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— Oh Claudia! — sclamò Steno entrando come un razzo, colla voce affettuosa d'un amante, che s'aspetti d'essere accolto a braccia aperte dalla donna amata.
La Claudia invece restò là senza parola fredda ed altera.
Il Marazzi con un colpo d'occhio rapidissimo, che pur si distese tutto intorno alla camera parve chieder conto a quel luogo di un ricevimento così glaciale e inaspettato.
Egli rimase immobile, a due passi dall'uscio, e si sentì stretto il cuore da un ignoto presentimento di sciagura.
La freddezza di Claudia, il suo contegno, gli parlarono chiaro fin dal primo sguardo.
— Tu dunque non hai saputo nulla de' casi miei? — le domandò con ansia, avvicinandosele umile e turbato,
— Io no. Sono ormai due mesi che aspettavo vostre nuove, signor mio. E due mesi sono lunghi!
— Dio! Dio! Che mistero d'inferno è dunque il mio? — sclamò Steno. — Io t'ho pur scritte due lettere! E non poter scoprir nulla.... nulla... Ma ti racconterò ogni cosa, poi.... Ora lascia prima che io ti dia la mia buona novella... la mia splendida novella. Claudia io sono ricco... ricco a milioni... come un Creso... sono degno di te.
— Davvero? — labbreggiò la donna con una inenarrabile indifferenza.
— Sono milionario, mia Claudia!... Oh ti conterò, ti conterò... Ora non ne ho voglia..... Claudia, lascia ch'io ti faccia il mio primo bacio di sposo.
— No — disse Claudia alzando la destra con molta dignità.
— Ah! Sei dunque mutata davvero per me?
— Forse!
— Tu sei in collera perchè fui lontano tutto questo tempo?
— Può essere un po' anche per questo... ma non è tutto.
— Che c'è di più? Mio Dio, tu mi spaventi!
— Non potrei dirvelo, Steno. Vi basti sapere che ormai l'uomo che vorrà conquistarmi dovrà molto soffrire... È una risoluzione nuova. Un capriccio!
— Molto soffrire? In che modo?
— Lo so io. Soffrire, patire, piangere, disperarsi! Non sapete forse che cosa vogliono dire queste parole? Non avete mai sofferto, voi?
— Se non ho sofferto? Ah Claudia. Da due mesi non ho fatto altro! Ti conterò, ti conterò poi. Ebbene io sono pronto. Fammi patire.
— Non datemi del tu, Steno. L'incanto che esisteva fra noi due è spezzato. Io non posso sentirmi dare del tu, se non dall' uomo che amerò io stessa. Ve ne avverto.
Il povero Steno sentì al cuore una fitta come di pugnale.
— Voi dunque mi accusate prima di aver udita la mia storia? — diss'egli dolorosamente.
— La vostra storia io non ho voglia d'udirla stasera. Me la racconterete forse più tardi; domani. Ora sono svogliata. Ho i nervi! Perdonatemi Steno.
— Per pietà, per carità, spiegati Claudia — sclamò Steno Marazzi stringendo l'adorata manina nelle sue. — Tu mi spaventi, giacchè ora che da parte mia è cessato l'ostacolo che si opponeva al mio amore... e che sento di adorarti tanto...
— E la Miette? — disse Claudia interrompendolo.
— Ah povera Miette! Sarebbe mai per essa?
— Voi la compiangete?
— Oh sì davvero!
— E perchè l'avete sedotta allora, cattivo soggetto?
— Ah Claudia, io ti giuro che non ho fatto gran che per sedurla. Essa mi amava prima che io ti vedessi là sull'Alpe del Romitorio. Te ne ricordi Claudia?
— V'ho pregato di non darmi del tu. Io non sono gelosa della Miette. Voi lo sapete. Sono soltanto curiosa.
— Oh non parliamone! È il mio rimorso! Parliamo di noi due. Claudia, mia Claudia, perchè siete diventata così fredda?
— Volete, Steno, che io sia franca come sempre?
