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Nel breve tragitto dalla propria cameretta a quella di Forestina, Osvaldo Millo fece una eroica risoluzione.
Per quanto Forestina fosse stata sempre riguardosa e per quanto modesto egli fosse, coll'intuizione acuta di cui era dotato, aveva dovuto accorgersi che la moglie di Mario era fieramente innamorata di lui. V’hanno sintomi che non lasciano dubbio! Egli se n'era accorto, al primo sguardo, con cui la bella isolana aveva per così dire circonfuso e avviluppato di simpatia la sua testa poetica e fatale. Nel naufragio, egli era stato la sua salvaguardia, l'aveva rincorata e soccorsa risollevandola sulla zattera ogni volta che l'onda ruggente la rigettava nell'abisso....
Amore è attrazione, e l'attrazione si sente.
Ora la rivelazione di Mario, gliene dava l'ultimo convincimento.
A Forestina infatti la prima volta che aveva fissati gli occhi in quelli di Osvaldo, era accaduto quel fenomeno fisiologico assai meno raro di quel che si creda, che nel medio Evo si chiamava l'affascinazione. Lo Scaramura nel Candelaio la definisce così: l'affascinazione di amore, succede allorquando con intenso sguardo l'una pupilla nell'altra s'incontra, talchè spirito a spirito si congiunge, suscitando in uno di essi l'amoroso incendio.
Sulle prime Forestina ne era stata quasi inconsapevole: vivendo insieme ad Osvaldo sul bastimento non poteva sentir passione. Ma dopo il naufragio soprattutto, le si era svelato il delizioso mistero.
Ciò che essa provava per Osvaldo, era un miscuglio di nobili esaltazioni e di asiatica sensualità. Millo, senza volerlo, in un sol punto, aveva conquistato il cuore ed i sensi di Forestina; e la passione, seguendo la inesorabile legge morale, doveva tanto più avvampare in lei, quanto più Osvaldo le dimostrava una aperta e schietta indifferenza.
Egli aveva ragione di dire a Mario che essa era ammalata di curiosità. Fino allora Forestina, non aveva saputo bene che cosa fosse la voluttà dei sensi. Abbiamo già veduto che Mario non aveva saputo impressionarla degnamente su questo importantissimo e misterioso punto della vita conjugale!
Sciaguratamente, quando Forestina a Madras si incontrò in Osvaldo Millo, ella, senza pur rendersi conto delle proprie impressioni, aveva capito che quel giovane sarebbe stato l'ideale dei suoi delirii amorosi. La figlia del deserto, stirpe di assassini, quantunque innocente come una rondine, recava pur troppo nel sangue il lievito di ogni delitto. Essa ormai si sentiva tutta, interamente, devota ad Osvaldo. La di lui immagine si dipartiva raramente dalla fantasia dell'ardente isolana.
Nondimeno, come dissi, sul transatlantico, potendo essa godere della vista di lui quasi continuamente, essa ancora non poteva dirsene innamorata. E poi, ella era ingenua; e in tale stato la donna quasi non si sente amare. Non è che il vizio co' suoi scaltrimenti e colle sue raffinatezze che si compiace di ascoltare, di analizzare l'amore. La donna incorrotta non si sente amare nello stesso modo che l'uomo sano non si sente vivere. La vita d'uomo sano, è come lo stile d'un bel libro, di cui nessuno si avvede che ci sia. Le ricercatezze d'uno stile equivalgono a un mal di denti che ci fanno accorgere di averli in bocca.
