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MATTO LEALE
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
Fu bussato alla porta. Un uomo che aveva l'aspetto d'un pastore protestante vestito di bordato scuro, teneva in una mano un libro nel quale affondava l'indice della mano destra: il Dante. L'aprì e lesse tremando:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
chè la diritta via era smarrita.
Finita la terzina l'uomo si chetò e aspettò che qualcuno gli dicesse: – Entrate.
– Entrate.
Gli occhi dell'uomo erano smaltati come quelli delle figure che sono negli ovali delle pietre tombali e si muovevano lenti come mossi da una rotella, la fronte levava un bollore di goccie, ogni pelo di barba spinosa gemeva, i capelli affebbrati erano tutti una pasta di sudore, le labbra rosse e sorde tremolavano: – Più matti di così si muore – disse grave l'uomo. Riaprì il libro e lesse:
E quanto a dir qual'era è cosa dura.
– Il Carso, Mauthausen, i Carpazii, e quasi l'uomo abbaiasse, sciangottò: – Mauthausen en Donan Kriegsgefangenenlager, le sentinelle, le baracche, la spartizione del pane, il gelo, la peste, il colera. – La cisterna del ventre parve repentinamente gonfiarsi, il viso gli diventò come un limone, la saliva succo acido.
I versi s'empirono di tenebre, l'uomo chiuse gli occhi e pian piano ammutolì; la declamazione continuò tacita come quando si prega dentro noi stessi.
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* *
L'uomo che era uno dei tanti scampati dalla prigionia e andava da Erode a Pilato per dimostrare agli increduli che là egli era stato colto da breve pazzia e che col tempo gli aveva messo un turbine nel capo: – Più matto di così si muore. – L'uomo aveva fatto i conti senza i «fissati» degli attergati.
– Pazzo? Ma voi parlate come un libro stampato!
– C'è tutta una logica nel vostro ragionamento artifiziato!
Quel povero cervello disabitato si trovava a repentaglio con quelli gelidi come il marmo, a scatto preciso, colla logica delle macchine dei conti fatti.
– Che non ci sia alla vostra pazzia tramescolata della birbanteria. Badate che incorrete nel reato della simulazione perseguibile.
– Io sento il capo che mi va via.
– Ma non capite che voi siete sprovvisto di «basse».
Il foglio che l'uomo mostrava a tutti, sgualcito dall'uso, parlava chiaro: Affetto da frenosi ciclotimica, con stati psicopatici accessuali alterni di agitazione depressiva con trasformazione della personalità, confusione mentale, contegno disordinato, turbolento, insonne, irritabilità, reattività. Nelle fasi depressive egli manifesta grave arresto psicomotorio, tonalità dolorose dell'animo, delirii cenestetici a contenuto ipocondriaco, tedium vitae.
– Ma queste firme vanno legalizzate.
E quanto a dir qual'era è cosa dura
questa selva selvaggia ed aspra e forte.
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Feci da Virgilio all'uomo e lo condussi all'ultimo piano della mia casa. Quando l'uomo fu nello studio si battè una mano sulla fronte e disse:
– Io l'ho affittato. – Parlammo lungamente del Dante. L'uomo, uomo adusto dei campi, ossatura nutrita, muscolatura salcigna, impalcatura del cranio possente, aveva negli occhi dei lampi di crepuscolare serenità: egli rimase stupito delle edizioni del Dante commentato e le allontanò da sè come terrorizzato.
La gente di temenza, altolocata, accede al mio studio per le scale «buone», i negligenti vi sono introdotti per una scaletta di legno intravata alla parete; ambo le scale sono occultate da due botole pesanti. Le persone altolocate girano lo studio con gli occhi, i negligenti si muovono, si agitano, come colui che l'estate cerca fresco nel letto, ond'è che passano di sulle botole. Allora giù in casa s'ode come dei colpi di mazzuolo, segno manifesto che lo studio ospita un negligente. I ragazzi salgono le scale e per le senici delle botole occhieggiano incuriositi l'uomo.
