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Questo nuovo assalto alla sua coscienza e al suo cuore lo trovò estremamente debole.
L'antico lievito d'amore, dal giorno ch'egli aveva scoperto il cuore di Claudia, aveva ripreso nel suo animo il dolce lavorìo, senza, per così dire, ch'egli ne fosse consapevole.
E poi per lui era come vangelo una certa frase del Manzoni:
«Coloro, che in qualunque modo fanno torto altrui, sono rei non solo del male che commettono, ma anche del pervertimento a cui portano gli animi degli offesi».
E la delicatezza innata gli gridava: il reo sei tu!
Ancorchè dunque non fosse stato in lui altro sentimento che questo, il pensiero di lasciare che quella creatura, tanto amata un giorno, si degradasse così, senza tentar di dissuaderla, redimerla, di salvarla, gli sarebbe parsa una vigliaccheria.
Il fatto è che quella nuova confessione di amore e quella nuova minaccia, la quale confermava così misteriosamente gli altri due pronostici, mentre lo commossero gravemente, gli fecero provare una di quelle esultanze segrete, a cui da gran tempo era assolutamente disusato.
Aveva un bel dire fra sè: questa donna è indegna di me; aveva un bel ripensare alle miti e tranquille soddisfazioni del far il bene per il bene; aveva un bel esaltare in cuor suo il contento pacato e gentile, che gli procacciava la riconoscenza degli infelici beneficati. In confronto di quel sobbalzo, di quel tuffo nel sangue, di quel giubilo, che provò alla certezza dell'amore di Claudia, erano quelli, come raggi di luna invernale, in via romita, a confronto di un solleone in campagna a mezzo estate!
Alle otto di sera egli entrò nella porticina indicatagli nella lettera, con un battito di cuore violentissimo.
Montò fra due muri, una angusta scala, rischiarata da una lucernetta appesa alla parete in faccia, sul pianerottolo, svoltò nella ripresa dei gradini e si trovò in faccia all'uscio fatale.
Tirò il campanello.
L'imposta si aperse immediamente e Osvaldo si vide dinanzi, una vecchia — la vecchia infame! — che gli domandò chi cercasse.
— Claudia! — sclamò la vecchia — Caro signore qui di Claudie non ce ne stanno.
Osvaldo si sentì una mano nel sangue.
— Eppure! Chi ci sta qui?
— Qui ci stanno la signora Cloe e la signora Zefirina.
Si ricordò allora che la lettera gli diceva di cercare di Cloe, e arrossendo riprese:
— Ah è vero! Ha nome Cloe. Mi sbagliavo.
— Allora andiamo bene — sclamò la vecchia muovendosi. — Lei è forse aspettato?
— Sì.
— Chi è che le debbo annunciare di grazia?
A sentir la parola conte, la vecchia sollevò il capo, scoccò a Osvaldo uno sguardo, seguito da una squadrata molto significante, fece un inchino, e si mosse.
Lui tremava come se fosse venuto a commettere un delitto!
L'anticamera, a dir vero, non aveva nulla di straordinario. Assomigliava prosaicamente a tutte le volgari anticamere di Milano. Sull'orlo degli usci, all'altezza dove cade spesso la mano che li apre e che li chiude, c'era quella sciagurata orma bruna di sudicio, della quale in Germania e in Olanda non s'ha idea, nemmeno nelle case del volgo. Una lucerna stava appesa alla soffitta; intorno intorno ignobili canapè, di forma antica, con quei bracciuoli arrovesciati, e l'appoggiatoio alto e duro, colla cornice di legno di noce. Più in alto, appesi alle pareti, le quattro parti del mondo, in cornici di legno nero. La povera Oceania, — che avrebbe dovuto essere la quinta — era stata, come al solito, dimenticata.
— Chissà dove sono io? Chissà dove è venuta a stare quella sciagurata! — pensò Osvaldo.
La vecchia ritornò ben tosto e con un risolino, il quale avrebbe voluto essere garbato, e non era che vile, gli disse:
Claudia Valli, vedova Delmonte, era là, in piedi, in mezzo alla sala, colle braccia incrociate sul petto, coi capelli disciolti, che le scendevano fino ai ginocchi, e con uno sigarino di carta fra le labbra.
Essa aveva negli occhi e sugli angoli della bocca un sorriso indefinibile!
Un sorriso che difficilmente si avrebbe saputo dire se più esprimeva l'ironia, la vendetta, o la voluttà del trionfo.
Ma, dopo tutto, era bella da far perdere la testa ad un cretino.
Una veste da camera ricamata in oro, aperta con una certa noncuranza sul davanti, lasciava travedere il seno palpitante sotto una camicia di batista fìnissima, che s'accurvava leggiadramente sulla nuda rotondità.
Quello che si vedeva e quello che si indovinava avrebbe dato il capogiro anche al Sultano, avvezzo a simili spettacoli.