La prima volta, che Forestina si era ripiegata sopra sè stessa e aveva dovuto rendersi conto dello stato del proprio cuore, fu spaventata dal progresso rapido e violento della sua passione per Osvaldo. Ella si trovava soggiogata da lui, che pur non pensava a soggiogarla. Allora nella sua fervida volontà di non far del male a suo marito, aveva tentato di chiedere a Dio la grazia di dimenticare il Millo. Ma quella preghiera non poteva essere nè fiduciosa, nè sincera. Ella stessa presentiva che quell'implorazione era piuttosto uno sforzo della ragione che uno slancio spontaneo del cuore; giacchè in un canto di questo, rannicchiata e tacita, ma pur vigile e viva, ardeva una persuasione contraria alla preghiera; e il miraggio della fantasia innamorata, mentre ella pregava per forma, le ridipingeva con estasi alla mente le delizie della sua segreta tenerezza per Osvaldo.
Però a queste lotte ancora un po' vaghe, sovrastava un sentimento più certo e minaccioso. Un sentimento che non ammetteva il dubbio, e che la riempiva di un segreto spavento, la violenta gelosia di suo marito.
Essa sapeva che con questo avrebbe potuto giuocare la vita.
Se non che, per una di quelle contraddizioni del carattere femminile, questa paura, che avrebbe guarita una pusillanimità volgare, ispirava alla figlia del deportato un ardore8 novello. Da quel potente ostacolo, ella sentiva scattar più risoluta e veemente la smania di riuscire a farsi amare da Osvaldo; e l'idea istessa della quasi impossibilità che il severo giovine potesse tradire l'amico, che gli aveva salvata la vita, raddoppiava in lei l'amoroso entusiasmo.
In sostanza questa specie di coraggio nervoso, non è altro che una espressione di quell'istinto di sacrificio e di annegazione da cui è animata tanto spesso la donna. Benedetto, se rivolto al sollievo della miseria, e se ispira gli eroismi delle suore di Carità, micidiale, se rivolto all'altrui danno e ispirato da folle passione.
Rimasta sola, dopo che suo marito aveva acquistata la dolorosa certezza della sua avversione, ella aveva rassettate un poco le idee, e si era lasciata andare ad una fantasticheria nuovissima, nella quale, si può dire, non c'entrava premeditazione, nè volontà. Era un soffio vizioso, una flatulenza del suo istinto non temprato da sane idee. Ella non aveva colpa di quella tenebrosa insinuazione che le veniva suggerita da un mal animo, a cui volentieri avrebbe voluto ribellarsi. Era un soffio insano, una istigazione mostruosa, che le aveva sorpresa la mente e le conquistava e le invadeva a poco a poco tutte le facoltà dell'animo.
Forestina, d'indole non era perversa; e appena s'accorse della enormità di quella tentazione ne ebbe ribrezzo, e si mise a ripregare.
Ma l'incubo aumentava. La suggestione del delitto, se una passione violenta la ispira, è pertinace, insistente, implacabile.
L'idea era orribile, ma semplice come a dire: buon giorno: liberarsi da suo marito denunciandolo come forzato in rottura di bando.
Stretta dal pensiero infame, pur negando in cuor suo di averne colpa, e protestando di non esserne complice, ella scendeva a discuterlo.
La sua attrazione verso Osvaldo era così prepotente, e gli aveva prodotta nel cuore una avversione così spiegata per suo marito, che se quella nervosa e debole creatura, ci fosse riuscita da sola a sconfiggere quella tentazione si avrebbe potuto gridare al miracolo!
Era la prima volta che Forestina si trovasse in una camera chiusa, da sola a sola, coll'uomo fatale.
La poverina, vedendolo entrare, cominciò a tremare come un fanciullo, che ha paura del buio.
Le pareva di sentire nel proprio cuore il battito di quello di Osvaldo, le pareva quasi di respirare col suo alito.
Il Millo si fermò un istante9 sulla soglia dell'uscio, consapevole anch'esso della gravità della situazione, e pallido più del consueto.
Erano innocenti come due bambini e tremavano come due scellerati.
Forestina fu presa da quella sottil febbre arcana, che è come il presentimento della crisi.
Ella capì che Osvaldo veniva a parlarle del suo amore.
Il momento solenne sovrastava.