— Oh sì, lo esigo.
— E se vi facesse molto male!
— Io credevo di essere innamorata di voi; ma quando non vi lasciaste più vedere mi sono accorta, che la era stata anche quella una illusione della mia fantasia.
— Oh Claudia! Perchè mi parlate così? Voi non sapete lo strazio che mi procurate.
— Ah lo strazio!... — disse Claudia chinando il capo.— Se non volete sentire la verità tacerò.
— No. È meglio sentirla. Ho torto io! Parlate, straziatemi pure a vostra posta. Spiegatevi. Sono pronto al tormento;
— Io sono di malumore perchè voi non siete riuscito ad ammaliarmi, a dominarmi, come avrei desiderato!
Steno Marazzi si fece pallido come un morto.
— Per carità, Claudia, non toglietemi subito ogni speranza se non volete vedermi morire qui sul posto.
— Oh non si muore! — sclamò la donna con accento profondo e compassionevole.
Steno credette ch'ella si movesse a pietà di lui e le si avvicinò pieno di speranza.
— Ascolta — disse — e permettimi, te ne scongiuro di trattarti ancora per poco come una volta. Poi se vedrò assolutamente che tu non mi ami più, diventerai anche per me la signora Claudia Delmonte.
— Parla — diss'ella con una calma olimpica.
— Tu dunque non sai neppure la orrenda disgrazia che mi ha colpito or sono due mesi pochi giorni dopo d'averti veduta l'ultima volta?
— Io no.
— Morta! Povera donna! Ma almeno ella non sente più nulla!
— Mia madre è morta, — ripetè Steno — mia madre che divideva con te l'affetto immenso dell'anima mia. Ora, se anche il tuo amore mi mancasse, che cosa accadrebbe di me Claudia?
Parve a Steno che questo parole producessero nell'animo di lei l'ambito effetto. Ebbe per lui uno sguardo dolce, e un sorriso pieno di compassione.
Ma invece ella pronunciò queste parole atroci:
— Credi tu Steno che io abbia l'obbligo di pensare a quello che potrebbe accadere di male a tutti quelli che mi amano e che io non amo?
— Oh voi siete crudele Claudia! — sclamò il povero Steno dando un passo indietro. — Io non vi avevo ancora conosciuta così! In voi è dunque successo un gran cambiamento? Questo pallore, questa ironia che spira dalla vostra voce e dalle vostre parole mi dicono che v'è accaduto qualche cosa di molto grave.
La Claudia rivolse altrove gli occhi, muta, commossa, pur sempre altera e rispose:
— Può darsi!
— Ah! — sclamò a un tratto il Marazzi come illuminato — Forse lo Stacchi che usciva quand'io entrai? Sarebbe possibile!
Claudia prima spalancò gli occhi in quelli di Steno, poi ruppe in un grande scroscio di riso.
— Sareste geloso di Stacchi, ora?
— Ma!
— No; non fategli quest'onore, via.
— Chi dunque mi può aver rapito il tuo cuore, Claudia, giacchè tu non vorrai farmi credere di non essere innamorata di un altro?
— Chi ve lo dice?
— Me lo dice tutta te stessa, i tuoi occhi, il tuo pallore, il fascino nuovo della tua fronte e della tua persona. Tutto tutto in te parla d'amore, l'espressione insolita della tua fisonomia mi dice pur troppo che tu sei sotto l'influsso d'uno struggimento nuovo... Non è forse vero?
— No! — rispose Claudia — Mi par anzi di odiare!
L'uscio della camera s'aperse e l'Antonietta ricomparve per la terza volta annunciando il marchese Cacciaterra.
— Lui! Lui! Qui?
— Che sorpresa! Non sapete ch'egli mi è amico?
— Ma pure, Claudia, voi mi avevate promesso che egli non avrebbe posto il piede nella vostra casa.
— Sarà! Ma se egli ve lo pone io non posso certo rimandarlo. Egli viene a darmi notizie della sua elezione o del suo fiasco elettorale.