Un gran fuoco fiammeggiava sul caminetto e sbatteva la sua luce saltellante e vivida su quella pallida figura!
Sul tavolo stavano una bottiglia di rhum, una guantierina d'argento con dei biglietti di visita.
In terra un narguilè perfettamente arabo.
Osvaldo s'era arrestato sulla soglia dell'uscio, colle dita delle mani intrecciate, e cadenti sul grembo, come in atto di rimprovero di preghiera, di maraviglia!
Quelle due creature, che si erano tanto amate un giorno, si guardarono profondamente nelle pupille, e per due minuti successe un silenzio tale, che s'avrebbe udito a volare una farfalla.
Fu prima la Claudia a rompere quel silenzio. Levò di bocca il sigarino, sbuffò il fumo dalle labbra, socchiuse gli occhi e disse con voce lenta, commossa, ma posata e quasi spenta.
— Avanti, conte. Perchè state lì così? Temete forse di venirmi vicino? Vi faccio orrore abbastanza? Ho raggiunto il mio scopo? Mi disprezzate del tutto almeno ora?
Il conte mosse due passi innanzi, senza trovare una parola, nè un gesto, per interromperla.
— Vi ringrazio di essere venuto — ripigliò la Claudia — giacchè in parola d'onore ero ben lontana dall'aspettarvi tanto presto.
— Claudia! — sclamò finalmente Osvaldo con voce piena di dolore e di sorpresa.
Egli s'aspettava un così tutt'altro accoglimento, era tanto lontano dall'imaginarsi quello sterminato cinismo, che restò sbalordito, incerto, ferito, mortificato!
Claudia se ne accorse; i suoi occhi scintillarono di gioia.
— Ah caro mio — sclamò — se, venendo qui, voi aveste creduto che io dovessi cadervi piangente nelle braccia a farvi una scena commovente, vi sareste sbagliato di assai. D'ora innanzi, caro il mio Osvaldo, ho giurato di non piangere mai più! La gioia vera, sincera, immensa, che provo in questo istante, nel vedervi qui così addolorato, così avvilito, per causa mia, io non l'aveva provata mai in mia vita ve lo giuro.
— Oh Claudia non fatevi peggiore di quello che siete!
— Chè, chè! Questa la è una frase; una delle solite frasi, che si dicono perchè suonano bene; ma che non si pensano. Io non voglio farmi nè più buona, nè più cattiva. Vi dico quel che provo nel vedere che non mi sono ingannata, giacchè la vostra faccia pietosa mi fa capire che voi soffrite assai nel vedermi in questo luogo per colpa vostra!
— Ma in qual luogo siete voi, in nome di Dio?
— Ah che innocenza! — sclamò ridendo la Claudia — Non l'avete ancora capito? Io sono in casa della Zefirina... intendete? Della Zefirina.
— E chi è la Zefirina?
Claudia diede in un nuovo scoppio di riso, si guardò indietro, posò l'indice della destra — di quella sua destra così bianca, così nobile, così graziosa — attraverso le labbra e rispose:
— Zitto. È là! Potrebbe offendersi. È vero, del resto; voi non siete milanese e non avete il diritto di saperlo.
— Ma io non ve lo voglio dire…. Quando uscirete di qua, andate al caffè e domandatene conto. Non c'è uomo a Milano, dai quindici ai settant'anni che non possa dirvi chi è la Zeffìrina. La è una buona fanciulla, piena di cuore, che andrebbe nel fuoco per far piacere ad una amica. Ve la presenterò più tardi, e sono certo che la vi piacerà, perchè è bionda e a voi piacciono tanto le bionde!.. Oh a proposito che stordita! Come sta la vostra bella Forestina?
— La mia — gridò Osvaldo — Non dite così Claudia... Essa è moglie d'un uomo, che mi salvò la vita.
— Oh non vi riscaldate! Che m'importa ormai di colei? Parliamo di noi due... Ditemi quale fu il sentimento che vi consigliò di venir qui? Fu pura curiosità? Fu la speranza di farmi mutar proposito?..,
— Ma voi non m'avete ancora detto quale sia questo vostro proposito?
— Come! Me lo chiedete ancora? Ah questo è troppo!... Ebbene... Osvaldo — ripigliò — permettetemi che io non ve lo spieghi, giacchè se ho da dirvi la verità, ora che sono riuscita a tirarvi qui, io ne so forse meno di voi.
Osvaldo, a questa confessione, fatta tanto sinceramente, e quasi sfuggitale di bocca, così che non c'era da dubitar che non fosse vera, stette per poco a gettarsi al collo di Claudia, per ringraziarla di cuore, e dichiararle tutto il suo rinascente amore...
Ma si trattenne! Il sentimento di dignità e la timidezza ebbero anche questa volta il sopravvento.
