Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi
I quattro amori di Claudia

PARTE TERZA.

CAPITOLO I.    Alla Bassa.

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PARTE TERZA.

CAPITOLO I. 

 

Alla Bassa.

 

 



 

In capo a questa terza parte, la quale, come i lettori potranno arguire da soli, non è altro che la conclusione della mia storia, sento l'obbligo di ripetere una dichiarazione fatta in principio, e molto dimenticata — se non erro — da buona parte dei miei benevoli lettori.

Essa tende a far sì che essi non abbiano a perdersi nel cercare chi siano i personaggi vivi e reali del mio racconto; giacchè, nello stesso modo che poco facilmente giungerebbero a trovarli, così più facilmente ancora potrebbero cadere in grave errore.

 

Il mio dovere preciso è quello di non permettere che questi personaggi siano riconosciuti e segnati a dito; cosicchè protesterei contro qualunque pretesa, la quale tendesse a ravvisare sia nei protagonisti, sia nei personaggi secondari, piuttosto una signora che un'altra, piuttosto un deputato che un altro.

 

Per quanto il diritto di romanziero mi dia facoltà di descrivere e di narrare scene e fatti accaduti, sento però il dovere di protestare contro ogni allusione e contro ogni ricerca, con cui si pretendesse di stabilire delle identità, che potrebbero offendere onorevoli persone.

E questo è quanto!

 

Ora facciamo un'ipotesi.

 

Fingiamo che dal giorno beato in cui Osvaldo Millo ridonò a Claudia tutto il suo amore, siano passati otto o dieci mesi.

Gli è come dire che siamo tornati ancora in inverno.

 

Ora conoscete voi la bassa pianura lombarda, quella che Napoleone Perelli chiamò la Terra promessa?

 

Forse no.

 

Per voi, gentili, la campagna non è rappresentata che dai laghi, dalle colline e dai monti.

E bisogna infatti essere fittabili o ingegneri, o negozianti di formaggio di grana — tanto impropriamente chiamato parmigiano — per essere indotti a passare dei giorni alla Bassa, co' suoi eterni filari di salici non piangenti, colle sue morte gore, colle sue oche, i suoi ranocchi e le interminabili distese di campi.

 

Infatti, ch'io mi sappia, tranne il romanziero citato di sopra, chi mai ha pensato fra i lombardi a descrivere la Bassa?

Dal gracidar de' rospi e dalle risaje, l'arte, per quanto realista, difficilmente si sentirà ispirata.

 

A sette miglia da Pavia, non dirò se verso il Lodigiano o verso il Piemonte, c'è un villaggio che si compone di un centinajo di casupole e, due o tre chiese dagli alti campanili torreggianti da lontano nell'immensa pianura. Ci si arriva traversando delle campagne, che si assomigliano tutte in modo disperante.

Si capisce che il villaggio era stato nel medio evo un luogo forte. È munito per due terzi all'intorno da muraglie cadenti in rovina.

 

Il fondo al villaggio, dove la muraglia è interrotta, c'è un gran cascinale colla casa del fittabile, e più in giù il palazzo avito dell'ex-feudatario.

 

A destra, isolata, sorge la cattedrale, che sembra schiva di accomunarsi alle casupole e le guarda di traverso con due occhi rotondi, che si aprono nella modestissima facciata.

 

Il palazzotto è di quelli che fanno venir in mente il Griso e Don Rodrigo.

 

La chiesa è molto grande, ma non ha nulla di buono di dentro di fuori; perfino il concerto vi è fesso e scordato.

 

Il cascinale invece è dei più belli della provincia pavese. Un gran cortile pieno di legna, di letamai, di polli e di bambini, colla bulletta pendente dalle brachine. Di qua lo stallone delle mucche, di il barco, il portico, asilo di aratri, di carri e di utensili, sopportante il fienile. Più in giù le stalle dei cavalli e la rimessa; da un canto il porcile ed il pollaio.

 

È il mattino d'un giorno di novembre nebbioso e freddo.

 

Nel palazzo, vuoto di solito, nei dodici mesi dell'anno, c'è gran movimento.

Il padrone — il quale non è altri che il nostro Stacchiera venuto fuori la sera prima da Milano, con una brigata di amici e di signore, legittima ed onesta brigata ben inteso, e aveva ordinata pel mattino una gran caccia alle volpi.

 

Il fittabile nell'ultima sua lettera gli aveva scritto «come qualmente in un bosco vicino, due volpi avessero preso stanza e facessero strage del suo pollame».

 

Stacchi aveva dunque bandita una caccia ai suoi amici maschi e femmine, di cui undici avevano corrisposto all'invito, altri avevano promesso di venire entro il domani.

 

Fra questi Steno Marazzi.

 

La caccia alla volpe coi cani e col fucile è assai divertente. Stacchi s'era fatto mandare da Londra tre famosi Bull-terriers coi quali contava far strage delle volpi e dei volpicini.