— Che cosa debbo dirgli? — domandò l'Antonietta,
— Digli che se ne vada — osò Steno — io non voglio vederlo quell'uomo!
Claudia invece di offendersi si fece graziosa e s'avvicinò a Steno.
— Via! — gli disse con voce sommessa. — non farmi il ragazzo. Non riceverlo sarebbe impossibile. Se tu non vuoi vederlo ti farò uscire per di là. O meglio dirò all'Antonietta di far entrare il marchese nella sala. Va bene?
E fece un gesto.
L'Antonietta uscì.
— Dunque a me tocca di lasciargli il campo?
— Dal momento che non vuoi vederlo.
Il tu della Claudia aveva racconsolato il povero Steno.
— Si è vero! O Claudia ti ringrazio che sei tornata buona. Ah come ti amo, mio angelo!
— Davvero?
— Oh tanto!
— Immensamente?
— Immensamente! E se tu Claudia potessi farmi questo sacrificio..?
— Quale?
— Di non ricevere il marchese.
— Non posso.
La bella vedova stette un minuto sopra pensiero. Un lampo di acutissima ironia passò ne' suoi occhi.
— No, ripetè, è impossibile... Però... ascolta. Qual'è il voto più fervido del tuo cuore?
— Il mio voto più fervido? Tu bene lo sai.
— Ma dillo.
— È quello di farti mia... di stringerti nelle mie braccia... di possederti...
— Ebbene — disse Claudia — se io ti mandassi via ora, per lasciarti tornare presso di me, più tardi, quando il marchese fosse partito?
Fra le emozioni più violente che possano capitare ad un innamorato privo di speranza certo v'è quella d'una promessa, tanto più sorprendente e deliziosa, quanto meno aspettata.
Steno fu talmente scosso dalle parole della Claudia che rimase per un minuto, come incredulo e colpito di maraviglia.
— Me lo giuri? — diss'egli come pazzo di gioia.
— Sì — rispose ella freddamente — passeggerai sotto questa finestra, che da sul vicolo. Ma bada di non lasciarti vedere da Cacciaterra quando uscirà dalla porta. Allorchè vedrai aprire la finestra sarà segno che potrai tornare di sopra. La porta sta aperta fino alle undici.
— Angelo! — sclamò Steno Marazzi.
— Sei contento?
— Me lo chiedi? A rivederci, anima cara.
E uscì.
Nello stesso tempo il marchese entrava nel gabinetto dall'uscio della sala.
La Claudia gli andò incontro premurosa con un incantevole sorriso sulle labbra.
Il contegno del marchese verso di lei naturalmente doveva dipendere da quell'accoglienza.
Le baciò dunque appassionatamente la mano che essa gli porse, e invitato a sedere presso a lei, depose il cappello e le si mise a fianco sul divano.
— E così? Riuscito? — fu la prima domanda di Claudia.
— Sono in ballottaggio — rispose il marchese — ma se altro non accade spero riuscire, giacchè ho duecento voti più del mio avversario, il progressista.
— E quando sarà il ballottaggio?
— A giorni!
— Che cosa potrebbe accadere? — domandò la Claudia sbadatamente.
— Vi confesserò che questa volta il vostro signor Marazzi mi lasciò tranquillo, mentre se si fosse messo a farmi la guerra, come l'altra volta, certamente non avrei avuta quella splendida votazione,
— E perchè dite: il vostro signor Marazzi?
— Cara Claudia non potete negare quello che tutti sanno, quello che voi stessa non vi siete curata di nascondermi.
— E cioè? Spiegatevi.
— Che il fortunato è lui.
— Nell'avervi saputo toccare il cuore.
La Claudia non rispose, ma guardò il marchese come non lo avea guardato mai.
Il povero uomo si sentì tutto scombussolato.
— Claudia — le disse — perchè m'avete guardato in quel modo?
— Per farvi capire che vi ingannate anche voi, come tutti.
