grigio da folti uliveti, quella radiosa mattina d'aprile, strepitavano a rilento, contrastando il tan tan dei «cavalli matti» di una Cartiera vicina: certi mostri di castagno dalla testa quadrata e dal ventre stecchito ai quali pare si dovè ispirare Paolo Uccello per i suoi quadri di battaglie. La rotativa sembrava piallasse stanca un rotolone di carta, una ragazza armata di una stecca d'avorio polita ordinava i fogli d'un frontespizio.

Il tomito della carta saliva a frusto a frusto ed io pensavo, con adeguata lentezza alla tremenda, paurosa, imponderabile, fissazione degli uomini: stampare.

 

DOMJNGO VEZZANI

saggio di nuova poesia

creata

da un

Profeta!

 

La lunga storia del fissato che si erge, armato della sua fede irragionevole e temeraria, contro il tutto piombaggine inerte e pigro.

 

*

*   *

 

Domjngo Vezzani, adusta figura scarnita adeguata di toni alla feroce terra del Pesciatino avrà certo accattata quell'j a gancio in qualche colonia portoghese, chè il profeta è di pura origine lucchese, razza dell'istinto randagio dei cani.

Certo quand'egli fu, tra una discreta festa di familiari e dei compari dell'aja, portato dai genitori sul fonte battesimale si chiamò semplicemente Domenico e il padre doveva in quell'istante pensare al Santo Martire, col capo diviso in due dalla scure pagana, la madre vigilava piamente dal Cielo: – «A te madre» – canta il Vezzani:

 

Moristi senza saper che avevi un figlio

Ma alcun conoscerà il figlio, di te, o madre!

 

*

*   *

 

La testa del Creatore di un saggio di poesia nuova: pare arsa tanto è inaridita. I folti capelli sagginati hanno delle sfumature di rame e sono partiti a fiammella, la paiòla d'ossa dove ribolle il cervello par mandi fuoco ad aureolare questa maschera provata alle aride penitenze ed ai tristi digiuni. Il teschio aggraziato da una pelle digrassata rivela tutte le scabre suture; i parietali sembrano squadrati con l'asciatella, gli zigomi hanno già la spugna dell'ossa tufate e la mandibola, atta a tritar ghiaia levigata di fiume, sapientemente scardinata dalle cerniere, potrebbe servire già di steccone a un misero ciabattino: in un cumulo di teschi questo del Profeta emergerà per l'imponenza delle cavità orbitali e della dentiera . L'occhio atono di Domjngo scruta il vuoto: lo spaventoso andrione dove stanno appiattate tante forme paurose e strane, le luminelle del Profeta sembrano sospese a due rughe che recidono la fronte, per mezzo di peli setolosi che spuntano sulla cresta superiore dell'orbita.

Il profeta suole portare il bavero della giubba rialzato e lo tiene con la fermezza di una mano spropositata, secca, uncinata, della larghezza d'un embrice.

per le Americhe il profeta ne deve aver vedute delle cose nero inferno:... ripensandole sotto il suo tetto di mattoni nostrali sorretti dall'onesto castagno che sa ancora odor di selva il Profeta è colto da orrore:

 

Quando non mi resterà altro

mi getterò al suolo, mi vedrà qualcuno,

avrà pietà vedendomi nel suolo.

Gettarmi no!

Dovrò resistere fino all'ultimo momento

che cadrò solo:

ma i' vorrei sentir la parola che mi hanno

trovato abbandonato in mezzo

a una strada, come se non fossi umano.

In sogno m'apparve

di bianco il Divino

alzando una verghetta

questa farà cammino.

 

*

*   *

 

Vedendo la spettrale figura del Profeta annodata nel fondo della tipografia faceva balzare alla mente l'immagine di un misero anacoreta che si fosse dannato alla morte di fame. In certi atteggiamenti, quando Domjngo puntava un dito giù verso i sottoscala, e colla testa burattava il silenzio, indaloccando qua e , faceva pensare a un frate rabdomante.

 

Acqua e morte presto viene.

 

*

*   *

 

Nella tipografia Valdinievolina c'è inciso sopra una capace lastra di bardiglio un epitaffio il quale rammemora che costì albergòSanto Francesco quando fu di passaggio dalla Val della nebbia – nell'antico chiamavano così la Valdinievole. Il Berlinghieri, stregato e maledetto pittore di Lucca, in quei tempi beati deve aver fissato il Santo, sparuto trasandato divorato, e nella maturità consapevole lo ritrasse in una pala d'altare con la febbre dell'invasato, intermittente d'ombre nere e luci dorate.