 

Il capocaccia stava in quel punto sulla soglia del palazzo impartendo ordini agli uomini del seguito.

Una folla di curiosi ingombrava il piazzale dinanzi al palazzo.

 

Folla più caratteristica sarebbe difficile trovarla.

C'era il così detto basolone, che è il cuoco del fittabile, dinanzi a tutti; il cavallantino, la guardia campestre, il famiglio, il suonatore di barlocca, il merciaiuolo ambulante, il casaro, il campagnone e in disparte due bei carabinieri di passaggio, che s'erano fermati a prender lingua.

 

Tutta quella gente era uscita dalle stalle e dai covili, per ammirare i signori che vedevano tanto di rado.

In disparte tre reverendi, il curato in mezzo, il sagrestano magro a sinistra, e il coadiutore grasso a destra, almanaccavano sull'arrivo inaspettato.

 

Stacchi comparve a braccio di Forestina Fox, la quale dal canto suo dava il braccio alla Valenti, la vedova amica di Claudia Delmonte.

 

Son pronti i bracchieri? — domandò Stacchi al capocaccia, mentre le due donne si avvicinavano alla folla per lasciarsi veder meglio da quei contadini.

 

L'ammirazione, da qualunque parte venga, sempre piacere alle donne.

 

I bracchieri sono prontirispose il capocaccia.

Quanti cavalli furono sellati?

Tutti quelli che lei mandò fuori da Milano.

Sono troppi. Quanti con sella da uomo?

Otto.

E con sella da donna?

Tre.

Bene, bastano quattro per uomo e due per donna. Lei signora Erminia non si sente assolutamente di montar a cavallo?

No no, si figuri. Io amo di più la carrozzagridò la chiamata da lontano.

Dunque che montino non c'è che la signora Ceramelli, e la signora Spizzigati, va bene?

 

In questa sopravvennero due ospiti, il signor Ceramelli e il maestro Fortuzzi.

Ben levati ben levatidisse Stacchi andando loro incontro. — Hanno dormito bene?

Ah caro anfitrione, non si poteva dormir megliorispose il Ceramelli. — I suoi letti hanno un soffice tutto particolare.

Ho piacere! E la sua signora è pronta?

La mia Gigia è pronta e desidera montare a cavallo anche lei, ma vuol essere sicura di trovare una bestia molto tranquilla.

Garantita da Beretta. La si figuri che ho voluto i cavalli, va bene? che recitarono negli Ugonotti alla Scala. Vere pecorelle!

Bravo!

E la Diva sta bene? — domandò Stacchi al maestro.

Sta bene, ma non si sente in grado di venire a caccia.

Lo so, lo so, me lo diceva ieri sera. E non sarà la sola. Ecco un'altra signora, va bene? che si fermerà a farle compagnia.

 

E additava la Valenti.

 

In attesa si sedettero nel salotto a discorrere.

 

Dunque mi dica chi sono i suoi ospitidomandò il maestroperchè io sono arrivato ieri sera coll'ultima corsa, mentre la maggior parte era già andata a letto.

Ecco qua. Cominciando dalle signore va bene? prima di tutto ci sono le signore Fox e Valenti che stanno al mio fianco.

Queste le vedodisse Fortuzzi inchinandosi verso di loro con un sorriso.

Poi c'è la signora Ceramelli degna metà va bene? del signore; poi la contessa Oronzoff anch'essa con suo marito, e la vostra illustre allieva Maria Pierotti...

Pierotti soprano? Non conoscodisse Ceramelli.

Pierotti è il nome d'arte. È la Miette che ella avrà veduto l'anno scorso allo stabilimento di bagni..E gli fece il nome.. — L'allieva qui del maestro.

Ah! quella cantante che vidi l'autunno scorso al castello del barone di Trestelle?

Precisamenterispose Stacchi. — Le ho mandato la carrozza ieri a... dove ha debuttato ed essa ci ha fatto il piacere di venir qui... e speriamo stasera dopo pranzo di udirla al piano!

 

In quel momento s'intesero le voci di altri ospiti che scendevano dallo scalone.

 

Erano dame e cavalieri, in veste da caccia, col trabucco fra le labbra, e col frustino nella destra, che entrarono ridendo fragorosamente, e vennero a far i loro saluti del mattino all'anfitrione e alle signore.

 

La Valenti, come quella che faceva gli onori di casa — si spiccò da Forestina e andò a restituir il saluto ai nuovi arrivati.

 

I cavalli nitrivano nel cortile.

Stacchi contò i cacciatori.

C'erano tutti.

Si uscì fuori.

 

Dieci minuti dopo la Valenti, Forestina, e la Miette — o per meglio dire Maria Pierotti soprano debuttante — sotto la veranda del peristilio, salutavano l'allegra brigata, che partiva per la caccia, circondata e seguita da uno stuolo di contadini, di staffieri, di cacciatori e di cani d'ogni specie e d'ogni colore.