— Sarebbe vero ? Voi non amate Steno Marazzi?
— No.
— Ma allora, in nome di Dio, chi amate voi? — sclamò il marchese? — perchè, già, la languidezza nuova de' vostri occhi, e il pallore strano delle vostre guancie non possono essere che d'amore, per una persona che forse vi rende infelice, mentre pur avreste tanto diritto di essere felice.
— E se la vostra esperienza vi ingannasse? Se io non fossi già, come voi dite, innamorata d'una persona, ma soltanto ammalata per l'aspirazione ad essere amata. Io sono vedova, e ho si può dire appena intraveduto le delizie di questo sentimento, che ci fa vivere noi donne; noi che non abbiamo come voi le ambizioni del riuscire deputati o ministri. Io ardo di essere riamata.
— Da chi? — domandò il marchese.
— Da chi mi saprà meritare, per Dio!
— Il signor Marazzi non vi ha dunque saputo meritare?
— No.
— E che cosa sarebbe necessario di fare per meritarvi Claudia?
— Innanzi tutto essere immensamente innamorato di me.
— Io lo sono.
— Non è vero.
— Perchè?
— Perchè se lo foste non avreste pensato a diventar deputato.
— Gran Dio! Voi...? Siete voi ora che mi parlate così? Ma non vi ricordate Claudia, quante volte mi avete ripetuto, voi stessa, che io dovevo muovermi, brigare, per riuscirvi?
— Io?
— Sì voi, voi. Quante volte mi avete detto che non mi potevate soffrire, perchè io perdevo il mio tempo a starvi al fianco. Non vi ricordate che mi diceste perfino che vi faceva rabbia di veder vostro zio imbrancarsi coi progressisti, e mi animavate a sostenere con tutte le mie forze i moderati.
— Io! Io vi dissi queste cose? Mi par impossibile!
— Vorreste voi che le inventassi?
— No, non dico questo... Ma... Che stordita! Sarà benissimo.
— Ebbene?
— Ebbene che cosa?
— Volete voi che io rinunci alla deputazione, per mostrarvi che sono schiavo dei vostri cenni?
— Non siete ancora eletto?
— Ho duecento voti più del mio avversario.
— Io non so bene se fareste un sagrificio rinunciando.
— Grande sagrificio! Voi sapete Claudia che ancora prima di conoscervi io ambivo all'onore di rappresentare il mio paese. Non è dunque cosa nuova in me. Ma ora, per darvi una prova della mia devozione, se voi volete che io rinunci a questo onore...
— Ebbene. Lo voglio.
— Sarete esaudita.
— E che cosa sperate in contraccambio?
— Siete voi sempre nelle stesse disposizioni verso di me?
— Sempre.
— Se io accettassi di diventare la vostra amante sareste voi pronto, poi, a darmi il vostro nome?
— Con immenso giubilo... Ad un patto però.
— E quale?
— Che si vivrebbe in un paese dove non ci fosse il signor Steno Marazzi.
— Di cui sareste sempre geloso? Avreste torto marchese. Io non amo e non amerò mai il signor Marazzi.
— Me lo giurate?
— Ve lo giuro.
Claudia disse quel: ve lo giuro, in modo che bisognava essere un gran cretino o un grande scettico per non crederle.
Il marchese le porse la destra e disse:
— E potrò io sperare d'essere amato da voi?
— Amato no. Come volete pretendere che io cominci ad amarvi, diventando vostra moglie, se non ci siete riescito finora?
— E allora?
— Si può essere moglie onesta e non essere innamorata di suo marito.
— Ebbene, vi credo; se voi volete essere la marchesa Cacciaterra, io sarò vostro marito.
— E dove mi condurreste a vivere?
— Dovunque a voi piaccia, tranne che a Milano.
— Volete che partiamo stasera istessa per non aspettar domani?
Il marchese a questa strana, inaspettata proposta restò come uomo che non abbia capito bene. La bocca semiaperta, il gesto troncato a mezzo, un sorriso di sorpresa e di felicità negli occhi!