— Io non ho altro scopo, caro Osvaldo, che quello di seguire il mio destino. È lo stesso scopo che vi minacciai il primo giorno che ci rivedemmo, se ve ne ricordate. Allora non mi credeste. Voi avreste potuto allora con una sola parola impedire ogni cosa; ma non l'avete voluto e tal sia di me. Ora questa donna che vedete qui dinanzi a voi, che soltanto due mesi or sono sarebbe stata lì pronta ad essere la vostra schiava, che aspirava, come una martire, a servire e ad adorare il suo Dio... che eravate voi... ora, sta qui imbrancata con una di quelle miserabili creature, che voi uomini disprezzate tanto, ma che pure riescono talvolta... esse... a farsi amare da voi.
— Ah no, non ancora imbrancata, per Dio! — sclamò Osvaldo prendendola per le mani, con occhio e con voce supplicante.
La Claudia impassibile, marmorea, sdegnosa, ritrasse le mani da quelle di Osvaldo e riprese:
— Via, conte, non fatemi lo scalmanato adesso! Saremmo ridicoli tutti e due.
Il Millo si sentì alla lettera correr un frizzo di gelo nelle vene e abbandonò le mani di Claudia.
— Non tentate di farmi della morale, perchè sprechereste il vostro tempo! Lasciatemi godere in pace la soddisfazione che provo nel vedervi pentito della vostra balordaggine! Un po' per uno a soffrire! Che ne dite?
— Oh se avessi imaginato! — sclamò Osvaldo.
E tacque.
— Non avete avuto dunque neppure il sospetto, che io potessi amarvi ancora come una povera pazza? Siete proprio ancora tanto modesto voi?
— Ma voi, Claudia, avete fatto di tutto per dissimulare questo amore... confessatelo.
— Volevate forse che allora vi sollecitassi io stessa? Che cosa mi diceste voi, del resto?
— È vero!..,. Ma ora!... Orsù, Claudia, venite con me.
— Dove vorrete voi; a casa mia, a casa di vostro zio, dovunque, tranne che qui!
— A casa vostra? — sclamò la Claudia ridendo con ironia. — Vaneggiate? La Cloe, la compagna della Zefirìna, in casa Millo? In casa di vostra zia bigotta? A rischio di trovare Forestina?
— Ma voi non lo siete ancora la Cloe, non lo foste per nessuno!
— Lo sono per voi e per la Zefirina.
Osvaldo si mise le mani nei capelli.
— Coraggio, coraggio! Era il mio destino! Vorreste voi andar contro al destino? Ah, come avreste fatto meglio, Osvaldo, a lasciarmi morire nell'Arno or sono sei anni!
— Vediamo, Claudia, che cosa vorreste che facessi per mostrarvi... per distogliervi dal vostro orrendo proposito?
— Nulla! Ve l'ho già detto. Ormai è troppo tardi. Sono risoluta.
— Ma è possibile? Voi la donna, dai nobili sentimenti, voi che...
— Ta, ta, ta, non fatemi nè adulazioni, nè prediche, ve ne scongiuro. Non ci credo alle prime, e non ascolto le seconde.
— Oh ma questo è orribile! — sclamò il giovine torcendosi le mani con angoscia.
— Perchè orribile? Che cosa importa a voi, del resto? Adesso io sono felice e smemorata. Non penso più al passato. Ho finito di soffrire e di piangere! Che volete di più? Ah voi non sapete nulla, caro mio, di ciò che mi accadde. Dal giorno che mi accorsi che voi amavate la Forestina, io mi credetti pazza e ho versate tante lagrime, che se si potessero raccogliere formerebbero un bel lago, ve lo assicuro. Se fosse vero, che, in paradiso, ci sono degli angioli incaricati di portarle in cielo, quando sono sincere e addolorate, essi avrebbero dovuto discendere, per Dio, a raccogliere le mie! Ma gli angioli a quel che pare avevano ben altro da fare e io... a un certo punto sentii come spezzarsi qualche cosa qua dentro... Credo che fosse il cuore! E sono guarita; guarita per sempre! Che ne dite Osvaldo?
E diede in un vivo scoppio di riso.
Osvaldo cominciò a sospettare che ella non fosse nel totale suo senno.
Guardò alla bottiglia del rhum, che era vuota a metà:
— Claudia — domandò egli — beveste voi ciò che manca a quella bottiglia?
— Sicuro! Perchè? Ne vorreste forse anche voi? È eccellente!
— No, grazie — rispose Osvaldo allungando la mano per rifiutare.
— Oh non sono ancora brilla, se mai credeste! Ci vuol altro!
E qui riempito in fretta un piccolo calice di rhum lo bevette in un sorso, prima che Osvaldo potesse trattenerle la mano.
Essa vide l'atto di lui e crollò il capo.