Nel punto ultimo della battaglia, fra la passione e il dovere, fra la voce del cuore e la voce della ragione, in quel momento algido che precede la confessione di un amore colpevole, c'è qualche cosa che supera ogni legge di morale e di filosofia.
Sta bene il non arrivare fino ad esso! Ma una volta che la donna ci è arrivata non esiste più per lei legge umana, nè divina; giacchè in quel punto la sua mente non potrebbe nemmeno avvertirla.
Quando è scritto che una passione debba avere il suo esito, tutta l'elettricità che sta ammassata nel cuore, si scatena colle stesse leggi che presiedono agli uragani. Un soffio misterioso si desta a quel fine, e infiamma ogni senso ed ogni sentimento. Il Dio ignoto sta per mostrarsi. Inginocchiamoci! Già il tempio è pronto: sull'ara scintilla il sacro fuoco.
— Forestina — disse Osvaldo, avvicinandosi a lei, colla più disinvolta indifferenza di cui fu capace e coll'accento di un uomo risoluto a compire una buona azione. — Io vengo a nome di vostro marito...
Ma vedendo che essa tremava, ripigliò:
— Coraggio, Forestina; se le cose sono a questo punto noi due non potremmo continuare a vederci! Così non possiamo andare avanti.
Forestina, a sentirsi annunciare così di fronte e semplicemente la propria passione, scoppiò in lagrime dirotte, e si appoggiò a lui per non cadere.
Non fu nè vergogna, nè tenerezza, nè voluttà. Fu il sentirsi mancare ogni forza fisica, come se Osvaldo le avesse detto: preparati a morire.
Era la più eloquente delle risposte.
— Forestina coraggio — ripetè Osvaldo — non ci è nulla che calmi più che il confessare a sè stesso e ad altri ciò che si soffre. Ditemi il vostro cuore, giacchè io credo che, studiandovi, si scioglierà questo pericoloso incanto, da cui siete presa e quasi ammaliata. Ditemi, perchè lagrimate così?
La donna infatti cogli occhi pieni di pianto fissati in quelli del giovine, che aveva sopra di lei un così smisurato impero, stava fra il pudico e l’attonito, senza rispondergli,
Avrebbe ella amato un altro linguaggio, o sentiva vergogna della propria emozione?
— Forse fu mia colpa? — domandò Osvaldo.
— Oh! non è colpa!— disse Forestina con un filo di voce.
— Cercate di entrare in voi stessa, e di sciogliere nel vostro cuore questa specie d'illusione che vi esalta e vi commove in questo modo.
— Lo so: ma voi pure sapete che noi non possiamo essere l'uno dell'altro! Sarebbe da parte mia, non soltanto debolezza, ma un orribile tradimento verso vostro marito.
— Lo comprendo, ma io vi amo! — ripetè Forestina.
— Io mi accorsi che in voi s'era destato, questo... amore, ma sperai che non fosse altro che un'idea di passaggio....
Forestina crollò mestamente il capo.
— Forse è stata appunto la mia dissimulazione che fece il peggio?
— Lo so io? — rispose finalmente la donna — È la prima volta ch'io sento così; nè so, nè voglio dissimularlo. Quando sono sola, mi sembra di avere un visibilio di cose da dirvi, di domande da farvi, di idee da comunicarvi; quando vi vedo, tutto scompare; mi basta la vostra presenza, e comincia nella mia testa una terribile confusione. Poc'anzi quando avete pronunciato quelle parole, quando mi avete detto: così non possiamo andare avanti, sentii che erano tanto vere, che mi prese lo schianto, perchè infatti io non potrei continuare così. Quando vi vedo, Osvaldo, io gelo e ardo nello stesso tempo. Spiegatemi voi, perchè in un punto medesimo debba provare una delizia e uno spasimo. Io non ne ho colpa. Sono io forse che ho cercato di sentire così? Avreste per caso sopra di voi una magica potenza? Se siete un incantatore, fareste male a usare del vostro impero sopra di me.