— Partire! Questa notte? Per dove?
— Pel vostro collegio. Là domani mattina farete la rinuncia, poi andremo a Parigi! Vi sta?
— Vi faccio riflettere che ora sono le dieci e che il treno parte fra mezz'ora.
— Che importa?
— Avete dunque il capriccio di viaggiare con me questa notte?
— Precisamente. Ho il capriccio di viaggiare con voi questa notte.
Così dicendo aveva suonato il campanello.
L'Antonietta entrò:
— Prepara la mia pelliccia e tutto l'occorrente. Tu mi verrai dietro domani. Ti scriverò quello che dovrai fare. Io parto questa notte col marchese.
Si volse a questi e soggiunse:
— Permettete...
Poi s' avvicinò alla Antonietta e proseguì sottovoce in modo che il marchese non udisse:
— Quand'io sarò uscita tu andrai a quella finestra e aprirai le persiane. Il signor Steno Marazzi monterà le scale e verrà a suonare il campanello. Tu lo lascerai entrar qui, e gli dirai di aspettarmi.
— Dunque allora lei non parte?
— Lascia pure che egli mi aspetti tutta la notte. Io non tornerò più a casa, forse. Non cercarmi. Nessuno dove sapere dove io sono andata.
Il giorno dopo un uomo entrava nell’albergo, dove alloggiava Nataniele Rota, e domandava al cameriere se era in casa.
Alla sua affermazione egli montava le scale, attraversava l'anticamera, si cavava il paletò, poi, per non perdere l'abitudine, si metteva a origliare all'uscio della camera, dove era aspettato ansiosamente dal prefetto di X...
Stette così fino a quando udì dei passi nell'attiguo corridojo.
Allora, colla nocca dell'indice, picchiò e gli fu risposto: avanti.
— Li avete? — disse Nataniele.
— Li ho.
— Quante pagine?
— Poche. Quattro sole.
Il prefetto di X... dopo averle esaminate alla sfuggita andò ad un cassetto, ne levò quattro biglietti da cento, li mise in mano alla spia e le additò la porta.
Bamboccia uscì senza neppure dire: grazie.
Ed ecco, senz'altro, che cosa lesse Nataniele nelle pagine recategli dall'agente segreto.
«Nataniele Rota, nei primi anni di sua gioventù, era sopranominato la Balia, perchè esercitò il mestiere di frodare i trovatelli dalla Svizzera sul territorio italiano. Oggi egli è prefetto di.... in Francia e conta fra i più zelanti e scaltri membri della congrega Sanvicenzina.
Processato dal Governo svizzero, come contrabbandiere di bimbi, tralasciò di far questo mestiere e andò a Genova con un suo compagno sopranominato Briccolla; e là si presentarono al presidente della Conferenza di San Vincenzo di Paola, chiedendo di essere ammessi nella Congregazione. Fu accolto insieme a Giovanni Strumia il Briccolla, che ora fa l'eremita sull’Alpe del Romitorio presso U... Essi furono incaricati, come per prova, di qualche leggera missione; e Nataniele Rota mostrando molto ingegno fu nominato segretario della Congregazione.
Nel 1859 Nataniele Rota si attaccò all'esercito francese, incaricato dal presidente della Conferenza di sorvegliare certe suore di carità, addette a un'ambulanza del secondo corpo d'armata.
Finita la guerra andò in Francia col suo colonnello; ma ci stette pochi anni. Il segretario della Conferenza Paolotta di Genova fece ritorno in detta città, dove essendo morto il Presidente, gli venne offerta la carica maggiore ch'egli accettò. Quindi tornò subito in Francia, dove era stato chiamato dal direttore di Polizia della Senna.
Dal 1860 al 1866 il suo lavoro fu molto assiduo, in favore della propaganda clericale e napoleonista. Egli tentò per quanto stava nello sue forze di arrestare l'onda rivoluzionaria, in molte città, nei giorni che seguirono le vittorie francesi, e la pace di Villafranca.