— Sta a vedere — sclamò — che ora mi vorreste anche proibir di bere del rhum. Non sapete che io non vivo che di questo, ora? È inutile che mi facciate quella ciera maravigliata e pietosa. È così! Ora voglio presentarvi la mia compagna.
E prima Osvaldo che si opponesse a questa nuova risoluzione ella aveva gridato:
— Zefìrina, vieni qua, che ti voglio presentare il conte Millo.
La chiamata non se lo fece dire due volte.
Fece la sua entrata rumorosa nel salotto dicendo trionfalmente:
— Ti ringrazio. Ero curiosa di vederlo questo signor conte Millo di cui mi parlasti tanto...
Ma s'arrestò dinanzi all'occhiata di sdegno che le scoccò la Claudia e più ancora dinanzi alla nobile figura di Osvaldo, quasi fosse colpita dalla sua bellezza.
— La Zefirina — ripigliò la Claudia — era una mia compagna di scuola a Firenze. Erano ormai sei anni che non ci vedevamo più. Non è vero?
— Sicuro! Io cessai di far cappellini nel 66 al tempo della guerra.
— Signora — disse Osvaldo alla cocotte — io le domando un favore.
— Dica.
— Avrei da dire ancora qualche cosa..... a quattro occhi alla...
— Cloe! sclamò la Claudia interrompendolo.
— Gli è come dire che io me ne debbo tornare di là? — domandò la Zefirìna piccata.
— La perdoni.
— E perchè allora m'hai chiamato, se non avevi finite le tue confidenze! — diss'ella allontanandosi.
Poi aperto l'uscio, lanciò ai due rimasti la solita frase ambigua di simili creature.
— Mi raccomando!
La Claudia, con dissimulata freddezza, accese un altro sigaretto, poi si lanciò cadere sdraiata sul divano.
Osvaldo le si avvicinò, la guardò un momento fisa e passò la mano sulla propria fronte che ardeva.
Questo giovine che, si può dire, non aveva ancora vissuto per le donne — mentre due donne avrebbero pur data volontieri la vita per lui — dinanzi a quella stupenda creatura, che ora gli si era mostrata indifferente e quasi restia, si trovò repentinamente assalito dallo sconosciuto demonio. Quella superba bellezza di Claudia, così rigogliosa e divorata dal sacro fuoco, cominciava a dargli una spaventosa vertigine. Lo sfogo ineffabile, la suprema delizia, il paradiso e l'inferno erano lì dinanzi a lui, ed egli forse, non aveva che a dirle io ti amo e a stringerla nelle sue braccia, per averla... voluttuosa amante nelle sue braccia.
— Claudia — ricominciò Osvaldo, — lasciami parlare soltanto due minuti, senza sorridere, e senza interrompermi; poi, se le mie parole non avranno prodotto nessuno effetto sopra di te, se la mia preghiera ti avrà lasciata impassibile e ferma nel tuo proposito, partirò da questo luogo, e ti lascierò al tuo destino...
— Via! — sclamò la Claudia, guardando le spire di fumo, che aveva spinte fuori dalle labbra mentre il conte parlava — so quello che volete dirmi, caro Osvaldo; ma non fa nulla, vi ascolto lo stesso.
— Ebbene giacchè dite che sapete quello che io voglio dirvi — ripigliò il conte, tornando al voi — è segno che almeno la vostra memoria non è spenta, e che io avrò da far poco sforzo per ottenere ciò che spero! Sì la vostra memoria! — continuò vedendo, che la Claudia a questo esordio aveva fatto cogli occhi un leggiero movimento di sorpresa — giacchè io credo che non abbiate bisogno, che di rientrare in voi stessa, e di rammentare. Oh, ditemi, Claudia, in nome di Dio! Quel famoso giorno che io vi... conobbi a Firenze, che vi vidi per la prima volta...
— Che mi salvasti dalla morte — sclamò la bella, con una voce alla quale a stento ella scemò l'entusiasmo.
— Che ti salvai, se così ti piace; dimmi, perchè tu piangente compievi il più disperato atto, a cui possa spingersi una creatura umana?
— Ebbene?
— Ebbene, quel giorno, quale altra idea, quale altro sentimento, quale altro affetto, ti spingeva, se non precisamente quello che anche oggi dovrebbe consigliarti di darmi ascolto?
— Cioè?
— Il sentimento della dignità, quel nobile sentimento che salva la donna dal disonore e dalla degradazione? Tutta la storia del tuo rimorso, e del tuo dolore, che cessarono per incanto dopo il perdono di tuo padre, certo io l'ho intuita, più che non l'abbia saputa; ma mi convince, in questo punto, che nell'animo tuo fu sempre vivissimo il sentimento della dignità e dell'onore.
— Oh forse sì; ma, pur troppo, tutti... tutti al mondo hanno congiurato a soffocarmelo nel cuore.