L'uomo dopo aver avuto la certezza che io m'ero fermamente convinto che egli era pazzo, sgattaiolò le scale allegro, dicendomi: – Ora mi sento meglio.
L'esperienza mi ha fatto palese che i pazzi del sottosuolo battono il capo in due spigoli taglianti: Dante e Shakespeare.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
Se la Divina Commedia fosse cominciata con un verso meno impegnativo, molti del sottosuolo si sarebbero disinteressati del poema, ma in quel verso tutti ci trovano la loro storia. – Anche a me è accaduto precisamente come al Dante. – Infatti l'uomo, partendo, mi ragguagliò che egli era della classe del '893, trentacinque anni precisi. Nelle arene gli atleti allampanati urlavano – Essere o non essere, tale è il problema. – Io sono come Amleto, essere o non essere, ecco il nodo della questione.
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Una notte io ed un amico eravamo alloggiati all'Osteria del Belvedere: una scarpata della ferrovia, dei pali elettrici, una viottola, un cancello ed un casellante schematico si potevano vedere da una finestra. La sera, al tavolone comune, capitarono tre ospiti, uno di loro erculeo, ma anemico, con occhi sfolgoranti e astratti fu messo capotavola; gli altri due erano ai lati come giudei: uno di loro aveva la barba riccia e il naso a roncola e gli occhi tutti turbati; l'altro, calvo, meningitico, colla pelle cascante, osservava malfidato il capotavola. Il capotavola comandava i due a bacchetta: pane, carne, vino. Il terzetto era: due guardie travestite che accompagnavano un pazzo al manicomio. La notte, il «Belvedere» fu occupato da un silenzio di catacomba, noi rivelti sui sacconi di foglie di granturco, si dormiva come papi; ogni tanto il treno tremotava sulla linea; poi il silenzio si faceva più fondo. Il saliscendi dell'uscio di camera nostra fu alzato, e l'uscio percosse la parete; niente temenza di ladri! Si fece la mezza e ci si rivoltò dall'altra parte. Una voce di mago rintronò la stanza:
– Essere o non essere. – Il pazzo s'era alzato, aveva sceso le scale in puntali, e penetrato nella nostra camera declamava estatico: – Essere o non essere. – Noi si stette zitti e cheti come due ragazzi.
– Laerte, Orazio: essere o non essere.
Le due guardie avevano ruzzolato le scale in camicia ed erano saltate sull'uomo il quale ruggiva: – Amleto, essere o non essere, – e con ogni pugno dipingeva nel muro una guardia.
Tutto l'albergo si buttò sul forsennato e fu legato con un canapo. Mentre lo soppesavano per riportarlo in camera egli vagellava: – Meglio un oceano d'armi sulla carne il flagello dell'essere disprezzato dalla morte del sogno, vilipeso col ferro della tomba superba, affrontarli e finirli. – Il pazzo sudava come una colossale spugna, l'ossame scricchiolava, il canapo gli recideva la carne – Essere o non essere, an, an, an – ed abboccava come un cane arrabbiato.
Quando il pazzo fu messo rivelto sul letto, gli furono applicate delle pezze molli d'acqua gelata sul capo bollente; a poco a poco egli cadde in uno stato semi-stuporoso e parvero arrestarsi i psicomotorii. Dopo cascò come slacciato sulle coltri: allora fu sciolto. L'uomo dalla barba riccia scioglieva il braccio sinistro del pazzo; il meningitico pelato scioglieva il destro. Quando il pazzo ebbe liberate le braccia, intorpidite dall'arresto della circolazione, ne allungò una lentamente sul cranio del meningitico e declamò melanconico: – Ohimè, povero Yorick!
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Una mattina ritornò quello del Dante, più pacato, a farmi visita. La fronte gemeva il medesimo sudore freddo. L'identico libro era aperto alle medesime pagine, una gioia radiante gl'illuminava il viso. Sul nastro del cappello aveva collocato, al medesimo modo di quando a vent'anni ci si metteva il numero estratto in sorte alla leva, un foglietto su cui aveva scritto: «Matto leale».