Ecco tra gli altri i fatti più notevoli.
Egli arrivò di Francia, a Genova, poco prima la morte del conte di Cavour, con lettere commendatizie del Comitato clerico-borbonico di Lione i di cui membri sono l'avv. Chaurans, il banchiere Sappia, Leopoldo Gaillard letterato, Malhesieux consigliere alla Corte e Sanvincenzi altro magistrato, e si diede con tutta l'anima a tergiversare la politica italiana.
Insieme al famoso Griscelli difese a Bologna il cardinale Viale dal popolo irritato, il quale pretendeva anch'egli dovesse esporre i lumi sulle finestre del suo palazzo. Quando Griscelli sparò in aria il colpo di pistola, che fece fuggire gli assalitori, Nataniele Rota li inseguì e ferì nella schiena un povero giovinetto di sedici anni, che dovette morire il giorno dopo all'ospedale.
Da Bologna si portò a Roma, quando seppe che sarebbe stato arrestato.
A Roma fu ricevuto dal cardinale Milesi e attaccato alla polizia del papa, fu incaricato dal cardinale Antonelli di sorvegliare il barone di Rimini inviato a Roma da Cavour colla missione segreta di entrare nelle buone grazie del Sacro Collegio, e conoscere ciò che i Sanfedisti complottavano contro l'Italia,
In questa sorveglianza Nataniele Rota fu assolutamente infelice, e ingannato dal barone di Rimini, che subito si accorse essere lui un agente segreto di Antonelli.
Colui per ingannarlo faceva mostra di non accorgersi menomamente di averlo alle spalle ed entrava a visitar tutte le chiese a pregare fervorosamente ora dinanzi ad un Crocifisso ora dinanzi a un'imagine di Madonna.
Il Rota dava ad Antonelli i rapporti più rassicuranti su quell'agente segreto di Cavour.
Fu involto nel famoso processo fatto dal capo di squadrone della gendarmeria francese Bellot de la Vigne contro gli assassini Mariani ed Ortoli che il Sacro Collegio aveva fatti uscir dal bagno per uccidere Napoleone e Garibaldi.
Convinti d'aver pubblicamente propalato il progetto di assassinio pur furono salvi per la protezione di Antonelli, che affidò al Rota il difficile incarico di distruggere la istruzione e di far passare la frontiera ai due manigoldi.
Durante la guerra civile spagnuola egli fu incaricato dal superiore dei Gesuiti di Bordò di portarsi al quartier generale di Don Carlos a recargli il contratto, col quale l'Ordine si impegnava a passargli centomila franchi al giorno, per mantenere i suoi briganti nelle provincie di Biscaglia.
Nel 1872 gli capitò in ferrovia lo scandalo della Viscontessa V... Il capo treno colse Nataniele Rota nel vagone, solo colla signora, in tale atto, che, il suo dovere, gli impose di far rapporto all'Ufficio delle strade ferrate.
Il caso fu portato dinanzi ai tribunali, dove come pezza di prova comparvero perfino i calzoni della signora.
Ma il tribunale correzionale di Rochefort si guardò bene di condannare il reo; e Veuillot nell’Univers difese il Rota a spada tratta, dicendo che il fatto s'era consumato colle tendine abbassate e senza testimoni.
Trattarsi «d'un garçon et d'une veuve sans enfants: autant de cìrconstances attenuantes qui prouvent l’innocence de touts les deux».
Lo zelante capo treno della Compagnia dell'Ovest che aveva osato denunciare il sant'uomo fu gettato su una strada dalla Direzione della Società.
Nominato sotto prefetto da Napoleone III, per rimeritarlo dei molti servigi prestatigli in passato, si fece odiare dai suoi amministrati, in modo che gli si dovette mutar residenza. Ciò che gli fu concesso, pochi mesi prima della guerra contro la Prussia, con avanzamento di grado. Nel caso venisse in Italia sia sorvegliato severamente.