— Sarà forse — rispose con dolore Osvaldo — ma concedimi che in questo momento di me tu non possa dir questo! Io ti scongiuro, Claudia, richiama alla tua mente le terribili impressioni di quel giorno; rivivi in quel momento, allorchè dalla disperazione e dal rimorso passasti alla gioia e al conforto del perdono di tuo padre; ricorda le lagrime e le parole della povera nonna, e la calma che tornò al tuo cuore, che mi esprimesti così bene in quella prima tua lettera, che io conservo ancora, come uno dei più preziosi ricordi della mia vita.
— Davvero? — sclamò Claudia senza ironia. Ma accorgendosi d'essere commossa, ripigliò con disinvoltura — E siete voi, conte, voi che mi rammentate queste belle cose? Come mai non ci avete pensato allora, invece di lasciarmi in quell'orrendo stato, col vostro disprezzo, nel cuore, che me lo rose a poco a poco e che vi produsse la carie come un baco nel legno.
— Io di ciò vi ho già chiesto perdono. Voi sapete Claudia che non sempre si può essere padroni delle proprie impressioni! Forse ho fallato. Ve ne spiegai la ragione.
— E neppur io non fui padrona delle mie impressioni, caro Osvaldo. — Un giorno, quand'ero pura e innocente io credetti di amare il mio primo amante, quello che mi sedusse; forse lo avrei amato per tutta la vita se egli non m'avesse abbandonata. Fu mia la colpa? No. Quando vi incontrai mi parve di non avere ancora amato nessuno, e divenni pazza per voi; e certo nessun affetto fu più meritato del vostro, che, oltre ai vostri meriti, Osvaldo, voi mi avevate salvata la vita! E io ve lo ripeto, ora, che lo posso, sarei stata la vostra schiava, il vostro cane, o la vostra regina, a vostra scelta, se voi pure non m'aveste abbandonato, in quel modo! Fu tutta mia colpa? Io credo di no. Dopo qualche anno sperai guarire del vostro amore; incontrai Steno Marazzi, e l'immenso bisogno d'amare e d'essere amata mi illuse al punto che credetti adorarlo. Era un inganno di nuovo. Rivedendovi, quello che accadde qua dentro non ve lo saprei, nè ora, ve lo vorrei dire... ma fu una cosa orribile, ve lo giuro! Voi non avete voluto ricapire la mia passione. Fu mia colpa? No. Che potrei fare ora di meglio che godere dell'imbarazzo in cui, se non altro, sono riuscita a sorprendervi ?
— Mi permettete Claudia di interrogarvi, e mi promettete, voi, di rispondermi con molta schiettezza?
— Ve lo prometto.
— Se è vero che voi avete fatto questo colpo di testa, consigliata soltanto da una specie di senso di vendetta contro di me...?
— Oh no; non soltanto contro di voi, ma contro tutti... contro il genere umano!
— Contro di me specialmente, però.
— Ah senza dubbio!
— Ebbene? Credete voi che io soffra?
— Ora lo credo, perchè lo vedo.
— E se io ne soffro, che cosa vuol dire?
— Oh mio Dio! Può voler dire non altro se non che voi avete le vostre solite idee sublimi sulla missione della donna, sulla purità e sulla castità del nostro sesso; mentre poi in pratica il vostro egoismo, con una inesplicabile contraddizione, si rifiuta di mostrarsi indulgente e di far sì che la donna non cada nel fango per colpa vostra.
— Null'altro?
— Non saprei — rispose con ansia dissimulata, la Claudia, figgendo i suoi occhioni in quelli di Osvaldo.
— Se fosse la ragione che avete detta io dovrei addolorarmi per tutte quante le donne che si disonorano!
— Oh, voi ne siete ben capace! — disse Claudia tentando di dare alla frase un'aria spigliata e indifferente.
— Ebbene, non è così! Claudia, io ti giuro che quando or sono tre mesi mi abbordasti, là nel giardino della tua villa, e mi dicesti quelle parole oscure, io credetti che in te non fosse restato in cuore alcun affetto per me.
— Tu non lo credesti? Ma dunque i miei occhi, la mia voce, non ti dissero proprio nulla?
— Mi dissero anzi il contrario. Ne' tuoi occhi e nella tua voce commossa sì, ma anche piena di amarezza e di ironia, io non intravidi allora che dell'odio.
— Io! Per te, odio? — sclamò Clatidia con un accento, che usciva leggermente dalla freddezza mantenuta fino a quel punto. Ma di nuovo, fece come uno sforzo sopra sè stessa e ripigliò — In ogni modo a che vorreste voi venire Osvaldo?
— A dirti che io sono pronto alle più dure prove, alle quali tu volessi sottopormi, basta che ti allontani subito, con me, da questa casa.