— Voi, Forestina, credete agli incantatori?
— Oh! io vidi, là, nella mia isola degli Indiani affascinare dei serpenti velenosi, attorcigliarli intorno alle braccia e al corpo, e renderli docili e obbedienti al minimo cenno. Io non sono un serpente velenoso, eppure voi mi avete ridotta così!
Queste cose, erano dette da Forestina, con una ingenuità ed una voce incantevoli.
— Sareste voi pronta a seguire vostro marito se dovesse tornare all'isola?
— Con voi?
— No; con lui soltanto.
— Non lo potrei!
— Perchè?
— No Forestina, è un illusione; non si muore di questo.
— Ma sarebbe un supplizio peggiore della morte. Ritornare senza di voi là, fra quella gente!
— Qual gente?
— I miei compatriotti.
— Per quale ragione?
Forestina si trovò spaventata della propria imprudenza.
— Ora non posso dirvelo; forse un giorno,
— Ormai vi siete troppo avanzata.
— No è impossibile, Osvaldo. Perdonatemi, è impossibile.
Questa resipiscenza di Forestina, questo mistero ch'ella si rifiutava di svelargli in quel punto, questo nuovo impero sopra sè stessa piccarono leggermente il filosofo, che era pur uomo anche lui di carne e d'ossa.
— Sta bene! — disse — Giacchè non mi trovate degno della vostra confidenza...
— Ah no, Osvaldo. Ma non posso!
— Io venni a nome di Mario istesso a pregarvi di non essere crudele con lui! Egli è molto infelice!
— Oh credete forse che io non lo sia? — sclamò Forestina — E io, per di più, ho paura, Osvaldo, che voi mi disprezziate.
— No Forestina. Non dite questa cosa. Voi, avete bisogno soltanto di calmarvi; io vi stimo, e vi amo come una sorella, come un'amica; assicuratevi. La vostra fantasia non ha ancora perdute tutte le sue foghe native e vi tormentate per nulla! Voi avete letti troppi romanzi Forestina, e siete soggiogata da una specie di ideale sconosciuto, che sperate invano di trovare in me. A me ripugnerebbe di tenervi uno di que' discorsi, che mi imagino si facciano dagli uomini, alle donne belle e degne di conquista. Con voi io non potrei attenuare, neppure ai vostri occhi, la violazione indegna che commetterei se dessi ascolto alla simpatia forte, che voi non potete a meno di ispirarmi. Non è soltanto un obbligo di onore che mi lega a Mario, ma un obbligo di vera e sentita riconoscenza. Per la vita e per la morte, fu il motto del nostro avvenire, là sul bastimento al momento terribile. Se tradissi Mario, oltrechè un uomo infame, sarei anche un uomo debole, e come tale verrebbe un giorno che sarei disprezzato da voi.
— Oh no mai! — sclamò Forestina con accento di convinzione profonda.
Osvaldo si sentiva freddo e forte dinanzi a Forestina, non solo perchè a quell'anima strana la donna d'altri non poteva apportar desiderio; ma perchè l'aver riveduta la sua Claudia gli aveva fatto rivibrar nel cuore un palpito indistinto, ma formidabile!
Nondimeno, lo ripeto, era uomo anche lui, e possedeva l'anima aperta a tutte le sensazioni più nobili della bellezza e della grazia!
— Mi avete voi compreso? — diss'egli prendendo amichevolmente le due mani alla moglie di Mario, per accomiatarsi — Perchè se poi venisse un giorno, che anch'io vinto dal pensiero che voi siete fissa nel vostro amore per me, e affascinato alla mia volta dalla vostra bellezza, non pensassi che debbo la vita a vostro marito, e che sarei il più infame degli uomini se lo tradissi, e stringendovi nelle mie braccia vi dicessi: è il destino che lo esige... che cos'accadrebbe poi di noi due?...
