IntraText Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
I link alle concordanze si evidenziano comunque al passaggio
CAPITOLO III.
La piccola osteria del villaggio di solito deserta, quel giorno era piena di avventori.
Il signore, aveva ordinato all'oste di provvedere per dar da mangiare e da bere a buon prezzo, tanto ai coloni quanto alle autorità del capoluogo, che fossero venute a riverirlo, e a godere dello spettacolo del ritorno dalla caccia.
Verso il tocco un viaggiatore avviluppato in un immenso raglan smontò dal treno Milano-Pavia alla Stazione vicina al paese, fece caricare la sua valigia sulle spalle d'un facchino e consegnando il biglietto all'ispettore gli domandò:
— È lontano di qua il paese di X...?
— Un quarto d'ora. Veda là i campanili delle chiese.
— C'è un albergo in quel paese?
— Un albergo, veramente no, ma ci sono delle osterie dove le potranno dare un letto.
— È vero che il signor Stacchi è venuto fuori con una brigata di cacciatori?
— Sissignore. Sono arrivati ieri sera.
— E anche delle donne?
— Oh sissignore; c'erano anche sei o sette signore.
— Una fra le altre molto bella?
— A me è parso che fossero tutte belle! — rispose l'altro ridendo.
— Ma fra queste non ne avete veduta una bionda, più bella delle altre?
— Ah, sissignore è vero. Una signora grande e bionda, coll'aria di forestiera, che è infatti più bella delle altre... Sissignore.
— Avreste sentito per caso a pronunciare il suo nome?
— Ah questo no, signore.
Lo sconosciuto ringraziò il galantuomo e uscì dalla stazione, avviandosi per la strada comunale verso il villaggio seguito dal facchino.
Egli camminava come uomo ansioso di arrivare alla meta, e pareva molestato da pensieri contrarii.
— Fosti tu al paese stamattina?
— No signore.
— No signore.
— Hai tu veduta quella bella signora bionda di cui parlava poc'anzi l'uomo della Stazione?
— No signore.
Vedendo di non potere cavar nulla da quell'idiota il viaggiatore alzò le spalle e proseguì il suo cammino.
Giunto sull'uscio della osteriuccia da cui usciva un frastuono di voci, di risa, di morra e di trombone, il viaggiatore si volse al facchino e gli disse:
— Entra e chiama fuori l'oste.
Il contadino depose sulla panchetta la valigia dello sconosciuto, entrò, e tornò fuori subito, accompagnato da un ometto bruno e magro, che vedendo il nuovo arrivato si cavò rispettosamente la berretta di cotone bleu, che gli copriva il capo.
— Avete una camera da letto? — gli domandò il viaggiatore.
— Per fermarsi molto?
— Due o tre giorni tutt'al più.
— Le cederò la mia; le lenzuola saranno di bucato.
— Bene conducetemi di sopra.
Ed entrò nella cameraccia seguito dal viaggiatore e dal contadino.
Là si faceva baldoria intorno a una gran tavola imbandita.
Al momento che il viaggiatore entrava un omaccione rosso e grasso proponeva di bevere l'ultimo bicchiere alla salute del padrone Stacchi a cui rispondeva dall'altro capo della mensa un giovane contadino, che s'era levato in piedi per dare più forza a quella specie di brìndisi campestre.
In un canto un Orfeo ambulante, soffiava disperatamente in un'oficleide, mentre una specie di maestro di scuola lo pregava di moderar que' soffii impetuosi ed importuni.
Il viaggiatore diede uno sguardo indifferente a quella scena e, dietro all'oste, montò le scale ed entrò nella stamberga, che questi gli dischiuse dinanzi.
— Ecco tutto quello che le posso dare — disse l'oste. — Io andrò a dormir sul fienile.
— Sta bene. Rifate il letto e portatemi dell'acqua.
— Il signore non vuol mangiare?
— Mangierò più tardi. Ora non ho bisogno d'altro — rispose lo sconosciuto cavando il portamonete per pagare il contadino, che gli aveva portata la valigia.
— Favorisca a darmi il suo nome.
Ed ecco che cos'era accaduto di lui dal giorno che l'abbiamo lasciato.
Rammento ai lettori la lettera ch'egli aveva scritta a Forestina, dopo la scena in cui quel violento le aveva voluto insegnare che a lui marito non si doveva resistere.