— Se non altro questo si chiama parlare. Nondimeno io domando: che prove possono essere? A che mi gioverebbe ormai metterti a prova, se io non aspiro più a nulla, se non desidero più nulla di ciò che un giorno mi avrebbe resa giubilante e gloriosa? E che cosa vorresti che ne facessi della mia vita di 22 anni, e di questa che voi chiamate mia bellezza, una volta che ritornassi spostata in una società che non era la mia, e nella quale non avrei dovuto mai entrare?
— Spostata! — sclamò Osvaldo con crescente meraviglia — Tu crederesti d'essere spostata in casa di tuo zio, contornata dagli omaggi onesti di gente onesta, più che in questa casa....?
— Sì sì spostata — ripetè la Claudia con forza. — Fino dal giorno che tu mi hai abbandonata a Firenze, io ero caduta in una di quelle posizioni in cui per rilevarsi a una donna non si presenta che una tripla alternativa: o la mano d'un uomo che essa ama, che sia forte e che le dia il suo nome e la difenda; o andar monaca, o farsi traviata. L'uomo forte per me avrebbe dovuto essere Steno Marazzi e non lo fu. Tu sai la mia delusione su di lui. Il monastero non m'avrebbe ricevuta; e poi sarebbe stato troppo convenzionale; dunque traviata. Non c'è via di mezzo! Ah se tu sapessi, Osvaldo, come ho pregato il buon Dio di poter amare il mio Steno, quando mi accorsi che quella larva di affetto, che credevo fosse in me, per lui, era sparita. Ma poi, sai tu che cosa ha fatto il mio amante? Una cambiale falsa, e se fu rilasciato, per mancanza di prove, fu soltanto perchè suo padre ricchissimo lo riscattò dalla giustizia.
— Io non credo ch'egli sia colpevole.
— Sarà! Ma a me doveva accadere anche questo. In ogni modo, quell'ombra di truffa mi rese impossibile accettare di poi le sue proposte, Il povero bohème, divenuto ricco, e sempre innamorato di me, venne appena uscito di prigione a offrirmi la sua mano e le sue nuove ricchezze. E sai tu Osvaldo che cosa feci io, per farlo soffrire, per vendicarmi per mezzo suo, di te e di tutti insieme? Gli feci una sera, una di quelle promesse deliziose, che vi mandano in paradiso prima del tempo, e poi lo lasciai una notte intera nel mio gabinetto ad aspettare il mio ritorno... e mi aspetta ancora. Io partivo da Milano col marchese Cacciaterra, il quale prometteva di sposarmi appena fossimo giunti a Parigi.
E sai tu che cosa feci al marchese Cacciaterra a Torino? Prima che le mie casse fossero disciolte, io presi segretamente da parte un cameriere dell'albergo, a cui diedi venti franchi, e gliele feci riportare alla Stazione. Poi quando il marchese, già in quinto cielo, nella certezza che finalmente la vedovella adorata, e fuggita con lui da Steno, non gli sarebbe stata crudele, lo pregai di uscire a comperarmi non so quale sacchetto di dolci, e lo piantai all'albergo, annunciandogli la mia partenza per Parigi, mentre io tornavo a Milano... Egli ora sta cercandomi sicuramente per tutta Parigi!
— Tu hai fatto questo? — sclamò Osvaldo.
— Io ho fatto tutto questo! Ho promesso a me stessa, non solo di spassarmi quanto più mi sarà possibile, ma di portarmi in modo che voi altri uomini ne abbiate a soffrire pene d'inferno. Ognuno di voi che mi capiterà fra le mani e mi confesserà il proprio amore io avrò la voluttà di lasciargli sperare tutto, pur conservandomi pura dai suoi abbietti abbracciamenti.
— Ah! — gridò Osvaldo con un empito di gioia schietta — Vedi dunque che tu non sei una donna come ti vorresti far credere!
— Che importa, se lo sono in apparenza e in faccia al mondo, e in faccia tua? Chi ti dice che questo mio rimasuglio di dignità e di sdegno di voi altri, non abbia a sparire anche esso, ora che sono qui colla mia vecchia amica e col cattivo esempio? Oh non credere Osvaldo che io mi sia conservata tale per virtù! No. Vorresti forse io mi credessi virtuosa per non aver ceduto alle dichiarazioni d'un marchese Cacciaterra coi capelli grigi, o d'uno Stacchi imbecille, o per avere burlato quel povero Steno, che si lascia metter in prigione per truffa e che per ristoro, mi ingannava con quella sua Miette, da cui non fu mai buono di distaccarsi totalmente? Vorresti forse che mi credessi virtuosa se tutti costoro mi fanno nausea e sdegno? Oh io me ne rido del mondo e de' suoi giudizi, ma non rido dei giudizi miti e non vorrei poi avere nausea di me stessa! Forse lo Steno, se tu non fossi tornato, per mia disgrazia, delle Indie, io lo avrei sposato e forse sarei stata felice con lui... Chi sa? Mi pareva di potergli essere moglie fedele ed amante...