 

Le tre donne rientrarono nel salotto.

 

Chi ci avrebbe detto un anno fa — sclamò Forestina — quando ci trovammo, quasi per caso, riunite nella villa del barone di Trestelle a U... che oggi saremmo state ancora insieme in casa Stacchi!

Ma è proprio vero che soltanto le montagne stanno al loro postoosservò la Valenti, con quell'istinto della superficialità che i Francesi chiamano banalité la quale formava per così dire la sua caratteristica.

 

Poi voltasi alla Miette:

Ci racconti dunque, cara signora, il suo trionfo dell'altra sera.

Oh non fu un trionfosclamò la cantante con voce melincolica e modesta. — È il mio buon maestro che vorrebbe farmi credere al successo. Ma io sento che non riuscirò mai nulla di buono.

 

C'era nel sorriso e nelle palpebre de' suoi occhi abbassati sulle pupille fissate a terra, una non so qual grazia così pudica e così giusta, che Forestina non potè a meno di prenderle una mano e di dirle con espansione:

Perchè dite così Maria?

Mia cara Forestina! — rispose la Miette — per poter cantare sul teatro con grande successo è necessario non essere infelice come lo sono io. Voi forse Forestina non sapete l'ultima disgrazia che m'è accaduta, oltre l'abbandono totale di Steno?

No, non so.

Non è ancora scorso l'anno che il mio povero papà, moriva senza che io potessi rivederlo almeno un'ultima volta.

Oh povera Maria!

Voi dunque l'amate ancora il signor Steno Marazzi? — domandò la Valenti.

Io. Pur troppo! Fu il mio primo, e temo pur troppo, sarà il mio ultimo amore.

E dov'è ora? — domandò Forestina.

A Milanorispose la Valenti!

Però non è vero quello che si dice di lui? — sclamò la Miette rivolta alla Valenti.

Che cosa si dico di luì1?

Che egli si sia dato ad ubriacarsi, per farsi passar la passione della signora Claudia?

Ubriacarsi di vino non credo, ma temo che per stordirsi egli siasi messo a bere del grand'assenzio.

Ma perchè gli uomini non si innamorano se non di chi non vuol saperne di loro, e se c'è una povera creatura che li ama davvero la fanno morir di dolore?

Perchè è destinodisse la Valenti — che si abbia ad esser sempre in tre.

È molto tempo che non lo vedete?

Saranno ormai tre mesi; ma posso dire che lo rividi alla sfuggita in casa del maestro. Egli era appena tornato dall'essere corso dietro alla signora Delmonte.

E se oggi egli venisse qui ne avreste piacere?

Steno qui? — sclamò la Miette con un sorriso incantevole e giungendo le palme.

Lo spero. Stacchi lo ha invitato; ed egli gli promise che sarebbe venuto colla corsa del mezzogiorno. Ho dato ordine al Giuseppe d'andar alla stazione col dogcart per quell'ora.

 

La Miette crollò il capo con una specie di dolce scoraggiamento e non replicò parola.

 

La Valenti si voltò a Forestina:

Come sta Pierino stamattina? — le domandò.

L'ho lasciato nella sua cuna che dormiva come un angelorispose la Fox.

Stanotte t'ha lasciata tranquilla?

Sì, povero bambino. Non ha dato un lagno.

Quanto tempo ha?

Cinque mesi e mezzorispose Forestina.

E tuo marito il signor Mario?

Chissà?

Nessuna notizia, mai?

Mai!

Ma quando partì, dove ti disse che si recava?

A casa.

All'isola?

All'isola.

E non ti scrisse mai?

Neppure una riga.

Che strano uomo!

 

Questa conversazione, nel fondo così drammatica, era tenuta dalla Valenti con quella volubilità e quella leggerezza, che è il carattere dominante di tutte le cose anche serie del giorno d'oggi.

Bella questa trina! — diss'ella curvandosi verso il vestito di Forestina e pigliando fra le dita il merletto di Fiandra che guarniva la veste da camera della giovane madre.

È un regalo del principe di Bandjarra che volle esser padrino del mio Piero.

 

Poi tendendo l'orecchio e balzando in piedi disse:

Pardon! Mi pare di sentir la sua voce.

 

E senz'altro dire fuggì come portata dal vento.

 

Poco dopo mezzo giorno il dogcart, che era andato alla Stazione della ferrovia a prendere i forestieri che sarebbero arrivati da Milano colla corsa di quell'ora, portò al castello il solo Steno Marazzi.

 

Egli non sapeva che la Miette ci fosse.

 

Essa lo vide arrivare dalla sua finestra; ma non ebbe il coraggio di lasciarsi subito vedere.

 

 


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