Da quel giorno egli non aveva più riveduta sua moglie.
Sparita anche la lusinga dell'eredità del principe di Bandjarra, che gli sarebbe restato a fare?
Mantenere la parola data nella lettera a Forestina e partire.
A questa risoluzione lo spingevano molte ragioni.
Dell'amore di Forestina disperava.
Capiva che se non le avesse mostrato almeno una grande fermezza ella sarebbe stata perduta per sempre per lui.
Nè voleva lasciar sapere al principe di non essere più amato da lei.
Poi temeva di esser scoperto in rottura di bando.
Ma sopratutto pensava, che grazie all'assenza di qualche mese, Forestina si sarebbe mutata a suo riguardo. Lontano da lei, essa gli sarebbe appartenuta, per così dire, più che se fosse dimorato vicino a lei. La moglie d'un marito assente è sempre più sua moglie, che quella d'un marito da lei diviso nella stessa città.
Egli aveva bisogno di mettere almeno un anno di calma e di mistero nella sua vita. Gli pareva che Forestina, tornando in sè stessa, dovesse soffrire della sua lontananza. Gli pareva che lentamente e senza sforzo avrebbe dovuto presentarsele il rimorso del passato.
Ci volle però tutta la forza d'animo di cui era capace per risolversi a partire.
Il non vederla più, per tanto tempo, era un pensiero atroce per lui.
Finalmente si risolse.
Al Principe disse aver ricevuto da casa un dispaccio della sua famiglia, che lo obbligava a ritornare all'isola; gli raccomandò caldamente Forestina e partì.
Da quella partenza i lettori sanno che ho fatta l'ipotesi che sia passato circa un anno.
Mario Fox è tornato a Milano. Di Forestina non aveva più sentito nulla. Con che cuore la cercasse, è detto con una frase. Egli l'amava ancora disperatamente.
«Che farà dessa? Dove sarà? Se la trovassi al braccio di un altro? E se fosse morta anche lei?»
Tutte le incertezze, le ansie, gli spasimi già provati a Roma, quando v'era andato a ritrovar sua madre, si rinnovarono.
La signora Delmonte nè i suoi zii non c'erano.
A chi domandar conto di Forestina senza farle sapere che ei fosse tornato?
Ma anche la Valenti non c'era.
La portinaia gli disse che era partita poche ore prima per X... col signor Stacchi e la signora Forestina Fox.
A sentir il nome di lei, da quella indifferente, che non s'imaginava, che egli cercava precisamente di lei, si sentì un gran tuffo nel sangue.
— Dov'è questo X..? — domandò egli alla portinaia.
— Dev'essere dalle parti di Pavia.
— Grazie — disse Mario, e corse a cercare dove fosse situato X...
E senza indugio partiva per quel villaggio e vi giungeva, come abbiam veduto.
Un'ora dopo scendeva con una lettera, ma nell'osteria erano troppo affacendati e non trovò chi la portasse. Uscì fuori s'avvicinò a una bimba, contadinella che stava raccogliendo dei fuscelli in istrada e la pregò di portare la sua lettera al palazzo Stacchi, per la signora Valenti.
La bimba vergognosa, pose il ditino in bocca, stette un po' incerta poi presa la lettera, si mise a correre verso il luogo indicato dal forestiero, e tornò poco dopo dicendogli di averla consegnata a un servo.
La Valenti ricevutala l'aperse e lesse:
«Signora,
«Un uomo, che ella ha conosciuto l'anno scorso nella villa del marchese di Trestelle, e che ha preso di lei moltissima stima, bramerebbe avere con lei un colloquio, dal quale può dipendere la sua vita o la sua morte. Come ella vedrà dalla firma io sono il marito di Forestina e sono tornato in Europa, disperando di riavere la pace senza di lei, che io amo ancora più di prima. Ho saputo a Milano essere Forestina costì, e ci sono venuto. Da lei saprò s'io debba sperare o rassegnarmi a non lasciarmi più vedere per sempre. La prego di fare in modo che il nostro abboccamento avvenga in luogo da non essere io veduto da Forestina, prima di conoscere la mia sentenza.
La Valenti rispondeva:
«Sono felice di potere esserle utile in una faccenda così bella e così degna, come quella di rimettere la pace fra marito e moglie. Io potrei dirle già a quest'ora, delle cose molto consolanti, ma amo meglio tenerle per quando le parlerò. Credo che il luogo migliore per avere questo abboccamento sia qui in palazzo. Verso le cinque di questa sera, prima di pranzo, io manderò un messo all'osteria, che avrà delle istruzioni, in modo che ella non sarà veduta entrare in casa Stacchi. A rivederla dunque e coraggio.