Claudia tacque e successe un po' di silenzio. Le cose dette da lei avevano prodotto nella testa di Osvaldo un visibilio tale di pensieri, di idee e di emozioni che non trovava parola da replicare.
— Claudia — disse finalmente movendo un passo verso di lei.
— Che c'è?
— E dunque?
— Dunque che cosa?
— Se io ti dicessi che ora sento di amarti, mi crederesti?
— Di amarmi? In qual modo? — sclamò Claudia con fìnta sorpresa.
— Nel modo che tu vorrai.
— Ah no, povero Osvaldo, è troppo tardi! Ormai forse anche questa è una fiera illusione del tuo buon cuore.
— Se ti dicessi che mi sentirei pronto a dare nuovamente la mia vita per te?
— Oh questo lo credo! — rispose Claudia! — tu sei di quegli uomini che sono sempre pronti a dar la vita per il prossimo! Ma non è amore codesto! La vita per me, ricordati bene, tu fosti pronto a darla un'altra volta prima ancora di aver udita la mia voce, prima di conoscere neppur il mio nome, prima, di sapere che io mi fossi.
— Ah! Dunque se io fossi stata brutta tu mi avresti lasciata annegare?
— Forse è un delitto rispondere di si; ma io credo che se non t'avessi veduta tanto bella e tanto sconsolata avrei continuata la mia strada invece di seguirti.
— Cosicchè ora, tu credi di amarmi?
— Ne sono certo!
— Ebbene, Osvaldo, ti ringrazio della tua buona intenzione, ma io suppongo che tu ti inganni. Me lo avresti detto prima d'ora se in te fosse stata la possibilità di rinnamorarti di me. Io, vedi, l'antico incendio l'ho sentito riavvampar qua dentro, al primo risuonar della tua voce, là nella villa, e prima ancora di averti riveduto in viso. Dopo quel segnale funesto tu mi avresti potuto ricomparire sformato in viso che io t'avrei riamato lo stesso. Fu come un cambiamento istantaneo nella mia vita, soltanto a riudire quel suono nella mia camera, mentre ero là in letto colla febbre! Oh mi ricordo! Io stavo in quel punto pensando a Steno, e alla sua delicatezza, di non volermi sposare perchè allora lui era povero ed io ero ricca. Pensavo al mezzo di forzarlo a cedere!... A un tratto mi arriva all'orecchio un suono che mi fa gelare e avvampare il sangue in un tempo... Eri tu che stavi al basso, sotto la mia finestra, a parlare con mio zio. Gli è così che accade, caro mio, quando si ama davvero. Invece tu, quando mi rivedesti, e pur più bella di prima, che cosa risentisti tu per me?
— Chi te lo assicura?
— Me lo assicura il mio istinto di donna, caro Osvaldo — quell'istinto il quale ci avvisa che un uomo ci adora mentre vorrebbe subissarci di odio e di disprezzo, o non ci ama punto ancorchè ci copra di baci e di carezze.
— Ma se non sentissi di amarti, quale interesse, quale ragione avrei io di dirtelo ora?
— Oh molte! Tu sei uomo innanzi tutto, e io non sono brutta, lo sai. Tu no, non sei un volgare da cavarti un capriccio, e certamente per delicatezza, poi, fingeresti di amarmi più di quello che il cuore ti direbbe. E io lo capirei, e tu mi faresti soffrire le pene dell'inferno. No, no, restiamo così. Verrebbe certo un giorno che tu arrossiresti di questa tua insolita debolezza. Non è nel tuo carattere. Mi disprezzeresti più che se diventassi francamente ciò che voglio essere una... cortigiana!
— No, tu non la diventerai!... È impossibile che ora tu non finga. È impossibile che quello che io provo ora per te non ti si comunichi e che tu non senta il desiderio di essere mia, come io provo la smania di possederti....
Passò un fulmine di voluttà negli occhi di Claudia. Diventò rossa e tentò nascondere l'emozione ridendo e volgendo il viso:
— No, riprese per la terza volta, ti ripeto: ora è troppo tardi. Credilo! Ora in me non è entrato altro desiderio, altra agonia che quella di vedervi tutti a soffrire per me, se mi sarà possibile.... E ti giuro che mi sarà possibile! Giacchè voi altri non guardate che alla bellezza e all'eleganza! Ora viene il carnevale e ho dei progetti fioriti. Anzi ti voglio far vedere un certo mio progetto di club che ti dovrebbe piacere.
Si alzò, andò a un'étagère, ne levò un foglietto di carta piegato in quattro, lo spiegò e lesse.
«Club dei Gaudenti d'ambo i sessi.
«Considerando che tutti i clubs della terra hanno per fondamento della loro istituzione la più stupida, la più barocca e la più assurda di tutte le regole quella dell'esclusione della donna.