Forestina si era levata lentamente anch'essa, cogli occhi perduti in quelli di Osvaldo, e già più non ascoltava che il suono confuso delle sue inebbrianti parole, e non vedeva che la desiderata espressione delle sue pupille, che in quel momento fiammeggiarono d'amore e di voluttà. Il rimprovero, la minaccia, la domanda con cui egli aveva chiuso il suo dire non la toccavano punto. La voce, lo sguardo, il tatto avevano già prodotto nella fantasia della cara donna il mirabile effetto. Ella aveva socchiusi lentamente i suoi occhioni innamorati e si era lasciata cadere come sfinita nelle braccia di lui!
A questo punto, signori fisiologi, non c'è via di mezzo, per un uomo.
E in questo caso amore significa adulterio!
L'alternativa è questa.
Ma Osvaldo si ritrasse! Era ancora in tempo!
Egli sapeva che il momento critico può giungere così impreveduto e imperioso, che nessuna virtù vi possa stare di contro.
Non è necessario, del resto, essere un uomo sublime per avere di simili eroismi; tradire un amico, è già cosa deforme; tradire chi ci salvò la vita, è vituperio.
E poi lo ripeto, egli sentiva di non amare Forestina. S'egli avesse potuto amare voluttuosamente una donna avrebbe adorata ancora la sua Claudia!
— Forestina coraggio — le disse — e pietà del tuo Mario.
Ella alzò, negli occhi di lui, i suoi, maravigliosi di tenerezza e di patimento, e così si lasciarono.
Tutta la gente di buon gusto, che ama in letteratura la moralità del fondo e la decenza della forma, sarà non dubito edificata dal contegno di Osvaldo Millo. È pregata, però, a mettersi con me una mano sulla coscienza, e a confessarmi sinceramente, se dal fondo di essa,— che tutti più o meno un fondo lo abbiamo, — non sia salito al loro cervello un profumo d'ironia, e un'ombra di delusione?
Non ne farei loro una colpa! L'ho provato anch'io, quando seppi questa scena così vera e pur così inverosimile.
In tal modo è foggiata la morale leggermente ipocrita del nostro tempo!
Una legge così seria, così inconcussa, come quella che vieta di tradire l'amico, che consiglia, anzi che impone la riconoscenza..!. ebbene, questa legge, quando viene osservata in faccia a una donna bella e innamorata, produce negli animi nostri bacati e frolli un senso quasi di sarcasmo.
E i più volgari non ristaranno dallo sclamare una frase facilissima a pensarsi, ed a dirsi: Che minchione! E crederanno di aver detta una cosa arguta!
Così quella forza del dovere che trattiene un galantuomo dal cedere all'esigenza dell'istinto non è per la gran maggioranza del volgo che un soggetto di scherno.
E come se in amore, non bastassero già le voci del sangue a farci transigere sulle leggi dell'onore, la società, che pur spasima di morale non solo non ammette, ma condanna al ridicolo la virtù maschile.
C'è nella storia sacra una figura, più beffeggiata di quella di Giuseppe Ebreo? Eppure, se non erro, là nel libro santo è presentata come un tipo da imitarsi, è data in esempio dai preti ai fanciulli che non dovrebbero capirla, ma che ammirano il bel colore dello strappato mantello!
Ebbene? Sfido qualunque puritano a dirmi, se c'è scena coperta di maggior ridicolo di codesta, in cui il ragioniere di Putifarre, sfugge alle insidie della lubrica padrona.
Chi sa, quanti giovani leali, quanti amici riconoscenti, furono sconsigliati dal resistere alle tentazioni, pensando alla Storia Sacra.
Oh! fantasma ingenuo e indecente di Giuseppe il Casto, che nelle intenzioni di chi scriveva il Vecchio Testamento, eri destinato, a rappresentare il simbolo della rettitudine in amore, tu non sei riuscito, che a far testimonianza dell'enorme ipocrisia, che domina la società attuale.