«La sua dev.
Questa lettera, come il lettore può imaginare, fu per Mario Fox un balsamo tanto più dolce quanto meno aspettato.
Alle otto il messo arrivò all'osteria. La notte era oscurissima, il cielo senza stelle.
Mario seguì la sua guida colla febbre nelle vene. Egli andava incontro al suo destino, e per quanto la lettera dalla Valenti lo confortasse a sperare, tremava.
A una certa svolta della contrada gli si parò dinanzi il palazzo Stacchi colle finestre del piano terreno illuminate.
Capì che stava per giungere alla meta, dal battito più forte del suo cuore; ma non volle interrogare il servo che gli camminava dinanzi in silenzio.
Dati pochi passi arrivarono ad una porticina, vi entrarono e il servo accese il lume d'un candeliere, che aveva preparato dietro l'imposta, poi fatto il corridoio e arrivato ad una scaletta si volse a Mario e disse:
Fatti pochi gradini gli dischiuse un uscio e lo introdusse in una piccola camera, dove sul caminetto ardeva già un vivace focherello che la illuminava bizzarramente co' suoi guizzi di luce. Depose il candeliere su un tavolo e soggiunse:
— Vado ad avvisare la signora Annetta che ella è qui. S'accomodi.
Ma per quell'uomo non era il caso di accomodarsi!
Per aspettar la Valenti, al Fox rimasto solo, colla sua ansia suprema, non restò di meglio a fare che di passeggiare innanzi e indietro nella camera, come è costume delle fiere anche non feroci nella gabbia che le tiene prigioniere.
Passò un quarto d'ora, che al povero uomo parve un quarto di secolo.
Finalmente l'uscio si schiuse e la Valenti, colla mano tesa verso di lui e la faccia sorridente fece la sua entrata nella camera.
— Io la ringrazio immensamente di tanta bontà — disse il Mario dopo averle baciata la mano.
— Sediamoci — disse la Valenti andando a mettersi su una sedia dinanzi al camino e invitando il Mario a far lo stesso. — Chi mai mi avrebbe detto che dovesse venire un giorno della mia vita in cui fossi scelta a fare da plenipotenziaria in due questioni d'amore del più alto interesse!
— Sicuro! — sclamò ridendo la Valenti colla sua solita volubilità. — Le parrà strano ciò che le dico, ma io arrivo in questo punto dall'avere precisamente tentato di riunire due altri amanti…. e in un modo esemplare!... Ma questo a lei non deve importare — proseguì la Valenti — parliamo piuttosto di Forestina e di lei. Ella deve sapere che io so tutto, giacchè Forestina — povera creatura! — mi ha confidato lutto.
— Ah tanto meglio! — sclamò il Mario — così che, io non dovrò far fatica a persuadermi.
— Di che?
— Di ciò che forma la mia più bella speranza, o di ciò che potrebbe formare la mia più fatale disperazione.
— Voi dunque non sapete nulla nulla di ciò che accadde alla vostra Forestina in quest'anno di lontananza?
— Assolutamente nulla.
La Valenti sorrise e fe' colla testa un atto come di assentimento.
— Tanto meglio! Sarà un'improvvisata! Avete voi presente la data dell'ultimo giorno che l'avete veduta?
— Come non averla presente? Fu un giorno terribile per ambedue. Io fui violento, lo confesso; ma essa, già fin d'allora, mi perdonava quella specie di oltraggio alla sua libertà di donna, perchè capiva essere effetto di amore.
— Bene! — sclamò la Valenti. — Se non erro fu nei primi di ottobre.
— Precisamente.
— E da quel giorno sono passati oggi, nè più ne meno di quindici mesi.
— Appunto. Ma perchè questi calcoli?
— Lo saprete fra poco, caro signor Fox — disse la Valenti levandosi. — Aspettatemi qui che ritornerò a prendervi fra poco per condurvi da Forestina.
— Sarebbe vero! Io la rivedrò e mi accoglierà bene? — sclamò Mario Fox al colmo della gioia.
La Valenti mentre apriva l'uscio, mise l'indice attraverso le labbra e sparì.