 

*

*   *

 

 

 

 

Certe basse arcate da casa matta, certe travi inchiavardate a stiva di galera e i penetrali delle chiaviche, il picchiottìo dei martelli, le sgusciature dei cinghioni: l'inferno meccanico moderno incastrato ai muri maestri, innestato ai pavimenti dove giacquero le ossa di Francesco d'Assisi, facevano oscillare il pensiero dalla santità alla porta terribile dell'inferno. Quello che dava il tono più forte era il Profeta celato d'ombre, quella schiezza legnosa di viso sembrava il memento omo della pazzia avvinghiata alla saviezza: chi ferra inchioda e chi cammina inciampa.

Fantasia!

Il poeta invece lubrificava col resto della sua sinovia la rotativa che girava lenta a paragone dei battiti del suo cuore.

 

Son presi gli occhi miei da nubi

par che il saper muoia e non luci,

ma se svanen senza far tempesta

allor sentirete il tocco di campana a festa.

 

*

*   *

 

Il profeta era nuovo alla ossessionante magìa della stampa, il suo pensiero sgallato come pece in caldaia si allineava terso normale ubbidiente, sciame di piccoli uccelli neri acciecati su vasta distesa bianca di cielo, ma su quel candore sidereo egli vedeva guizzare i lampi delle sue maledizioni, esplodere le saette.

 

Ho sopportato il martirio che passar mi avete fatto

ma guai di voi....

allor alle mie parole fuggirete.

Il mondo è rotondo il fin non troverete.

 

La mano artigliata di Domjngo Vezzani augnava la pagina, l'altra batteva un tempo d'Apocalisse, la voce aveva la romba d'un fiume in piena.

 

Il mondo è rotondo il fin non troverete.

 

Satanasso e il Principe di Danimarca s'avvinghiavano sul viso sparuto del profeta.

– Ma per le Americhe ne avete ingollate?

– Tante, tante, tante, – rispose Domjngo allargando la bocca a guisa d'orrida caverna.

 

Trovandomi ne l'universo grande abbandonato

che a volte il cuor il corso fermava

vedendomi fra perfidi e sì forte legato

lor crederanno che qui tutto sia spento.

 

Il profeta si palpava il petto ansante, le sue mani eran sollevate dai battiti ardenti del cuore.

 

Ma vedranno quando il corpo l'anima avrà lasciato

allor perduti si vedranno

al Divin lor si volgeranno,

ma lui dall'alto il basso vede.

 

*

*   *

 

La poesia, diceva un mio grande amico poeta titanico, è quella spiritual cosa – ma mai, e poi di dal mai, completava il pensiero, a intervalli di mesi ripeteva grave:

 

La poesia è quella spiritual cosa....

 

*

*   *

 

Poesia, cosa sei tu mai? Parole decimetrate, misurazione di concetti cubati da un caporale di strade arcigno? Stiva di parole tritate dentro il cassone dell'esametro finchè non rimbocchi come quello dello spaccasassi a sera quando misura il travaglio della sua giornata?

O sei invece allucinata dolcezza di ricordi che il passato suole rivestire di eterna mestizia?

Non so rispondere.

Son negato alle misurazioni. So, soltanto, che udendo quell'uomo scusso di carne, di cui si udiva lo scricchiolìo dello scheletro bruciare tutto ai ricordi dei suoi travagli mortali, tanto che i capelli parevano fiammelle accese sopra il capo delirante, e declamare con l'ansia di chi ha fatto una lunga corsa per vie solitarie e sconosciute, le sue rime accidentate, i suoi pensieri sbilenchi e scheggiati, e col dito ammiccare il Regno di Dio eterno, i diavoli del sempiterno scempio, io ho pensato, in nome di Dio Padre e Creatore, Domenico Vezzani sei un grande poeta.

– Ma cantate sempre il dolore? – chiesi. Domjngo si alzò e disse:

– Ho sopportato il martirio che passar m'avete fatto.

Canta qualcosa di lene o Domjngo.

Egli quasi fissasse una lontana illusione così cantò:

 

In un dolce crepuscolo di Natale

mentre il firmamento di stelle s'adornava,

sopra un banco la natura contemplava,

vennero d'ali bianche due colombe

e al lato si posaron

e nel momento l'alma inquieta mi lasciaron.

 

Perchè invece di Domjngo non ti ribattezzi Domenico? Questo nome cristiano ti fu imposto quando fosti sospeso sul fonte del battesimo; Domenico ti chiameranno il giorno che sarai appellato al Giudizio nella gran valle. E Domenico sette volte lo ripeterà il Cielo col vasto suo riso, e sette volte il tuo nome farà tremare l'inferno.

– Per quel Diodisse estatico Domingo – anche lei è poeta. Qua la mano collega in nome del Dante!

– Sì.


Precedente

Successivo

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (VA1) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2009. Content in this page is licensed under a Creative Commons License