«Considerando che questa esclusione è la più incivile e la più villana delle dimostrazioni, che gli uomini possano fare al sesso gentile».
«Si propone un club misto d'ambo i sessi.»
— Che ne dici?
— Nulla
— Ti associerai anche tu?
— No,
— Perché?
— Lo sapevo. Ma che vuoi? D'ora innanzi io cercherò di non essere mai più approvata nè da te, nè da altri uomini seri.
— Allora addio! — disse il conte Millo, levando il suo cappello dalla sedia su cui l'aveva posato....
— Addio — ripetè Claudia. — Non ci rivedremo?
— Mai più! Io partirò domani per Firenze, per casa mia, poi per Roma, io ho finito il mio compito a Milano.
— Salutatela per me Firenze — disse Claudia con un po' di lagrime nella voce.
Osvaldo uscì senza rispondere ma volgendo il capo vide la Zeffirina che stava all'uscio origliando.
Traversò l'anticamera lentamente, provando, per la seconda volta in sua vita, e per la stessa donna, uno spasimo inenarrabile!
Vide la vecchia che pisolava sul canapè.
Tirò fuori un biglietto da dieci lire, e glielo lasciò cadere in mano, poi mise la destra sulla maniglia dell'uscio, che metteva alla scala. E stava per varcare la maledetta soglia, quando udì dietro di sè la voce di Claudia, che sclamò in tuono supplicante:
— Osvaldo!
Si volse, rifece l'anticamera in un balzo e ricevette nelle sua braccia la donna svenuta.
La tensione prolungata le aveva levati i sensi.
Quando la Claudia rinvenne si trovò adagiata sul divano del salotto, e vide Osvaldo ritto in piedi, che la contemplava amorosamente.
Ella si rizzò lenta a sedere, con un sorriso pieno di vergogna e di sorpresa; si ravviò i capelli sulla fronte e stette compostamente dinanzi a lui, senza osare di muovere parola.
In quel punto, questa donna illimine di diventare una cortigiana, aveva l'aspetto d'una santa.
— Come ti senti? — le domandò Osvaldo mettendo un ginocchio a terra e prendendo le manine di lei nelle sue.
— Bene! Grazie — labbreggiò la Claudia abbassando gli occhi e scoppiando in dirotte lagrime.
Osvaldo si alzò, ma non le disse sillaba di consolazione. Era estatico e commosso. Quelle lagrime di pentimento e la sovrana bellezza di quella donna lo rapivano e lo gettavano in uno stato di animo, che non aveva mai provato di sua vita.
Allora sentì di riamare la sua Claudia colla stessa tenerezza, collo stesso entusiasmo, con cui l'aveva adorata a Firenze. Soltanto che in quel momento il fervido sangue gli ispirava ben altri ardori.
Le si siedette accanto, le ricinse la vita, l’attirò sul petto, e la baciò sulla guancia con uno di quei baci lunghi, che i poeti credono non essere possibili che in paradiso.
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— Andiamo — disse Osvaldo levandosi — io non voglio che tu stia un minuto di più in questa casa.
— A casa tua. Là ti dirò tutto il cuor mio; là fisseremo il nostro avvenire.
— Ascolta Osvaldo — disse la Claudia levandosi anch'essa in piedi e fissando ormai serenamente i suoi occhi innamorati in quelli del giovane. — Io ti ripeto quello che già ti dissi: tu potrai fare di me la donna più onesta e più amante che mai abbia esistito sulla terra. Io ti adoro e ti adorerò, come mai nessuna donna al mondo avrà saputo amare il suo salvatore, il suo Dio, il suo tutto! Ma tu, tu mi ami almeno una millesima parte di quello che io amo te? Senti tu di poter tornare per me quello che fosti un giorno? Dillo ora francamente. La tua risposta sarà la mia vita o la mia morte... Sono in tempo ancora... No. Non dirmi subito ciò che provi. Guardami fisso negli occhi prima... Così. Ora rispondi. Mi ami tu?
— Sì, sì, ti amo, Claudia... Angelo di bellezza, io ti amo. E come potrei non amarti? — sclamò Osvaldo con quell'entusiasmo spontaneo, sincero, profondo, che vien dritto dal cuore e sul quale, per una donna, non c'è inganno possibile. — Claudia, mia Claudia, eccoti, io unisco per sempre la mia mano alla tua... io ti credo... noi eravamo nati per essere uno dell'altro... Andiamo Claudia... Mi tarda di condurti fuori di questa casa.
Claudia ebbe per lui uno sguardo ineffabile; ma non ripetè parola. Non avrebbe potuto parlare. La piena del suo giubilo era soverchia. Fece un gesto come a dire: aspettami qui un minuto; uscì e tornò poco dopo in assetto per andar fuori di casa.
Dato il braccio a Osvaldo s'avviarono insieme fuori dell'uscio, stringendosi come due felici l'uno contro all'altro.